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Autore: Iris Fiery    09/04/2012    3 recensioni
E forse è proprio per questo che io non sono una come le altre: non ho nome, conoscetemi semplicemente Rose, perché il mio nome non mi identifica. Le rose sì, perché sono bellissime all’esterno: il loro involucro è uguale a quello degli altri fiori, non risplendono ne meno ne più. Ma quando gli sei vicino, le spine ti infastidiscono, ti fanno male, e così sono io: sotto una scorza di ragazza mediamente comune, batte il cuore di un leone ferito, che ora non subirà più.
Rose, questo è il nome con cui si fa conoscere, viene mandata a Londra per conoscere il vero padre: qui però incontrerà lui, Zayn, che gli mostrerà come la vita ancora riserva tante sorprese.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I'll be coming through, coming through, I'll keep coming
I'll be coming through, coming through, I'll keep coming

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La valigia è pronta: lì, appoggiata sul letto, con dentro tutto ciò che possa servire per questa avventura. Nulla è lasciato al caso, non sono una persona abituata a mettere le cose non necessarie, perché non sono una abituata ad attaccarmi al materialismo.
Guardo il biglietto aereo, in cui il nome Londra è stampato a grandi lettere e, poco distante, l’ora di arrivo: domani i miei piedi toccheranno il suolo inglese. Tutto ciò ancora mi pare impossibile, forse perché non ho voglia di partire, forse i cambiamenti mi terrorizzano: forse è tutto questo insieme. Partire da sola, per questa avventura, mi fa tremare le gambe: è come se nessuna mia certezza ora valesse, tutto ciò in cui credevo è caduto miseramente in pezzi. Sì, perché se prima il mio era un classico cognome  italiano, ora scopro che non è così: no, perché questa non è la mia terra, o per lo meno, non completamente. No, perché quel cognome, Chers, mi ricorda un origine che non sento mia, che è troppo distante da ciò che credo: perché quell’uomo, che io tanto ho odiato, ora scopro che non è mio padre.
<< Ora che hai compiuto diciotto anni, mi pare sia il momento di parlare seriamente di te. >> Mi disse mia madre meno di due mesi fa, mentre sedevamo a tavola: eravamo solo noi due, abituate a questa situazione oramai da tempo. La luce era soffusa, fuori il cielo pareva diventare scuro ogni attimo di più, mentre i tuoni preannunciavano tempesta: a volte si divertono a dire che il tempo viene visto come un preludio al nostro stato d’animo. Sì, in quel caso era proprio così.
<< Di me? >> Dissi con voce leggermente divertita, mentre poggiavo la canna che stavo fumando sul piccolo portacenere in pietra lavica: il fumo e l’odore di erba si sprigionavano in quella stanza. Sebbene mia madre odiasse tale mia abitudine, non se ne interessava quasi più.
Sei sporca, e ciò è nel tuo animo, non si può cambiare. Dio, quanta ragione hai, cara madre.
La vidi annuire, mentre i corti capelli biondi formavano una corona attorno alla sua testa: gli occhi nocciola leggermente a mandorla parevano confusi, o forse avevano paura della mia reazione. Gli occhiali le scivolavano sul viso, e le labbra erano contratte verso il basso.
<< Devi partire per Londra. >>
<< È un’altra delle tue stronzate? >> Dissi io con arroganza, mentre poggiavo i piedi sul tavolo davanti a me: le ginocchia ora permettevano al mio mento di appoggiarsi con comodità, mentre un altro tiro di quella cartina profumata mi dava sollievo.
Mia madre non era nuova di queste uscite: quando trovava troppo difficile occuparsi di me, spesso mi spediva lontano. Non ha mai avuto coscienza per avere una figlia, ha ammesso più volte che io sono un errore della sua gioventù: non mi fa male essere chiamata un errore, no, perché ciò, alla fine, è vero. Io per prima non mi sono mai sentita parte di questo mondo, di questa casa poi: sono una persona troppo indipendente, con mie idee e mie abitudini per vivere in un mondo schematico come questo.
