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Autore: ermete    12/04/2012    21 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritrovarsi
Sherlock salì sullo stesso elicottero in cui si riunirono i Mastini che, non appena si ritrovarono in volo, si strinsero nel ringhio che usavano come urlo di incitamento, salutandosi a turno, felici di essere sopravvissuti tutti quanti.

Christopher ed Alec, esperti nella loro anzianità di servizio, erano i più illesi tra tutti, quindi si occuparono di assistere gli altri assieme a John che, dopo essersi sincerato delle condizioni di David, si avvicinò a Logan e Bruce, i più malridotti seppur non in pericolo di vita.
“Due dei Camaleonti erano nei guai...” iniziò Bruce mentre liberava il torace dalla maglietta, facendosi tastare da John.
“...sì, infatti...” annuì Logan che invece fu aiutato da Alec e Christopher per mettersi a sedere “...non potevamo lasciarli lì.” concluse, resistendo stoicamente alla visita di John, nonostante le costole incrinate che gli dolevano ad ogni respiro.
“Siete due eroi!” si congratulò Christopher mentre alzava con molta cura la gamba ferita, probabilmente rotta, di Logan.
“E’ tutto merito di David se ci siamo salvati tutti!” scoppiò in un complimento entusiasta persino il taciturno Alec, battendo il dito sul proprio orologio.
“Vero.” annuì John mentre fasciava con cura l’addome di Bruce “In pochi secondi ed in mezzo a quel finimondo è riuscito a mandare a tutti l’ubicazione esatta di quei nascondigli fantastici!” raddrizzò il busto del Mastino che stava curando, correggendogli la postura mentre si occupava delle sue costole “Sei stato geniale David, fantastico!”
Mentre tutti i Mastini con le mani libere applaudevano il lavoro di David, in disparte, in fondo alla cabina, Sherlock digrignava i denti: l’ultimo complimento che John fece a David, poi, lo mandò su tutte le furie. Quello era il complimento che John riservava a lui, non doveva esserci nessun’altro di geniale, di abbastanza intelligente, che potesse attirare le sue attenzioni. Scoprire che provava un sentimento come la gelosia, poi, non fece che peggiorare il suo attuale equilibrio mentale. Si alzò dunque, avvicinandosi a John, posandogli la mano sulla spalla, imponendosi di non palesare il proprio tormento “Dovresti riposarti, anche tu sei ferito.”
John scrollò il capo, spostandosi da Bruce a Logan, portando con sè il materiale medico in dotazione nell’equipaggiamento “Non è niente di grave, sono solo ferite superificiali.”glissò rapidamente, posando delicatamente le mani sulla gamba del commilitone “Questa invece è una brutta frattura... per un po’ niente più sport estremi.”
Sherlock si sentì perduto: John aveva trovato una nuova famiglia che amava e che lo ricambiava, provava rancore verso di lui e non si degnava neanche di guardarlo. E se non fosse più tornato a Londra? Se fosse rimasto in Afghanistan? No. Non era contemplabile come opzione, avrebbe dovuto fargli cambiare idea.
David provò a richiamare l’attenzione di Sherlock, il quale si voltò con riluttanza proprio verso il soldato che in quel momento detestava più degli altri “Vieni un attimo qui.” lo invitò a sederglisi vicino e lui, per curiosità, acconsentì alla richiesta.
“Credo che sia arrabbiato.” esordì in un sussurro, massaggiandosi l’addome.
“Oh, che intuizione, è questa la genialità di cui parlavano prima?” rispose Sherlock acidamente, con la speranza di dargli quanto meno fastidio.
Ma David rise di fronte a quella reazione “Sei davvero antipatico! L’aveva detto John che hai un carattere un po’, diciamo, particolare.”
Sherlock alzò gli occhi su John, carezzò il suo profilo con lo sguardo prima di tornare su David “Tutto qui quello che hai da dire?”
“Sai, sarei proprio curioso di sapere come hai fatto a salvarti da quella caduta. Geniale l’idea di far spostare John in quel punto preciso, così da avere parte della traiettoria della caduta nascosta. Rimane comunque un mistero come tu abbia potuto macchinare il tutto e attuarlo in così poco tempo.” David sparò a zero tutte quelle informazioni, per cercare di far mantenere l’attenzione di Sherlock su di sè.
Il detective capì “Quando lo ha scoperto?”
“Subito prima di partire per la missione, poche ore fa.” allargò le braccia, alla ricerca di un po’ di sollievo, ma lo sterno continuava a fargli male “Quindi ha scoperto che probabilmente non eri morto, è partito per una missione in cui credeva di aver perso due suoi amici, si è ritrovato in mezzo ad un bombardamento e poi gli si è presentato il fantasma del suo migliore amico.” David alzò lo sguardo su Sherlock, provando ad imitare la sua aria di sufficienza “Anche io sarei un po’ incazzato, stanco, sconvolto. Tu che ne dici, Genio?” concluse il giovane soldato, socchiudendo poi gli occhi, in cerca di riposo.
