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Autore: RobynODriscoll    06/04/2012    7 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non accadde nulla di male, in effetti, nemmeno nei giorni successivi. Li trascorremmo in apparente serenità: quando finalmente anche mia madre e zio Ugo rientrarono da Venezia, senza notizie e senza ostaggi, mio padre pensò che fosse il caso di distendere i nervi di tutti quanti, organizzando una festa.

Per l'occasione, e per la prima volta dopo molto tempo, fui costretta a indossare un abito da donna. Certo, c'era stata la breve parentesi che mi aveva vista vestirmi da cortigiana...ma questo, e tutto ciò che ne era derivato, non era esattamente un episodio che avevo raccontato in giro. Solo io e Martino sapevamo. Per tutti gli altri, quella vicenda non era mai accaduta...a meno che, certo, il mio compagno caciarone non si fosse già vantato ai quattro venti di aver baciato la figlia del capo.

“E' terribile” sbuffava zia Claudia, intenta a tentare di governare i miei capelli troppo corti per le forcine “Mi sembra di avere a che fare con tua madre, i primi tempi in cui è arrivata qui!”

Rosa, seduta accanto a Nonna Maria, sorrise. “Oh, Claudia, grazie per avermi salvato dalla barbarie! Se non fosse stato per te sarei ancora un covo di...ehi, aspetta, che cos'è questo?” Finse di prendere dietro il proprio orecchio un pidocchio immaginario, per poi portarlo alle labbra “Delizioso!” esclamò, con in volto un'espressione esageratamente buffa.

La nonna nascose una risata dietro la mano, e anche io sorrisi, osservando la smorfia della zia attraverso lo specchio. Negli anni, mia madre aveva un po' mitigato il suo stile maschile, lasciando crescere i capelli corvini ed evitando le cuffie di lana che un tempo glieli schiacciavano contro il volto: ora, vestita a sua volta come una dama in un bellissimo abito grigio perlaceo, sembrava la perfetta moglie del Signore del borgo. Non credo che mostrarsi per una giornata come docile ombra al fianco di Ezio la turbasse più di tanto: in primo luogo, perché dubito che mia madre si sia mai considerata assoggettata al suo uomo, a prescindere dal vestito che indossava; e in secondo luogo, perché era stata una ladra troppo a lungo per non sapere quando era il caso di mimetizzarsi. La festa avrebbe coinvolto anche gli abitanti del borgo, e non era il caso di ostentare il fatto che la moglie di Messer Auditore fosse anche il capo della Gilda dei Ladri.

Non che qualcuno non ne fosse al corrente, a Monteriggioni. Solo che bisognava preservare un minimo di apparenze, in qualche modo.

Alla fine del trattamento di zia Claudia, le mie ciocche corte se ne stavano tutte tirate indietro da fermagli di perle, a scoprirmi il viso. Era da tanto ormai che non mi muovevo coni il volto così nudo: mi sentivo vulnerabile, in un certo senso. Inoltre, per qualche assurdo motivo, mi sembrava che la cicatrice che mi tagliava le labbra sulla parte destra del viso fosse più visibile. Naturalmente, era tutto frutto della suggestione. La verità era semplicemente che i panni femminili mi mettevano ancora a disagio, e trovavo ogni minimo appiglio per ancorarmi a questa mia sensazione e amplificarla.

Ancora più difficile di vedere il mio viso così esposto, fu indossare il vestito che avevano predisposto per me.

Era la quintessenza della femminilità. Era composto da una sottoveste celeste, morbida, lievemente traslucida, abbinata ad una sopraveste blu notte ricamata in argento e costellata di piccole perle per tutta la lunghezza del corpetto. Concludevano il tutto le maniche ampie, a sbuffo, e una delicata cintura di fili d'argento intrecciati da annodare sotto il seno.

Indossarlo fu quasi doloroso. Quel genere di vesti per me significava prigionia. Costrizione. Seduzione. Errore...

