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Autore: Candidate    31/03/2012    16 recensioni
Sesshomaru e Moriko hanno finalmente visto realizzato il sogno per il quale avevano tanto tribolato; la foresta sembra il luogo ideale per ospitare la loro semplice quotidianità spensierata. Il loro legame è così forte che permette loro di affrontare anche le prove più ardue. Ma i nemici di Sesshomaru non sono mai stati pochi: che cosa accade nel mondo quando gli astri imperturbabili si rifiutano di osservare? Alcuni riescono a scorgere la trama del destino, ma solo pochissimi arrivano a intravedere anche l'ordito. Riuscirà Moriko a sorreggere l'enorme peso che il destino le ha gettato sulle spalle? Sulle note delle sue canzoni, un bardo ve lo narrerà.
Sequel di Sigillo, prima storia storia della trilogia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I canti di Realtà, racconti sul destino circolare.'
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Capitolo 13

Cari lettori e ancor più carissimi recensori! Non ci credo che sto davvero pubblicando questo capitolo... fino a ieri sera sono stata assai combattuta, ma non pubblicarlo significava mandare a monte l'intera trilogia. Dunque mi sono fatta coraggio e, con orgoglio, vi presento un capitolo decisamente sofferto e una svolta di trama difficile. Inoltre ho deciso che non mi munirò di scudo anti pomodori marci, semplicemente mi affido a voi.

Grazie per le oltre 100 recensioni che avete apportato a questa storia.

Grazie di essermi sempre così vicini, siete il sale della mia scrittura.

Buona lettura.

 

 

ATTENZIONE: note sulla canzone colonna sonora in fondo al capitolo, per non spezzare la lettura.

 

MY DEATH
(Jacques Brel / Mort Schuman)


My death waits
like an old rouè
So confident I'll go his way
Whistle to him and the passing time
My death waits
like a bible truth
At the funeral of my youth
Weep loud for that
and the passing time
My death waits
like a witch at night
As surely as our love is bright
Let's not think about the passing time

CHORUS
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don't care
For in front of that door, there is you
My death waits
like a beggar blind
Who sees the world
through an unlit mind
Throw him a dime
for the passing time
My death waits there
between your thighs
Your cool fingers
will close my eyes
Let's not think of that
and the passing time
My death waits
to allow my friends
A few good times before it ends
So let's drink to that
and the passing time

CHORUS
My death waits there among the leaves
In magicians' mysterious sleeves
Rabbits and dogs and the passing time
My death waits there among the flowers
Where the blackest shadow,
blackest shadow cowers
Let's pick lilacs for the passing time
My death waits there
in a double bed
Sails of oblivion at my head
So pull up the sheets
against the passing time

CHORUS

LA MIA MORTE
(Jacques Brel / Mort Schuman)

La mia morte aspetta
come un vecchio dissoluto
Così sicuro che gli andrò incontro
Fischia a lui e al passare del tempo
La mia morte aspetta
come una verità biblica
Al funerale della mia giovinezza
Piange forte per questo
e per il passare del tempo
La mia morte aspetta
come una strega nella notte
Certo com'è brillante il nostro amore
Non pensiamo al passare del tempo

RITORNELLO
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c'è molto da fare
Angelo o diavolo, non m'importa
§ Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta
come un mendicante cieco
Che vede il mondo
attraverso una mente spenta
Tiragli una moneta
per il passare del tempo
La mia morte aspetta lì,
in mezzo alle tue cosce
Le tue dita fredde
chiuderanno i miei occhi
Non pensiamo a questo
e al tempo che passa
La mia morte aspetta
per consentire ai miei amici
Di divertirsi un po' prima della fine
Così brindiamo a questo
e al passare del tempo

RITORNELLO
La mia morte aspetta lì fra le foglie
Fra le maniche misteriose dei maghi
Conigli e cani e il passare del tempo
La mia morte aspetta lì fra i fiori
Dove l'ombra più nera,
l'ombra più nera si ritrae
Raccogliamo i lillà per il passare del tempo
La mia morte aspetta là
in un letto matrimoniale
Con vele d'oblio nella mia testa
Così tiriamo su le lenzuola
contro il passare del tempo

RITORNELLO


 