Sherlock sapeva che David aveva ragione, ma non riusciva comunque ad accettare la reazione di John: avrebbe voluto urlare, prendere John da parte e spiegargli tutto al più presto, ma capì che se lo avesse fatto in quel momento avrebbe peggiorato la situazione.
Tornò dunque in disparte, non sentendosi parte dei Mastini, lasciando che si spalleggiassero tra loro: si mise a fissare il paesaggio afghano fuori dal finestrino, pensando al modo migliore per spiegare a John come erano andate le cose.
Quando John, con la coda dell’occhio, vide Sherlock chiuso nei suoi pensieri impegnato ad osservare fuori dal finestrino, interruppe per qualche istante quel che stava facendo voltandosi verso di lui in tacita contemplazione.
John e Sherlock si sentivano in una sorta di limbo emotivo: entrambi erano bloccati, per motivi diversi, in una condizione di incertezza, indecisi su come avrebbero dovuto affrontare la situazione. Già in passato c’erano state delle questioni irrisolte, delle cose non dette per imbarazzo o semplicemente sorvolavano sull’argomento perchè era la cosa più facile da fare.
Ma questa volta non doveva e non poteva andare così.

Quando gli elicotteri toccarono il terreno del campo 7, c’erano molte persone ad attendere l’arrivo dei soldati: barellieri, medici, commilitoni, il Generale Lightman e, in prima fila, Matt e Zach.
Nonostante le stampelle, Matt si sforzò all’inverosimile pur di superare tutti quanti, persino Zach lo perse di vista per qualche istante: fremeva come un bambino, voleva vedere con i propri occhi che i Mastini erano salvi.
Quando il portellone si aprì, furono chiamate a gran voce delle barelle, e Matt, che fu subito raggiunto da Zach, urlò di gioia nel vedere Christopher mostrargli il pollice che puntava verso l’alto: era il segnale che non c’era nulla di cui temere per la salute dei Mastini.
I primi a scendere furono Christopher e Alec che portavano in braccio Logan, il quale fu adagiato su una delle barelle a causa della sua gamba rotta: quindi David e Bruce che si sostennero a vicenda e che si diressero a loro volta verso i medici che suggerirono loro di recarsi all’ospedale militare per effettuare delle radiografie al torace.
Matt e Zach li abbracciarono uno ad uno, augurando loro una pronta guarigione, quindi si voltarono verso l’elicottero in attesa di vedere John che scese proprio in quel momento, seguito da Sherlock.
Matt urlò di nuovo, fece cadere le stampelle per terra e si buttò addosso a John con le lacrime agli occhi: a loro si unì anche Zach, commosso quanto il proprio compagno, seppur dimostrandolo in modi un po’ meno aggressivi. John, una volta ritrovata la stabilità quasi perduta dall’impeto degli abbracci di Matt e Zach, alzò a sua volta le braccia stringendoli con forza, dimentico delle ferite che aveva sul fianco.
Chi non si era dimenticato delle sue ferite era Sherlock che, sempre in disparte, osservò con invidia e gelosia i festeggiamenti dei Mastini, ed in particolare detestò Matt e Zach per il modo così spontaneo che avevano di manifestare i loro sentimenti, ed odiò anche John perchè con lui non era mai stato così affettuoso. Neanche dopo due anni e mezzo che non si vedevano.
“State attenti a come lo stritolate, è ferito.” fece notare Sherlock con un’espressione quasi cattiva, palesemente intenzionato a farli sentire in colpa.
“Eh dai, smettila. Sono solo contenti di vedermi.” lo bacchettò John: a quel punto Sherlock era sicuro che glielo stesse facendo apposta. Perchè, lui non era contento di vederlo? Quei due non li rivedeva da mezza giornata, lui da due anni e mezzo, chi aveva la precedenza?
“Anche io sono...” sussurrò Sherlock sconcertato, ma la voce di Zach sovrastò la sua.
“Sei ferito John? Oh cavolo sì, dai vieni dentro che ti aiuto a ricucirti.” sorrise Zach che, prima di muoversi verso l’accampamento, raccolse le stampelle, riconsegnandole a Matt.
“Sì ma stai tranquillo, sono solo ferite superficiali.” lo rassicurò John che fece una certa fatica a scollarsi Matt di dosso “Cosa hai fatto alla gamba?”
“Distorsione, Capo! E forse anche un tendine, ma non voglio immaginarmelo che mi fa un po’ schifo!”
“E tu Zach?” chiese all’altro cecchino, vedendogli la testa parzialmente fasciata.
“Niente di che, ho sbattuto la testa, ma le lastre sono a posto.”
Sherlock era più che allibito, gli sembrò di essere invisibile: il cuore gli batteva all’impazzata, sentiva la testa scoppiargli di pensieri, le mani gli prudevano. Avrebbe preso volentieri a calci quei due soldati che stavano attorno a John, impedendogli di occuparsi di lui: era lui a dover essere importante! Ripensò all’inferno che aveva passato quando scoprì che John era partito per l’Afghanistan, all’incertezza sulla sua incolumità, la paura di non riuscire a trovarlo in tempo. Scoppiò.