Mi aiutò Veronica, con grandissima solerzia: per lei sembrava una vera missione agghindarmi di tutto punto, quel giorno. Strinse i nastri della sopraveste, sistemando le pieghe che si creavano almeno cinque volte: sembrava che fosse alla ricerca dell'arricciatura perfetta.

La osservai durante tutto il processo, evitando accuratamente il mio riflesso allo specchio. La mia amica era vestita con di colori ramati e bruniti, che creavano una deliziosa assonanza con il colore dei capelli e dei suoi occhi. Era davvero incantevole: eppure, oltre ad evidenziare la sua naturale bellezza, quell'abbigliamento esprimeva molto altro. Forza. Determinazione. Una certa autostima. Da quando conoscevo la storia di Veronica non potevo fare a meno di vedere la mia amica come se fosse un'arma preziosa: esteticamente impeccabile, forgiata nel fuoco, letale.

Anche le altre donne della mia casa erano al loro splendore. Zia Claudia sembrava ancora più regale del solito in un broccato rosso cupo, mentre nonna Maria continuava ad indossare il nero rigoroso della vedovanza, ma aveva deciso impreziosirlo di qualche ricamo in bianco e oro; la piccola Lisabetta, paffuta e dai colori scuri come tutti gli Auditore, indossava un abito rosa che solo una bambina di cinque anni come lei avrebbe potuto portare con tanta naturalezza.

C'era anche Margherita, ed era vestita a festa come tutte noi. In verde, se ricordo bene. Se ne stava silenziosa, seduta in un angolo con Lisabetta sulle ginocchia. La mia cuginetta aveva decisamente il dono di percepire i sentimenti delle persone: aveva avvertito fin da subito l'estraneità che Margherita doveva provare, e si prodigava ogni momento per trovare un indovinello da sottoporle.

“Sai qual è il colmo per un gatto?”

“No, madamigella Lisabetta, non lo so.”

“Dai, prova almeno a indovinare!”

Margherita arrossì. “Non riesco proprio a immaginarlo!”

“Non è divertente se ti arrendi subito!” Mia cugina arricciò le labbra proprio come faceva tanto spesso sua madre. “Mamma! Diteglielo anche voi!”

“Non puoi costringere la nostra ospite a giocare con te, se non ne ha voglia” ribatté zia Claudia, finendo di sistemare la retina nei capelli di mia madre – la quale si sottoponeva a quella tortura come a un male necessario.

Mia cugina stava già per fare una smorfia delusa, quando intervenne Veronica. “Giocherò io con te, Lisabetta” disse, mentre ancora mi sistemava i lacci dell'abito. “Il colmo per un gatto...uhm...avere una giornata da cani?”

Soddisfatta che qualcuno le desse finalmente corda, Lisabetta ridacchiò. “No, ma ci sei vicino! Riprova.”

“Mangiare pescegatto?”

“No!”

“Ci sono! Cantare come un fringuello!”

“No!” Con un gran sorriso, che rivelò il buco lasciato dal primo dentino caduto, Lisabetta esclamò: “Vivere in una topaia!” Quindi, scoppiò a ridere, un suono argentino e spensierato che ricordava moltissimo la risata del padre.

Ci unimmo tutti volentieri a quell'ilarità, ed io con particolare calore. Ricordavo gli indovinelli che zio Ugo mi sottoponeva quando ero bambina, e il fatto che li avesse trasmessi anche a sua figlia non mi rendeva gelosa. Anzi, come posso spiegare...cementava tra tutti noi un legame che mi faceva sentire parte di una famiglia. Anche se ci eravamo uniti con il tempo e le traversie, imparando a scoprirci a poco a poco negli anni, ora eravamo una rete unica, salda, di cui ognuno di noi era un nodo importantissimo per la sopravvivenza del tutto. Dopo la mia prima missione, avevo capito che era importante ricordarsene anche in momenti allegri come quello, che forse a voi, da osservatori esterni, possono apparire banali. Ma se c'è qualcosa che ho imparato dal mio servizio nell'Ordine, è che non bisogna mai dare nulla per scontato. Soprattutto questi preziosi attimi di serenità ed amore. Sarebbero svaniti fin troppo presto: non dovevo sprecarli per il mio senso di inadeguatezza o per il nervosismo che la presenza di Margherita tra di noi mi provocava. Avrei dovuto godere ogni attimo di quella giornata.

