Pensieri
alla luna
Ad Aika, Bea e Wilma,
perché amano questi due come e
più di me.
Un bacione.
Quella
sera faceva freddo, una brezza pungente soffiava da
nord, portando con
sé i primi fiocchi di neve
che entro pochi giorni avrebbe ricoperto di bianco le strade di New
York.
Non amava particolarmente le
serate gelide come quella, il vento soffiare, ma doveva ammettere che
le luci
tremolanti della città,
che si estendevano come
tanti puntini luminosi all’infinito, avevano il loro fascino,
un loro lato romantico.
Sarebbe stato ancora più romantico se a fissare la distesa
di New York non
fosse stato da solo, ma accanto a lui ci fosse stata la persona amata.
Gettò uno sguardo davanti a sé, la
città si estendeva a perdita d’occhio, le luci, i
neon creavano giochi di ombre
a dir poco inquietanti per le strade e i vicoli scuri;
ascoltò il rumore del
traffico ancora fitto persino a quell’ora della notte.
New York era rumorosa, lo era
sempre stata, nei suoi ottocento e più anni di vita Magnus
aveva scoperto che
le grandi città erano solo tanto rumore, un agglomerato di
persone e rumore,
dove si avvertivano sempre un brusio, mormorii e parole; e
più gli anni
passavano, più tutto questo non faceva altro che aumentare.
Lo stregone amava il caos, amava le luci, i suoni, la
vita; eppure, a volte, con il passare del tempo si era reso conto di
quanto il
mondo stesse cambiando, di come lui stesse cambiando.
Di come a volte desiderasse il
silenzio, momenti di tranquillità, immerso nei suoi
pensieri, il Presidente
Miao acciambellato accanto a lui in vena di coccole, il suo leggero
ronfare, le
fusa a fare da sottofondo a quei momenti; dopo tutti quegli anni, le
difficoltà, amava i momenti di tranquillità.
Diede uno sguardo alla luna con
le iridi feline ricordando il passato, i secoli trascorsi, e come
quanto per
lui la vita fosse molto più semplice ora rispetto ad un
tempo. Il suo aspetto,
i suoi occhi e persino la sua eccentricità non destavano
più paura, forse
ilarità, curiosità, ma non paura.
Il tempo era passato, e lui infine
era giunto a New York, aveva creduto che la sua vita potesse scorrere
serena,
scivolare calma e piatta, fra una festa e l’altra per
l’eternità. Lavorava con
i Nephilim, aveva stretto un accordo, ma per il resto i giorni
scorrevano
sereni.
Tutto sarebbe andato avanti a
quel modo, anno dopo anno, secolo dopo secolo, questo aveva pensato
Magnus, del
tutto ignaro di chi sarebbe entrato nella sua vita solo pochi mesi
prima.
Di cosa sarebbe accaduto.
Sorrise, mentre una carezza
gelida sfiorava il suo volto senza tempo; quel ragazzo, un Lightwood,
aveva
stravolto le sue giornate, lui e quella strana famiglia che si
ritrovava.
Alec era entrato all’improvviso
nella sua essitenza, con quegli occhi blu, profondi come il mare e
altrettanto
malinconici.
Magnus aveva lottato per
avvicinarlo, per guadagnare la sua fiducia.
Aveva lottato per far scemare
ogni sua paranoia, la paura che aveva di vivere, di amare, di provare
sentimenti.
Aveva lottato con la sua gelosia,
e nuovamente con i suoi dubbi.
Ogni uscita, ogni incontro era
una vera e propria lotta; Magnus doveva convincerlo, sedurlo,
conquistarlo ad
ogni nuovo invito, fino a che Alec non cedeva, con i suoi dubbi e la
sua
ritrosia, ma cedeva.
Sorrise mentre la luna in cielo
illuminava il suo volto, i capelli scuri spettinati, e gli occhi
coperti da un
generoso strato di glitter. Persino quella sera avevano un
appuntamento, Alec
doveva andare a casa sua, s’incontravano lì come
ogni volta.
Si era preoccupato, quando con il
passare delle ore non lo aveva visto arrivare, Magnus aveva capito
com’era,
anche se pieno di dubbi, d’incertezze; non aveva mai tardato
ai loro appuntamenti,
sempre puntuale, preciso; nel caso avesse tardato, lo chiamava,
soffiava timido
poche parole al telefono. In quei momenti lo stregone lo immaginava:
nervoso
che qualcuno potesse ascoltare le sue telefonate, all’inizio
per paura, ora per
evitare le battute sarcastiche di Jace.
Immaginava le sue gote arrossate
e gli occhi accesi di una scintilla che ancora Magnus non era riuscito
ad identificare;
aveva fatto molte supposizioni al riguardo, ma scrutare quel ragazzo
nell’animo
a volte era difficile.
Non avrebbe mai pensato che un
giorno sarebbe stato in apprensione per qualcuno, tanto da fare avanti
e
indietro dalla sua camera alla porta di casa, e viceversa per almeno
due ore.
Era rimasto sorpreso a ritrovarsi a fissare la strada dalla finestra
della sua stanza,
in attesa di veder comparire un’ombra che elegante si
avvicinava verso il
portone di casa.
Era diventato apprensivo, e ora come ora la cosa lo
inquietava e lo divertiva, Magnus sapeva che Alec era un shadowhunters,
un
guerriero, un umano. Sapeva perfettamente che un giorno non sarebbe
più entrato
dalla porta di casa sua, non avrebbe più visto il suo
sorriso timido e quegli
occhi blu, nebulosi, assorti.