“JOHN! GUARDAMI!” Sherlock aveva gridato tutta la sua disperazione, la sua rabbia, la sua tristezza: attorno non c’era nient’altro che John, il deserto e quei due soldati, quindi l’urlo sarebbe arrivato forte e chiaro anche se non lui avesse voluto sentirlo.
Matt e Zach tremarono di fronte a quella che interpretarono come una dichiarazione di aiuto, facendo entrambi un passo indietro rispetto a dove si trovava John.
John si bloccò, quindi si voltò verso Sherlock: il suo volto era una maschera di dolore e di delusione, o almeno erano quelli i sentimenti che il detective gli lesse in faccia.
“Ti guardo, Sherlock.” John alzò lo sguardo su quello del detective: sapeva che gli stava facendo del male ignorandolo, ma lui pretendeva una spiegazione, meritava qualcosa in più questa volta, qualcosa che non fosse solo una spiegazione logica.
Sherlock avanzò velocemente verso John, aveva la follia negli occhi, aveva perso il controllo e la lucidità, tanto che fece l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare: alzò l’indice e accusò il soldato.
“Sei arrabbiato eh? Sì, lo so, l’ho capito che sei arrabbiato! Ma io l’ho fatto per te sai?!”
John scosse il capo: Sherlock non poteva aver detto veramente quelle cose. Fu così facile per John alzare il pugno sinistro verso il volto del detective che neanche se ne accorse: lo colpì con tutta la rabbia accumulata e con tutta la frustrazione che aveva in corpo.
“Hai veramente un bel coraggio Sherlock!” John sentiva la rabbia aggrovigliargli lo stomaco e salire fino alle mani che non erano ancora sazie del proprio lavoro: avanzò infatti verso il detective che per la potenza del primo colpo era finito a terra “Tu l’hai fatto per me?!” si chinò a cavalcioni sopra il suo addome afferrandogli la maglietta con la mano destra “Non hai mai fatto niente per gli altri, potevi continuare a farlo invece di farmi il favore di buttarti giù da un palazzo!”
Sherlock rimase stordito qualche istante dopo aver ricevuto il pugno di John, completamente diverso da quello che gli aveva dato poco prima di conoscere Irene Adler, carico di tutta la forza che possedeva. Dovette sbattere gli occhi due o tre volte per poter mettere a fuoco il volto di John, ora più vicino.
“C’era un cecchino di Moriarty con il mirino puntato su di te, pezzo d’imbecille!” Sherlock si ribellò alla presa di John, riuscendo a colpirlo a sua volta, seppur con minor forza, ma era abbastanza per toglierselo di dosso e rialzarsi in piedi, girandogli attorno in cerchio.
Matt e Zach rimasero completamente sconcertati dallo scontro tra John e Sherlock: quando però il più giovane vide il medico colpito dal detective, fece qualche passo avanti, come per intervenire. Fu fermato da Zach, che scosse leggermente il capo “Lasciali stare Matt, se non si chiariscono ora non lo faranno mai più. Se non lo fanno ora rischiano di perdersi di nuovo.”
John si rialzò sputando per terra un po’ di sangue, quindi iniziò a girare in cerchio a sua volta, senza perdere di vista Sherlock.
“Oh, Genio, c’ero arrivato anch’io che c’era qualcosa di grosso dietro, sapevo che se eri arrivato a buttarti giù da un palazzo c’era un valido motivo.” si prese una pausa: il torace si alzava e si abbassava, il respiro accellerato gli rimbombava nel petto “Ma diavolo Sherlock, due anni e mezzo! Cosa ti ha impedito di dirmi che eri vivo per due-anni-e-mezzo?” sillabò le ultimè parole.
“Dovevamo prima neutralizzare tutti gli uomini di Moriarty, John! E se avessero avuto l’ordine di seguirti per un tot di tempo per assicurarsi che io fossi veramente morto?!”
“Tuo fratello! Tuo fratello lavora per i servizi segreti, Sherlock! Ci voleva tanto a farmi recapitare un messaggio? Eh?!” urlò John, caricando verso l’altro, provando a colpirlo nuovamente, ma il tentativo fallì e il medico si mise una mano sul fianco ferito.
“L’hai visto Moriarty, conoscevi i suoi mezzi! Avevo paura che potesse farti del male!” si giustificò Sherlock, provando ad alzare una mano verso John, ma questi la scacciò con uno schiaffo.
“La verità è che tu pensi che io sia uno stupido, non ti sei mai fidato di me.” John si chinò, poggiando le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.
“Non dire schiocchezze, io non ho mai pensato che tu fossi uno stupido.” Sherlock riprovò ad avvicinarsi, ma più lo faceva e più John indietreggiava.
“Se ti fossi completamente fidato di me, mi avresti reso partecipe del piano. Me l’avresti detto.”
Sherlock scosse il capo “No. Era troppo pericoloso. Non volevo che ti facesse del male.”