Cercò di stringere l'abbraccio attorno a Moriko la quale, lentamente, stava smettendo di tremare. Scoprì di non avere nessuna forza nelle braccia e di riuscire a stento a sostenerle a mezz'aria, le dita intrappolate l'una nell'altra per aiutarsi. La sua mente vagava in preda a incubi che avevano albergato dentro al suo inconscio di assassino e che ora erano liberi di avvilupparlo per mostrargli la verità nuda e cruda: la Morte era sempre stata lì, vicino a lui, chiamata da lui perché prendesse le sue vittime e le portasse via, così vicina che si sarebbe potuta voltare di scatto per falciare via anche la sua esistenza, senza che lui potesse avvedersene. Si era sempre fidato della Morte, la considerava una vecchia amica. Più di una volta gli aveva sottratto persone care, ma non si era mai risentito nei suoi confronti: la morte è una regola del soffio. Solo la Via non ha un inizio né una fine: il principio della Via è la sua stessa natura. All'interno della Via si nasce e si muore, si muta continuamente, la vita si consuma e rinasce dalle proprie ceneri, è la vita che soffia sull'ultima scintilla e la fa rinvigorire. La Morte era proprio una cara amica, sempre clemente con lui, anche se non avrebbe dovuto. Aspettava come un vecchio dissoluto, ferma lì, di fronte a un pesante portone di cui lei sola deteneva la chiave. Fischiettava beffeggiando il tempo che le passava davanti, lei che era capace di compiere incursioni avventate attraverso di esso solo per svolgere il proprio compito, e senza venirne mai scalfita. Il suo fascino lo ammaliò, tanto da fargli desiderare di andarle incontro. Lui era stato una creatura del cosmo e il suo compito naturale era portare a termine la distruzione. Lui era la mano destra del Caos, la Morte la sua collega che cancellava ogni traccia. La Morte è una verità, per questo si erge dritta come un fuso, imponente sopra la vita e l'illusione della vita. Piangeva perché non avrebbe voluto portarlo via in quel momento in cui lui era all'apice supremo: alla fine della giovinezza, al massimo del suo potenziale, pronto ad affrontare il periodo radioso della maturità, accompagnato da tutti i frutti che aveva seminato nel tempo. Piangeva per il tempo che passava. La Morte aspettava come una strega nella notte. Si chiese se Moriko potesse vederla, ora che proprio a lei toccava assumere il ruolo di distruttore. La morte è certa, come certo e brillante è l'amore che li legava. Non valeva la pena pensare al tempo che scorre. Quella porta, alle spalle della Morte, metteva soggezione, lo faceva sentire fragile. Una inquieta immobilità si agitava dietro quella porta, ma qualunque cosa ci fosse al di là di essa aveva poca importanza, perché di fronte stava la Morte, pronta a prenderlo per mano. La Morte aspettava come un viandante cieco che interpreta il mondo con una mente vergine e spenta, fredda e oscura. Chissà se lei era cosciente di averlo già visto più volte, chissà se sapeva perché stesse aspettando ancora... avrebbe voluto darle una moneta da offrire al passare del tempo, forse per chiedergli di fermarsi. Moriko sospirò sul suo petto, concentrata nel seguire ed eseguire le sue istruzioni. La Morte lo aveva osservato, paziente, anche durante le notti d'amore, quando aveva baciato le lunghe gambe della ragazza immergendosi nel suo profumo di donna, così caldo e avvolgente, capace di fargli dimenticare che lei era lì e li osservava, e aspettava il momento, guardando annoiata lo scorrere del tempo. Ora Moriko era fredda come un demone, le sue dita ghiacciate avrebbero chiuso i suoi occhi incapaci di serrarsi da soli. Non era il caso di pensarla così: la morte arriva, è una legge, e per fortuna la Via l'ha scritta. La Morte aspettava forse per donare a Moriko un altro momento insieme a lui, un sorriso prima che fosse finita. La guardò e alzò un dito per brindare con lei al tempo che passa. La sua Morte lo aveva spettato fra le foglie dell'autunno, nascosta nelle maniche misteriose di quella maga dalle quali era uscita una magia che lei stessa non si aspettava. Lo aveva atteso fra i fiori, dove le tenebre del suo animo spietato si ritraevano, sconfitte dallo smagliante sorriso di una bambina. Moriko avrebbe raccolto dei lillà per il tempo che scorre? Ripensò ancora una volta a quelle notti fra le lenzuola durante le quali riusciva a dimenticarsi di essere demone, di essere un umanologo, di essere un distruttore, un assassino spietato legittimato a operare e creato per equilibrare l'incredibile, smisurata forza della vita. Non avrebbe mai potuto pensare di ribellarsi a ciò che lui stesso era: la morte vivente. Eppure in quei momenti di oblio aveva tirato le lenzuola fin sopra la testa, per ridere con Moriko, nel buio, nascosti contro l'inesorabile passare del tempo. Avrebbe accolto la sua morte a braccia aperte, quando avesse deciso di smettere di aspettare. La guardò negli occhi e lei gli indicò la demone che teneva fra le braccia, finalmente vincitrice contro il suo stesso potere. Non aveva da temere niente, finché la Morte fosse stata con lui per accompagnarlo oltre la porta.

