Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Ilarya Kiki    27/03/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuoco

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Amy si affrettò a risalire le scale col cuore che le batteva in gola, in preda ad una smania frenetica che faceva correre le sue gambe, generata dalla brutta, bruttissima sensazione che in tutto ciò ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato.
Entrata nell’appartamento, svegliò Tarja scuotendole le spalle con un gesto che avrebbe voluto essere delicato ma che infine si rivelò una scarica brusca e prepotente di ansia malcelata.
“Ehi, ehi Tarja svegliati! C’è giù uno che ti cerca!”
“Mgh…”
La rossa grugnì il suo disappunto e storse la faccia in un impastato addio all’abbraccio del sonno, ma non appena le parole di Amy giunsero alle sue orecchie sembrò attraversata da una scarica elettrica e si aggrappò ad Amy per tirarsi a sedere, con gli occhi pesti di stanchezza ma già incredibilmente freddi e concentrati.
Amy, già abbastanza agitata di suo, si preoccupò alla sua reazione, e la sua angoscia crebbe ancora di più quando notò le mani bianche e le spalle sottili di Tarja scosse come foglie al vento d’inverno: tremava.
“Uno che mi cerca chi?”
“Non lo so…non ho idea di chi sia!”
“Me lo descriveresti?”
Il respiro mozzo della fanciulla dai lunghi capelli di ciliegio gettò Amy nel panico più incontrollato.
“Lui…avrà più o meno vent’anni…biondo, non troppo alto, vestito normale, direi…e poi ha una cadenza europea nella voce, russa, forse…”
Mentre la blu parlava, le sopracciglia di Tarja si arcuavano sempre di più nello sforzo della visualizzazione, o forse del ricordo, e quando la descrizione fu terminata scosse nervosamente la testa.
“Non lo conosco.”
Amy giurò di intravedere un frustrato “maledizione!” sfuggire tra le labbra dell’amica mentre lei balzava in piedi rigida e scattante come un fuso e si dirigeva a grandi passi ad aprire l’antina sotto il lavandino, dove era stata nascosta le sua arma: il glorioso ferro da camino.
“Perché prendi quello? Cre…credi che il tipo di sotto possa essere pericoloso?”
Tarja in tutta risposta strinse il pezzo di metallo e ricacciò in gola un sospiro, per poi inscenare subito dopo un sorriso rassicurante, quando vide che Cherì si era alzata dal suo cantuccio e la fissava tremando con tanto d’occhi, stringendo ancora fra le dita il suo rosario d’avorio.
“Sorellona che succede? Non sarà mica…”
“Shhh! Non è nulla, voglio solo prendere delle precauzioni. Stai tranquilla.”
Si volse ad Amy, accentuando la sua mimica sorridente e rendendola ancora meno convincente di prima:
“Amy, amica mia, probabilmente è solo un rompiscatole notturno che mi ha vista questo pomeriggio per strada. Non preoccuparti, ora vado giù, gli parlo e lo mando via. Voi restate qui, non è necessario che mi seguiate e vediate certe scene.”
Detto questo si voltò e veleggiò come uno spirito incorporeo fuori dalla porta di casa, lasciando Amy e Cherì lì paralizzate in piedi, in preda al panico: entrambe non avevano potuto fare a meno di notare le strisce luminose di lacrime di paura che si erano materializzate sulle guance terree della loro giovane compagna.