E l'avrei fatto, senza dubbio. Anche se le pieghe che la situazione prese in seguito sono state davvero inaspettate.

 

La festa iniziò nel pomeriggio, per le strade del borgo e nel grande cortile della villa. Vi furono saltimbanchi, acrobati, giocolieri, mangiafuoco; non mancarono i giochi collettivi, come le gare di muli (zia Claudia si mise a urlare molto poco signorilmente per incitare quello su cui aveva puntato il proprio denaro), le corse nei sacchi (Agamennone arrivò primo, distaccando gli avversari di molte lunghezze), le partite di palla alla fiorentina (in cui Martino e Nicola si rivelarono una squadra pressoché imbattibile), e naturalmente la gara per scalare l'albero della cuccagna (che, con grande orgoglio dei miei genitori, fu vinta da Vanni1). Tutto questo movimento ci fece dimenticare per un poco il freddo, che però si fece intenso verso sera. Allora, la festa proseguì nei saloni di Villa Auditore, che non avevano mai pullulato di così tanta vita in tutta la loro storia.

Il sangiovese scorse a fiumi, tanto che le sale si riempirono presto di risa e canzonacce. Perfino mio padre si produsse in diverse esibizioni con il liuto, e devo dire che si rivelò un suonatore piuttosto bravo: peccato che accompagnasse quelle esibizioni con una voce decisamente stonata. Non so se fosse il vino o un sano senso di divertimento ad animarlo, ma se un templare avesse visto Ezio Auditore ridotto a quel modo di certo avrebbe cessato di considerarlo una minaccia all'istante.

Gli assembramenti di gente, in sé, non mi inquietano. Ciò che mi dava fastidio era il mio abbigliamento così scomodo: mi dava fastidio che la gente del mio borgo mi vedesse in quei panni femminili, che non riuscivo a dissociare dalla vergogna. Rimasi seduta quasi tutto il tempo in quella fase della festa, osservando i miei compagni ballare. Perfino Veronica si era lasciata convincere ad unirsi ad una danza, e dopo aver preso il ritmo e iniziato a divertirsi era corsa a trascinare un imbarazzatissimo Agamennone al centro del salone. Era buffo come il mio allampanato amico si muovesse, con il volto paonazzo e gli arti irrigiditi, mentre Veronica cercava di guidarlo nei passi con un sorriso divertito che le aleggiava sul volto. Sembrava così diversa dalla ragazza piena di rabbia che avevo visto a Firenze. Come se avesse accantonato il passato, almeno per quella sera, e non avesse più paura del futuro.

Gettai un'occhiata tra la folla danzante. Claudia e Ugo erano senz'altro i più eleganti della sala, e davano a tutti una lezione di portamento e abilità nel ballo. Mia madre era lievemente più rigida e sbagliava frequentemente i passi, ma sempre con una leggerezza e un sorriso tale che dava l'idea di divertirsi moltissimo. I soliti motteggi tra lei ed Ezio, quella sera, illuminavano i loro volti di un'aria giocosa e complice. Lasciando scivolare lo sguardo tra gli invitati, incontrai la figura di Nicola che conduceva la sua dama in maniera composta e impeccabile. E Martino? Avevo sentito la sua risata fin da lontano. Ma naturalmente, stava facendo il cascamorto con la ragazza che aveva avuto la malasorte di danzare con lui! E lei, neanche a dirlo, era tutta una moina. Che nervi! Quella scena era oltremodo irritante, quindi volsi lo sguardo. E incontrai le figure di Vanni e Margherita che parlavano fitto fitto in un angolo della sala.

