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Autore: HighByTheBeach    15/04/2012    2 recensioni
Dunque, innanzitutto mi rifiuto di sentire che Skins sia finito u.u Per cui ho deciso di creare io stesso una quarta generazione, so che non potrò minimamente e/o lontanamente paragonarmi a quelle vere, ma avevo troppa voglia di scriverla, e troppe idee in testa, per cui ho deciso di farlo. Come nel telefilm, ogni capitolo (a parte il primo) seguirà le vicende dal punto di vista di un personaggio... Che dire, se vi ho interessati almeno un pochino, aprite!
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Keith

Il sole mattutino di Bristol, si faceva spazio attraverso le fessure degli infissi della finestra, colpendo direttamente il letto sfatto, e vuoto. Mi ero già alzato. Ero in bagno e, prima di indossare la felpa che avevo scelto di indossare quel giorno, mi guardavo allo specchio. Ma non per vanità, no. Io non mi guardavo allo specchio con compiacenza, bensì con ira, disgusto quasi. Ogni volta che passavo davanti ad uno specchio o ad una vetrina provavo un senso di disagio, soprattutto in pubblico. Strinsi con forza il pugno, che poi abbattei sulla mia immagine riflessa. Avrei voluto colpire quel vetro con più forza, avrei voluto distruggere quello specchio, e con esso mandare in frantumi anche la mia immagine riflessa. Ma sapevo che ogni piccolo frammento avrebbe seguitato a riflettermi, senza pietà alcuna. Gli specchi mostrano la verità, senza mezze misure, purtroppo.

 

Ad un certo punto sentii qualcuno sbattere forte i pugni alla porta:

- Keith!! Ti sei addormentato lì dentro?! Muoviti, mi serve il bagno, cazzo!- urlò Christine.

Sbuffai, indossai velocemente la felpa, mi sistemai i capelli come potevo ed uscii, ignorando le imprecazioni di mia sorella. Odiavo quando lei e mia madre parlavano di prima mattina, era una sensazione insopportabile. Mi chiedevo dove trovassero quella forza.

 

/---/

 

Al Roundview le prime ore erano trascorse lente e noiose, come al solito. In quell’istituto non sembrava esserci alcun insegnante sano mentalmente.  Io me ne stavo seduto su uno dei divani della sala principale del college, con un’auricolare in un orecchio, che trasmetteva le note di “Lonely Day” dei System of a Down. Affianco a me c’erano Shawn e Christine, mentre di fronte a noi c’erano Rose, Demy ed Emma. Rose si schiarì la voce, tentando di attirare l’attenzione anche di Christine e Shawn, impegnati nell’ennesima pomiciata del giorno…

- Stasera do la festa di inizio anno, tanto ho casa libera, e siete tutti invitati… -

- Ovviamente – sottolineò Christine, interrompendo quello che si stava per tramutare in un film porno – Non potrei mai mancare io, no? –

- Ehm… certo… - rispose la sua migliore amica.

- Siamo invitati anche noi? – la voce maschile che pronunciò tale frase non era di nessuno di noi. Tutti si voltarono verso  la loro destra, vedendo Luke, seguito come sempre da Robbie. Rose arrossì immediatamente

- Certo! – disse la ragazza.

- Ehm, intendi portarti anche quello sfigato? – chiese Christine, riferendosi a Robbie.

Quest’ultimo, in effetti, non passava proprio inosservato. Aveva uno stile del tutto particolare: indossava dei jeans, tenuti su da due bretelle gialle, ed una polo arancione. Discordanza totale tra i colori, peccato gravissimo per la ragazza dai capelli rossi.

- E tu intendi farti tutti gli invitati? – rispose prontamente Robbie, rivolto alla ragazza, che si alzò immediatamente. Avvicinò, irata, il suo volto a quello del ragazza, ma i due vennero divisi da Luke.

Io, che per tutto il tempo non aveva proferito parola, osservando annoiato la scena, notavo come a Shawn non potesse fregarsene di meno. Per un istante lo odiai. Cazzo, era il ragazzo di mia sorella, e non la difendeva neppure nei litigi. Ma questo era il minore dei mali in realtà, considerando gli scheletri nell’armadio del biondo. Quest’ultimo, per un attimo, si rivolse nella mia direzioni, fissandomi. I nostri occhi si incrociarono per un attimo, e io scossi la testa, alzandomi.

- Dove vai? – mi chiese Christine, con voce leggermente acida.

