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Autore: Vanderbilt    11/04/2012    12 recensioni
Pensa alla carriera e mai all'amore, lei è Isabella Swan, venticinquenne con una carriera promettente nel mondo di Hollywood. Il suo sogno è sempre stato quello di seguire le orme del padre, il suo mentore, e ora che ne ha la possibilità non vuole che nulla intralci il suo cammino.
Ma i progetti possono sempre cambiare o fallire, oppure offrire sorprese inaspettate. Quale tra queste opzioni sarà la strada di Bella? Tutte e tre? Forse...
Edward è un uomo dalle mille risorse, farà di tutto per ottenere ciò che vuole. Lotterà per l'impossibile che si trasformerà in possibile.
Nella vita per cosa vale la pena vivere? Isabella scoprirà la risposta.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Engines

 

And if I only could,
make a deal with God

Placebo, Running up that hill

 

Era passato un giorno dal mio incontro con Edward nel parcheggio. Non smettevo di pensarci e questo non andava per niente bene.

Quella mattina avevo deciso di dedicarmi alla palestra, attività che ultimamente avevo trascurato fin troppo. Ero diventata pigra, tornata a casa l'unica cosa che facevo era buttarmi sul letto e divano con un buon libro, oppure mi piazzavo davanti alla tv a vedere un film strappalacrime. Ultimamente mi ero sentita sola, benché Muffin era la miglior compagnia che potessi avere, al contrario di ciò che si pensa gli animali sono la cura migliore per ogni cosa, sempre al tuo fianco e fedeli.

Di malavoglia andai nella stanza che avevo allestito come palestra, dove si trovavano gli attrezzi principali, come tapis roulant, ciclette, quello che io definivo coso per gli addominali e pesi leggeri. Vista la mia voglia di fuggire sempre da quel posto avevo trovato anche un altro modo per tenermi piantata lì: un televisore led occupava la parete di fronte agli attrezzi. La musica si propagava da quel televisore che era una meraviglia e così riuscivo a rilassarmi, cantare e liberare la tensione che accumulavo durante la mia assenza da quel luogo.

Una volta avevo tentato di provare a esercitarmi contro il sacco che avevo fatto montare nel mezzo della stanza, ma era stato inutile, non ne ero in grado. Sapevo tirare pugni come... come una qualsiasi altra donna sul pianeta che non fosse così forzuta da riuscire a spostare quel cavolo di sacco pesante più di cinquanta chili, perché sì, ero andata sul pesante, non mi bastava certo un sacco da pochi chili. No, mi sono detta, andiamo sul pesante... Pessima scelta, davvero pessima.

Dopo aver passato due ore nella stanza infernale, come l'avevo soprannominata io, andai a fare una lunga doccia.

Ero così sbadata in quei giorni e infatti lo constatai subito quando mi lavai i capelli tre volte usando solo il balsamo. La palestra mi aveva rilassato così tanto, ma la goffaggine che mi accompagnava da praticamente un giorno non aveva assolutamente intenzione di andarsene.

Be', il lato positivo era che almeno avevo bruciato un po' di calorie.

Alle nove in punto uscii dalla doccia e mi preparai per quella bellissima giornata sul set. Ero molto mattiniera ultimamente, strano ma vero. Solitamente dormivo fin troppo.

Indossai degli skinny neri e ci abbinai una camicia leggera verde smeraldo. Dopodiché mi dedicai alla scelta difficilissima delle scarpe che erano la mia passione; ne scelsi un paio nere alte poco più di dieci centimetri.

Infine mi dedicai ai miei capelli, che quella mattina non ne volevano sapere di restare in morbidi boccoli. No, erano così elettrici che sarei stata in grado di accendere una lampadina!

Finalmente segnai un traguardo, alle dieci in punto mi trovavo nel parcheggio del set. Quella mattina ero particolarmente contenta di iniziare a lavorare e tutto perché non ci sarebbero stati i protagonisti principali, quindi Edward. Staccare da lui mi sarebbe servito certamente.

Con Muffin che zampettava al mio fianco entrai nell'edifico sette, dove era stato costruito il set per le riprese di quel giorno con gli attori secondari.

Mi misi subito alla ricerca di Alice e Jasper, i miei fidati assistenti. Salutai le varie persone che incontravo strada facendo senza però trovare coloro che cercavo.

