La mattina di quel nuovo giorno
giunse, spandendo per la casa la sua discreta luce, e, insieme ad essa, un
alone sereno di speranza che da tempo quelle mura non avevano più avuto
l’ardire di voler percepire.
Un’atmosfera distesa, che sembrava
dilatare lo spazio e perfino rendere quei tenui raggi spauriti più caldi, e
l’aria che sapeva di statico più respirabile.
Ma colui che per molto era stato
l’unico a sospingere i suoi rassegnati passi sui tatami, tra quelle vecchie
pareti, inerti testimoni di una truculenta tragedia, non poteva percepire
questa repentina mutazione.
La sua coscienza era pacificamente
immersa nel primo, vero, sonno privo di incubi che godeva da un anno a quella
parte.
Il suo effimero respiro infantile
era trattenuto in quella lenta cadenza rilassante che aveva mantenuto per tutta
la notte appena trascorsa dalle gentili carezze sul suo viso e tra i suoi
sottili capelli.
Attenzioni e vezzeggiamenti
teneri, per donare le quali si prodigavano delle affusolate dita bianche.
Le falangi erano ben articolate e
scattanti, sostenute da tendini e terminazioni nervose che reagivano con
prontezza cos’ da permettere una perfetta autonomia ad ogni dito.
Sarebbero facilmente potute
appartenere ad un pianista, se non fosse stato per le lunghe unghie laccate di
nero, totalmente inadatte per prendersi cura dei tasti di legno di tale
strumento.
Un altro indizio, poi, restringeva
ampiamente il campo: la giuntura tra falange e falangina presentava una sorta
di callosità.
Caratteristica tipica di coloro
che fin dalla più tenera età vengono abituati ad impugnare in quel modo e a
sferrare attacchi con affilatissime armi da lancio, che proprio in quel punto
delle dita vengono trattenute.
Pur nello stato di rilassamento in
cui si trovava, il corpo snello poteva ben essere immaginato tonico e
scattante, anche al di sotto della lunga coltre della cappa nera.
Infine, uno sguardo determinato
illuminava le iridi rosse delle quali gli occhi allungati erano ricolmi.
Gemme rubidi, degna decorazione di
quel volto perfetto e signorile, incorniciato da una cascata di setosi capelli
corvini.
Volto fin troppo simile a quello
che giaceva addormentato sul cuscino.
Il volto di un guerriero.
Ed al contempo il volto di un
fratello.
Riconosciuto immediatamente dal
ragazzino, non appena la figura altera si riflesse sulla sua retina.
Prima ancora che la razionalità
sopravvenuta nel momento in cui le spire del sonno ritiratesi mettesse Sasuke
di fronte all’amara verità che infranse la sua così repentina speranza e smorzò
amaramente la gioia.
Sopraggiunse infatti pressoché
immediata la triste consapevolezza che quel corpo addosso al quale si era
gettato, come un naufrago si appiglia alla sua unica ancora di salvezza, e le
braccia che lo avevano accolto immediatamente stringendolo forte, altro non
erano che un’illusione.
Quel calore e quel profumo
familiare, dentro ai quali si era ritrovato quasi soffocato, e che in una
frazione di secondo avevano lenito lo squarcio sanguinante nel suo cuore, non
esistevano.
Era il nome di un morto quello che
pronunciava con voce strozzata, lasciandosi prendere in braccio come il bambino
che era.
« Itachi…»
« Dimmi, Sasuke»
« Niisan…» un profondo sospiro
sfiorò la spalla del maggiore, dove lui stava infossando il musetto « posso
rimanere ancora qui, vero? Posso, niisan?».
« Qui dove, Sasuke?»
Non capiva se si riferisse a
Konoha, alla loro casa, o al restare in braccio a lui.
« Qui in questo sogno…se mi sveglio sarò di nuovo
solo, e invece in questo sogno ci sei tu, aniki…»
Un lieve quanto amaro sorriso si
aprì sul volto giovane, la cui espressione era tuttavia adulta, del quattordicenne.
Strinse più forte quel corpicino
tremante, prima di rispondere.
« Questo non è un sogno,
otooto-chan» un lieve bacio venne posato sulla fronte del suddetto « sono qui,
sono qui sul serio…»
Sasuke saltò su come una molla.
« Davvero? Ma davvero davvero?»
Itachi sorrise all’espressione
infantile, e annuì.
Al suo cenno d’assenso, il
ragazzino sembrò eccitarsi.
« Sei tornato per me? Sei venuto a
prendermi? Così potrò venire a raggiungere te e la mamma e il papà in
paradiso?!».