A quel punto John scoppiò a ridere: era una risata amara e nervosa “Ah ecco, e fingendo la tua morte non me ne hai fatto? Certo, io sono il povero... com’è che mi chiamava? Ah sì, io sono il povero Johnny-boy che non sa badare a se stesso. Se non ci fossi stato io tutto questo casino non sarebbe successo? Tu non avresti dovuto saltare da quel palazzo?”
“No John, non ho detto questo...” Sherlock provò ad intervenire, ma fu interrotto da John.
“Sai che c’è? Ti risolvo il problema: io resto qui.”
“No...” Sherlock spalancò occhi e bocca, scuotendo il capo.
“Così non avrai più la palla al piede che ti ostacola. Sei sempre stato un passo davanti a me, Sherlock, tu correvi e io sempre a guardarti la schiena, io ero sempre indietro, quando avrei voluto correre al tuo fianco. Sai perchè sto bene qui? Perchè i soldati devono fidarsi l’uno dell’altro, si fidano l’uno dell’altro, o sanno che moriranno sul campo. Per quanto riguarda noi due, invece, la fiducia è solo a senso unico. Ma ora non ti sarò più d’impiccio.”
“No John, non dire così, io non...”
“Io, io, io. Si parla sempre di te.” John fece una pausa: gli pesava dire quelle cose, e non era neanche sicuro di provarle veramente. Era troppo arrabbiato, e forse era per quello che avrebbe preferito prolungare l’attesa del dialogo “Torna a Londra, Sherlock, questo posto non fa per te.”
John indugiò su Sherlock ancora qualche istante: entrambi avevano gli occhi lucidi, tutti e due dilaniati, con la testa che pulsava, il cuore galoppava così forte che potevano sentire il rumore dei battiti nelle loro orecchie. Poi si voltò, ancora qualche passo e sparì dentro l’accampamento: fu seguito con rapidità da Zach, mentre Matt rimase lì, a fissare il detective.

Sherlock alzò la mano all’altezza del proprio cuore, provando un dolore così intenso che maledisse il momento in cui aveva permesso ai sentimenti di entrarvi dentro: si battè dei sonori pugni sul petto, urlando al cielo delle tristi note gutturali, provenienti dal profondo della sua anima.
Matt si avvicinò, lasciò cadere le stampelle e fece del suo meglio per fermare Sherlock, sfiorando per miracolo due dei pugni che il detective continuava a scagliarsi addosso: John gli aveva parlato più volte di lui, a volte l’aveva definito glaciale, freddo come una macchina, incapace di provare empatia, ma Matt provò dolore nel percepire la sua disperazione, dovette ributtare indietro due lacrime e impegnarsi per bloccare l’autolesionismo di Sherlock che a quel punto si buttò a terra.
Iniziò a respirare a fatica, preso da un principio di attacco di panico che Matt pensò di bloccare stringendolo: era un ragazzo dolce e semplice, a volte pensava di poter risolvere tutto con un abbraccio. Sherlock all’inizio provò ad allontanarlo, ma poi si arrese, privo di forze, senza più alcuna voglia di reagire.
“Ehi, amico, stammi a sentire.” sussurrò Matt, lasciandolo andare quando vide che s’era calmato, diversi minuti più tardi “Se io Zach stiamo insieme è solo grazie a John sai? Fu lui a dirmi di non sprecare l’occasione di amare una persona stupenda solo per paura, per imbarazzo, perchè... beh perchè lui c’era già passato, no? Con te, dico. Quando ancora credeva che tu fossi morto, ha passato ogni giorno a sentirsi in colpa, pensando di non aver fatto abbastanza per te, pensando che magari le cose sarebbero potute andare diversamente se lui fosse stato abbastanza... che so, forte? In gamba?”
Sherlock alzò lo sguardo verso Matt, senza rispondere in alcun modo, ma lasciando intuire al giovane che lo stava ascoltando attentamente: era spontaneo anche nello spiegare cose così complicate come i sentimenti, poteva capire veramente quello stava dicendo con quel linguaggio semplice e privo di giri di parole.
“John è una persona fantastica e tu lo sai, è buono e gentile e qui tutti si sono affezionati a lui. Beh, possiamo pure dire che è uno di quei buoni così buoni che non si arrabbiano mai, ma quando poi succede esplodono... proprio come è successo poco fa.” riprese Matt, mentre si massaggiava un po’ la gamba ferita “Perchè non è giusto, fondamentalmente. Anche i buoni hanno il diritto di arrabbiarsi, i buoni sono pazienti, si sacrificano per gli altri, soffrono per gli altri, soffrono pur di non far soffrire gli altri... quindi arriva il momento in cui anche loro vogliono vedersi dare qualcosa in cambio.”
Sherlock assimilava in silenzio tutte quelle parole: si morse il labbro inferiore e tirò sù col naso, deglutendo il macigno che gli opprimeva la gola.
“E scusa se te lo dico amico, tu avrai avuto le tue ottime ragioni per fare quello che hai fatto, ma ti sei soltanto giustificato, mentre non ti ho sentito chiedergli scusa neanche una volta. John merita delle scuse e merita anche la tua fiducia, perchè senza la fiducia non può esistere un... una... come si può dire? Come il bianco e il nero no?”