«Bella!». Mi girai appena sentii il mio nome e trovai Emmett che sorrideva entusiasta.

«Buongiorno, Emmett. Cosa succede?».

«Nulla», rispose vago. Ormai lo conoscevo come le mie tasche e di certo non mi avrebbe ingannato la sua espressione a metà tra l'euforia pura e l'autocontrollo.

«Avanti, sputa il rospo!».

«Che dire, sono un rubacuori». Posai una mano sulla mia fronte sconsolata e alzai il sopracciglio sinistro.

«Vorresti spiegarti? Non ci sto capendo nulla», gli chiesi perplessa. Che sia un rubacuori era certo da molto tempo.

«Il qui presente ha un appuntamento con la ragazza più bella e meravigliosa e dolce...».

«Dacci un taglio Emm».

«Dio, tu sai come spezzare gli entusiasmi altrui!».

«Stavi elogiando e quando tu inizi così non la smetti più!», lo ripresi conscia della veridicità delle mie parole.

Sbuffò contrariato e finì il suo elogio in silenzio, per poi riprendere a parlare: «Uscirò con Rosalie».

«La co-protagonista?», chiesi conferma.

«Perché quante altre Rosalie conosci di cui mi sono invaghito?».

«Okay, non ti riscaldare! Comunque sono felice per te, lei è una ragazza fantastica».

«Sì, lo so», rispose con la testa tra le nuvole. Mi fermai vicino allo scenografo e posai borsa e documenti su un tavolo vicino.

«Hai per caso visto Alice e Jasper?», domandai non vedendoli nemmeno lì. Il set non era poi così enorme e di certo non potevano essere nei camerini degli attori,

«Sì e spero di non rivederli per tutto il giorno!», mi rispose con una faccia spaventata ed esasperata. Posò anche lui la sua attrezzatura e si appoggio al tavolo, incrociando le braccia al petto.

«Non mi dire che Alice è ancora incazzata nera per la dimenticanza di Jasper?!».

«Allora non te lo dico».

«Non ci posso credere», risposi con voce agonizzante. «Come farò oggi? Ieri per fortuna avevano entrambi il giorno libero. Non voglio nemmeno immaginare quanti piatti sono volati in casa loro». Una volta Alice mi aveva raccontato che quando era davvero arrabbiata con il suo fidanzato tendeva a lanciargli i piatti, ovviamente non prendeva mai la mira e questo mi preoccupava molto. Era un atto fin troppo violento, soprattutto per una ragazza come lei che appariva molto dolce ed euforica per qualsiasi cosa comprendesse il suo lavoro e Jasper.

«Pensa che c'è sempre di peggio», mi suggerì Emmett. Sì, pensai, ad esempio avere qui Edward Cullen e non sapere cosa dirgli.

Ma perché dovevo sempre tornare a pensare a lui?! Qualcuno da lassù mi voleva molto male. Sì, sicuramente era così.

«Killer di fronte a te», bisbigliò Emmett prima di fuggire lontano da me ed Alice.

«Alice!», esclamai allegramente abbracciandola. Vidi il suo viso nero e quindi pensai bene di bisbigliarle nell'orecchio parole di conforto e avvertimento: «Presumo che la situazione con il tuo fidanzato non sia cambiata», scosse leggermente la testa, «Non fare scenate davanti agli attori, sarebbe uno scoop, lo sai». Il mio ammonimento non voleva essere autoritario o polemico, ma una semplice constatazione. Un litigio, anche se tra assistenti, era sempre una discussione su un set e questo sarebbe arrivato alle orecchie dei paparazzi che non vedevano l'ora di mettere sui giornali news sulle vite altrui.

In questo periodo eravamo tutti sotto mirino visto che era il primo film della figlia del "Grande Swan".

«Ho le labbra cucite», mi rispose Alice facendo il gesto della chiave che gira all'angolo della bocca. Risi divertita e iniziammo a girare con gli attori.

La mancanza di Edward si sentiva sicuramente. Era colui che sdrammatizzava continuamente e cercava di tirare su il morale a qualche attore che si bloccava in alcune parti, insomma un grande supporto per tutti. Ma era anche un sollievo mettere qualche giorno di distanza tra noi. In quei giorni avevo pensato spesso al discorso di Edward, che suonava quasi come una dichiarazione in piena regola con tanto di minaccia nel rendermi la vita quasi inutile senza di lui. Le sue parole non erano state esattamente queste, ma una mia personale interpretazione.