Diodor aspettava alla porta del condominio col braccio stancamente appoggiato sullo stipite di legno, quando qualcosa di gelido e metallico gli premette all’improvviso sulla gola strattonandolo all’indietro, aderente ad un corpo caldo e dalla forza sovrumana.
“Chi sei? Chi ti manda? Il Cerimoniere?”
Un alito caldo al sapore di cannella gli sfiorò la guancia, ed un sorriso largo e sornione si spalancò sul suo viso, sprezzante nella pessima situazione, -strozzato da un qualche pezzo di metallo-, nella quale si trovava.
“Lady Tarja? ”
Il respiro si fece spezzato, ma la pressione del metallo incrementò la sua stretta.
“Può darsi di sì, può darsi di no.”
“Sai,” disse il biondo, con voce soffocata: “ti facevo più furba, per essere riuscita a scappare da quel cimitero di Chrysantemum Hill. Eppure, ti sei praticamene gettata tra le mie braccia!”
Troppo facile.
Come minimo, Diodor si sarebbe aspettato di cercarla tutta la notte fra i viottoli oscuri, di inseguire il suo vago profumo soprannaturale tra torbe di umani innocenti, di stanarla dopo ore di una sottile gara di astuzia tra cacciatore e preda che lui infine avrebbe vinto…
Ma così, era quasi una delusione: si vede che la fama che circondava la Lady era un po’ esagerata.
“Sei pazzo, per caso!? Non lo sai che siamo in una città di umani!?”
Di nuovo, la sua voce di cannella.
“Sai benissimo anche tu che non devono scoprire la Nostra esistenza! Ora dovrò per forza ucciderti qui, in silenzio, e disperdere le tue ceneri. Stupido!”
La voce singhiozzò e la pressione del metallo tremolò sulla sua gola, come se l’erede al trono della Stirpe demoniaca si fosse messa a piangere: Diodor trovò la cosa esilarante.
“E perché dovresti uccidermi? Non sono mica un Demone come te. Sei tu la pazza che è scappata tra gli umani infrangendo la Regola, non certo io.”
“Che cosa!?”
Con uno strattone, Diodor fu calciato in avanti e liberato dalla presa metallica, con un movimento agile riacquistò l’equilibrio e si voltò a fronteggiare la sua nobile preda: si trovò davanti una spilungona, con i capelli rossicci raccolti sulla nuca e tutti scompigliati a causa di un’alzataccia, gli occhi pesti di sonno e paura, vestita unicamente di una maglietta nera abbellita da un logo spigoloso e di cattivo gusto che lasciava scoperte le gambe bianche e tremanti, ed infine con un ferro da camino tra le mani impugnato a foggia di spada.
Non esattamente la fanciulla leggiadra e bellissima che tutti descrivevano.
“Sicura di essere Lady Tarja Lucifer?”
Diodor scoppiò a ridere, no, non era possibile che fosse davvero lei, perché se quello fosse stato solo un abile travestimento da umana allora non avrebbe svelato la sua identità con tanta ingenuità, né tantomeno sarebbe scoppiata in lacrime all’idea di farlo fuori.
Sempre sorridendo, il giovane si tolse i guanti consunti che portava, e mostrò a Lady Tarja due palmi completamente ricoperti di cicatrici, sfregi impossibili da ottenere per la pelle di titanio demoniaca, a conferma della sua precedente affermazione.
“Sei umano!”
“Proprio così. Perciò, per favore, smettila di frignare e di minacciare di uccidermi, e ascoltami.”
Lady Tarja, appresa la vera natura del biondo, sembrò tranquillizzarsi e lentamente abbassò il ferro e si mise ad osservare Diodor, curiosa.
“Dunque, milady. È il Cerimoniere che mi manda, visto che prima me lo hai chiesto, ed il mio compito è quello di riportarti a casa alle tue responsabilità. Hai idea del disastro che hai provocato? Sono tutti quanti disperati nella reggia e nessuno sa cosa fare. Sei stata davvero una bambina cattiva.”
Agitò in aria l’indice con aria di rimprovero senza far sparire dalla faccia quel suo sorriso beffardo, prendendosi gioco della creatura e godendo nell’aspettativa della sua reazione infuriata.
Invece lei rimase perplessa, ed anzi sembrò leggermente divertita.
“Dimmi se ho capito bene.” gli disse, appoggiandosi sulla sua strana arma con tutto il peso come si fa con un bastone: “Il Cerimoniere di corte, l’Arcidemone secondo solo a me e a mio padre in potere ed autorità, ora momentaneo sovrano di Chrysantemum Hill, ha inviato a recuperare me, l’erede al trono, un umano?”
“Già.”
“Oooh…allora è la tua giornata sfortunata, biondino.”
“Mi chiamo Diodor, se permetti.”
“Piacere, allora. Ora, per cortesia, dato che di solito sono contraria alla violenza contro i mortali, torna a casa, umano.”
“Perché mai dovrei farlo? Mi hanno pagato per portarti via da qui.”
“Davvero? Provaci, allora.”
Diodor, divertito, infilò la mano nella borsa che portava appesa alla cintura dei pantaloni, ed afferrò qualcosa.
La ragazza continuava a fissarlo con un sorriso ilare, rasserenato dalla sua schiacciante superiorità, ed abbassò il volto per nascondere una risata quando nel palmo martoriato dell’umano comparve quella che sembrava essere una piccola bomba di fattura antica, senza neanche la miccia.
“Cosa credi di fare, con quella? Non lo sai che i Demoni sono invulnerabili?”