 

Moriko sembrava finalmente padrona del potere che albergava dentro di lei. Lo preoccupava non poco pensare che ogni lieve emozione della ragazza avrebbe potuto scatenare un inferno. Se lei si fosse trasformata, per sbaglio, difficilmente sarebbe riuscita a tornare antropomorfa. E lui non sarebbe più stato presente per istruirla, per aiutarla. Avrebbe dovuto fare tutto da sola, imparare in poco tempo quello che lui aveva imparato in anni, e con un valido istruttore. Moriko avrebbe dovuto imparare a frenare ogni emozione, a diventare fredda e calcolatrice per non essere schiava di se stessa e per sfruttare al meglio il suo lato demoniaco. Ma il peggio era passato, per il momento. Questa piccola consapevolezza lo fece rilassare quel tanto poco, ma sufficiente, per fargli sentire addosso la stanchezza del suo corpo al limite. Lo aveva sempre detto che un corpo umano non serviva a nulla. Non riusciva più a reggersi, tutto il suo corpo doleva fin nel profondo, si sentiva tremare, si sentiva stanco e i suoi occhi bramavano il riposo del sonno, ora che non c'era più urgenza e adrenalina a tenerli aperti. Senza quasi accorgersene si accasciò sopra la sua donna la quale lo sostenne, come se fosse stata la cosa più normale del mondo e come se il suo corpo, che anche se ormai umano era comunque muscoloso e completamente abbandonato, non pesasse nemmeno quanto un chicco di riso. Si sforzò di tenere gli occhi aperti, sapendo che se li avesse chiusi anche solo per un istante non avrebbe mai potuto vedere, per l'ultima volta, il sorriso delle sua amata.

La ragazza si liberò il viso dalla pelliccia che ancora la avvolgeva, rivelandogli finalmente i suoi lineamenti di demone. Le sopracciglia bianche marcavano con leggerezza uno sguardo penetrante: l'iride azzurra chiaro, come i ghiacci salati del Polo che riflettono sulla loro superficie il profondo degli abissi sui quali galleggiano. Venature d'argento brillante rendevano irraggiungibile ciò che si trovava al di là di quegli occhi, il misticismo profondo che ormai albergava dentro di lei. Gli incuté timore guardarla fisso poiché arrivava a percepire, però non a comprendere, l'enormità di distruzione sul quale quello sguardo si sarebbe fermato, sapendo di esserne la causa. Occhi che riflettevano la sua immagine, refrattari e freddi. Capì, finalmente, cosa provavano gli esseri umani nel vederlo quando camminava per le foreste, anche se lui aveva avuto gli occhi color ambra. I segni demoniaci sulle guance e sulla fronte sembravano svanire lentamente, a seconda di quanto salda fosse la presa della ragazza nel controllare il suo potere. O forse era uno scherzo della luce. Perché era tutto così buio? Era un effetto della Morte che continuava ad attendere, ritta davanti all'immenso portone? No... Era il Sole, vigliacco, che si nascondeva dietro a un disco di oscurità, rifiutandosi di assistere alla morte di Sesshomaru-sama. Moriko invece non pareva voler voltare il viso, lei aveva il coraggio di guardarlo. Lei era forte, era una donna forte, ce l'avrebbe fatta. Lei era più perpetua del Sole.

-Sei stata brava...-

Le disse. Mai avrebbe pensato che, dopo qualche attimo passato senza parlare, ritrovare abbastanza fiato per emettere qualche parola potesse essere così straziante. I suoi polmoni erano pesanti, si sentiva soffocare.

Lo sguardo di Moriko si accese in una scintilla di attenzione, richiamata al mondo dalla sua voce. Lo guardò come se non arrivasse a comprendere il motivo della stranezza che si trovava di fronte, probabilmente la sua mente cosciente riemergeva solo in quel momento dalla confusione causata dalla trasformazione. Sollevò lentamente una mano artigliata a gli toccò il viso, titubante. La pelle della guancia iniziò a bruciare terribilmente, sentiva la carne contorcersi e seccarsi sfrigolando, sempre più in profondità. Moriko ritrasse la mano spaventata: le sue unghie erano verdi d'acido.