Non da meno erano state le parole di Alice sul rischiare e fregarmene dei pareri altrui. Non potevo darle torto, assolutamente, ma era così difficile accantonare tutto ciò che per una vita era stata la base di tutto. Mai mischiare vita privata e lavoro, fatto. Non dare troppo spago ai pettegolezzi hollywoodiani, fatto. Evitare di far lavorare i paparazzi sugli scoop della tua vita, fatto. Insomma, avevo seguite tutte le regole che ogni persona sana di mente avrebbe seguito in un mondo dove facevi qualcosa ed eri subito data in pasto agli squali. Mi ero privata di gran parte delle cose che ogni ragazza faceva alla mia età e non ne avevo mai sentito la mancanza. In qualche modo mi ero sempre sentita più grande della mia età e ragionare come una persona adulta mi aveva sempre aiutata. Però, a volte, arrivi a punti in cui metti tutto in discussione, inizi a ragionare e chiederti se potevi agire diversamente in passato, scegliere un'altra strada e avere una vita segnata dalla normalità. Poi mi guardavo intorno, vedevo il mio sogno realizzarsi e capivo che il mio posto era quello, anche se avrei dovuto rinunciare sempre a qualcosa ne valeva la pena.

«Finalmente vedo mia figlia al lavoro!», la voce di mio padre risuonò alle mie spalle e nel teatro si creò un silenzio surreale.

Mi girai e corsi da mio padre abbracciandolo: «Papà, non ti aspettavo!». Ero felice di vederlo, eppure un vago senso di imbarazzo mi invase. Per la prima volta mi vedeva dirigere un film, lui era stato il mio mentore e qualsiasi critica l'avrei accettata a braccia aperte, ma in fondo speravo sempre di renderlo orgoglioso di me facendo del mio meglio.

«Certo, se aspettassi un invito ufficiale da te non mi avresti mai visto qui, oggi. Anzi, a pensarci bene forse sarei morto senza vedere la fonte della mia gioia immersa nella mia più grande passione. Ah, che figlia ingrata».

«Smettila di fare il melodrammatico», lo rimproverai sbuffando. Mi voltai verso la troupe e diedi loro un'ora di pausa, dopotutto era ora di pranzo.

«Pranzi con tuo padre?», mi chiese con superiorità Charlie. Alzai gli occhi al cielo per il ruolo di padre trascurato e presi Muffin da una delle sedie al mio fianco.

«Non posso allontanarmi molto». Iniziammo a incamminarci verso l'uscita del teatro dove stavamo girando alcune scene del film e ci imbattemmo in Emmett.

«Ehi, figliolo!», lo salutò mio padre.

«Charlie, che sorpresa! Come te la passi?». Il rapporto tra i due era sempre stato amichevole e confidenziale; Emmett provava un enorme stima nei confronti di mio padre che lo aveva aiutato all'inizio della sua carriera come camaraman, un lavoro che amava e lo appassionava oltre ogni limite.

«Potrei dire bene, ma sai ho una figlia che non calcola più suo padre da quando ha iniziato a prendere il suo posto. Dimmi un po', ti sta tenendo sotto torchio?».

«Non immagini nemmeno, è un vero generale!», confermò Emmett con tono lamentoso.

Io guardai incredula quei due che conversavano come se io non esistessi e scossi la testa esasperata.

«Finitela di prendermi in giro! Ah, Muffin tappati le orecchie, questi due iniziano a dare i numeri con l'avanzamento dell'età», li stuzzicai.

«Mi stai dando per caso del vecchio?», sbottò mio padre incredulo.

Lo guardai con occhi innocenti: «Io? Ma scherzi? Non mi azzarderei mai!».

«Sono ancora nel fiore dei miei anni!». Di questo dovevo dargliene atto, ma per indispettirlo alzai le spalle come per dire "basta che tu ci creda".

«Allora, questo pranzo? Le lancette corrono! Emmett», mi rivolsi al mio collega, «Vuoi unirti a noi?».

«Perché no?», domandò in modo retorico.

