Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: Fair_Ophelia    12/04/2012    1 recensioni
Dopo la caduta di Galbatorix, un altro pericolo incombe su Alagaësia e soprattutto su Nasuada: un nemico che silenziosamente stringe intorno a lei la sua rete, separandola dai suoi alleati. Riuscirà a liberarsi dal suo aguzzino e a sciogliere i nodi di questa intricata matassa, alla scoperta del vero essere del Waìse Néiat? Scopritelo con me attraverso un viaggio pieno d'azione e romanticismo... Spero che diate almeno un'occhiatina :)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Rieccomi! E con me il quinto capitolo! Sperando che siate sopravvissuti alle minacce di diabete degli ultimi post, aspetto le vostre recensioni! Attenti all'ultima parte!!! ;)

 

5-FUGA

-Cosa? Un uovo di drago? Com’è possibile?- L’ancella provò a risponderle, ma aveva ancora il respiro ansante. Nasuada passò ad un tono più mite: -Su, vieni nella sala, c’è un po’ d’acqua, ti farà bene.
Le prese un braccio e se lo fece passare intorno alle spalle, poi iniziarono ad arrancare verso il portone di quercia. Lo spalancò con un con un colpo secco della mano e fece sedere la donna su una delle numerose sedie, liberandosi del peso gravoso con uno sbuffo. Prese un calice di vetro e una borraccia dal tavolo, riempì il primo recipiente di gorgogliante acqua e lo prose a Farica. Lei lo vuotò in due lunghi sorsi, poi lo allungò e lei glielo riempì di nuovo. Il suo respiro stava lentamente tornando alla normalità. La regina la osservava con un sopracciglio inarcato: aveva sottovalutato il sacrificio che era costato alla fedele serva correre per il palazzo alla sua ricerca, sebbene dovesse annunciare una notizia tanto importante. Gli anni passano, amica mia... La vide posare una mano sul cuore e sorridere al pensiero che il peggio era passato. Ti stai facendo vecchia. Poi scacciò quel pensiero: prima o poi sarebbe accaduto anche a lei, e una constatazione del genere l’avrebbe mandata su tutte le furie. Il pensiero del furto intanto la irritava e sconfortava;  aspettava con ansia che la donna tornasse in grado di parlare senza boccheggiare. Quando capì che Farica si era ripresa completamente, e aveva alzato il viso verso di lei, si chinò all’altezza dei suoi occhi nocciola inchiodandoli ai suoi di liquirizia: -Ora, dimmi. Cosa sai della scomparsa dell’uovo?
-Stavo passando davanti alla porta della sala delle uova e ho visto le guardie a terra e la porta socchiusa. Ho guardato all’interno e una delle teche in cui si trovavano le uova era vuota! E sono corsa... Da te, signora.
-Le guardie erano morte?
-Non so; quando ho visto che mancava l’uovo, mi ha preso il panico... E avete potuto constatarlo.- D’improvviso tacque, e parve perplessa. –Signora, dove sono le tue...
Un urlo di puro straziante dolore giunse alle loro orecchie, talmente forte che  superò anche le mura spesse e il massiccio legno. Nasuada s’irrigidì, i sensi vigili, atterrita dalla voce improvvisa; poi riprese freddamente il controllo. –Resta qui, Farica; vado a vedere.
Mentre si allontanava a passo svelto nella direzione del suono, il cuore le martellava forte nel petto, come un uomo sotto la pioggia che bussa alla porta di casa per entrare al più presto. Quel grido poteva essere tanto di un servo scivolato a terra quanto di un uomo morente, ma l’abitudine agli orrori della guerra non le faceva presagire nulla di buono; all’improvviso incespicò e rischiò di cadere. Agitò confusamente le braccia e riuscì a non perdere l’equilibrio. Abbassò lo sguardo e vide Occhigialli che si strusciava sulle sue gambe, facendo le fusa; il gatto alzò lo sguardo e la fissò altezzoso.
