Peldicarota
Steve
Ovvero
come innamorarsi nonostante il proprio – profetico – pessimismo
cronico.
Steve
Tanner era un giovane uomo come tanti; aveva numerosi conoscenti, un
solo vero amico e una cotta stratosferica per una ragazza poco adatta
a lui. Studiava in un prestigioso college, come gli era stato imposto
dai genitori, e appena ne aveva la possibilità schizzava a casa,
dove poteva vedere la famiglia, il suo migliore amico Matt e aveva
buone possibilità di incontrare la sua Mariah Thompson.
Era
il ragazzo della porta accanto, quello un po’ sfigato ma leale.
Quello che, cinque anni prima, quando arrivava l’estate e la città
si svuotava, usciva in cortile e teneva compagnia alla vicina di casa
tredicenne, salvandola dalla noia che rischiava di uccidere entrambi.
Steve
aveva diciotto anni quando l’aveva conosciuta e, allora, i suoi
compagni di classe si divertivano a trovare mille motivi per
sfotterlo: non aveva mai avuto una ragazza, tanto per cominciare.
Aveva un’assurda ossessione per i numeri e la matematica, lunghi
capelli rossicci alla Axel Rose –ritenuti assolutamente ridicoli –
e soffriva d’acne. Peldicarota Steve, così lo chiamavano. Il fatto
che passasse tanto tempo con “una strana ragazzina dall’aria
stupida” non migliorava la sua situazione. Steve non era mai stato
molto sicuro di sé, ma aveva la certezza matematica – o quasi –
che le cose, prima o poi, sarebbero andate per il verso giusto,
quindi aveva continuato per la sua strada e si era beato del tenero
ottimismo di Mariah finché aveva potuto. Poi era andato al college e
da allora era cambiato tutto, era cambiato lui. Era cresciuto e lo
sfigato che era stato lo aveva portato ad essere qualcosa di meglio:
la sua ossessione per la matematica gli aveva procurato una borsa di
studio, l’acne era a poco a poco guarita e i capelli color carota –
opportunamente tagliati – avevano attratto diverse ragazze niente
male. Non era diventato popolare, ma si era guadagnato una
reputazione accettabile rimanendo sempre se stesso. Lo stesso non si
poteva dire, a quanto pareva, della piccola e sognatrice Mariah.
Anche lei era cambiata, a quanto dicevano i suoi informatori –
ovvero Matt, il suo sempre fedele amico, che nonostante le proteste
gli riferiva tutte le voci che circolavano su di lei. Si diceva che
fosse diventata una squilibrata, un’ubriacona. Una sostenitrice
accanita dello sballo in tutte le sue forme. L’unico appellativo
che le mancava sembrava essere “ninfomane” e Steve, nonostante il
suo storico pessimismo, aveva tirato un sospiro di sollievo
scoprendolo: almeno qualcosa della ragazzina che aveva conosciuto si
era salvato.
Nonostante
cercasse continuamente informazioni su Mariah e continuasse ad avere
un debole per lei, Steve aveva una mentalità piuttosto fredda e
disillusa e per questo aveva scelto di non buttar via quegli anni
della sua vita aspettando una ragazza che non aveva mai mostrato
alcun interesse per lui. Era stato fidanzato più volte durante i
cinque anni trascorsi lontano da lei, ma ogni volta che
tornava a casa e la incontrava tutti i suoi buoni propositi andavano
a farsi friggere assieme alla sua relazione del momento. E, ogni
volta,si dava dell’idiota al momento di sorbirsi la scenata
della sua neo-ex-ragazza, ma non riusciva a resistere a quegli occhi
azzurri dall’aria perennemente meravigliata. Si era innamorato come
un fesso, non c’era nulla da fare.
Un
bel giorno di fine estate, poi, lo stomaco di Steve si era stretto in
una piacevole morsa, mentre controllava la casella di posta
elettronica. C’era un’email di Mariah, che lo invitava alla sua
festa di compleanno per i diciannove anni.
“No”,
era stato il suo primo pensiero. “Quella ragazza sta monopolizzando
fin troppo la mia vita, non ci andrò!”.