Li studiai, con malcelata avversione. Non approvavo quell'amicizia. E' vero, Vanni aveva sofferto molto il fatto di essere il più giovane in un contesto di apprendisti più grandi e più abili di lui, ma aveva bisogno di un rapporto più equilibrato. Margherita lo venerava in maniera così palese, che di certo avrebbe incrementato la sua vanità più che il suo orgoglio. Proprio adesso che mio fratello sembrava iniziare a mettere la testa a posto, e a diventare più docile agli insegnamenti di nostro padre, tutta questa adulazione poteva risultargli deleteria.

Al termine di quella figura di danza, mentre tutti gli altri applaudivano ai musici, Nicola mi si avvicinò sorridendo.

“Se continui a fissarla così, attirerai un fulmine sulla testa di quella bambina.”

Finsi di non capire a cosa si riferisse.

“Andiamo, Bianca.” Sedette accanto a me, versandosi da bere. “Si vede perfettamente che non la puoi soffrire.”

Non è che non la posso soffrire...ma non mi piace granché.”

Sei gelosa?”

Di cosa?”

Della sua evidente cotta per Vanni.” Nicola sorrise. “Sai...tuo fratello ha uno sguardo diverso quando è in compagnia di quella bambina. Sembra meno arrabbiato del solito...credo che trovarla sulla nostra strada non sia stata una fortuna soltanto dal punto di vista tattico.”

Sì, l'avevo notato. No, non ero gelosa. E no, non pensavo che aver trovato Margherita fosse stata una fortuna.

Nicola mi offrì un bicchiere colmo di vino, che non rifiutai. Tuttavia, mi bagnai appena le labbra – avevo bevuto già abbastanza per quella sera, sfiorando il mio limite. Se non ci fossero stati i miei genitori presenti, forse avrei anche pensato di esagerare...ma non mi andava di mostrarmi fuori controllo di fronte a loro.

Dopo un lungo silenzio, mormorai:

Nicola, dimmi la verità...tu sapevi quali erano le intenzioni di mio padre, quando siete partiti da Monteriggioni? Sapevi che voleva andare a Bologna?”

Il mio compagno irrigidì la mascella, e distolse gli occhi grigi per qualche istante.

Sì. Lo sapevo.”

Mi morsi il labbro. A Nicola non sfuggì quel gesto. Non gli sfuggiva mai nulla.

Bianca...”

Vorrei che avesse in me la stessa fiducia che ha in te.”

La situazione è diversa. Avevo la responsabilità di guidare Vanni, e il Mentore voleva che ne fossi ben consapevole. Non dovresti prendere sempre tutto come un affronto personale, in particolare le azioni di tuo padre.”

Gli rivolsi un'occhiata di fuoco, e stavo per replicare, quando una risata spensierata irruppe nella nostra conversazione.

A Nicò, ma che je stai addì a Biancarella nostra? C'ha 'na faccia scura che tra 'n po' se mette a tuonà!”

Puntai l'occhiata furente su Martino, di scatto. Lui non ne parve affatto impressionato. “Uh, e mo è arivato er furmine” sorrise. Se mi avesse detto quella frase ora, probabilmente avrei riso e deposto il mio broncio; ma allora mi prendevo molto più sul serio di quanto io non faccia oggi.

Accidenti...e com'è che non ti ha incenerito?” risposi, velenosa. Lui non si lasciò scoraggiare da così poco, e si prodigò in un profondissimo inchino.

Perché so' er tuo bersajo preferito, Biancarè. E siccome me martratti sempre, penso de meritamme armeno 'n ballo stasera.”

Mi tese la mano, alzando la testa con un sorriso – quel sorriso – in volto. Guardai Nicola, lievemente nervosa. Lui fece un cenno con la mano, sembrava assolutamente rilassato.

Andate a divertirvi, voi che siete giovani!” ci strizzò l'occhio “Io aspetterò di riprendere fiato per il prossimo giro di danze.”

Rivolsi di nuovo lo sguardo su Martino, che aspettava fiducioso. Alla fine, seppure in maniera un po' esitante, presi la sua mano, e mi lasciai condurre al centro del salone, mentre i musicisti attaccavano una pavana.

Ci prendemmo per mano, come tutte le altre coppie. Cercai di ignorare la strana sensazione di sentir sparire le mie dita nel suo palmo così grande.