-Volta la mano, puoi toccarmi solo con il dorso delle dita, come ho sempre fatto io con te.-

-Ma... cosa ci è successo?-

-E' un incantesimo... quella donna ha invertito le nostre essenze per potermi uccidere. Mi ha fatto diventare un essere umano e tu... ora sei un demone.-

-Cosa?-

Si mosse un poco, scossa dalla sorpresa, e il suo braccio andò a urtare contro l'asta della freccia, ancora conficcata nel fianco di Sesshomaru. L'ex demone sentì quella presenza estranea dentro di lui muoversi lacerando ancora, farsi strada fra le sue carni, esplorando guardinga come una spia intrusa:

-Uh...-

Solo un lamento.

-Una freccia...-

-Toglila per favore...-

Moriko lo depose lentamente al suolo, con delicatezza.

-Va bene, la tolgo.-

Si scoprì impaziente di sentirsi libero da quel corpo alieno e temette che l'acido sulle unghie della ragazza liquefacesse l'asta della freccia prima che lei riuscisse a toglierla. Invece fu repentino, a sorpresa, lo colse impreparato, forse perché Moriko era memore della fatica che aveva fatto a togliergli il pugnale dalla spalla qualche giorno prima. Non fu la pelle a dolere, bensì le viscere. Il sollievo provato dall'improvvisa mancanza di quel corpo rigido dentro di lui si sovrappose con la sofferenza che si riacutizzava in ogni muscolo, come le onde generate da due pietre lanciate nella stessa pozza di acqua placida. Non riuscì a controllare il singulto che gli uscì dalle labbra.

-Perdonami! Non so come sia stato possibile...-

-Non importa. Non puoi saper controllare la tua forza.-

Istintivamente il suo cervello cercò qualcosa dentro di lui, un qualcosa di cui era privo e che lo faceva sentire incompleto. Imperterrita, la sua mente liberò l'impulso di rigenerazione, che finì nel vuoto.

Percepì la sua intenzione di estrarre anche il pugnale. Certo, gli sarebbe piaciuto essere libero anche da quello, tuttavia era proprio l'ingombro della lama sui tessuti a far sì che l'emorragia non sfogasse, anche se ovviamente non faceva da perfetto tappo. In ogni caso togliere il pugnale avrebbe significato dissanguamento istantaneo. Lo zampillo di sangue avrebbe riscosso l'immobilità catatonica della Morte la quale sarebbe venuta a prenderlo all'istante. Il tempo scorreva, ma bastava guardare la vecchia incappucciata per sapere quando sarebbe giunto il momento. Probabilmente lui stesso avrebbe richiamato la sua attenzione. Lui stesso avrebbe estratto il pugnale al momento giusto. Intanto pensò a bloccare lo zelo della sua donna:

-Non estrarlo, perderei troppo sangue e troppo velocemente.-

La luce diventava sempre più fioca mano a mano che l'eclissi avanzava. Il sangue che circondava la figura dell'uomo si faceva cupo, come se diventasse vecchio e rappreso anche se era ancora liquido e caldo.

Rabbrividì al contatto con la tiepida brezza estiva. Gli sarebbe piaciuto esser riscaldato da un raggio di sole, per l'ultima volta. Gli sembrava molto strano percepire il suo corpo caldo, come mai era stato, rabbrividire per il freddo. Ogni brivido rendeva le palpebre ancora più pesanti. Si accorse del sorrisino appena accennato che turbò l'immobilità della morte.

-E' incredibile... è la prima volta nella mia vita che sento il mio corpo caldo e che attorno a me sento solo aria fredda.-

-Jaken, nella borsa a sinistra di Ah-Un ci sono due coperte. Portamele entrambe per favore.-

Il piccolo esserino si mosse celermente continuando a lamentare la sua preoccupazione.

-Quella donna è la figlia della vecchia che ho ucciso qualche giorno fa. Non c'è che dire, è riuscita nella sua vendetta. Veleno e incantesimi potenti... forse non era più brava della madre, ma aveva talento.-

Moriko guardò il corpo senza vita della donna che giaceva vicino a loro, la sua testa staccata dal collo, immobile con gli occhi sbarrati, poco più in là. Poi i suoi occhi caddero verso le mani artigliate e sporche di sangue. Sesshomaru sapeva che l'odore del sangue delle vittime rimane sulle mani per molto tempo, anche lavandole dentro la candeggina. Ma non perché il sangue sia poi così difficile da lavare via, no... perché le vittime, le vite che hai consegnato alla Morte, rimangono con te, negli incubi più neri che cadono nell'oblio al primo accennar dell'alba. A volte l'odore di una persona rimane sulle mani per tutta la vita. Lui lo sapeva, anche se mai aveva provato rimorso o pentimento per aver ucciso, conscio del fatto di essere una creatura venuta al molto espressamente per portare distruzione. Ma Moriko, una donna così buona che faceva fatica anche a farsi una ragione per aver ucciso un piccolo demone lucertola, magari per sbaglio... Quanto sarebbe stato difficile e doloroso per lei accettare di essere un esecutore di condanne a morte per le quali l'unico giudice supremo era la Via nella sua non-azione? Avrebbe mai accettato di poter vivere a quel modo? Forse sarebbe stato l'ostacolo più grande sul suo commino per diventare demone.