Eppure
due giorni dopo era nella sua città natale e metteva a dura prova i
nervi della sorella minore di Matt, offertasi di aiutarli a trovare
un regalo adatto a una ragazza. Il suo migliore amico non riusciva
più a smettere di ridere e di prenderlo in giro, la povera Judie
stava per gettare la spugna e Steve era sull’orlo di una crisi
isterica, per quanto calmo a pacato fosse usualmente.
«Senti,
io ci rinuncio! - sbottò la ragazza, fermandosi nel bel mezzo della
strada. Puntò il dito indice sotto il naso di Steve, corrucciata. –
Non puoi farti andare bene qualcosa?Non sarà grazie al regalo di
compleanno che cadrà ai tuoi piedi, vuoi capirlo?»
«Io
non ho intenzione di...»
«No,
certo, tu non vuoi farla cadere ai tuoi piedi. Anche quest’anno la
saluterai poi te ne starai in un angolo a osservarla strusciarsi
contro il ragazzo di turno – suggerì Matt, scettico. Gli mise una
mano sulla spalla, poi continuò, serio: – Amico, smettila di farti
del male, ok?»
Steve
si passò una mano tra i capelli rossicci e sbuffò. «La tua premura
è commovente, davvero» berciò, come unica risposta. Alzò gli
occhi al cielo e ricominciò a camminare, senza una vera e propria
meta. La realtà era che sapeva benissimo di non aver speranze con
lei. Matt aveva ragione, se ne sarebbe stato in disparte, a declinare
le attenzioni di qualunque ragazza interessata a un tipo più grande
e a rosicare vedendo Mariah con qualcun altro. Che altro avrebbe
potuto fare? Era un amico di vecchia data, non era nemmeno più il
migliore perché, com’era ovvio che fosse, in cinque anni lei si
era trovata nuovi amici. Amiche, per fortuna, o Steve temeva
che sarebbe seriamente caduto in depressione vedendo qualche ragazzo
girarle attorno con la stessa confidenza che si era guadagnato lui
negli anni.
Judie
rivolse un’occhiata interrogativa al fratello, vedendo l’altro
bighellonare con le mani in tasca e l’aria da cane bastonato. Matt
le fece segno di lasciare perdere: «Siamo entrati in fase “Chissà
se si ricorda di me”» spiegò a bassa voce, scrollando il capo.
«Anche
tu sei imbucato, quindi?»
«Non
propriamente. Il signorino qui presente è un invitato e mi ha
costretto a venire. Ha una stratosferica cotta per la sign-...»
Ci
mancava solo che Matt si mettesse a raccontare all’amichetta della
sua bella i fatti suoi. Molto carino da parte sua. Si meritava
pienamente la gomitata nelle costole che gli aveva appena rifilato.
«Ahia!»
Steve
finse indifferenza, continuando a fissare con aria assorta il barista
preparare un cocktail. «Eh? Hai detto qualcosa, Matt?»
«Ma
dico, sei scemo? Mi rompi una costola!»
Il
solito esagerato. «Ossa di pasta frolla, amico?»
La
ragazza – Pam, si chiamava, o forse Pan – scoppiò a ridere di
gusto e Steve si sentì vagamente soddisfatto di se stesso. Qualcosa
di buono era riuscito a fare, quella sera. Prima che potesse dire
qualunque cosa, qualcuno chiamò il nome di Pam – o Pan che fosse –
e lei si voltò.
Steve
non ne ebbe il bisogno di farlo. Non conosceva quella voce, ma non
era stato difficile notare lo sguardo di Matt farsi vacuo e la sua
schiena irrigidirsi. Questo significava solo una cosa: la dolce
ragazza dai capelli turchesi era nei paraggi.
Rimase
qualche istante a osservare l’amico, divertito, poi assestò un
calcio allo sgabello su cui era seduto. Lui gli rivolse un’occhiata
truce e Steve scoppiò a ridere. «Comunque Matt non vedeva l’ora
di vedere quella Lily, checché ne dica» specificò a voce piuttosto
alta, in risposta alla verità quasi spifferata poco prima.