Andammo tutti e tre insiema a pranzo in un ristorante nella strada adiacente a dove ci trovavamo. Il locale era di poche pretese, semplice ma con un ottimo menù di cucina italiana.

Ordinai dei ravioli di pesce e attesi che anche gli altri due si decidessero.

«Ditemi, come procedono le cose?», ci chiese Charlie.

Sgranocchiai un pezzo di pane e dopo aver deglutito risposi: «Per ora direi che non ci sono intoppi, anzi le riprese procedono più velocemente di quanto ci aspettassimo. Prossima settimana credo potremo già iniziare le trasferte».

«Sì, sta andando tutto per il meglio, il cast è ottimo per questo procede tutto alla grande», mi diede man forte Emmett.

«Ottimo, sono felice per te, Bells. La prima tappa quale sarà?».

«Dipende dove avremo prima la disponibilità. Le procedure per la recinzione dei luoghi dove gireremo alcune scene procedono a rilento, quindi appena uno dei posti ci darà l'autorizzazione andremo lì. Penso che Seattle sarà uno dei primi».

Arrivarono le nsotre ordinazioni e il pranzo passò tranquillo, con qualche notizia sui nuovi film che venivano prodotti e via dicendo.

«Quasi dimenticavo», si ricordò mio padre quando stavamo uscendo dal ristorante. «Sono venuto anche per avvisarti che tua nonna ti vuole a cena domani».

«Perché non mi ha chiamata?», chiesi confusa. Solitamente nonna era la prima a telefonarmi per qualsiasi eventualità.

«E' impegnata nei preparativi», mi spiegò.

«Di cosa parli? Non sarà una semplice cena?». Quando nonna Swan si metteva a preparare qualche evento era la fine per tutti, passava giorni per la continua ricerca della perfezione assoluta.

«Sì, diciamo di sì», restò sul vago.

«Papà?», lo rimproverai.

Alzò le mani in segno di difesa e mi spiegò che aveva in mente sua madre: «So solo che ci sarà qualche amico di tua nonna, nulla di più. Dopotutto è il suo anniversario di matrimonio e ci tiene a rivedere vecchi amici del nonno».

Mio nonno, Colin Swan, era morto qualche anni prima di alzhaimer. La sua malattia era stata qualcosa di duro per tutti. Assistere alla morte anche psichica di una persona a cui tieni era qualcosa di atroce; vedere come giorno per giorno Colin veniva disintegrato da quella malattia bastarda aveva influito in modo particolare su nonna Marie, che lo aveva accudito fino all'ultimo giorno. L'ultimo anno di malattia era stato un degenerare continuo. Ormai non riconosceva più nessuno e si sentiva a disagio con coloro che riteneva sconosciuti, che alla fine non eravamo altro che noi: la sua famiglia.

Ogni anno Marie continuava a dare una piccola festa in simbolo a quel matrimonio che l'aveva legata ad un uomo speciale e che amava.

«Me ne stavo dimenticando», sussurrai colpevole.

«Non preoccuparti, tesoro, ci vediamo domani sera. A presto, Emmett».

«Arrivederci, Charlie», lo salutò Emmett.

«Ah, aspetta papà, ti dispiacerebbe portare Muffin con te? Stasera passerò a prenderlo, mi sembra troppo sacrificato tutta la giornata qui!».

«Certo, tesoro».

Mi diede un rapido bacio sulla fronte e poi se ne andò con il mio cucciolo.

Ritornai sul set in compagnia del mio camaraman e per tutto il resto del pomeriggio andammo avanti con le riprese. Verso le sei mi ritenni abbastanza soddisfatta e lascia tornare dalle loro famiglia tutta la troupe e gli attori.

Alice e Jasper restarono nei paraggi per ultimare qualche lavoro di organizzazione e in particolare Alice per i costumi di scena del giorno dopo. Raggiunsi quest'ultima in un'ampia stanza che conteneva tutti i vestiti degli attori e mi sedetti su una sedia vicino alla porta, osservandola destreggiarsi con estrema disinvoltura fra i mille capi presenti.

«Come stai?», le chiesi sinceramente interessata.

Come segno di risposta alzò le spalle. Attesi in silenzio e dopo qualche minuto prese a parlare come mi aspettavo: «Ci sono rimasta malissimo. Era il nostro anniversario, capisci? Non si era mai scordato di una simile data e invece, ora che le cose dovrebbero iniziare a prendere una piega più seria, lui si dimentica di una semplice data! Gli ho inviato mille segnali ieri per farglielo capire, mai lui nulla!».