-L'ho uccisa io?-

-Sì. Eri senza controllo, il potere demonico ti stava facendo trasformare e i tuoi sensi erano troppo sensibili. Continuava a urlarmi contro e non potevi sopportare il rumore. Hai reagito senza pensarci, l'hai uccisa.-

Jaken si fece avanti e posò le due coperte sul corpo del suo signore. La stoffa si impregnò immediatamente di sangue. Moriko istintivamente posò una mano sul petto del ferito per provare a tamponare il sangue, sapendo benissimo che era tutto inutile. L'unico risultato fu l'espressione sofferente di Sesshomaru. Non riuscì nemmeno a stupirsi nel vedere il suo viso, sempre composto, perdere la sua armonia in quel modo.

Lei... aveva ucciso... le sue mani erano macchiate con un omicidio... anche se quella donna avrebbe voluto uccidere l'uomo che amava. Non riuscì a provare odio per quella donna, invece provava ribrezzo per se stessa. Come aveva potuto uccidere un essere umano, lei che non riusciva a uccidere nemmeno i demoni? E con le sue mani, nemmeno con la spada. La spada... La spada! Tenseiga, sì! Avrebbe potuto salvare Sesshomaru! Ora che lei stessa era un demone avrebbe potuto infondere a Tenseiga il potere necessario per farla funzionare, senza l'aiuto di nessuno. E poi avrebbe anche potuto ridare la vita a quella donna...

Cercò l'elsa della spada al suo fianco e la estrasse:

-Non temere, adesso ti faccio guarire.-

-No!- La risposta dell'ex demone la lasciò di stucco. Perché non voleva? Preferiva forse morire? Sesshomaru mosse lievemente la testa e continuò arrancando:

-Non è la prima volta che vedo questa scena... Rin... noi ci siamo incontrati perché volevi salvarmi la vita...-

-Infatti! Cosa vuol dire quel maledetto “no” amore mio?- La mano sull'elsa di Tenseiga tremava di angoscia davanti ai suoi occhi. -Mi hai salvato prima tu in questa mia nuova vita, portandomi via dalle grinfie di mio padre. Lascia che il destino faccia il suo corso... permettimi di salvarti... solo io posso farlo, io sono Rin.-

Moriko non si era mai sentita tutt'uno con l'anima ancestrale che le parlava dal cantuccio remoto del suo spirito.

-No...-

Ripeté Sesshomaru, angustiato nel profondo non più dalle sofferenze fisiche, ma dalla consapevolezza di star chiedendo alla donna che amava di convivere con la sensazione di vuoto fra le mani. La sua Rin, quella bambina spaurita, così coraggiosa da avvicinarsi a una bestia ferita quale era a quel tempo... Ma questa volta era diverso: al posto della belva demoniaca Rin aveva di fronte un misero essere umano. E questo, Sesshomaru-sama non avrebbe mai potuto tollerarlo.