Il
ragazzo cercò di spingerlo giù dalla sedia, mentre Pam borbottava
qualcosa di incomprensibile. «Hai detto qualcosa?» si informò
Steve, aggrappandosi al bancone per non crollare, ma la brunetta in
questione stava già correndo via di fretta, schizzando tra la gente.
«Che
ragazza strana» osservò, sistemandosi sullo sgabello.
«È
una tipa a posto – confermò Matt. – Al contrario tuo»
sottolineò, vagamente divertito.
Steve
lo spintonò leggermente a sua volta. «Oh, avanti, sei un infame,
amico! Capisco che tu voglia essere simpatico alla confidente di
Emma, ma non c’è bisogno di raccontarle i fatti miei».
«Ma
smettila, a chi vuoi che lo dica?! – L’altro scrollò forte il
capo, schizzandolo con i capelli bagnati. – Comunque si chiama
Emily.»
Gli
schizzi ricordarono a Steve il motivo per cui erano entrambi bagnati
fradici. «Mi devi una birra».
Matt
si alzò in tutta la sua – mediocre – altezza e lo guardò
sconcertato. «E perché mai?»
«Perché
mi hai fatto volare in piscina!»
«Capirai!
Cosa sei, una ragazzina?»
«A
Pam l’hai pagata!»
«Ma
è amica di Lily!»
«Scegli,
buffone, o la birra o il cellulare - trattò allora Steve, estraendo
dalla tasca il telefonino ormai tragicamente fuori uso. – Morto
affogato una sera che potrebbe essere la più bella della mia vita!»
infierì teatralmente, reprimendo a stento una risata.
«Certo
che ti accontenti di poco. Ma non metterti a frignare, ora! – Matt
rise e attirò l’attenzione del barista. – Ehi, scusa! Un’altra
birra per la lagna, qui, offro io!»
Quando
gli venne consegnata la sua bottiglia di birra e l’altro si accinse
a pagarla, Steve iniziò a sghignazzare senza alcun ritegno. «Che
pensiero gentile, amico, non dovevi!»
«Non
tirare troppo la corda, secchione» gli suggerì l’altro con
superiorità, per poi sorseggiare il proprio cocktail con aria
annoiata.
«Altrimenti che fai, mi affoghi?» prese una sorsata dalla bottiglia, chiedendosi cosa stesse facendo in quel momento Mariah. Sperava solo che non fosse da qualche parte, ubriaca, con uno schifoso ninfomane di quelli che si imbucavano alle feste per rimorchiare facilmente.
«Altrimenti che fai, mi affoghi?» prese una sorsata dalla bottiglia, chiedendosi cosa stesse facendo in quel momento Mariah. Sperava solo che non fosse da qualche parte, ubriaca, con uno schifoso ninfomane di quelli che si imbucavano alle feste per rimorchiare facilmente.
«Scusa,
mi fai un Coca e Rhum?» Le viscere di Steve si annodarono e lui
rischiò di mandarsi di traverso la birra. Conosceva quella voce,
l’avrebbe riconosciuta tra mille. Posò in fretta la bottiglia sul
bancone, sotto lo sguardo interrogativo e divertito di Matt. Lui gli
rivolse un’occhiata di rimprovero: poteva anche togliersi
quell’espressione indisponente dal volto, una volta tanto, con lui
quell’aria da angioletto non attaccava.
Matt
aggrottò le sopracciglia, sorpreso dall’occhiataccia dell’amico
e, incuriosito, seguì il suo sguardo, che andò a posarsi su una
ragazza dai lunghi e mossi capelli corvini.
Era
lì. “Certo che è qui”, pensò, “è il suo compleanno,
imbecille”.
Steve
si costrinse a guardare da un’altra parte, poi tornò
inevitabilmente a mangiarsi con gli occhi la generosa porzione di
gambe messa in mostra da quei pantaloncini neri davvero – davvero –
corti. Se Mariah stava cercando di farsi saltare addosso, era sulla
buona strada, indubbiamente.
Si
sporgeva sul bancone puntellandosi sugli avambracci. Steve ringraziò
il cielo – anche se una parte di lui lo malediva – di non poterla
vedere da davanti, o chissà cosa le avrebbe fatto. Il suo storico
realismo (tendente al pessimismo) gli ricordò che non le avrebbe
fatto proprio nulla, perché lei non si sarebbe nemmeno lasciata
avvicinare. Il pensiero del suo seno, però, non era semplice da
cacciare...