La danza all'inizio ci richiese passi lenti e misurati, mentre ci tenevamo per mano guardando di fronte a noi.

Non ti è nemmeno passato per la testa che stessimo parlando di cose importanti?”

Lui scrollò appena le spalle. “Questa nun è serata pe' le cose 'mportanti, Bià. Te devi rilassà ogni tanto” il suo tono si fece solo leggermente più serio, quando aggiunse: “O non je la farai ad affrontà quer che c'aspetta dopo.”

I passi della pavana ci condussero a seguire le altre coppie, per formare con loro una configurazione a raggiera. Continuammo con quei passi lenti, avanzando verso il lato destro mentre la raggiera umana prendeva la forma di una grande ruota che gira.

Storsi il naso, ripensando alla bionda che poco prima stava ammiccando spudoratamente a Martino. “C'è qualcuno che si rilassa anche troppo” commentai, con finta indifferenza.

Per tutta risposta, lui sorrise con la solita aria scanzonata. “Biancarè...quanno fai così somiji proprio a tu' zia. E' 'n peccato, sai? Sei tanto più bella quanno ridi.”

Quelle ultime parole mi ammutolirono: se fossi il tipo da arrossire, forse in quel momento l'avrei fatto. Invece, proseguii con i passi di danza, evitando di guardare il mio compagno. “Ci vorrebbero dei motivi per ridere.”

E' la specialità de Semeraro Martino” sogghignò lui. “Se te strappo 'na risata vinco 'n premio, che dici?”

La rapidità dei passi mi impedì di rispondere. Vi chiederete forse quando avessi imparato a ballare, e la risposta è semplice. Zia Claudia aveva insistito che la danza non fosse trascurata nell'educazione di noi allievi, per un basilare motivo. Se fossimo stati infiltrati un giorno in una grande corte, o ad un evento mondano, come avremmo potuto mimetizzarci con l'ambiente che ci circondava se non eravamo in grado di muovere nemmeno un passo?

Tutto ciò che ho appreso nella mia giovinezza è stato finalizzato alla missione dell'Ordine. Perfino materie che, come il ballo, sono destinate solo al divertimento per le persone comuni.

Quando la pavana si trasformò in una gagliarda, con i suoi saltelli rapidi e molto ravvicinati, la nostra conversazione cessò del tutto. Ero impressionata dall'abilità di Martino, e lui sembrava averlo notato, perché aveva in viso un'espressione molto compiaciuta di sé. Quel ballo stava assumendo il sapore di una delle nostre inoffensive schermaglie quotidiane: era una piccola sfida di abilità che ci lanciavamo l'un l'altra ad ogni sguardo, incitandoci a vicenda a dare il meglio di noi.
Infine, la musica sfumò, lasciandoci lievemente ansimanti per lo sforzo. Martino si profuse in un inchino, ed io ricambiai a mia volta con una perfetta riverenza femminile. Feci per volgermi ad applaudire i musicisti, come stavano facendo tutti gli altri, quando sentii di nuovo la mano del mio amico stringere la mia.

Biancarè, ce vieni con me in un posto?”

La situazione intorno a noi si stava facendo caotica. L'atmosfera era più ridanciana, e allo stesso tempo più greve di vino e di rumore. Pur di non ripiombare in quella cappa di estraneità che mi aveva soffocato poco prima, avrei fatto di tutto.

Per questo, accennai ad un sorriso, e annuii.

 

Il piano di Martino comprendeva una passeggiata all'aria aperta, nonostante il freddo ancora pungente. Sgattaiolando fuori dalla sala da ballo, prendemmo le cappe pesanti di pelliccia, e uscimmo dalla porta che dava sul cortile esterno. Le stelle brillavano forti nel cielo invernale, come gocce di ghiaccio incrostate nel firmamento.

Ci recammo fino ai bastioni: Martino si arrampicò con un salto agile sui merli. Mi porse la mano, per aiutarmi a salire. Per tutta risposta, mi arrotolai la gonna su un fianco e saltai agilmente sui bastioni, da sola. Lui si limitò a sogghignare, per poi sporgersi dalle mura e perdere lo sguardo lontano.