-Accidenti, ti ci metti anche tu? Spostati, mi rallenti! Per poco non mi hai fatto cadere!
Ma non l’ho fatto. E poi è inutile che ti affretti, se vai nella direzione sbagliata.
Direzione sbagliata... Perché, dove devo andare? Lo sai?

L’animale sbuffò dalle narici con aria di sufficienza. Certo. Seguimi!
Si staccò dalle sue gambe e con agili ed eleganti balzi prese un corridoio laterale.
Aspettami!
Corri e non blaterare!

Se in precedenza aveva cercato di andare veloce ma di mantenere comunque un certo contegno, adesso le era impossibile, o avrebbe perso la sua guida. Iniziò a correre al massimo delle sue possibilità, gli occhi sbarrati dallo sgomento, reggendo l’orlo della gonna con le mani, slittando agli angoli, evitando uomini e donne allibiti per un soffio, mentre cercava di seguire l’indistinta macchia corvina che si districava tra scale, corridoi e sale. Nonostante la corporatura massiccia e l’aria paciosa, il gatto mannaro era davvero scattante; lei invece, con il suo fisico leggermente deperito, iniziò a stancarsi dopo pochissimo tempo. Manteneva ancora il contatto mentale con il felino.
Rallenta! Non riesco a starti dietro!
Non ero io quello che ti ostacolava, prima?

I suoi occhi si ridussero a due fessure mentre le veniva in mente una bella risposta per Occhigialli. Smettila di vantarti della tua velocità. Tutti sanno che i gatti mannari sono più agili.
Corri, o non arriverai in tempo!
Si sentiva che era rimasto punto sul vivo, ma il suo tono era allarmato.
Lei sgranò gli occhi. Non arriverò in tempo per cosa?
Non ricevette risposta, se non un vago senso d’agitazione. Riversò ogni oncia della sua energia nelle gambe e nei piedi per non arrendersi.
Dopo aver svoltato l’ennesimo angolo vide il gatto davanti ad una porta socchiusa. La riconobbe: era la stanza di Angela l’erborista. La camera non era eccessivamente lontana dalla sala del trono, eppure le pareva di aver percorso più strada.
Si avvicinò lentamente alla soglia e sbirciò. Trovò una scena sorprendente: al centro della stanza c’erano l’erborista, Solembum e due donne sconosciute, seduti intorno ad un draghetto blu scuro, quasi nero.
Era magnifico, di una bellezza oscura, profonda e attraente: le zanne e gli artigli candidi riflettevano la luce delle finestre, in netto contrasto con il resto del corpo; le ali erano ripiegate suoi lati e oscuravano in parte le meravigliose squame del colore del cielo notturno; il suo muso tenero si scontrava con il mistero degli occhi scuri e luminosi, quasi liquidi, dello stesso colore del corpo, ed era proteso verso una delle straniere. Spostò lo sguardo su di lei: era una ragazza all’incirca della sua stessa età, che indossava una rozza tunica marrone. La veste le lasciava scoperti gli avambracci muscolosi e quella caratteristica la sorprese: doveva essere abituata a lavori ben più pesanti del consueto zappare la terra per avere muscoli così sviluppati. Gli occhi grigi le conferivano un’aria dura, seria; i capelli, chiari come quelli degli elfi, e ricci erano tenuti indietro da un fazzoletto nero legato dietro la nuca. Aveva un’espressione appena sofferente; Nasuada abbassò lo sguardo e notò una macchia argentea che riluceva sul palmo della sua mano destra. Non ci posso credere! Ecco il perché dell’urlo! Ancora sbigottita, spostò di nuovo lo sguardo.