Matt
gli tirò un pugno sul fianco.
«Che
c’è?» sbottò Steve, costretto a distogliere lo sguardo e
voltarsi verso di lui.
«Fai
il guardone o la saluti?»
«Non
è fare i guardoni quando le ragazze girano mezze nude» sussurrò,
puntiglioso. Era sempre assurdamente saccente – e rasentava
l’isteria – quando era nervoso. E in quel momento lo era, tanto.
Troppo, a dire il vero, era quasi imbarazzante.
L’altro
stava per ribattere, ma Steve gli fece cenno di aspettare. Prese un
respiro profondo, poi fece ruotare lo sgabello e vi saltò giù.
Azzardò qualche passo verso di lei, molto meno distante di quanto a
lui non sarebbe servito per calmarsi.
Poteva
farcela. Che sarebbe stato mai? Aveva ventitre anni, lei solo
diciannove. Era praticamente una bambina, sarebbe stata lei a doversi
sentire una Mentos dentro una bottiglia di Coca Cola. E invece...
“Guarda
il lato positivo, Steve, se fai la figura dell’idiota almeno la
farai ridere. Forse”. Il ragazzo sbuffò: dannazione a lui e al suo
pessimismo cronico!
Prese
coraggio e andò ad appoggiarsi al bancone, di schiena, proprio
accanto a Mariah. «Pensavo che le diciannovenni bevessero qualcosa
di più sofisticato» se ne uscì, fissando la massa di gente che si
dimenava di fronte a lui, senza davvero vederla. Fu mentre si stava
intimamente rimproverando per aver cercato di attaccar bottone con
una frase così idiota, che il volto sorpreso di Mariah comparve nel
suo campo visivo. Si era piegata indietro per vederlo in faccia. Era
così vicina e aveva quegli occhi così azzurri. Pregò
di non essere arrossito.
«Peldicarota
Steve! – esclamò lei, meravigliata. – Sei venuto!»
Sbang.
Uno schiaffo sarebbe stato meglio di quello sfigatissimo soprannome.
Avrebbe
potuto studiare per tutta la sua vita e diventare il ragazzo più
bello del continente, ma sarebbe rimasto sempre e comunque il
secchione dai capelli rossicci. Peldicarota Steve. Tanto
valeva cambiar nome e trasferirsi in Alaska.
«Un
Peldicarotasteve anche per me, grazie!» esclamò, rivolgendosi al
barista. Se doveva essere un buffone a vita, tanto valeva far
divertire qualcuno ed essere utili alla società. Quando Mariah
scoppiò a ridere di gusto, gettando indietro il capo, il cuore gli
fece una capriola e non potè fare a meno di sorridere. Si ritrovò a
sperare che la frase “facendo ridere una ragazza sei a metà
dell’opera” fosse vera.
«Questo
si chiama senso dell’umorismo! – osservò la ragazza, piegando il
capo da un lato. – Finalmente te ne sei procurato uno!»
Abbozzò
un sorriso. Continuava ad accoltellare la sua autostima. Steve
osservò il suo sorriso dolce e sincero e si disse che in fondo non
gli importava nulla dell’autostima, era una cosa così futile in
confronto a lei.
Se
essere sfigato l’avrebbe fatta ridere ancora, lui avrebbe fatto il
secchione a vita. «C’era il trenta per cento di sconto a un
supermercato. Ho calcolato che su mille euro ne avrei risparmiati
trecento, quindi ho dedotto che fosse davvero conveniente...» lasciò
la frase in sospeso, rendendosi conto di quanto dovesse sembrare
ridicolo. Matt lo avrebbe deriso a vita. Doveva smetterla, era un
uomo ormai. Se a lei di lui non importava, avrebbe dovuto arrendersi
e basta. Perché continuare a umiliarsi ogni volta che la vedeva?
Mariah
rise di nuovo. «Non credevo saresti tornato quest’anno, sai? –
ammise, afferrando il bicchiere che le porgeva il barista. –
Grazie. – sussurrò, affabile, per poi rivolgersi di nuovo a Steve.