- A farmi un giro, ho finito le lezioni – risposi, cercando di essere più pacato possibile. Volevo davvero bene a mia sorella, nonostante tutto, ma spesso sentivo il forte desiderio di strangolarla. Era davvero complicato a volte sopportare le sue opprimenti attenzioni.

 

Camminavo per le strade di Bristol senza una meta precisa, non avevo ancora voglia di tornare a casa. Me ne andai al parco, recandomi in un posto solitario. Era un punto del parco poco visitato, e mi ci recavo spesso quando avevo bisogno di solitudine. Estrassi dalla tasca della giacca una canna, arrotolata in precedenza. Estrassi anche l’accendino, con il quale la accesi, per poi riporlo di nuovo in tasca. Aspirai il fumo, per poi buttarlo via. Socchiusi gli occhi, beandomi per un istante di quella sensazione.

- Guarda chi si vede! –

Sussultai, riconoscendo quella voce familiare. Mi voltai, e:

- Demy, che ci fai qui? Mi hai seguito? – Era strano che la ragazza di colore fosse arrivata nello stesso posto in cui ero io, per pura coincidenza.

- Sarò sincera… Si, ti ho seguito – rispose Demetra, ridacchiando, mentre si sedeva alla mia destra.

- Come mai? – chiesi, mentre eseguivo un altro tiro alla canna.

- Perché io capisco le persone, Keith. So leggere tra le righe. –

- Per questo sei venuta da me il primo giorno? Ti facevo pena? – chiesi, ironizzando.

- Mm, forse! – rispose la ragazza, ridacchiando – Comunque sembra che qualcosa ti turbi… Cos’è? –

- Oh, essere il fratello di Christine non è una cosa facile – dissi ridendo

- E’ solo quello?

A questa domanda non risposi. Non ero solito ad aprirmi, e non lo avrei fatto certamente in quel momento, pur considerando Demetra un’ottima persona e, perché no, una buona amica. Tutto sommato, la ragazza sembrò capire, e infatti non insistette, come spesso facevano gli altri. Odiavo le persone invadenti.

- Senti, ti va di venire a casa mia? – propose lei ad un tratto.

Ci pensai un istante, indeciso. Me la sentivo? In genere non declinavo quel genere di inviti, ma la conoscevo da poco, e avevo mille timori.

- Oh, andiamo! – aggiunse lei, per poi alzarsi e tirarmi con se per un braccio.

A quanto pare aveva deciso lei per me, mandando all’aria ogni mia ipotetica protesta. E, come se non bastasse, mi era caduta la canna. Quando si dice sfiga.

 

/---/

 

Eravamo di fronte al portico della casa di Demy, una graziosa villetta di periferia. La ragazza bussò al campanello, e dopo pochi secondi vedemmo una donna, anch’ella di colore, venire ad aprire la porta. Aveva i lunghi capelli neri raccolti in una coda, ed indossava un camice da cucina.

- Ciao mamma, lui è Keith, un mio amico – disse la ragazza.

- Oh, piacere Keith! Demetra, oggi Emma non viene? – la donna sembrava affabile, ma sull’ultima parte della frase aveva assunto un’aria stranamente seria. Perché si preoccupava così per Emma?

- No, sua madre l’ha chiamata per… Dei problemi – rispose Demy a sua madre. Quest’ultima non rispose, ma aveva tutta l’aria di una che ha capito cosa la sua interlocutrice volesse farle capire. Preferii non fare domande, non volevo sembrare indiscreto. Mi limitai a seguire Demetra lungo le scale che portavano al piano superiore, per poi entrare nella sua stanza.

- Devo farti vedere assolutamente una cosa! – esclamò la ragazza, stranamente euforica. Io inarcai un sopracciglio, curioso di scoprire cosa volesse mostrarmi con tanta enfasi.

Demy prese il suo portatile e lo aprì, accendendolo. Andò nella cartella video, e ne aprì uno. Quel video ritraeva lei, su una specie di palco in legno. Doveva essere in un teatro, o una cosa simile. Davanti a lei era posizionato un microfono. Ancora non riuscivo a capire qualcosa, e appena tentai di aprir bocca, Demetra mi zittì. Ad un certo punto partì una musica, una musica che era familiare.

 

 

Share my life, take me for what I am

‘Cause I’ll never change all my colours for you

Take my love, I’ll never ask for too much

Just all that you are and everything that you do…

 

 

Queste furono le parole che fuoriuscirono dalla bocca di Demetra, nel video. Demetra stava cantando “I have nothing”, di Whitney Houston. Rimasi a bocca aperta. Non mi sarei mai aspettato che Demy cantasse e, soprattutto, che avesse quella voce. Possedeva un diaframma che in poche hanno, una voce di cui solo una donna di colore può essere padrona. Cantava quella canzone in modo sublime. Durante tutta la durata del video, nessuno dei due parlò. Personalmente non avrei mai interrotto l’ascolto di quel canto soave.