«Si tratta solo di questo?», indagai scrutando attentamente la sua espressione che da arrabbiata diventava sorpresa.

«Certo, e di cosa altrimenti?», domandò spaesata.

«E' la prima volta che dimentica una data importante per voi?».

«Mmm, no, durante il primo anni che stavamo insieme si dimenticò anche il mio compleanno. Povero tesoro mio, non è mai stato bravo con le date!». Alle sue ultime parole gli occhi le si illuminarono di luce propria, come una stella in una notte senza luna.

«Quindi questa volta dov'è il problema? Se sai che non lo fa apposta a scordare gli anniversari e i compleanni...», lasciai la frase in sospeso con l'intenzione di farle capire cosa intendessi.

«Sono tre anni che stiamo insieme», affermò decisa.

Annuii comprensiva e attesi ancora.

«Questo è il terzo anno, capisci?», calcò sull'anno e finalmente compresi.

«Cosa ti aspettavi esattamente per questo anniversario?».

«Nulla», sfuggì al mio sguardo e riprese a sistemare dei vestiti abbinandoci le scarpe.

A un tratto mi tornò in mente un discorso che avevo affrontato con Alice non molto tempo fa. L'avevo beccata che sbirciava una rivista di abiti da sposa e quando le chiesi cosa stava cercando mi rispose con il solito "nulla", ma dopo poco aveva iniziato a parlare di matrimoni, di quanto ci tenesse a sposarsi dopo aver trovato Jasper.

«Interessante», affermai sorridendo furbamente.

«Cosa?», chiese con finto tono svogliato, ma si vedeva lontano un miglio che stava fremendo in attesa del mio verdetto.

«Ti aspettavi che ti chiedessi di sposarti», affermai certa delle mie parole.

«Tsé, ma cosa stai... Sì», disse infine.

«Alice, questo non significa nulla», sostenni dolcemente. «Siete così perfetti insieme, una coppia unica e di una vivacità incomparabile. Una data dimenticata non significa nulla. Se è questo che volete entrambi non sarà un giorno a fare la differenza. Anzi, non è meglio così? Almeno avverrà in un momento in cui non te lo aspetterai», conclusi facendole un occhiolino.

Mi buttò le braccia la collo e mi ringraziò prima di correre da Jasper per scusarsi del suo comportamento.

Bene, avevo appena fatto la mia buona azione giornaliera e mi sentivo in pace con me stessa.

Presi la mia roba e andai nel parcheggio deserto, dove si intravedeva solo la mia macchina.

Appena girai la chiave notai subito che qualcosa non quadrava. Tutte le figure poste vicino al contachilometri si accesero, olio, acqua, motore... Spensi e riprovai notando che questa volta non si accesero nemmeno le luci, la mia auto non dava segni di vita se non un borbottio degno di una vecchia auto da rottamare. Sbatteri la mani sul volante e scesi a controllare se ci fossero danni in vista. Girai intorno all'auto e notai che era perfetta, come al solito. Tornai in auto e cliccai il tasto sotto il volante per far aprire il cofano. Scesi nuovamente aspettandomi il fumo fuoriuscire una volta aperto del tutto il cofano, ma nulla di tutto questo avvenne. Tutto sembrava in perfetto ordine, eppure quella maledetta non partiva! La benzina c'era, ero sicura, quella mattina avevo fatto il pieno!

Sentii il rombo di un motore risuonare nelle vicinanze. Chiusi il cofano e mi avvicinai alla portiera dell'auto. Ad un tratto nella mia visuale emerse una moto nera, per essere più precisa una Yamaha R8. Il proprietario della moto indossava un casco integrale nero con striscie dorate ai lati. La visiera era abbassata quindi non avevo modo di riconoscerlo.

Lo osservai avvicinarsi sempre a bordo della moto e non feci più fatica ad associare un nome alla figura perfetta sulla moto.

«Serve aiuto, dolcezza?», mi chiese lo sconosciuto.

Dio, no, non poteva essere! Se questa non si chiamava sfiga allora non sapevo proprio che termine usare!