Non poteva farlo guarire usando Tenseiga! O meglio, avrebbe potuto, ora che lei stessa disponeva del potere necessario per attivarla, ma lui non aveva nessuna intenzione di salvarsi. Aveva scordato per qualche istante che un guerriero come lui è soggetto ogni giorno alla sconfitta, ma aveva sempre pensato che sarebbe morto in battaglia, con onore. La sua distrazione lo aveva portato all'umiliazione più totale, alla morte per mano di una donna, in un corpo di essere umano che non aveva avuto nemmeno mezzo riflesso adatto per provare a difendersi. Sapeva e comprendeva che la morte è necessaria, è il necessario compimento del ciclo della vita, e la Via lo aveva scelto. Lui che era stato un portatore di morte non aveva nessun timore di morire. Infatti si sentiva calmo, anche nella profonda sofferenza che lo cullava verso l'insensibilità graduale. La morte è la pace di ogni tormento, è la fine che ti avvolge nelle sue fredde braccia. Comprendeva che Moriko volesse salvarlo, perché lo amava. Ma se lo amava veramente lo doveva lasciar morire. Non avrebbe mai potuto sopportare di vivere in un corpo umano, debole... Lui era sempre stato una creatura libera, un essere naturale e sovrannaturale delle foreste, un essere capace di comprendere gli imperscrutabili movimenti del Caos. Specchiarsi in una pozza d'acqua, con l'ultimo raggio del tramonto, e sapere di essere dipendente, imprigionato in una gabbia di carne, privato del suo spirito vero. Avrebbe dimenticato, lentamente, come comprendere le voci della luna e il calore della terra, le melodie dei canti di pianura. La follia che tanto temeva, perché gli era stata annunciata dall'oracolo della Dea di Avalon, lo avrebbe accolto nelle sue braccia traditrici, rendendolo alieno a se stesso. Non voleva... Aveva vissuto nel mondo umano e moderno per anni, sentendo ogni giorno avvicinarsi quella strana sensazione di perdita. Solo due pilastri lo avevano sorretto: Rin da una parte, dall'altra la certezza che nessuna umanologia lo avrebbe mai potuto privare di ciò che era veramente, ovvero un demone. Magari nessuno poteva vederlo in quanto demone, o riconoscerlo. Era stato pronto a diventare invisibile e inesistente, un'ombra che segue fedele la donna che ama. Ma sarebbe sempre rimasto un demone. Non poteva sopportare di vivere da essere umano, non ce l'avrebbe mai fatta. La pazzia gli faceva paura, molta più paura della morte. Forse perché conosceva la morte da vicino, quindi sapeva cosa aspettarsi da lei. Era già così terribilmente umano da aver paura di ciò che non si conosce? No... lui conosceva la pazzia, aveva iniziato a sentirne nella sua mente il primo velo che aveva opacizzato la sua percezione, tempo prima, e solo mesi di vita nella foresta, da demone, erano riusciti a tarlare quel velo resistente, ma non a eliminarlo del tutto. Non sarebbe mai stato abbastanza forte per sopportarlo. Moriko invece avrebbe potuto: lei era un pilastro della Terra, capace di sorreggere l'immensità del Cielo sulle proprie spalle, capace di tenere ritto e saldo un demone che, forse, non meritava di esser chiamato demone, un demone colpito da una maledizione che si perpetuava di generazione in generazione, facendolo innamorare di un essere umano, e facendolo sentire felice di ciò. Moriko avrebbe potuto diventare un vero demone, lei che era fuggita da un mondo di umani che non le avevano dato niente, lei che, come Rin, aveva trovato la propria casa nella foresta, la propria famiglia nei poteri arcani e nei silenzi. Lei aveva la forza per superare tutto, per comprendere ciò che già aveva pochi segreti per lei. Avrebbe tenuto per mano il demano che avrebbe continuato la stirpe e che avrebbe conservato la memoria di racconti delle gesta di un padre onorevole, di un demone. La vita da umano era più spaventosa dell'abisso della morte. Cosa ci fosse oltre quel portone non aveva molta importanza, anche se sospettava che lo attendesse l'inferno. Perché gli veniva da pensare proprio all'inferno? In fin dei conti lui aveva sempre operato nel bene, perché lui era nato figlio e servo dell'oscurità nel caos, della parte d'ombra della Via, e da ciò non si era mai scostato, anche quelle rare volte in cui aveva sottratto alla sua cara collega Morte qualche anima. Lo aveva sempre fatto per continuare a sopravvivere, lui, anche se inconsciamente. Perché se quel giorno non avesse salvato la piccola Rin, non ci sarebbe mai stato un Sesshomaru di cui conservare la memoria. Quella volta Moriko non poteva decidere per lui, come altre volte era successo, perché quella decisione aveva albergato nel suo cuore per secoli: lui avrebbe accolto la Morte con tutti gli onori.

-Sono rinchiuso nel corpo di un essere umano... Rin... Moriko... io... non posso vivere nel corpo di un essere umano... non riuscirei mai a tollerarlo. Tu sei una persona forte, un pilastro capace di sostenere il mondo intero sulle spalle... non farti schiacciare dal peso del potere demoniaco. Rimani te stessa e cresci nostro figlio, il demano che è dentro di te. Ora hai un'anima umana dentro il corpo di un demone, hai tutto quello che ti serve per proteggerlo e per educarlo sia come umano che come demone.-

-E tu? Non sei esattamente speculare, ora? Un animo di demone in un corpo umano?-