“Beh…esistono solo due cose che possano danneggiare un Demone.” Cantilenò l’altro, sprezzante.
“La prima è un Demone più potente, e la seconda…un Angelo!”
Scagliò la bomba, che esplose di luce accecante come un secondo sole in Terra ed abbacinò il mondo rendendolo un unico infinito bianco. Tarja gridò e la luce sembrò ritirarsi in un grappolo sempre meno luminoso ma sempre più rovente di fiamme candide ai suoi piedi, e quando la vista tornò il fuoco ardeva sparso tra gli anfratti dell’asfalto, sul ferro da camino incandescente gettato prontamente per terra e sulla pelle bianca della ragazza, accartocciandola come pergamena antica sotto le sue mani che tentavano convulsamente di spegnerla.
“Fiamme Angeliche!?”
“Può darsi di sì, può darsi di no. Dimmi mia cara, non le trovi bellissime?”
Diodor rise, assolutamente incolume assieme a tutto il resto dell’ambiente, ed estrasse un'altra bomba, ma all’improvviso si vide avvolto anch’esso da fuoco oscuro e rossastro, che gli sgorgò all’improvviso da sotto i piedi e lo fece cadere in ginocchio.
“Non mi avrai!”
Le fiamme si estinsero appena in tempo per permettergli di vedere il Demone che come una saetta schizzava sopra il tetto del palazzo di fronte, ardendo di luce propria come una meteora ed imponendo le mani contro di lui.
Il mondo tremò e si incrinò ed il potere circondò Lady Tarja Lucifer lassù come un manto vibrante, attorcigliandosi attorno al suo capo vermiglio incoronato da due neri corni ricurvi in ardenti aureole serpentine.
Diodor si rese conto in un attimo che tutto il creato si stava contraendo su di lui con la forza di mille mari e di mille montagne, e grazie alla sola forza dell’istinto lanciò in alto la sua bomba appena in tempo, che esplose a metà strada dieci volte più abbagliante della prima, sprigionando lingue di fuoco bianchissimo ed annullando l’oscurità infernale, che gli diede un attimo di tregua.
“Maledizione…” mugugnò, tremante.
Kokoschka sfrecciò vibrando sul tetto dove Tarja si contorceva avvolta dall’ardente candore della bomba appena scoppiata, e per poco fu incenerito quando, annunciato da un grido bestiale, sotto la giovane si spalancò un baratro fiammeggiante e da questo uscì una colonna di lingue nere.
Innalzandosi verso il cielo, i fuochi la avvolsero e spensero le fiammate bianche neve, per poi concentrarsi tra i suoi artigli tesi ed essere dirette verso Diodor, il quale ora correva attraverso la via nascondendosi tra le mura dei palazzi e gli alberelli, scagliando una bomba dietro l’altra, che esplodeva all’incontro con i dardi di Tarja in una sublimazione di luci bianche nere e rosse che si soffocavano a vicenda illuminando a giorno la strada come un eccezionale spettacolo pirotecnico.
Inaspettatamente una delle bombe, per abilità del tiratore o più probabilmente per puro volere della sorte, raggiunse l’obbiettivo ed esplodendo scaraventò Tarja giù dal tetto, infiammandole i vestiti ed i capelli, per poi farla rotolare con un tonfo sul duro cemento.
Diodor, ansante e ricoperto di bruciature sanguinanti, corse sopra di lei prima che avesse il tempo di riprendersi e con un balzo si inginocchiò sul suo torace per tenerla ferma, facendole sputare un rantolo sofferente.
Estrasse una delle sue bombe, la puntò reggendola in mano davanti alla faccia di Tarja ricoperta di sangue, attaccata al naso, e sorrise beffardo.
Tarja vacillando sul limite della sua coscienza ne sentì il contatto freddo ed udì una voce odiosa che le diceva qualcosa come “ti ridurrò così male che a casa ci tornerai in un cucchiaino”: seppe che era tutto finito, quando…

BANG!

Diodor tossì, trafitto da un dolore lancinante al polmone destro.
Sangue.
Qualcuno lì dietro gli aveva sparato.
Sentì un manto ovattato premergli nelle orecchie ed oscurargli la vista mentre cadeva, e poi il grido di Kokoschka.
E poi nero.

Quando riprese conoscenza, Tarja era sola in strada.
Al posto di quell’odiosissimo umano, macchie di sangue ancora caldo sull’asfalto e sul suo ventre, come un campo di piccoli papaveri tiepidi, ma lui non c’era più.
Quando alzò gli occhi al palazzo, vide i due volti pallidi di Amy e Cherì alla finestra.
  
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