«No, grazie, me la cavo da sola», risposi gentilmente. Feci finta di nulla e cercai il cellulare nella borsa. Ovviamente stare piegata dentro la macchina e cercare di raggiungere il cellulare attraverso il finestrino non era il massimo della comodità.

Con la coda dell'occhio osservai i movimenti di Edward e notai che stava scendendo dalla moto dopo averla posizionata sul cavalletto laterale. Si tolse il casco e si passo una mano tra i capelli per riordinarli. Osservai com'era vestito, indossava un jeans scuro abbastanza stretto e una giacca sempre nera in pelle. Una divisa da moticiclista, insomma.

«Fa' controllare me», mi disse spostandomi delicatamente dall'auto. Si mise al posto di guida e tentò di accenderla. Assunsi una posizione da scocciata, incrocia le braccia sotto il seno e con un piede presi a tamburellare sul cemento.

Lui con un sorriso da furbetto scese dall'auto e disse l'ovvio: «L'auto non parte, mi dispiace».

«Nooo, non posso crederci! Come hai fatto a capirlo?», il mio tono sarcastico lo divertì ancora di più.

«Andiamo, ti dò un passaggio», affermò avviandosi verso il suo nuovo mezzo di trasporto.

«Spero tu stia scherzando, io non mi muovo da qui, ora chiamo un carrattrezzi e poi torno a casa».

«A quest'ora ci metteranno una vita ad arrivare, ti conviene lasciar perdere e chiamare domani un meccanico. Poi chissà, è solo un cortocircuito, magari domani riparte», mi disse con molta tranquillità. Aggrottai la fronte perplessa dalle sue parole. Dubitavo che l'indomani sarebbe partita, ma non aveva tutti i torti, a quell'ora non avrei risolto molto se non perdere tempo da sola nel parcheggio fino ad un orario indecente.

«Okay, accetto il passaggio. Ti ringrazio». Mi avvicinai a lui e tutto a un tratto sbucò un altro casco.

«Giri sempre con due caschi?», domandai incuriosita.

«No», rispose onestamente.

Saltò sulla moto e mise in moto. Io mi assicurai che il casco fosse ben allacciato e poi posai una mano sulla sua spalla per aiutarmi a salire.

Mi posizionai comodamente sul sedile - anche se usare il termine comodo era fuori dal gergo di una moto da strada, perché era tutto tranne che quello.

«Tieniti», mi rimproverò.

«Mi sto tenendo!», ribattei irritata. Le mie mani erano ben salde alla moto.

«No», mi disse staccando le mie mani dal sedile e intrecciando le mie braccia intorno al suo corpo. «Devi tenerti a me».

Lui partì senza nemmeno avvisarmi, mettendo una marcia dopo l'altra e la moto prese velocità. Mi ancorai al suo corpo e avvertii il contatto caldo con la sua schiena premere sul mio petto. Le mie gambe erano ai lati delle sue e stringevano la presa intorno al suo corpo formando una gabbia.

Mi piaceva la sensazione di quel contatto con lui. L'attrazione era sempre lì, presente e nonostante fossi stata distaccata appena lo avevo visto sulla moto, di certo in quel momento di poteva dire tutto ma non che fossi fredda con lui. Stringevo la presa come se fosse la mia ancora in mezzo al mare.

Mentre sfrecciava nella notte, io seguivo i movimenti del suo corpo. Era una bella sensazione di leggerezza e mi ritrovai per un attimo spensierata, ma poi troppe coincidenze mi tornarono in mente. Edward che entrava nel parcheggio proprio quando la macchina non partiva e pensare che quel giorno non era nemmeno sul set, cosa ci faceva lì? Era di passaggio? E il fatto che avesse due caschi quando ne portava solo uno? Un'altra coincidenza? Mi tornarono in mente anche le sue parole: "... magari domani riparte". Ricollegare i pezzi non fu difficile.

Ma porc... Non potevo crederci! Mi ero fatta fregare alla grande!

«Brutto stronzo che non sei altro! Ferma subito questa moto o giuro che appena scendo te la disintegro!», urlai nella notte.

Il mio tono incazzato fece allarmare Edward, che subito decelerà scalando di marcia in marcia. Si fermò ad un angolo della strada e io subito scesi sfilandomi il casco.

«Hai manomesso la mia auto! Avevi programmato tutto! Pensavi non lo venissi mai a scoprire?!», lo accusai andando a faccia a faccia con lui.