Quando l’esibizione fu finita. Demetra chiuse il computer

- Tu sei una cantante! – esclamai stupito.

- Già, ci provo – disse lei, sorridendo.

 

Mi sedetti sul suo letto, sospirando. Non mi sarei aspettato nulla del genere, è proprio vero. Le persone hanno sempre sorprese in serbo. Demetra si sedette accanto a me. In quel momento avrei dovuto dirle quanto fosse brava, ma era inutile. Entrambi sapevamo che erano inutili le parole.

 

Dopo un istante di silenzio mi voltai verso la mia nuova amica, e i nostri occhi si incrociarono. Lei non disse nulla. Fu questione di un istante. Avvicinò le sue labbra alle mie, lasciando che aderissero. Rimasi smarrito per un attimo, non aspettandomi una mossa del genere. Dopo quel momento di smarrimento, riuscii ad allontanarla delicatamente. La ragazza mi guardò stranita. No, non doveva succedere questo… Perché?

- Senti Demy, io non… -

- No, non devi spiegarti, sono una scema io! Mi sono lasciata prendere, e allora, cioè, si insomma, cioè, cazzo! Io non volevo, cioè so di non piacerti, è che… -

- Demy, io sono gay –

La mia interlocutrice si bloccò immediatamente. Provò a dire qualcosa, ma non trovò le parole. E lo stesso valeva per me. Cioè, avevo appena dichiarato la mia omosessualità a lei? Per un attimo temetti addirittura che mi avrebbe cacciato di casa. Ma così non fu, almeno in quel momento. Dopo un attimo di shock iniziale, la ragazza scoppiò in una fragorosa risata. Rise, rise per interminabili minuti. Mi chiedevo davvero cosa ci fosse di così divertente in tutto ciò. Quando riuscì a calmarsi un pochino, riuscì a parlare

- Cristo, io ho un amico gay!! – disse cercando (inutilmente) di contenersi. All’improvviso iniziò a saltare per la stanza, in preda all’euforia. Io la guardavo perplesso, era davvero così eccitante quella notizia?

- Ok, devo calmarmi – disse, risiedendosi – Chi altro lo sa? –

- Nessuno, nemmeno Christine, e così deve restare. Non so nemmeno perché te l’abbia detto… -

- Tranquillo, sarò muta. Oddio, sono eccitatissima!  Cioè, chi non vorrebbe avere un amico gay?!? –

Demetra sembrava parlare più a se stessa che a me. Io, dal canto mio, preferii non smontarle l’entusiasmo. Di sicuro, se avessi parlato, avrei razionalizzato il tutto, rendendolo piatto. Per cui me ne stetti in silenzio, sorridendo leggermente.

 

/---/

 

L’acqua era caldissima. Appoggiato al muro, lasciavo che l’acqua della doccia si abbattesse su di me, lasciando che quel calore mi avvolgesse completamente, in modo tale che mi annebbiasse la mente, inibendo qualsiasi pensiero.

Dopo un po’ uscii finalmente dalla doccia, per poi indossare l’accappatoio. Mi diressi in camera, lasciando che qualche goccia d’acqua, proveniente dal mio volto bagnato, scivolasse sul pavimento. Chiusi la porta alle mie spalle, e mi liberai dell’accappatoio, dinnanzi allo specchio. Mi guardai di nuovo. Si, perché ero masochista. Volevo farmi del male. In realtà, nel profondo, la mia speranza era che, mentre mi guardavo, qualcosa mi dicesse che mi sbagliavo. Qualcosa che mi dicesse che non ero sbagliato, che non facevo schifo. Ma ogni volta, le mie speranze si rivelavano vane, inutili. E faceva sempre più male. Non riuscivo a sopportare tutto ciò. Scossi la testa, per poi gettare l’accappatoio sullo specchio, coprendone l’immagine. Dovevo andare alla festa organizzata da Rose. E già mi sentivo uno schifo all’idea di dover farmi vedere da decine e decine di persone. Dio solo sa le cose che  avrebbero pensato di me. Indossai dei semplici jeans, una maglia scura, delle scarpe da ginnastica ed un giubbotto in jeans. Anonimo. Questa era la mia parola chiave. Volevo passare inosservato quella sera, come ad ogni occasione simile. Non appena fui pronto uscii dalla mia camera. Avrei dovuto attendere Christine, per cui c’era tempo.