Accanto al Cavaliere c’era una donna vestita con la stessa tunica della ragazza, che la scrutava preoccupata. Era robusta e di spalle larghe. Il viso abbronzato era percorso da numerose rughe, più scavate ai lati della bocca, ma che le conferivano una bellezza particolare. I capelli erano corvini  come i suoi. Anche le sue braccia, come quelle della ragazza, erano scoperte e mettevano in mostra polsi ricoperti da ferite e tagli che da poco avevano iniziato a risanarsi. Anche questo dettaglio stupì la regina: logorarsi le braccia fino all’osso non era impresa da molti.
Angela, al suo fianco, mormorava parole nell’Antica lingua, le mani alzate, le dita contratte come rami di un albero secco, i ricci neri scompigliati che le incorniciavano il viso, le iridi che si muovevano a scatti dietro le palpebre abbassate. Solembum la guardava assorto.
Dopo il primo momento di incredulità, si riprese ed esclamò: -Che succede?
Tutti trasalirono e si girarono verso di lei, tranne Angela, che continuò a borbottare formule arcane. L’atmosfera era agghiacciante.
All’improvviso al centro della stanza comparve un ovale luminoso grande come uno specchio per la cristallomanzia. La superficie era liscia e bianca, i bordi appena tremolanti. L’indovina scattò in piedi, mise il draghetto in braccio al Cavaliere e latrò: -Entra! Svelta!- Anche le straniere si erano alzate, e la più anziana spingeva l’altra verso la fonte di luce. La ragazza era confusa e spaventata, si stringeva il drago al petto e puntava i piedi, cosciente solo del tesoro che aveva tra le braccia. Poi, spinta dalle esortazioni, mosse titubante verso l’ovale. Nasuada entrò nella stanza ma prima che potesse impedirlo i due erano scomparsi nella superficie candida, che iniziò a restringersi gradualmente con sprazzi di luce lungo il bordo, portando via ogni traccia della coppia. Dopo qualche secondo scomparve del tutto. Si girò verso Angela: aveva un’aria esausta ed era in un bagno di sudore. Le si avvicinò e la prese per le spalle.
-Cos’hai fatto? Dove sono la ragazza e il drago? Sei stata tu a prendere l’uovo?
-Sì, sono stata io! Siamo state noi.- La regina si voltò verso l’anziana donna, che si era avvicinata in silenzio.
-Perché?
-Non volevamo che te ne accorgessi.
-Ma perché? Perché avete fatto tutto di nascosto? Perché non volevate che lo sapessi?
Angela sospirò. –Sentivo che una delle uova era destinata a Occhi di Lupo.- Lei inarcò un sopracciglio. –La ragazza. Siamo entrate nella sala –neutralizzare le guardi e è stata una bazzecola- e Solembum ha sentito che quello era l’uovo che cercavamo.
-I gatti mannari non hanno di questi poteri!
-Effettivamente è stato un semplice colpo di fortuna, uno dei rari istinti che a volte mostrano le razze senzienti.
Solembum soffiò irritato. Ora il suo sguardo guizzava da lui, all’erborista, alla straniera, febbricitante. Si sentì girare la testa e lasciò la presa ferrea sulle spalle scarne dell’indovina.
-E poi... Il resto lo sai- continuò. –L’uovo si è schiuso per lei e l’ho lasciata fuggire.
-Non hai ancora risposto alla mia domanda. Perché?- Il malore persisteva. Lo sai perché... Ancora quella frase!
-Perché volevo che fosse libera.- Era stata l’anziana a parlare. Il suo tono la colpì: aveva un accento particolare, che le ricordava quello della sua tribù, originaria del Deserto di Hadarac, una pronuncia che lei aveva perso quasi totalmente.
La risposta l’aveva confusa. –Libera...
-E io l’ho aiutata- riprese Angela.
-Ma libera da cosa?
-Da te. Ne avresti fatto ciò che volevi, l’avresti resa una tua serva!- le rispose la straniera con odio.
-Cosa? Angela, come hai potuto aiutarla? Pensavi davvero che avrei fatto ciò?
-Lei mi ha chiesto di farlo e io ho obbedito. Non ho avuto il tempo di pensarci.