-Sì... ma io non sono forte come te. Quando sono venuto a cercarti nella tua epoca ero preparato a vivere come la tua ombra se non fossi riuscito a instaurare un buon rapporto con te, sarei stato una presenza discreta, solo per starti vicino. Ma qui, nel mio mondo, non potrei sopportare di essere un'ombra. Ma non possiamo tornare nella tua epoca... Solo il corpo che avevo era forte, una macchina da guerra... ma il mio spirito non è saldo... io come umano impazzirei di certo.-

-Credi che io non possa impazzire? Come farò a controllare l'irruenza del sangue demoniaco senza di te?-

-So che puoi farlo. Porta avanti la mia stirpe, non sarai sola. Ma ti prego Moriko, lasciami morire qui, vicino a te. Non avrò rimpianti. E' l'unica cosa che ti chiedo.-

Le mani della ragazza tremarono mentre inghiottiva palesemente un nodo doloroso che le ostruiva il cuore. Lucidi divennero quegli occhi preziosi e le lacrime argentate luccicarono sulle sue guance. Sesshomaru si rasserenò vendendola piangere perché le lacrime erano un segno di dolore, ciò significava che avrebbe rispettato la sua volontà:

-Sei ancora abbastanza umana da piangere... sono riuscito a farti piangere due volte in pochi giorni... Resta umana... non farti sopraffare dal tuo corpo demoni-

La frase si interruppe a causa di un colpo di tosse. Tossendo, il sangue che ormai invadeva i suoi polmoni risaliva schizzando in gola. La ragazza lo abbracciò delicatamente, avvolgendolo meglio nelle coperte.

-Io ora ti lascio morire, come desideri. Ma ti cercherò sempre, come tu hai fatto con me. Se tornerai ti troverò.-

-Non credo che l'inferno vorrà lasciarmi andare così facilmente.-

-Allora verrò all'inferno con te.-

La sua Moriko, fedele e determinata. Lo amava e lo avrebbe sempre amato. Voleva continuare lei la strada che lui aveva tracciato cominciando a cercare la reincarnazione di Rin nelle epoche, per rincorrerlo ovunque, per stare insieme in eterno, oltre la vita, oltre la morte. Lei era degna di essere la sua consorte, degna di avere nelle proprie mani il potere che lui aveva tanto amato, degna di portare in grembo, e crescere, suo figlio. Il cuore si allargò, caldo. Qualcosa di strano accadeva al suo viso, le guance si muovevano senza che lui potesse fermarle, forse non voleva affatto fermarle, e la pelle riarsa delle labbra tirava. Quella strana smorfia riportò un poco di gioia nel suo animo calmo, pacato, sereno come quello di chi sa che non ci sarà un dopo.

-Quante sciocchezze dici...-

Istintivamente sollevò una mano, una mano pesantissima, e percorse faticosamente la strada che lo separava dalla sua meta, ignorando le fitte acute che i suoi muscoli ormai esausti spandevano per intimargli di fermarsi, di non poterselo più permettere. Posò la mano sul ventre della sua donna e rimpianse di non poter più udire il fibrillante battito del cuore di suo figlio. Nell'ultimo raggio di sole che svaniva riuscì a intravedere il sorriso di Moriko, sempre così caldo, portatore di gioia. Vedeva un demone sorridere. Suo padre sapeva sorridere, uno dei pochi demoni che avesse quel dono innato. Ora anche il suo potere sorrideva nelle labbra della donna che amava. Ne era felice.

Moriko si inchinava verso di lui. Un ultimo sguardo alla Morte che, lentamente, iniziava a muoversi e avanzava il primo passo verso di lui. Il suo tempo era finito. Non poté fare a meno di sentire un brivido di emozione scalpitare nel suo cuore. Chiuse gli occhi accogliendo le labbra di Moriko, distraendola dai gesti affaticati che la sua mano libera compiva alla cieca. Trovò l'impugnatura del pugnale e la strinse forte, sentendo la lama fremere dentro di lui. Si concentrò sull'estrema dolcezza delle delicate labbra della sua donna, cercando di rispondere al bacio. Un respiro profondo per radunare le forze, quelle ultime forze che gli rimanevano. Tirò. Lo shock di dolore lo fece rimanere immobile, nessun lamento, nessun tremito, solo uno fiotto di sangue caldo e vivo che zampillava verso l'alto. Moriko continuava a baciarlo. Mollò il pugnale e la sua mano cercò all'esterno. La sinistra su suo figlio, le labbra a ghermire quelle di sua moglie, una gelida carezza di una mano avvizzita e potente sulla destra. Strinse il pugno e si affidò a Lei.