– Insomma, sei una persona importante, ora. Tua madre non fa che
parlare dei tuoi ottimi voti e del tuo futuro, sai?»
Il
ragazzo si grattò il mento. Sua madre era imbarazzante, come al
solito. Era necessario sbandierare la sua nerdaggine? «Sì,
be’, sai come sono fatte le madri: esagerano sempre! La mia in
particolare...» si schermì, ridacchiando come un idiota. Era
destinato a fallire. Come poteva conquistare una ragazza se
continuava a comportarsi da bambino?
Mariah
prese un sorso dal bicchiere, osservandolo con gli occhi sgranati.
Non era stupore, era semplicemente il suo buffo modo di prestare
attenzione, Steve lo sapeva bene. Nonostante il passare del tempo e i
cambiamenti avvenuti, continuava a saper interpretare con esattezza
ogni suo gesto. «Sei eccezionale, Steve, non è possibile esagerare
sul tuo conto» gli assicurò con tanta serietà che lui non potè
non arrossire. Scoppiò a ridere, non sapendo come altro reagire a
una frase del genere. «Rettifico: anche tu esageri!» bofonchiò,
alzando gli occhi al cielo.
La
ragazza gli fece una linguaccia, senza tuttavia insistere su
quell’argomento che, era lampante, lo imbarazzava. «Allora –
iniziò, allegra. – Vieni a fare quattro salti?»
Steve
aprì bocca per rispondere, ma non fece in tempo, perché lei lo
aveva già preso per un braccio e lo stava trascinando verso la massa
di corpi che si dimenavano a bordo vasca. «Ah! Mary! Ma non devi
finire di bere? Non è il caso, insomma... quante probabilità ci
sono che Peldicarota Steve sappia ballare?» Non gli piaceva l’idea
di dimenarsi in mezzo ad altra gente. L’occasione per farlo c’era
stata molte volte negli anni e quando la sua ragazza del momento a
una festa decideva di ballare, Steve non aveva mai osato rifiutare.
Eppure con Mariah era diverso. Il pensiero di stare vicini, sfiorarsi
e magari abbracciarsi gli mandava in pappa il cervello. Era
matematico – Dio solo sapeva quanto! – che avrebbe perso la testa
e avrebbe fatto qualcosa di stupido. Come arrossire e ridacchiare
come un idiota o magari baciarla.
Mariah
rise, prendendo un altro sorso dal bicchiere che reggeva nell’altra
mano. «Perché, credi forse che io abbia preso lezioni di ballo?»
«Certo
che l’hai fatto, in seconda liceo!», puntualizzò Steve con la
voce acuta di quando era nervoso. Lei riconobbe al volo quel tono e
rise. «Non devi farti tanti problemi, basta divertirsi!»
Sì,
certo, bastava che si divertisse. Il problema era che anche lui era
uno di quei decerebrati per i quali divertirsi con una ragazza per
cui avevano una mostruosa cotta da un vita significava finire come
minimo col pomiciare. Non che Steve fosse uno di quei farfalloni con
il pallino del sesso ma era pur sempre un uomo e, per quanto
rispettasse Mariah, vedendola trotterellare in giro con le gambe
quasi del tutto nude non riusciva a trattenere qualche pensiero poco
galante.
Mariah
però non demordeva. Odiava che il pudore privasse la gente di sano e
semplice divertimento. «Falla finita, Steve! Da quando ti fa paura
la musica? Un tempo vantavi uno stile da Axel Rose che...»
«E
va bene, e va bene, hai vinto! Non lamentarti se ti farò sfigurare,
però!» ammiccò lui, ostentando una sicurezza di sé che in quel
momento decisamente non aveva. E neanche se ti pesterò un piede,
pensò, arresosi al di lei volere.
È
curioso come a volte le situazioni si evolvano in maniere bizzarre,
senza alcuna logica apparente.
Steve
era steso sul letto e osservava beatamente il soffitto, sentendo la
gioia riempirgli il torace e la testa. Iniziava a credere che fosse
stato tutto un sogno ma, a dirla tutta, non aveva affatto voglia di
pensare. Non gli importava scoprire se si fosse inventato tutto o
meno.