-Hai avuto il tempo di pianificare il furto e non di riflettere se ciò fosse giusto o sbagliato?
-Neanche io volevo che subisse la tua influenza!
-Ma non l’avrei mai resa una marionetta al mio servizio! Doveva essere istruita da Eragon...
-Certo, le avrebbe insegnato ad essere solo una messaggera ai vostri ordini!- la attaccò di nuovo l’altra.
-Non lo faremmo mai! Non siamo forse persone di fiducia? Non facciamo tutto in buona fede? Io mi sono fatta torturare da Galbatorix, mi sono tagliata le braccia con le mie stesse mani per assicurare un futuro ai Varden e ai prigionieri dell’Impero!- Si strappò le maniche e mostrò alla sconosciuta le cicatrici della Prova dei Lunghi Coltelli. –Mai sentito parlare di queste, donna? Non è vanagloria se dico che ho fatto qualcosa per il mio popolo e non mi ridurrei mai a certe meschinità! Eragon ha lasciato la sua patria, la famiglia, gli amici per poter istruire i Cavalieri lontano da influenze politiche! Io ho costruito solide alleanze e anche il più sperduto contadino sulle rive del lago Tüdosten è a conoscenza delle più piccole clausole dei patti statali, perché non mi si possa accusare di macchinare alle spalle degli altri! E lo faccio con piacere, come l’ho sempre fatto! E ora voi mi accusate di essere un’egoista dalla doppia faccia!- Nonostante il malessere, l’accusa l’aveva fatta adirare tanto profondamente che si era accalorata... Forse anche in troppo. Ma il sermone aveva sortito l’effetto sperato.
-Oh, va bene. Se ci tieni. Cantalama, cosa ne pensi?
-Eh... Va bene. Accetto di far istruire Occhi di Lupo dal Cavaliere Eragon, ma se mi accorgerò che i suoi principi vanno contro i miei, non esiterò a rivendicare la mia facoltà di farla tornare da me. Nasuada avrebbe voluto ribattere che il Cavaliere era abbastanza grande da decidere da sola per il proprio futuro e che avrebbe comunque subito un cambiamento della personalità, ma si trattenne. –D’accordo.- Improvvisamente si sentì mancare; gli occhi le si chiusero, le gambe tremarono.. –Oh, no! Un’altra volta! Ma tu non fai che svenire!- sbottò Angela, spalancando le braccia. Nasuada corrugò la fronte e riaprì gli occhi. –Io non... Sverrò- sibilò tra i denti. –E di certo non per far piacere a te.- Si sforzò di esibire un sorriso di scherno, ma la sua fu più una smorfia perversa. Cantalama le venne incontro e le posò una mano sulla fronte. Le dita erano gelide contro la sua pelle in fiamme. –Ha la febbre alta. Veggente, falla sdraiare sul tuo letto.
-Sul mio letto? Neanche per sogno! Me lo occuperebbe per giorni, dovrei badare a lei e dormire per terra! Non ci penso nemmeno!
-Se è per questo dovrai badare a me ovunque io sia- ribatté. –E comunque sì, hai ragione, occupare la tua stanza sarebbe i... Ah!... Ingiusto...- Appoggiò una mano al muro e con l’altra si massaggiò le tempie; dopo un momento di smarrimento si scostò dalla parete e si diresse lentamente verso la sua camera, seguita a ruota da Angela, Solembum e Cantalama. Quando arrivò si sedette a peso morto sul letto; la testa le scoppiava. Trasse lunghi respiri e a mano a mano che l’aria entrava e usciva dai polmoni, attraversano la gola gonfia, iniziò a sentirsi meglio. Mi sono raffreddata! Poi le vene una domanda spontanea: -Dove avete mandato Occhi di Lupo?
-Tra la Du Weldenvarden e il Deserto di Hadarac, nei pressi di Kirtan- rispose Angela prontamente.
Così lontano! –E perché da quelle parti?