Sherlock a quel punto inarcò un sopracciglio, ma Matt era convintissimo della propria metafora.
“Sì sì, perchè metti che qua c’è il bianco e lì c’è il nero: sono lontani, no? Possono anche stare insieme, toh, li metti vicini” stava gesticolando parecchio, preso dalla sua stessa spiegazione “Toh, sono vicini, ok, ma cos’è che li unisce? Il grigio!” scoppiò quasi di gioia nel dirlo “E il grigio non è un colore che s’è messo li in mezzo perchè è mezzo nero e mezzo bianco! Il grigio è il frutto dell’unione, no? Ma per avere il grigio bisogna che entrambi i colori siano d’accordo a fondersi l’uno con l’altro, devono lasciarsi andare... e questa è la fiducia!” concluse trionfante, intrecciando le dita di entrambe le mani, annuendo più volte a Sherlock.
Sherlock osservò Matt negli occhi, nel volto, il sorriso, le mani, il modo di fare e capì perchè John si fosse affezionato così tanto a quel ragazzo: si alzò, aiutando poi il giovane soldato a fare lo stesso “Grazie.” gli porse le stampelle e corse dentro l’accampamento.

John sbattè la porta dell’infermeria entrandovi, urlando qualche imprecazione e prendendosela con un armadietto che sfondò a calci. Zach, che l’aveva seguito, lo lasciò sfogare senza intervenire, andando invece a mettersi dei guanti puliti e a prendere l’occorrente per medicare le ferite dell’amico.
Quando John ebbe finito di sfogare la propria rabbia sullo stipetto, Zach lo prese delicatamente per la mano, facendolo sedere sul lettino: in silenzio gli slacciò i bottoni della camicia per poi togliergliela, iniziando ad occuparsi delle ferite sul braccio del commilitone.
John interruppe il silenzio solo dopo diversi minuti “Forse ho esagerato.” non ottenne però una risposta verbale da parte di Zach che si limitò a sorridergli e a continuare il proprio lavoro “Lui non conosce i sentimenti, non sa come comportarsi e...”
“A me invece non è sembrato così insensibile come dici tu.” esordì Zach mentre, con una pinzetta, estraeva le schegge sull’avambraccio di John “Tu forse eri, con ragione, troppo arrabbiato per rendertene conto, ma era un’esplosione di sentimenti.” passò poi al collo del soldato, disinfettandolo con l’acqua ossigenata “Gli ho visto la morte nel cuore quando gli hai detto che saresti rimasto qui, quando gli hai detto di tornarsene a Londra.”
John sospirò e chiuse gli occhi dai quali scese una lacrima per parte: rimase in silenzio per poi abbassare lo sguardo sulla propria mano sinistra che era scorticata da quanto era stato forte il pugno che aveva dato a Sherlock.
“Ho capito perchè sei arrabbiato, John. Pensi che lui non ti abbia ritenuto all’altezza per affrontare quel maniaco omicida di cui mi ha parlato.” Zach mise un cerotto sul collo di John, per poi tornare all’avambraccio “Ma mettiti nei suoi panni: in una situazione di pericolo, a ruoli invertiti, tu non avresti fatto la stessa cosa? Ti conosco abbastanza per dire con sicurezza che ti saresti sacrificato per lui.”
“Sei la voce della mia coscienza...” borbottò John.
“E’ una domanda o un’affermazione?” sorrise Zach, che prima di scendere sotto il gomito sinistro di John, asciugò le due lacrime che gli rigavano il viso “Eravamo proprio qui quando tu mi parlasti di lui per la prima volta: ricordo la tua tristezza, la tua disperazione e il tuo senso di colpa. E ricordo che una delle cose che ti dispiaceva di più era di non essere riuscito a dirgli che... beh lo sai che cosa.” si fermò in tempo, non voleva in alcun modo procurargli imbarazzo “Perciò, il mio consiglio è di non buttare tutto all’aria solo perchè ora sei arrabbiato. Perchè è questo John, sei arrabbiato, ma la rabbia è qualcosa che passa. Dagli un’altra occasione, io non... non credo di aver visto un uomo così disperato all’idea di poter perdere la persona più importante della sua vita.”
“Sembra cambiato...” sussurrò John, guardando sempre verso il basso, imbarazzato.
“Sembra che abbia un disperato bisogno di te.” annuì Zach mentre finiva di incerottare il braccio e l’avambraccio di John nei punti in cui le ferite erano più profonde “E tu sembri aver un disperato bisogno di lui.”
John tirò un lungo sospiro, quindi rialzò lo sguardo su Zach che gli sorrise fiducioso “Grazie, Zach.”
“Ho solo ricambiato il favore.” sorrise il giovane cecchino per poi voltarsi verso l’ingresso dell’infermeria: fece capolino Sherlock, che posò lo sguardo su Zach, in una tacita richiesta a cui il giovane acconsentì. Abbandonò l’infermeria, sorridendo prima a John, quindi al detective accanto al quale passò prima di chiudere la porta dello stanzino, donando ai due la privacy che necessitavano.