Ad un certo punto sentii un rumore di tacchi scendere le scale, e capii che non poteva che essere lei. Non appena la vidi sorrisi. Era bellissima, ma al contempo fintissima. Aveva indossato dei leggins di pelle lucida, con degli stivali col tacco. Poi aveva messo una maglia color oro, larga, che le lasciava una spalla scoperta. Aveva una borsetta, che spacciava per Gucci. In realtà, per strada, mi avrebbe riempito la testa sui suoi vestiti firmati. Maglietta della Dior, borsetta gucci, stivali diosacosa, ecc ecc. Ecco perché era finta. Nessuno di quegli indumenti era originale, erano vestiti comprati probabilmente al mercato. La nostra famiglia guadagnava pochissimo, nostro padre era andato in pensione troppo presto. Mai e poi mai nostra madre avrebbe speso tanti soldi. E tutto ciò a Christine non andava bene. Per lei apparire era fondamentale. Ed era ovvio che non c’era altro modo, se non quello di fingere.

Eravamo davvero uno l’opposto dell’altra.

Io avevo scelto di essere me stesso, di rappresentare la verità. Lei era solo effimera apparenza e finzione. Io la verità, lei la menzogna.

Soltanto io, però, riuscivo a capirla. Sapevo che, dietro quella maschera, c’era una ragazza fragile, e con la paura della solitudine.

 

- Allora, andiamo? – esordì.

- Certo! – risposi.

 

/---/

Eravamo di fronte alla casa di Rose, casa Perkson. Si poteva udire già da quella posizione la musica rimbombante proveniente dall’interno. La casa, sul retro, aveva un enorme giardino, con tanto di piscina. La famiglia di Rose era davvero benestante, e potevano permettersi questo ed altro. E si, lo ammetto, provavo invidia per questo. L’invidia, uno dei sette peccati capitali, uno dei peggiori. Star male per il benessere altrui, ero davvero una cattiva persona.

 

All’interno della casa, la musica trapanava i timpani. C’era gente ovunque. Sui divani, nelle stanze, sulle scale. Chi fumava, chi beveva, chi faceva sesso. Ad un certo punto vedemmo, in lontananza, Shawn. Mia sorella sorrise, e gli corse incontro. Il suo fidanzato, in realtà, la baciò con ben poca enfasi. Christine lo amava, ne ero certo. Ma ero certo anche che Shawn stesse con lei solo per il sesso. Anche se ultimamente non ero sicuro nemmeno di mia sorella, visto che nei giorni precedenti si era comportata in modo strano con Rose, da quando quest’ultima era chiaramente vittima delle attenzioni di Luke.

Mentre Chris e Shawn erano impegnati nelle loro cose, io uscii nel grande giardino retrostante. In lontananza Rose mi vide, e tutta sorridente mi fece cenno di raggiungerla, e così feci. Con lei c’erano anche Emma e Demetra. Quest’ultima mi guardò, sorridente, un sorriso che ricambiai.

Emma, invece, sembrava particolarmente giù di morale. Sembrava… fredda. Ed era strano. Emma era una ragazza vivace, sempre allegra. Mi domandai se avesse a che vedere con lo strano tono usato quel giorno dalla madre di Demetra.

Notai Rose che continuava a guardarsi freneticamente intorno.

- Che hai? – le chiesi.

- Niente, è che manca qualcuno… - capii al volo. Ovviamente era in attesa dell’arrivo di Luke.

Prima che potessi rispondere, sentii il cellulare vibrare nella tasca. Lo presi, e vidi che era arrivato un sms. Lo aprii, ed il mittente era anonimo. Il messaggio recitava: “ Camera da letto “. Rimasi interdetto. Pensai che sicuramente qualcuno aveva sbagliato, eppure avevo un dubbio che, come un serpente, strisciava nella mia mente. Non sapevo chi avesse potuto mandarmi un messaggio simile, ma l’istinto mi diceva di raggiungere quel luogo. La camera da letto. Ad un certo punto poi presi coraggio

- Ehm, io vado in bagno… - dissi, congedandomi.

Non sentii nemmeno le risposte delle ragazze, che mi recai all’interno. Salii velocemente le scale, evitando coppiette varie, e addentrandomi in qualche addensamento di fumo.