-Non posso dirti tutto! Non rimarrebbe in me un briciolo di mistero! Come sorprenderti se ti rivelassi ogni mio trucco?- si sfogò la sua interlocutrice. Sperduta in quelle pianure! Ma che bella trovata! Come la ritroveremo? Non sapeva cosa pensare.
Poi le venne un’idea. –Angela, prendi quello specchio sul tavolo.- L’indovina le porse l’oggetto richiesto, un’opera nanesca dalla squisita cornice d’argento lavorato a sbalzo.
-E ora... Mettimi in contatto con Arya, per piacere.- La donna borbottò poche parole e la superficie riflettente s’illuminò. Comparve un vetusto ma solido pino i cui rami lussureggiati facevano quasi da cornice interna a quella di metallo e, più in basso, la regina degli elfi. Dietro di lei si stagliava la mole smeraldina di Fìrnen: Arya era intenta a slacciare la cinghie della sella. Quando si accorse della sua presenza, si girò e si salutarono con le consuete formule.
-Che piacere vederti! A cosa devo il tuo desiderio di vedermi?- Gli occhi verdi la scrutarono per un istante. –Hai una pessima cera.
-Un po’ d’influenza, direi. Nulla che non possa passate tra qualche ora.
-Non credo affatto. Scusami la mia osservazione, ma da più di un anno a questa parte la tua costituzione ha subito dei peggioramenti e non mi stupisce che un malanno abbia fatto breccia nelle tue difese. Dovresti avere più cura di te stessa.
Fosse facile, pensò lei; però sapeva che lo diceva per il suo bene. Le sorrise. –Lo farò. Ora, però, devo parlarti di questioni più urgenti della mia salute.
-Sono tutt’orecchi.-  Fìrnen abbassò l’enorme capo e lo portò all’altezza dello specchio. Salutò anche lui, poi con poche parole spiegò ai due l’accaduto e concluse: -Ricordi quando dicevamo che sareste andati da Eragon quando si fosse schiuso il primo uovo? Se riusciste a rintracciare Occhi di Lupo, potreste poi partire per est, per completare l’addestramento.
-Mi sembra un’ottima idea. Ma non si può divinare il Cavaliere? Questo velocizzerebbe le nostre ricerche.
-È protetta con un incantesimo dalla divinazione- le rispose Angela fredda.
L’elfa non mostrò segni di irritazione. –Capisco. Allora ci vorrà più tempo. Ma ti prometto, Nasuada, che troverò lei e il suo drago, e in seguito andremo tutti e quattro da Eragon.
-Grazie, Arya. Quando partirai?
-Sistemerò degli affari interni e... Domani mattina inizierà la caccia.- Sorrise incantevolmente. –Sarà difficile ma divertente... Una prova, in poche parole. E io e Fìrnen non vedevamo l’ora di andare a trovare Eragon e Saphira.- Fìrnen manifestò la sua approvazione con un leggero mugolio. Anche Nasuada sorrise: si era sempre accorta che tra l’elfa e il Cavaliere c’era un rapporto molto solido, a dir poco particolare, per non parlare di quello tra il drago verde e la dragonessa azzurra. Si scambiarono poche battute, poi si salutarono a malincuore.
-Avanti- Fece Nasuada.
-Ma nessuno ha bus...- obiettò Cantalama, ma dovette ricredersi quando entrarono Farica e  dodici guardie vestite di tutto punto. –Invece sì, quando era in atto la conversazione- le spiegò stancamente. Poi tirò un sospiro e alzò gli occhi al soffitto. –Farica, era questo che volevi dirmi quando sono uscita dalla sala del trono?
-Sì, signora. Non devi mai stare senza i Falchineri.
-E poi dicono che sono io che comando...
 

Murtagh dormiva nella sua capanna, e fantasmagoriche follie si erano impossessate del suo sonno.