Sherlock seguì con lo sguardo la porta che si chiudeva dietro di sè, per poi spostarlo a terra verso il cadavere dell’armadietto che, intuì, aveva subito l’ira di John che in quel momento seguiva i suoi movimenti di sottecchi.
Rimasero qualche minuto in silenzio, studiandosi a vicenda, ad un metro di distanza e quando John capì che sarebbe toccato a lui fare il primo passo, si stupì nel sentire la voce di Sherlock.
“John...” deglutì, avvicinandosi di mezzo metro all’amico sul quale posò lo sguardo, carezzando con gli occhi i numerosi cerotti con cui Zach l’aveva ricoperto: tirò sù col naso, imbarazzato, ma non potè più nascondere le lacrime che gli rigavano il viso “...scusami” singhiozzò, evitando il contatto visivo in quel particolare e delicato momento.
John si sentì colpevole nel vedere Sherlock così indifeso, così provato dalla situazione: lo aveva già visto piangere lacrime finte per le indagini di un caso, aveva potuto intuire quelle sul tetto del Bart’s, ma riconobbe un autentico pentimento, un genuino dispiacere ed un reale affetto in quel pianto che tentava di nascondere. Alzò il braccio destro, quello più vicino a lui, e lo afferò per la maglia tirandolo a sè “Vieni qui, scemo.” John strinse Sherlock con la forza di tutti gli abbracci che non gli aveva mai dato ma che avrebbe voluto dargli dal primo momento in cui capì di volergli bene. Ancora seduto sul lettino, incastrò le gambe sospese tra quelle lunghe di lui, allacciandogli le braccia attorno al collo, abbassandolo un poco verso di sè.
Sherlock quindi, gli avvolse le braccia attorno al torace, abbassando il viso fino a poggiare la fronte nell’incavo tra la spalla e il collo, sul quale singhiozzò invocando il suo perdono disperatamente.
John alzò la mano sinistra sulla nuca di Sherlock, districandosi tra i suoi ricci, provando a dargli conforto “Va bene, Sherlock...” sussurrò con voce bassa e calda, cercando di calmarlo “Fatti vedere, sù...” scostò un poco la spalla, provando a prendere il viso del detective tra le mani.
Sherlock chiuse per un attimo gli occhi quando sentì le mani di John sulle proprie guance, erano calde e un poco ruvide, da soldato, ma non per questo meno piacevoli “Mi sei mancato così tanto.” ammise, per poi imbarazzarsi per quella confessione uscitagli di getto dalle labbra.
“A chi lo dici.” ammise John a sua volta, accorgendosi con piacere che la stretta di Sherlock non era diminuita attorno al proprio torace: girò poi il volto dell’amico di novanta gradi, osservando il risultato del proprio pugno sul volto di lui “Pare che anche io debba scusarmi per qualcosa.”
“Sì.” annuì Sherlock, posando la propria fronte su quella di John “Ma non per il pugno, per essere sparito dalla circolazione in questo modo.”
John esitò qualche istante nel rispondere, non aspettandosi di vedere Sherlock così da vicino: sentì la bocca seccarsi e quasi si dimenticò di essere in Afghanistan “Uh? Ah, beh, almeno una volta nella vita tu e Mycroft dovevate provare la sensazione di non avere tutto sotto controllo. Come ci si sente?”
“Stavo così male che Mycroft s’è sentito in dovere di abbracciarmi. Esperienza agghiacciante.” ammise Sherlock, alzando poi la mano destra fin sopra i capelli di John, carezzandoli ritmicamente, con delicatezza “Non farlo mai più.”
“Tu e Mycroft abbracciati? Come ha fatto a non implodere il mondo?” rise John, rilassandosi poi al massaggio di Sherlock, esprimendo il proprio apprezzamento con un mugolio che non riuscì proprio a non farsi scappare “Sherlock...”
“Mi è mancata la tua voce...” Sherlock schiuse un poco gli occhi, osservando il volto disteso di John che non aveva mai osservato da così vicino: staccò la fronte dalla sua, sfiorandogli il naso con il proprio scoprendo una dolcezza nei modi che non pensava di avere “Mi è mancato tutto di te.” confessò nell’ennesimo sussurro, respirandogli sulle labbra.
John non sapeva più cosa dire: la rabbia era sparita, così come la tristezza, la delusione e i dubbi. Sherlock era vivo, lui era sopravvissuto, di nuovo, all’Afghanistan, quindi si sentiva l’uomo più fortunato del mondo: fu quell’idea a dargli quella leggera spinta che lo portò a posare le proprie labbra su quelle di lui in un bacio dolce, sospirato e per nulla pretenzioso.
Anche Sherlock infatti, premette le proprie labbra su quelle di John, in un bacio che sapeva di sabbia, caffè e sangue, un bacio reale, realistico, vero, nulla di esagerato, un preludio per qualcosa che sarebbe potuto sbocciare come un bellissimo fiore, con eterna pazienza, infinita cura ed immancabile amore.
Quando si staccarono, allontanandosi di qualche centimetro l’uno dall’altro, sorrisero insieme, deliziati ciascuno dall’altrui visione, felici di essersi ritrovati e di poter ricominciare insieme.