La luna aveva iniziato a calare, ma era ancora alta e candida su di noi. I campi così famigliari intorno alla nostra piccola fortezza erano ammantati dei colori cupi della notte, che confondevano i contorni gli uni negli altri, rendendoli niente più di una successione di macchie ed ombre.

Ah! Eccoce qua, un po' de silenzio finarmente.”

Inarcai un sopracciglio con aria scettica, sporgendomi accanto a lui con le mani puntellate sul merlo delle mura. “Da quando ti piace il silenzio?”

Nun sembra, ma so' 'na 'nima solitaria.” Ridacchiò, smentendo quelle parole nel momento stesso in cui le diceva. Poi, guardò di nuovo verso l'orizzonte. Mi sembrò che sospirasse, per un momento.

Me piacciono le mura de questa città. De giorno domini tutta 'a vallata colli occhi.” Si volse verso la cinta meridionale, e puntò il dito nell'oscurità. “Casa mia è 'n quella direzione. 'n piccolo appezzamento vicino a Capodimonte...dai nostri campi poi vedè la Rocca e 'e sponde der lago.”

Mi domandai perché mi stesse dicendo questo adesso, in questo preciso momento. Tuttavia, sapevo che Martino era molto restio a parlare di sé con serietà. Se lo stava facendo, significava che doveva soffrire la nostalgia di casa in maniera molto più acuta del solito: perciò, incitai il suo racconto.

Mi hai detto che hai undici fratelli. Come si chiamano?”

Lui sorrise, in quel modo dolce e infantile. Sembrava non aspettasse altro che quella domanda.

Ce sta' Annina, è la seconda dopo de me e ormai deve avecce diciassette anni. E' 'na regazzina giudiziosa, perfino troppo pe' 'a sua età. Senza de lei 'a casa nun andrebbe avanti...e poi vengono Francesco e Sebastiano, du' pesti che 'n te dico, sempre a provocasse e a fa' a botte...”

Osservai il suo sguardo farsi distante, e illuminarsi a mano a mano che le sue parole davano concretezza ai ricordi. Cercavo di attribuire un volto a quei nomi a seconda dei caratteri che mi descriveva.

Pietro è più carmo, je piace raccoje i sassi e gli 'nsetti e studià 'e cose pe' ore e ore. Fabiana è 'na tiranna coi fiocchi, e Marzia è così vanitosa che fa de tutto pe' nun sporcasse 'e mani e spettinasse i capelli. Marcello pensa de sapè tutto de tutto quanto, e Fabrizio 'nvece è quello timido, che tartaja quanno lo costrigni a dì quarcosa. Giuditta è la mia preferita, è 'n maschiaccio che s'arrampica su li arberi come 'no scoiattolo...e poi ce stanno Lucio e Antonio, so' gemelli, gli urtimi nati. Dovrebbero avecce cinque anni...manco se ricordano de me. “

Notai il tono più cupo della sua voce su quell'ultima frase. Non ero abituata a vederlo triste, e d'istinto provai un moto di ribellione. Martino doveva sorridere.

Con un certo calore, replicai: “Sono certa che invece si ricordano di te. E da domani ti insegnerò a scrivere. Niente ma!” anticipai le sue proteste. “Se loro non sanno leggere troveranno qualcuno nei dintorni che lo farà per loro. Se non vuoi dire loro che sei un Assassino, non importa, inventeremo qualche dettaglio sul tuo mestiere. Non puoi non far sapere alla tua famiglia che stai bene...sono certa che faranno i salti di gioia quando avranno tue notizie.”

Lui rise di nuovo, sottovoce. “Agli ordini, Mentore! Sto ar servizio tuo.”

Quindi, mi rivolse uno sguardo che faticai a decifrare. Forse perché era buio, o forse perché mi faceva paura il suo significato.

Io t'ho detto 'na cosa mia...adesso sta a te.”

Che cosa dovrei dirti?”