Un pesante macigno si abbatté sul
cuore del maggiore mentre accarezzava il bambino accoccolato su di lui, che gli
si strusciava contro in cerca di quel calore umano che gli era mancato a lungo.
Cosa aveva fatto? si chiese, come
aveva potuto?
All’improvviso, la decisione presa
un anno prima mentre si ripuliva alla bene e meglio dal sangue non sembrava più
così giusta.
Aveva lasciato il fratellino di
otto anni da solo, immerso nel dolore di aver perso la sua famiglia, con la
sensazione di essere stato da essa abbandonato.
L’aveva portato alla punto di
sperare, trepidante, che prima o poi lo venissero a prendere, per condurlo con
loro nella morte.
Cosa aveva fatto…?
Deglutendo a vuoto, sbottonò
lentamente la cappa a nuvole rosse.
Il rumore dei bottoni che scattavano
attirò l’attenzione di Sasuke.
« Che fai, oniisan?»
Senza rispondere, Itachi intrecciò
le proprie dita con i capelli sulla nuca del fratellino, attirandolo di scatto
a sé, per poi poggiare il piccolo orecchio sul suo torace, in alto a sinistra.
Sasuke spalancò gli occhi grandi e
neri, al suono che fece ritmicamente vibrare il suo timpano.
Tu-tum…
Tu-tum…
Tu-tum…
Poteva percepire distintamente, da
quella posizione, le pulsazioni regolari del cuore dell’altro.
Ma i fantasmi non hanno battito
cardiaco…
Ora che ci pensava bene, i
fantasmi non emanavano nemmeno calore, né avevano consistenza fisica…
« Omae wa…ikiru da ka…aniwe?» (tu…sei vivo…fratello?)
Teso nell’aspettativa, il minore
gli era definitivamente finito in braccio, tenendo strette tra i piccoli pugni
due porzioni della maglietta dell’altro.
Temeva una risposta negativa, ma
allo stesso tempo non osava sperare in una positiva, per non vedersi nuovamente
ferito.
Tant’è che quando Itachi abbassò
il capo in un cenno d’assenso, rimase pietrificato, limitandosi a puntare i
grandi occhioni antracite in quelli carmini e a mandorla dell’altro.
E nel frattempo, ancora quel
sottile pulsare sotto i suoi palmi infantili.
Tu-tum…
Tu-tum…
Tu-tum…
Il suono che si unì ai battiti
rese improvvisamente cosciente sasuke che, unito a quello del fratello, c’era
anche il proprio cuore in tripudio, il cui suono gli riecheggiava tra le vene
dell’orecchio.
Lente lacrime presero a scivolare
in silenzio su quelle guance paffute.
Un pianto di reale liberazione
rasserenata che alleggerì il suo cuore molto più di quanto quello della notte
appena trascorsa.
Non riusciva a crederci.
Poche ore, eppure lui si sentiva
così diverso…così tranquillo…
Non era più solo…
Aveva qualcuno al mondo…
Non era più solo!
Aveva qualcuno al mondo!
Strinse Itachi, che costernato
tentava di asciugare quei rivoli sul suo viso.
Lo strinse fino allo spasmo,
mentre la vocina sussurrava, alzandosi poco a poco di tono: « ikiru da…ikiru
da…ikiru da! Ikiru da, ikiru da!!!»
L’altro non poté fare a meno di
sorridere a quell’eccitamento assurdo, mentre avvolgeva il minore nella calda e
rassicurante stretta delle sue braccia.
Lo cullò a lungo, mormorandogli
parole rassicuranti nell’orecchio in piccoli soffi che di tanto in tanto
facevano tremare il piccolo, riuscendo infine a tranquillizzarlo del tutto.
Ci fu un momento di fervida stasi,
in cui solo il viso dell’uno era riflesso negli occhi dell’altro, e due sorrisi
pressoché speculari si riflettevano da
un volto dell’altro.
Sasuke affondò nuovamente la
testolina nel collo profumato di suo fratello, strusciandovi il naso.
Dal canto sui, il quattordicenne
non disse nulla, rifiutandosi di togliergli quel momento di pace a lungo
agognato ed ampiamente meritato.
Fu lui stesso, ad un certo punto,
a spezzare tutto ciò, con il suo improvviso proruppero in un « Pappa!»
Itachi lo fissò, per un attimo
stranito.
«Pappa, niisan, pappa!» ripeté,
aggrappandosi alla maglia e tirandolo per avvalorare la sua richiesta.