«Io? Ma cosa stai dicendo! Non farei mai una cosa simile, tzé, no», farneticò accampando un sacco di balle.

«La tua recita non funziona con me».

Probabilmente decise che era meglio ammettere l'ovvio che inventare scuse inutili: «Era nei miei programmi dirtelo, te lo assicuro».

«E quando? Domani? Quando te lo saresti fatto sfuggire?», continuai ad attaccarlo.

«Non volevo arrivare a questo, ma tu non avresti mai accettato di uscire con me. Quindi a mali estremi, estremi rimedi!», affermò convinta di aver fatto la cosa giusta.

«Ma se mi stavi accompagnando a casa!». Di certo non stavamo andando in qualche posto particolare e se pensava di intrufolarsi in casa mia si sbagliava di grosso!

«A dire il vero ti stavo portando a cena», ammise innocentemente. «Secondo te come avrei fatto a portarti a casa se non so nemmeno dove abiti e non te l'ho chiesto? Andiamo, Isabella, fai due più due».

Come avevo fatto a non pensarci? Accidenti, con lui perdevo completamente la testa!

«Discutere con te è inutile, portami a casa», dissi sconfitta. Mi rimisi il casco e salii dietro di lui avvinghiandomi al suo corpo caldo.

«Prima andiamo a cena», affermò mentre si rimetteva in carreggiata.

«Non ci pensare nemmeno, Edward!».

«Dolcezza, non ci sei tu a guidare, quindi non ti lamentare e goditi il viaggio, il ristorante non è vicino».

E sfrecciò silenzioso come se le mie proteste non valessero a nulla.

Cosa potevo aspettarmi da quella serata che Edward aveva ottenuto con l'inganno?

 

Buonasera gente! Non so davvero come scusarmi e cosa dire a mia discolpa per questo assurdo ritardo! Non camperò scuse, con altre storie sono andata avanti, quindi in tre mesi il tempo lo avrei anche trovato, ma purtroppo continuavo a concentrarmi su altre storie senza prestare i dovuti riguardi a questa e sapete perché? Be', non penso vi interessi per nulla, ma orami che ci sono ve lo dico xD Quando mi dò una scadenza come per l'altra mia long, la rispetto a costo di scrivere il capitolo all'una di notte, invece quando non mi dò dei limiti di tempo sforo. Quindi a conclusione dei fatti ho deciso di mettere una data di scadenza per ogni capitolo anche a questa storia. Sono sempre puntuale come potete constatare con l'altra, quindi non vi farò più aspettare così tanto per un capitolo! Spero ci sarete ancora a sostenermi e a darmi i vostri pareri, anche se so che non li merito (da lettrice vi capisco ç.ç).

Oggi alle quattro mi sono messa qui e dopo aver riletto le due pagine scarse cche avevo scritto mi sono data una mossa a finirlo per voi... oggi sono molto attiva, ho anche scritto delle trame di os e altre cose, che giornata strana O.O Va be', ora che mi sono sfogata passo al capitolo xD

Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e i continui numeri che si alzano nelle liste, vi adoro, sappiatelo *-* Senza di voi che fare? ù.ù Nulla ù.ù

Il capitolo è finito a metà, il proseguimento della serata nel prossimo e lì ne vedremo delle belle, crede ù.ù Edward è arrivato a manomettere l'auto ahah, non so da dove mi sia uscita una simile cosa ahah xD Però non è stato tenero a provare anche questa via per avere un'opportunità con lei? *** E pensare che inizialmente volevo terminare il capitolo con l'arrivo in moto dello "sconosciuto", ma sarei stata troppo cattiva, vero?! Quindi è come se vi avessi fatto un piiiiccolo regalino come ringraziamento del vostro sostegno! (Spero qualcuno legga queste note lunghissime e noiose >.<)

Gli aggiornamenti andranno un po' a rilento per ancora due mesi, ma almeno non vi farà aspettare mesi per un capitolo! Prossimo aggiornamento lunedì 23, così da farmi perdonare per l'attesa!

A presto con gli spoiler, scusatemi tanto se per questa volta non ho messo neanche uno spoiler nemmeno su fb, ma avevo fretta di aggiornare dopo mesi!

Kiss <3

Jess

 
   
 
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