Pochi istanti dopo, irruppe Matt nella stanza, seguito tra un trafelato Zach che aveva provato invano a trattenerlo, ma il più giovane dei Mastini era agile anche con una gamba ferita ed era riuscito a fuggire dalla presa del compagno.
“Allora?!” chiese Matt, facendo perno su una delle due stampelle e usando l’altra per indicare John e Sherlock a turno.
“Scusatemi, mi è scappato.” Zach biasimò Matt battendogli due innocenti pugni sulla testa.
“Allora cosa?” domandò John, divertito dalla postura incerta del giovane.
Matt assottigliò lo sguardo sui due “L’hai perdonato?” domandò poi a John, spalancando la bocca quando vide gli occhi di Sherlock lucidi “John! Devi perdonarlo! Lui è sinceramente dispiaciuto!”
“Matt!” Zach provò a richiamarlo all’ordine cercando di tappargli la bocca, ma lui zampettò altrove saltellando sulla gamba buona.
Sherlock e John si guardarono, quindi spostarono l’attenzione su Matt che sembrava seriamente preoccupato per la situazione.
“Se lo perdoni ci congediamo! Entrambi!” propose Matt, come ultima merce di scambio, realmente desideroso di vederli ricongiungere. In fondo, era ancora in debito con John.
Zach si spalmò la mano destra in faccia “Eccolo che riparla a nome di entrambi.”
“Mi ricorda qualcuno...” bisbigliò John, osservando Sherlock che in quel momento fece orecchi da mercante: poi tornò su Matt ed annuì “Va bene, accetto. Se io perdono Sherlock allora vi ritirate entrambi.”
Zach alternò lo sguardo tra John e Sherlock che vide sorridere di sottecchi, quindi intuì il piano di John: si arrese, annuendo appena al medico “Va bene, ci ritireremo entrambi solo se lo perdonerai.” recitò la sua parte, andando poi a guardare Matt: avevano rischiato molto nell’ultima missione, aveva temuto per la vita del suo compagno, quindi accettò di buon grado quella soluzione.
Matt si avvicinò a John e Sherlock, osservando da più vicino il momento fatidico “Sù!”
John annuì seriamente, quindi si voltò verso Sherlock, imponendosi di non ridere, ma quando incrociò il suo sguardo, per la prima volta dopo quello che era appena successo, avrebbe potuto fare di tutto, meno che ridere “Sherlock, ti perdono.” sussurrò allungando la mano destra verso di lui.
Sherlock potè leggere l’emozione trasparire dallo sguardo di John, quindi sorrise avvicinandoglisi fino a prendere la sua mano nella propria “Grazie, John.”
Matt esultò, alternando il proprio sguardo trionfante tra Zach e i due amici ritrovati, verso i quali poi riposò la propria attenzione “Bacio?”
“Ok, basta così.” trasalì Zach che si avvicinò a Matt per caricarselo addosso, sulla spalla destra “Scusatelo, è un completo idiota.” sorrise imbarazzato, indirizzandosi verso l’uscita dell’infermeria.
“Sì, e mi ami per questo!” urlò Matt, totalmente, completamente felice e sprizzante dalla gioia, sprigionando un’allegria che era contagiante e quasi tangibile.
“Andate a parlare col Generale! Vi ordino di congedarvi!” urlò loro dietro John, liberandosi in una risata che quasi lo fece piangere.
“Ehi.” Sherlock provò ad attirare la sua attenzione stringendogli la mano che gli aveva preso poco prima “Anche tu devi andare a parlare con Lightman.”
“Sissignore.” annuì John “Si torna a Londra.”
“Si torna a Baker Street.” precisò Sherlock, per poi sbuffare leggermente “Quanto tempo ci vorrà?”
“Se intanto vuoi precedermi e tornare a Londra già questa sera, io posso raggiung...”
“No. Non ti devo più perdere di vista.” brontolò Sherlock “Avete del the qui?”
“Non siamo mica sulla Luna, certo che abbiamo il the.”
“...’n si sa mai.” Sherlock storse il naso, quindi tirò John, per farlo scendere dal lettino “Me lo fai tu?”
“Come hai fatto a sopravvivere due anni e mezzo senza di me?” scese dalla lettiga, scostando di lato l’armadietto con cui se l’era presa appena un’ora prima.
“Mycroft è pieno di servitori. Se ne sono licenziati una decina nel frattempo.” ammise, uscendo dall’infermeria al fianco di John.
“Poverini, non sapevano a cosa andavano incontro.” ridacchiò John, chiudendo la porta dietro di sè.
“Neanche tu lo sapevi.”
“Ora sì, e nonostante questo ho deciso di tornare.” John confermò la propria scelta, alzando il suo sguardo alla ricerca di quello di Sherlock.
“Meno male che sei un po’ pazzo.” Sherlock si prese una pausa, abbassando gli occhi verso quello di John “Sarei perduto senza di te.” ammise infine, sparendo nel corridoio assieme al suo amico ritrovato.