Sognò Galbatorix in groppa alla carcassa di Shruikan, un mostro spettrale a metà tra il nero e il bruciaticcio che non aveva iridi. Lo sfondo rosso vorticava alternandosi col nero. Vide il braccio destro del re duplicarsi a partire dalla spalla, estrarre un pugnale dalla cintura e affondarselo nel petto. Dalla ferita uscì un fiume di inchiostro,  mentre dalla bocca colava sangue e gli occhi lasciarono posto a due orbite vuote. La pelle sbiancò, i capelli divennero rossi, di rame: era diventato uno Spettro. La visuale si offuscò, le figure divennero chiazze sbiadite di carminio e tutte le sfumature della cenere, i contorni e i dettagli ormai solo un ricordo impossibile da cancellare. Quando tornò a vedere immagini particolareggiate, Shruikan e Galbatorix erano stati sostituiti da un esercito di nani che marciava verso di lui ma non avanzava. Alla testa c’era uno scheletro con un mantello purpureo bordato d’ermellino, la barba intrecciata, un elmo dorato tempestato di gemme e un martello da guerra in mano. Voleva il suo sangue. Rothgar. Un vortice  risucchiò lo schieramento, e con esso la sua disperata petizione di vendetta. Al suo posto apparvero Oromis e Glaedr: il Cavaliere si trovava nella bocca del suo drago, e questo ruggiva, chiudeva le fauci, le apriva, ruggiva, le richiudeva, lasciando che il corpo dell’elfo si tingesse di impossibile e quindi orrido sangue verde e oro, e i suoi lineamenti si deformassero e sfigurassero sotto l’azione deleteria delle temibili zanne. Il drago si muoveva con movimenti sempre identici, come un automa; Oromis era ormai diventato un misto di ossa e carni maciullate. Solo il viso si distingueva, ma aveva cambiato aspetto: era quello di Eragon, ma con i capelli di Morzan. Anche quell’orrida visuale scomparve come se si fosse spenta una candela e la luce avesse deciso di abbandonare il mondo. Dopo una frazione di secondo apparvero Orrin e Nasuada: il primo cercava di baciare la ragazza, un sorriso sadico immutabile stampato sul volto, e lei si ribellava disperatamente, con gli occhi colmi di lacrime e la bocca aperta in un muto grido di angoscia e aiuto. Più volte il re riuscì ad arrivare alle sue labbra, e più spesso vi riusciva, più lei diventava remissiva, finché non si arrese e anziché opporsi iniziò a rispondere ai suoi baci con trasporto. Lui era lì, a pochi passi da loro, e non poteva fare nulla.
Un ruggito lo destò dal macabro incubo: era Castigo che si dimenava impazzito fuori dalla catapecchia. Il ricordo della prima volta in cui il drago era entrato in quello stato assalì il Cavaliere: pochi mesi dopo essere nato era stato colto da un attacco di isteria che aveva portato alla morte tre servi. L’episodio si era ripetuto anche un’altra volta, appena dopo la conquista di Gil’ead. Era una, la più terribile, delle conseguenze della schiavitù forzata.
Troncò il legame con il drago per non subirne l’influenza e si precipitò all’esterno. L’aria gelida della notte gli gelò le gocce di sudore lungo la schiena, le braccia e la busto esposti al vento freddo; non aveva avuto neanche il buonsenso di mettersi qualcosa addosso, tanta era la preoccupazione per lo stato del suo compagno per la vita. Lo vide rotolarsi a terra, ruggire dolore allo stato puro, mentre i demoni non gli lasciavano la mente e Galbatorix continuava a farlo soffrire; le fiammate bruciavano l’erba circostante, ma fortunatamente erano lontane dalle capanne. Murtagh spense i piccoli incendi e continuò ad osservare frustrato Castigo che si dimenava in preda a quei sogni atroci che avevano intrappolato anche lui. Nonostante tutto quel tempo, nonostante tutti i loro sforzi non avevano fatto niente. Erano ancora schiavi del re oscuro. Cosa dobbiamo fare per liberarci di lui?

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: Fair_Ophelia