Quer che te passa pe' a' testa. 'n ricordo. 'n rimpianto. 'n gioco che facevi da bambina.”

Abbassai il volto, calcandomi il cappuccio sulle guance con la scusa del freddo. Era una domanda fin troppo facile, visto il luogo in cui ci trovavamo; ed io mi sentivo abbastanza leggera da lasciar fluire quelle parole dalle mie labbra senza pensarci troppo.

Stavo pensando a un episodio di...oddio, quasi tre anni fa ormai. Sono venuta quassù con zio Mario. Tu non l'hai conosciuto...era il mio prozio, in realtà: lo zio di Ezio e di Claudia.”

Ugo m'ha parlato de lui. So che era 'n guerriero valoroso.”

Lo era. Ma per colpa mia...non ha fatto una bella morte.”

Martino mi fissava intensamente: percepivo i suoi occhi addosso, anche se non ebbi il coraggio di incontrarli, e non so dire con che espressione mi stessero guardando.

Com'è andata?”

Mi strinsi nelle spalle. “Mi sono fidata del primo malnato figlio di cagna di passaggio...mi aveva promesso di sposarmi, e io gli ho creduto, come una stupida. Tutti hanno cercato di dissuadermi, ma io sono fuggita con lui...e lui mi ha venduta ai nemici di mio padre, e si è anche fatto ammazzare.” Sospirai. “Zio Mario è morto nel tentativo di salvarmi.”

Ristagnò un silenzio, gravissimo per me, ma forse non altrettanto per il mio amico. Mi chiesi cosa stesse pensando. Ero preoccupata dell'idea che potesse avere di me, ora.

...e non sapeva ancora il resto. Di Cesare. Della congiura di Lucrezia.

No. Non volevo. Non volevo ricordare! Non volevo che vedesse quella Bianca che odiavo tanto.

Tutti sbajamo, Bianca. Nun poi sempre prevedè 'e conseguenze de quer che fai.”

Non so perché, mi sentii strana quando lui pronunciò il mio nome per intero. Ero così abituata a quel soprannome, “Biancarè”...non riuscivo a concepire che Martino potesse chiamarmi in un altro modo.

Il mio errore è costato troppe vite, e troppo dolore. Che razza di Assassina sarò, un giorno? Se ho paura di compiere delle scelte, come potrò servire l'Ordine? E se un mio passo falso costasse decine, centinaia di vite? A volte credo di non poter reggere tutto questo.”

Sentii che il mio pugno tremava sulla pietra fredda dei bastioni. E poi non tremò più, quando la mano di Martino vi si posò sopra.

La vita nun è 'na battaja.” Provai un brivido. Le sue dita mi sfiorarono delicatamente la guancia sotto il cappuccio. “Ce stanno anche 'e cose belle.”

A quel punto, sollevai gli occhi. Ero soggiogata dal suo sguardo, ma abbastanza orgogliosa da non volerlo dare a vedere. Ero spaventata all'idea che Martino capisse quanto potere aveva su di me.

Ad esempio?”

Con il pollice, mi accarezzò la cicatrice sulle labbra. E poi, approfittando di quel breve momento in cui mi ero persa nei suoi occhi, sostituì al polpastrello la propria bocca.

Mi si mozzò il fiato. Era un bacio così diverso da quello che ci eravamo scambiati a Firenze. Un bacio delicato, e allo stesso tempo molto seducente. Senza pensare, risposi con entusiasmo. La mia mano salì a sfiorargli la mandibola, come per chiedergli di non allontanarsi troppo presto.

Io...ero innamorata di Nicola, giusto? Ma lui era là nella sala dove le persone danzavano, e non mi venne in mente neppure un momento il suo nome o il suo volto. Il cuore non mi era nemmeno battuto più forte nel vederlo tornare da Siena. Alla festa avevo parlato con lui soltanto di strategia e battaglie, a malapena avevo notato come era vestito...

Era Martino che avevo seguito con lo sguardo, tutta la sera. Ed era Martino ad essere lì con me, in quel momento.

Quando mi scostai – lentamente e con una certa riluttanza, lo ammetto - mi sorrise.