Era l’ultima sera in Afghanistan: Sherlock e i Mastini infatti, sarebbero rientrati in patria il giorno dopo: John, Matt, Zach, David e Alec congedati con onore, mentre Christopher, Bruce e Logan si sarebbero presi solo qualche mese di vacanza, non potendo in alcun modo vedersi lontani dal campo di battaglia.
John e Sherlock si sdraiarono su una coperta sotto il cielo stellato di Kandahar: erano state giornate fitte di impegni e i due non erano riusciti a passare molto tempo da soli, quindi decisero di rimediare in quel modo, ed inoltre John voleva imprimersi nella memoria il cielo stellato afghano.
Sherlock spiegò a John come era andata con Moriarty e come era riuscito a rintracciare tutti i suoi uomini con l’aiuto di Mycroft; il soldato invece raccontò come era riuscito a nascondere la propria identità tra le carte ufficiali degli arruolamenti in modo da non essere trovato.
Parlarono per molte ore, sdraiati uno affianco all’altro, prendendosi di tanto in tanto qualche minuto di pausa, restando in silenzio, prendendosi la mano, concedendosi pochi gesti di intimità: avrebbero dovuto lavorare molto su quello.
Ad un certo punto Sherlock si mise su un fianco, poggiò il gomito per terra, e poi la guancia sul palmo della propria mano: John si voltò, osservandolo con un sorriso, allungando poi la mano a spostargli un riccio ribelle dalla fronte.
Fu John a rompere il silenzio “Non voglio che cambi qualcosa rispetto a prima. A parte la questione della fiducia, ovviamente.” continuò poi, non sentendosi interrompere “Nel senso che tu avrai i tuoi casi da risolvere, poi nei tuoi momenti di noia mi romperai le scatole come solo tu sai fare, suonerai il violino ad orari improponibili... se potessi evitare le teste nel frigo sarebbe meglio, certo, ma diamine, non saresti più te stesso.” sorrise, inarcando poi le sopracciglia nel vedere Sherlock serio e dubbioso.
“Deve rimanere tutto come prima? Anche noi? Cioè...” Sherlock si prese una pausa, cercando un modo non imbarazzante per dirlo, ma non ne trovò neanche uno “Insomma, hai capito.”
“Ah! No beh, no, ovviamente no. Se anche tu vorrai...” John si interruppe, imbarazzato a sua volta “Nel senso che... come dire... facciamo le cose senza fretta, ok? Io non sono mai stato con un uomo e non so se tu sia mai stato neanche con te stesso quindi...”
“Va bene.” annuì subito Sherlock “Sono felice che anche tu abbia preso in considerazione la cosa. Per un attimo ho temuto che quel bacio in infermeria fosse stato un episodio isolato, ma sono felice di sapere che non sia così.”
John sorrise e stava per rispondere ma Sherlock riprese, imbarazzato.
“Mi sta bene anche andare con calma, perchè insomma, come già sai queste cose non mi vengono molto spontanee... Insomma non sarò mai come quel Matt là che abbraccerebbe anche gli alberi pensando che i rami siano le braccia.” e imitò con le braccia il fare del cecchino, provando anche a parodiarne la mimica facciale.
John rise di fronte a quell’imitazione, quindi annuì, alzando il braccio verso la nuca di Sherlock, strofinandogli addosso qualche carezza “Stai tranquillo, fai quello che viene spontaneo. Farò lo stesso anche io.”
Sherlock chiuse gli occhi, godendosi quelle carezze come un gatto, e proprio come un felino allungò le braccia verso John, ghermendolo come una preda, sdraiandocisi sopra con buona parte del corpo e poggiando la fronte sulla sua guancia “Adesso mi viene spontaneo fare così.”
John sorrise, passando poi il braccio destro sotto il corpo di Sherlock e riunendolo col sinistro sopra la schiena dell’altro: poggiò un leggero bacio sulla fronte di lui prima di sussurrargli “Le cose spontanee sono le migliori.”

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*** Visto che è l'ultimo capitolo ho deciso di scrivere due righe in fondo invece che all'inizio ^^ allora grazie mille a tutte le ragazze che mi hanno seguito e commentato incoraggiandomi ad andare avanti con questa mia prima fan fiction di cui sono sinceramente soddisfatta! Mi sono divertita a scriverla, mi sono diverita a leggere i commenti e questo, come già anticipato a qualcuna di voi, mi ha portato alla decisione di scrivere un seguito a questa storia in cui racconterò il ritorno a Londra e la ripresa della vita insieme dei nostri adorati John e Sherlock! Userò di nuovo anche Matt e Zach (e magari anche david comparserà qua e là) perchè ho notato che oltre a me, sono piaciuti molto anche a voi eheheh! La domanda è la stessa: piaciuto il capitolo? piaciuto com'è finita la storia? piaciuta la riappacificazione(o riappacificamente? boh, me l'hanno fatto notare nei commenti e mi è venuto il dubbio XD)? commentate mie adorate*_* e ancora una volta GRAZIE davvero per avermi seguita :D baciii! ***
   
 
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