Alec era un guerriero, nato e
addestrato per combattere, aveva un animo nobile, avrebbe sacrificato
la sua
vita per salvare quella delle persone a lui care. Era per questo che
Magnus lo
amava, perché era rimasto tanto affascinato da lui, ma
quella sera aveva avuto
paura; non vederlo arrivare, non avere notizie gli aveva fatto capire,
ora più
che mai quanto fosse legato al cacciatore.
Respirò, per poi chiudere la
finestra della camera da letto, la casa era completamente al buio;
pensò a
come, poche ora prima, aveva lottato per non telefonare a casa di Alec,
ai suoi
genitori per avere notizie. Per chiedere a sua madre dove fosse finito
il più
grande dei suoi figli. Non voleva fare la figura di quello che perdeva
la
testa, dell’innamorato apprensivo, non era da lui. Lui era il
Sommo stregone di
Brooklyn, era Magnus Bane, non una ragazzina innamorata, o almeno era
quello
che aveva creduto fino a quella sera.
Il suo cuore, in
quelle ore di attesa, era diventato un macigno,
un peso nel petto che doleva ad ogni battito. Quando poi aveva
avvertito i
passi leggeri salire le scale, quella camminata inconfondibile, Magnus
aveva
tirato un sospiro di sollievo, a stento si era trattenuto dal correre
ad aprire
la porta. Si era contenuto, aspettando di sentire quel leggero bussare
alla
porta, un tocco delicato, ma allo stesso tempo deciso; quel modo che
solo Alec
aveva di richiamare la sua attenzione.
Coperto
di sangue, di non si sa
bene quale demone, pallido, aveva lo sguardo stanco, e gli occhi
lucidi. Lo
aveva salutato con un sorriso prima di crollare fra le sue braccia.
Tremava Alec, il respiro
accelerato, e brividi scotevano il suo corpo. Magnus aveva passato una
mano fra
i capelli spettinati incrostati di sangue, lo aveva accarezzato,
fissandolo
attentamente con i suoi occhi verdi alla ricerca di qualche ferita;
assicuratosi che non ve ne fossero, lo aveva portato in bagno, dove lo
aveva
fatto riscaldare con un bel bagno caldo. Gli era sembrato di essere una
madre
amorevole mentre lo lavava e asciugava, per poi metterlo a letto.
Uno stupido, ecco cos’era: uno
stupido Nephilim che un giorno o l’altro si sarebbe fatto
ammazzare.
Al pensiero di come fosse
ridotto, Magnus sbuffò, a stento si doveva reggere in piedi
quando era uscito
per combattere insieme ai suoi compagni, ma come al solito aveva fatto
passare
tutto in secondo piano, come si sentisse, la sua salute,
perché doveva
proteggere la sua famiglia, sua sorella, e persino
quell’idiota che considerava
un fratello.
Lo stregone si diresse verso la
cucina, imprecando contro il suo compagno e ripensando a quei momenti
di attesa
e paura. Si muoveva come un automa mentre metteva il bollitore su un
fornello e
attendeva che l’acqua si fosse scaldata, nel frattempo in
mischiava fra loro
erbe di diverso genere, per preparare quell’infuso, uno
sciroppo che avrebbe
fatto abbassare la febbre a quel testone.
Il
calice che aveva fra le mani
risplendeva di uno strano sciroppo verde, il vapore che ne fuoriusciva
portava
alle narici di Magnus un rinfrescante odore di menta, le iridi
dell’uomo si
posarono sulla figura addormentata nel suo letto.
Sbuffò, non sapendo se ridere o
ritenersi offeso dalla situazione: Alec era nel suo letto abbracciato
al
Presidente Miao che contento ronfava accanto al ragazzo, mentre
quest’ultimo
borbottando e stringendolo sempre più a sé lo
chiamava Magnus.
«Dovrei ritenermi offeso, scambi
il mio gatto per me, io sono decisamente molto più bello di
lui.» affermò più a
sé stesso che al ragazzo, mentre si sedeva accanto a lui, e
lo scuoteva
gentilmente. «Su,
bell’addormentato,
è ora della medicina.» continuò lo
stregone,
carezzando gentilmente le gote arrossate del ragazzo, attendendo che
aprisse
gli occhi.
«Apri gli occhi, devi prendere lo
sciroppo, poi potrai riprendere a flirtare come preferisci con il mio
gatto.»
«Io non sto flirtando con il tuo
gatto, e non voglio lo sciroppo, le medicine hanno un pessimo
sapore.» biascicò
Alec, ancora mezzo addormentato, girandosi nel letto per dare le spalle
allo
stregone e stringere ancora più vicino al petto il
Presidente Miao, decisamente
contento di quelle attenzioni e del calore che emanava
l’amico speciale del suo
padrone.
Magnus posò il calice con il
liquido verde sul comodino, sospirò esasperato, per poi
cedere. «E sia, lo
berrai più tardi.» sussurrò alle ombre
della stanza, mentre con lo sguardo
scrutava Alec riprendere a dormire tranquillamente.
Seduto accanto al ragazzo,
posandogli carezze fra i ricci scuri, rimase a cullarlo fino alle prime
luci
del mattino, quando il sonno non s’impadronì anche
di lui.
Angolino
dell’autrice:
Dunque,
storia scritta in un momento di follia per il contest Let’
ship again, ho
usato tre prompt, dunque alla luna del sabato, e sciroppo e
paranoia di
venerdì, anche se ammetto che mi sembrano tutti
molto accennati, però
l’ispirazione è stata questa ^^.
Probabilmente sono anche andata molto OCC con la storia, non ha nemmeno un ambientazione temporale, non saprei proprio dove collocarla fra i libri usciti, quindi prendetela così com’è, una piccola follia momentanea, un piccolo attimo fra questi due, in un momento non ben precisato.