Ma ora ciò era diverso: i suoi occhi erano fermi, la sua testa dondolava appena, mentre stava per dire quelle poche parole che avrebbero scombussolato il mio mondo per sempre.
<< No, non lo è. Tuo padre ti aspetta. >>
È giusto che si venga ingannati per diciotto anni? Solo perché una donna ti ha messo al mondo, non ha il diritto di nasconderti parte della tua vita, soprattutto di tale importanza: no, perché tu hai il diritto di sapere se tuo padre è uno stronzo bastardo che ti ha abbandonato, che ora abita a Londra, lavora in borsa e vuole incontrarti. Sì, perché tutto ciò non è normale, per una ragazza che ha conosciuto solo dolore, e ora incontra l’ennesima stangata: ma cosa è normale nella mia vita.
E ora mi trovo qui, con un biglietto di andata per Londra, per passare tre lunghi mesi estivi a casa di quest’uomo: il suo nome è William Chers, è un ricco agente di borsa con una tenuta da sogno a Notting Hill. Che altro so di lui? Che i suoi occhi sono azzurri come l’oceano, mentre i capelli, oramai brizzolati, prima erano neri come la pece.
Cosa sa lui di me? Probabilmente neanche il mio nome, ma ciò non è importante. Ha detto che mi riconoscerà, perché una diciottenne dai lunghi capelli rossi boccolosi, gli occhi neri come la pece e grandi come quelli di un fumetto, sul cui volto sono presenti almeno sei buchi (così definisce lui i miei piercing, poi) e una grande aquila rossa con, tra le ali fatte di fuoco, tiene un mondo che risplende di una luce oramai non più visibile sulla spalla non si vede tutti i giorni a Londra.
E forse è proprio per questo che io non sono una come le altre: non ho nome, conoscetemi semplicemente Rose, perché il mio nome non mi identifica. Le rose sì, perché sono bellissime all’esterno: il loro involucro è uguale a quello degli altri fiori, non risplendono ne meno ne più. Ma quando gli sei vicino, le spine ti infastidiscono, ti fanno male, e così sono io: sotto una scorza di ragazza mediamente comune, batte il cuore di un leone ferito, che ora non subirà più.
<< Sei pronta? >> Sento dire da una voce oramai a me estranea che si affaccia su quella che è stata la mia dimora per questi lunghi diciotto anni e che non rivedrò più per un po’.
Mi guardo in giro, mentre una sensazione di dolore, di mancanza già si fa spazio nel cuore: mi mancherà queto mondo fatto di segreti, in cui solo io dominavo. In cui i miei libri, compagni di grande avventure, mi aspettavano ogni giorno al ritorno da scuola. Dove, grazie al tettuccio fuori dalla mia finestra, molti miei amici si rifugiavano, e parlavamo ore e ore, tanto che vedevamo morire un giorno e rinascere nello splendore della luce rosea dell’alba. Quante lacrime, quanti amori e quanti dolori ho speso qui? Forse troppi, l’aria inizia a sapermi di pesante: è come se una parte del mio passato venisse abbandonata qui, e forse è il momento buono.
Mentre varco la soglia di quella piccola casa la riguardo: solo una lacrima scende dai miei occhi, perché so che questo non è uno stupido addio, o altro. È solo un arrivederci.
Guardo poi verso il futuro, che ora so essere lontano un ora di aereo almeno da qui: cosa mi aspetta non lo so, ma non ne ho paura. Affronto tutto con le unghie tirate, i denti stretti e il cuore aperto: so che la mia vita ora intraprenderà un nuovo cammino, e so che sarà un avventura.
Tutto inizierebbe bene, se la macchina non ci lasciasse a piedi subito.
<< Cominciamo bene. >> Dico semplicemente, sbuffando tra me e me: e che avventura.








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Ecco qualcosa di assolutamente nuovo. Ebbene sì, una storia etero XDD
So che potrò sembrare strano come prologo, ma ho in mente qualcosa di... stupendo uwu
Fidatevi di me e andate avanti, intanto un commentino qui non mi dispiacerebbe XD
(Nessuno si preoccupi, sto continuando anche la mia ZaynXHarry nel frattempo
ma questa aveva bisogno di nascere, ora.)

   
 
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