Questi si riscosse a tutta questa
insistenza e lo prese in braccio, permettendogli di aggrapparsi al suo corpo
snello con le braccia e gambe.
Scesero così al piano di sotto,
dove, tutto contento, Sasuke, seduto con le gambe a penzoloni sullo tsukue,
guardava Itachi affaccendarsi in cucina.
Così simile alla loro madre,
eppure così diverso…
Il pensiero lo rese un po’ triste,
ma riuscì repentinamente a scacciare la sensazione aggiungendo un altro
ragionamento al precedente.
Era vero…mamma non c’era più…papà
non c’era più…il loro clan non esisteva più come tale, però suo fratello era
lì!
Seppur dopo un anno, Itachi si era
ripresentato!
Era tornato solo per lui!
E se aveva Itachi lui stava bene!
Col niisan affianco lui era
felice! Veramente felice!
Nonostante tutto.
Il suo viso aveva un che di
felino, in particolare dalle parti del labbro superiore, mentre sgranocchiava i
biscotti con cannella e cioccolato nell’attesa che il latte fosse adeguatamente
scaldato e Itachi si sedesse con lui.
Si concesse pigramente di farsi
totalmente servire, per la prima volta da trecentosessantacinque giorni a
quella parte.
Arrivò perfino a farsi imboccare,
accoccolatosi sulla perfetta seiza del fratello, che gli conferica un
portamento incredibile, tenendo la sua schiena in una posizione di elegante
compostezza, pienamente adatta a lui.
Inspirò ed espirò profondamente,
inalando l’odore lieve di mandorle che, da quando aveva memoria, quella pelle
candida aveva sempre emanato.
Itachi non trattenne un sospiro.
Era giunto il momento di giocarsi
il tutto per tutto, e fare la propria proposta.
Avevano già perso troppo tempo.
Non fu facile, ma il discorso
andava cominciato.
« Allora, Sasuke…»
subito sentì quegli occhioni scuri
puntarsi nella sua figura, quasi fosse la sua fonte di verità qualsiasi cosa
dicesse.
Alla fin fine, cosa poteva
illuderlo di non esserlo? Era così piccolo…
« Vuoi venire come me?»
Sasuke sbatté le palpebre, non
capendo. « Non capisco…avevi detto che mamma e papà non c’erano più…» il solo
pensiero lo intristì « se non mi porti da loro, dove mi porti?»
« in un posto sicuro che ho
trovato per noi due nel corso di quest’anno»
La sua risposta fu ferma, perché,
se non ne era certo lui, come poteva sperare di convincere Sasuke?
Il piccolo sembrò perplesso.
Allontanarsi da casa sembrava come abbandonare qualsiasi parvenza di “famiglia”
gli fosse rimasto.
«…e dov’è?»
« è un po’ lontano…ma staremo
sempre insieme, non ti va?»
infingardo, e cosciente di
esserlo. Come poteva effettuare giochetti psicologici sul suo adorato
fratellino?
« sì…»
Però aveva ottenuto ciò che
voleva.
Lo strinse, quando, in cerca di
rassicurazione, lui gli si accucciò addosso.
« ma perché non resti qui?»
eccola, la domanda fatidica.
Sasuke, per quanto bambino, non
era mai stato stupido. Era scontato che se lo chiedesse.
Ed era il momento di fare ciò per
cui nel corso degli anni si sarebbe sentito peggio del demonio.
Era il momento di intavolare la
menzogna più pura.
« Sasuke…l’assassino di mamma e
papà non è stato ancora trovato, vero?»
« no…» il dolore era palpabile nei
suoi occhi, rabbuiatisi appena il nome dei genitori era uscito dalla bocca.
« ecco, vedi…» la tentazione di
dirgli la verità è quanto di più forte tu abbia mai avuto, non è vero?
Ma pensa, pensa adesso. Cosa
perderesti con la verità? E cosa invece resterebbe con una bugia?
Tu sei un grande ninja, ma di
fronte a questo bambino il coraggio che era proverbialmente abbinato alla tua
figura viene meno.
E la frase dell’altro, sussurrata con
odio, ebbe il potere di incrinare ancor di più il cuore del quanto esso già non
sia.
Perché sussurrata con un astio che
non si sarebbe mai aspettato da quella piccola bocca.
« spero che un giorno lo prendano»
La risposta è obbligata.
« anch’io…» e ora che sei in
gioco, gioca fino alla fine. Menti, menti, e menti ancora come solo tu sai fare
« ma nel frattempo sta cercando noi. Non possiamo restare qui otooto-chan…»
Il ragionamento è logico, non c’è
nulla da obbiettare.