Ero sul corridoio che dava alle varie camere, mi chiedevo quale fosse quella giusta. Iniziai a sbirciare in ognuna di esse, ma erano tutte occupate da sesso sfrenato. Ce n’era una sola, soltanto una, vuota. Era quella in fondo. Dalla fessura aperta vidi che non c’era nessuno. Aprii piano la porta, e vi entrai. Avevo una sensazione strana. Ad un certo punto sentii la porta sbattersi alle mie spalle.

- Avevi capito quindi! –

 

Riconoscerei quella voce tra mille. Sospirai.

- Sai, Shawn, avevo il sentore che potessi essere tu. Che vuoi? – dissi, voltandomi verso il mio caro “cognato”.

- Non devi essere così duro, non lo eri quest’estate. – disse lui

- Senti, quello che è successo quest’estate è stato uno sbaglio. Tu eri ubriaco, io confuso. Tu stai con mia sorella, lei ti ama. –

- No, tua sorella non mi ama. E a me non importa più nulla di lei, non dopo ciò che è accaduto mesi fa. Ed ero lucido.–

- Dio Shawn, sembri uno di quei coglioni da telefilm americani. Non c’è stato proprio nulla, un fottuto bacio. –

Shawn si avvicinò pericolosamente, avvicinando il suo volto al mio.

- Beh, se fosse stato per me, avremmo potuto tranquillamente continuare. E sono certo che anche tu non disdegni, anzi. So come mi guardi. –

- Pf, la convinzione ti fotte. Pensi davvero che farei qualcosa con te? –

- Altrimenti perché saresti qui? – Già, me lo chiedevo anche io. Feci qualche passo indietro, quella vicinanza mi turbava fin troppo. Peccato che, come i penosi clichè insegnano, dietro di me ci fosse il letto, sul quale  andai a sbattere, e di conseguenza mi ci sedetti. E, come se non bastasse, Shawn accorciò nuovamente le distanze.

- Vattene, Shawn Jackson – ordinai. Manco a dirlo, non mi calcolò minimamente.

- Perché? Perché fai questo? – fui nuovamente io a parlare. Era un figo della madonna, perché cercava me? Io, che non valevo nulla, che ero zero in confronto a lui.

- L’hai detto tu, sono Shawn Jackson. – scossi la testa.

- Non farò questo a mia sorella –

- Lei ti fa di peggio. Lei è una stronza egoista, che pensa soltanto a se stessa. Pensaci, ti ha sempre oppresso con la sua presenza, distruggendo la tua autostima a poco a poco, giorno dopo giorno, ha sempre fatto di te la sua ombra. Pensaci, Keith. E’ colpa sua se ora lei non crede in te. – no, mentiva. Non era colpa di Christine. O forse si? No, no, no! Non poteva farmi questo… Shawn era uno stronzo manipolatore, e io ci stavo cascando. Ma purtroppo era riuscito ad insidiare il dubbio nella mia testa, e questo bastò perché cedessi quando toccò le mie labbra con le sue, d’improvviso. Provai qualche inutile e patetico tentativo di allontanarlo da me. Ma lui riuscì a farmi cedere del tutto, riuscendo a fare in modo che schiudessi le labbra, lasciando che la mia bocca fosse profanata dalla sua lingua, che si intrecciò con la mia.

Con una spinta, mi fece stendere sul letto, e si mise sopra di me.

Fu questione di pochi attimi. Mi ritrovai la sua testa all’altezza del mio membro. Strinsi la coperta tra le mani. Avevo la mente annebbiata. Il senso di colpa, la più infame tra le sensazioni umane. Come vile aquila arpiona le proprie prede, il senso di colpa aveva attanagliato la mia mente. Ma la mente era ormai scollegata in quel momento. Dopo un po’ vidi la testa di Shawn tornare all’altezza della mia

- Farò piano – mi sussurrò. Non ebbi tempo di capire cosa volesse dire, che mi ritrovai voltato con la pancia verso il basso. Ancora una volta avrei voluto oppormi, ma non ci riuscii, fu lui ad impedirmelo. Me lo impedì con la sua bravura. Dio, se era bravo.

 

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Ed eccoci a questo nuovo capitolo, in cui si capisce qualcosa in più di Keith. I prossimi capitoli si focalizzeranno anche sugli altri personaggi, ovviamente.

 

Invito tutti i lettori a lasciare una recensione ç_ç Ho deciso di mettere i prossimi capitoli in 1^ persona, dal punto di vista del personaggio a cui sarà dedicato ogni capitolo ^^

 

Prossimo capitolo: Demy&Emma

  
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