 

Guardò il volto del suo Sesshomaru che si distendeva in un sorriso tremendamente umano. Era così bello sebbene l'ombra della morte stesse iniziando a farsi pressante. Il suo Sesshomaru sorrideva come un essere umano, che evento... una meraviglia che faceva intimidire persino il sole il quale preferiva nascondersi dietro l'ombra della terra.

-Quante sciocchezze dici...-

Disse continuando a sorridere. La ragazza gli sorrise a sua volta sentendo la sua mano premere sul ventre con un tocco pieno di amore paterno. Presa da uno slancio amoroso baciò l'ex demone, il quale rispose debolmente. La ragazza cercò di imprimere nella sua mente il sapore di quelle labbra che era rimasto lo stesso di prima, anche se adesso la leggera ombra della barba dava una sensazione completamente diversa. Non appena abbandonò il contatto con le sue labbra sentì la mano sul ventre perdere energia e accasciarsi sul suo grembo. Guardò Sesshomaru stravolta: un rivolo di sangue gli colava dalla bocca e i suoi occhi erano chiusi, chiusi come quando l'aveva baciata. Le sembrava che, con quell'ultimo bacio, gli avesse succhiato via quel poco di vita che gli era rimasta. *

Lo scosse incredula:

-Sesshomaru... Sesshomaru... Sesshomaru!-

Solo la serenità di un volto abbandonato contro il suo braccio.

-Jaken... Sesshomaru è...-

Jaken si sporgeva in avanti, imponendosi di controllare le lacrime per sostenere l'unica padrona che gli era rimasta.

-Mia Signora...-

No... “mia signora” non era sopportabile da sentire da parte di una voce che non fosse la Sua.

-Sesshomaru...-

La diurna notte li avvolse, il sole cedette la supremazia alle tenebre. Era... morto... Era morto. Jaken fra le lacrime vide gli occhi di Moriko accendersi di rosso per il troppo dolore. Un urlo sovrumano scosse il mondo.

 

 

 

NOTA COLONNA SONORA:

Di questa canzone, “My death” cantata da David Bowie, non esiste una versione in studio. Vi propongo due versioni live:

-Santa Monica '72

http://www.youtube.com/watch?v=RTT3e6qc6bA

Questa versione è quella che, a mio parere, è più autentica: Ziggy Stardust parla della morte in generale e della sua morte in particolare alla folla di adepti. L'atmosfera è particolare perché, sebbene sia un concerto, il pubblico è particolarmente silenzioso. Il punto è che questa canzone era il solo momento in cui Ziggy stava da solo sul palco, con l'unico accompagnamento della chitarra, per diffondere la sua parola e la sua saggezza ai giovani ragazzi. Un'atmosfera intima, raccolta, come se amici stretti si incontrassero in una radura nel bosco per svelare gli arcani della vita. Questa è una delle magie di Ziggy Stardust.

-Hammersmith Odeon '73

http://www.youtube.com/watch?v=X9WSqQS1PJg

In questa versione Ziggy è solo sul palco ma, oltre alla sua chitarra, si aggiungono le note del pianoforte di Mike Garson. Durante questo concerto Ziggy annunciò al pubblico che sarebbe stato l'ultimo concerto che avrebbe fatto, poi cantò Rock'n'Roll Suicide e si suicidò sul palco, come la sua profezia aveva annunciato sin dalle origini. Solo David Bowie risalirà sul palco negli anni a venire, il Messia scomparve quella notte. (Non vi dico l'emozione che provai quando andai a visitare l'Hammersmith Odeon durante il pellegrinaggio ai luoghi di David Bowie che mi fece fare mio padre!). In questo caso My Death è magari meno pura ma molto più sentita e tormentata: Ziggy spiegava ci stava davvero la morte.

 

 

* http://www.youtube.com/watch?v=nZkOB6K2ckA&feature=fvst

Questo link porta a una canzone cortesemente segnalata da AceMoon, “Un respiro... la vita” di Cocciante per “Romeo e Giulietta”. AceMoon aveva accostato questa canzone al capitolo 11 di questa storia ma io, sapendo che in questo capitolo l'ultimo bacio fra Moriko e Sesshomaru avrebbe portato la ragazza a sentirsi in colpa, come se lei stessa gli avesse rubato l'ultimo soffio di vita, ho preferito inserire qui la canzone. In ogni caso il capitolo è nato indipendentemente da questa canzone, dunque non metterò di seguito il testo né sarà indispensabile ascoltarla. E', semplicemente, una chicca che una cara e arguta lettrice mi ha presentato. Per questo la ringrazio.

   
 
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