È per questo che Sasuke ti stringe
più forte, poggiando la fronte contro la tua.
La tua esistenza avrà sempre un
che di dubbio per quella piccola stella, che si è vista portare via tutto.
La tua esistenza sarà sempre un
miracolo.
Fino al giorno il cui non ne
scoprirà la maledizione…
« non mi lascerai più?»
« Mai più, piccolo»
E di questo sei assolutamente
certo, perché hai rischiato il tutto per tutto per ottenerlo.
« te lo prometto»
Il mignolo di Itachi si stese, in
un invito per accettare un patto, il più lieve fra tutti quelli che nel corso
degli anni avrebbero generato.
Ma Sasuke lo strinse con sicurezza
insieme al proprio piccolo dito.
E un sorriso vero e sincero si
aprì sul suo volto, al pensiero che Itachi aveva promesso.
E Itachi è perfetto, quindi ciò
che Itachi promette, è sacro.
E il ragazzo riusciva quasi a
leggerli, quei pensieri.
Gli voleva bene, era inutile
negarlo.
Era stato capace di distruggere
tutto ciò che aveva fatto parte della sua vita fino a quel momento, tranne lui.
Lui era rimasto incolume.
Lui…suo fratello…
Lentamente, le sue labbra si
posarono su quelle del bambino, in una fraterna carezza che per molto tempo
avrebbe continuato ad esprimere innocentemente il loro attaccamento nei
confronti dell’altro.
Gesto che fece, e avrebbe sempre
fatto, felice Sasuke, tanto da spingerlo a chiedere: « allora, andiamo?».
« vai a prendere la tua roba, e
poi partiamo subito»
Itachi l’osservò sciogliersi
dall’abbraccio, e salire al piano di sopra per riunire la sua poca roba.
Il suo sguardo vagò per la camera
che da quando era nato lo aveva sempre accolto, e guardato dormire, crescere,
giocare…semplicemente, vivere.
E si apprestava a lasciarla, ora,
perché, per quanto non lo avesse mai tradito e avesse sempre assolto il suo compito,
ora non era più in grado di dargli nulla.
Il suo posto era col
quattordicenne che era sempre stato il faro delle sue ambizioni.
Vide un sorriso aprirsi su quel
volto, mentre trotterellava giù dalle scale col fagotto tra le braccia, e si
fermò davanti a lui in attesa.
Si sentì afferrare da sotto le
ascelle, e prendere in braccio insieme alle sue esigue “valige”, pronto a
essere portato in giro tra le braccia del maggiore.
Il suo bel faccino si contrasse in
una smorfia quasi buffa di disapprovazione a quel gesto.
« so camminare! Sono un bimbo
grande!»
una frase quantomai classica,
soprattutto in bocca ad un esserino di otto anni, tant’è che l’altro non se ne
stupì affatto.
Comprensivo, lo rassicurò riguardo
alla sua opinione in proposito.
« Lo so che sai camminare,
piccolo. Fra un po’ ti lascio andare.»
le palpebre dalle lunghe ciglia si
richiusero sugli occhi a mandorla, mentre, dal nulla, comparivano decine di
foglie che avvolsero le due figure in un tornado verde.
Il vortice della foglia, tipica
arte magica di Konoha, spesso usata da anbu e jonin per lunghi spostamenti.
Richiedeva un ottimo controllo del
chakra e una concentrazione non indifferente.
Doti, quelle, delle quali il
primogenito del capofamiglia Uchiha aveva sempre avuto non in difetto, cosa che
permise ai due fratelli di arrivare incolumi alla destinazione prefissata.
Stretto tra due folte foreste, un
burrone a precipizio dava il meglio di sé.
Il rumore dell’acqua gorgogliante
ai piedi dell’ampia cascata era quasi fastidioso nelle orecchie per la sua
forza.
Un luogo che aveva sempre segnato
grandi scelte, quello.
Un luogo impregnato di passato,
non sempre felice.
Due imponenti figure erano
scolpite da abili mani nelle rocce che fungevano da sostegno per la cascata.
Riproduzioni fedelissime e gigantesche
di due grandi del passato, che le loro scelte le avevano compiute senza paura
del cambiamento.
Un atteggiamento ammirevole,
ritenuto degno di memoria, tanto da essere impresso a vita nel nome altisonante
di quel luogo.
Che quel giorno, per quelle due
figure snelle, così piccole in confronto a tutta quella magnificenza, segnava
l’epilogo di una vita.
E l’Inizio, forse in grande stile,
di un’altra.