Ecco...adesso sei molto meno scura 'n volto, sai?” mormorò, in un tono basso e roco.
Non ebbi il coraggio di dare un nome alla metà delle emozioni che stavo provando. Sapevo soltanto che dovevo difendermi: perciò, alzai gli occhi nei suoi. Per sfidarlo.

Stasera non sono io, Martino.” Lo vidi accigliarsi, come se non capisse quell'improvvisa fuga. “Non sono la Bianca di sempre.” Arrotolai nervosamente il bordo delle lunghe maniche. “Anche l'altro giorno, quando mi hai baciato a Firenze...ero mascherata da donna, come oggi. Ma domani tornerò me stessa, e non ti interesserò più.”

Per tutta risposta, lui rise.

Sei pure più bella quanno sei te stessa.”

Sono pronta a scommettere che dopo una giornata di addestramento non ti sembrerò più così attraente.”

Me stai a provocà, Bianca?” Il suo sguardo si fece penetrante. “Sta' attenta, nun te conviene...”

Dannazione, il movimento della sua bella bocca era fin troppo invitante. Mi sentivo come se nelle mie vene avesse preso a scorrere ferro liquido e rovente. Schiusi le labbra, e mi avvicinai al volto di Martino abbastanza da toccare il suo naso con il mio. Sussurrai, quasi senza voce:

Domani, dopo gli addestramenti del pomeriggio. Ti aspetto al cascinale abbandonato fuori le mura.” Gli sfiorai le labbra, per provocarlo. Di nuovo. Era una sensazione esaltante, non riuscivo a farne a meno. Un momento mi ritraevo da lui, e quello dopo mi avvicinavo di nuovo...forse volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivato quel gioco.

Mi allontanai con un sorriso furbo. Tutta una finta, per nascondere il lieve tremore che mi aveva ripreso le mani, per un motivo diverso da quello di prima.

Sarò me stessa, domani.”

Lui sembrò deglutire a fatica, ma rispose, pronto come sempre: “Nun vedo l'ora che sia domani.”



Note

1Il quale, credo lo ricorderete, ha vinto la sua paura delle altezze...e questa vittoria ne è la prova :)



Note di Runa

Eeeeeccomi qua! Sempre indietrissimo a rispondere alle recensioni, ma in questi giorni di vacanza pasquale mi metterò in pari, è una promessa solenne ^^.
Beh...credo che questo capitolo farà la felicità di qualcuno e la scontentezza di qualcun altro. Di certo, c'è che Bianca ha capito che quello che prova per Nicola non è poi molto forte...ma come si svilupperanno le cose con Martino? Biancarè andrà al cascinale, il giorno dopo? Non sedetevi sugli allori, tifosi del club Biartino: vi ricordo che abbiamo ancora taaaanti capitoli da trascorrere insieme XD (ossantocielo, ho ripreso a parlare come quelle anticipazioni alla Xena...aiutoooo ^____^)

Come vi dicevo, partirò il 14 Aprile alla volta della verde Irlanda...fino a che non sarò certa del tipo di connessione che avrò, non posso garantire la data di pubblicazione del capitolo 24: indicativamente, cercherò di postarlo intorno al 10 Maggio. Tanto per aggiornarvi sull'andamento della fanfic...ahimè, sono sempre bloccata all'inizio del capitolo 26. Sob. So perfettamente come far svolgere gli eventi, ma ho poca spinta/ispirazione/desiderio di scriverlo. Eventualmente, se dovessi trovarmi tanto in difficoltà, ritarderò un po' la pubblicazione del 24 e del 25, per dilazionarli e prendermi un pochino più di tempo...sempre perché non voglio più lasciarvi per troppo tempo senza capitoli per colpa dei miei blocchi. Spero in ogni caso che cambiare aria mi aiuterà a bloccare l'ispirazione...incrociamo le dita <3

Auguro a tutti voi una felice Pasqua, riposatevi se potete. La prossima volta ci aggiorneremo da Cork o da Dublino! @___@


Lal
 

   
 
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