Non
avrebbe mai immaginato che una cosa simile sarebbe successa
veramente, eppure era stato così.
Aveva
trascorso l’intera serata con Mariah. Tutta la
serata.
Avevano
ballato e riso fino alle lacrime dei propri ridicoli passi
improvvisati. Lui le aveva offerto da bere ed erano rimasti ore a
parlare del passato, delle avventure vissute insieme e separati.
Si
erano poi resi conto di aver fatto davvero tardi: il
locale si era vuotato e la gente rimasta si appartava o rimetteva
l’anima in piscina. C’era stato un «Dai, ti accompagno a casa,
tanto la strada è la stessa», seguito da un sorriso gentile. In
macchina avevano cantato a squarciagola le canzoni più commerciali
del momento, ridendo come non mai dei testi insulsi e ripetitivi. Al
momento dei saluti, poi, Mariah l’aveva baciato.
Steve
realizzava in quel momento che, se avesse dovuto prendere lui
l’iniziativa, non sarebbe mai successo. Aveva sempre pensato che
non ci fossero possibilità che accadesse, non aveva mai preso in
considerazione l’idea che potesse essere lei a unire le loro labbra
per la prima volta.
Il
suo primo pensiero era stato “Cazzo!”, il secondo “Dev'essere
ubriaca, devo andarmene”, mentre il terzo “No che non lo è, al
diavolo il pessimismo!”. Così Steve aveva risposto con trasporto
al bacio e lei lo aveva trascinato in casa.
Il
ragazzo sorrise, sentendo Mariah mormorare qualcosa: si stava
svegliando.
Il
sole entrava dalla finestra, filtrato dalle tende bianche. Lui non
era mai stato in quella stanza prima di allora, ma non assomigliava
all’idea che la gente della città si era fatta di lei, non
descriveva la Marijuana Thompson di cui gli erano arrivate notizie.
Era arredata in modo semplice e disordinatamente ordinato. C’erano
decine di fotografie incollate alla rinfusa sull’armadio. C’erano
i genitori di Mariah, gli animali domestici che aveva avuto negli
anni, vecchie immagini di quando lei era piccola. C’erano le sue
amiche e c’era anche lui.
Bastava
guardarsi attorno per capire che lei era rimasta la sua Mariah
di sempre, quella spontanea e bizzarra, quella a cui non importava
nulla di ciò che gli altri pensavano di lei.
Steve
infilò i boxer (ancora umidi dal tuffo in piscina della sera prima)
e andò a guardare le fotografie da vicino. Osservò il se stesso di
qualche anno prima, rendendosi conto di quanto sarebbe stato
difficile che qualcuno non lo considerasse un
barbone. Con l’etichetta di sfigato se l’era cavata ancora bene!
Ridacchiò
tra sè, strofinando la mano contro il mento.
«Oh
mio Dio!»
Steve
si voltò, sentendo Mariah trasalire. Era seduta sul letto e si
copriva con il lenzuolo. Lui arrossì sotto il suo sguardo sorpreso,
non sapendo come comportarsi. Non era esattamente come svegliarsi
nella stanza della propria ragazza dopo una notte brava, con lei era
tutta un’altra storia.
«Ehm...
buongiorno!» azzardò, sorridendo con aria terribilmente impacciata.
Steve sentiva chiaramente Matt ridergli dentro la testa: l’avrebbe
preso in giro a vita, se solo l’avesse visto in quel momento!
Lei
distolse lo sguardo, incerta. «Cavolo, l’ho fatta grossa», la
sentì commentare sottovoce.
A
Steve quelle parole non piacquero per nulla. «Cosa vuoi dire?»
Mariah
si alzò portando con sé il lenzuolo. Camminò in giro per la stanza
alla ricerca di qualcosa, poi afferrò una maglia troppo grande per
lei, con su stampato il logo dei Guns N’ Roses. «È tua questa?»
domandò frettolosamente.
«No,
è tua. È il mio regalo di compleanno. È enorme, lo so, ma
pensavo... – Steve sbuffò, rendendosi conto di essere stato solo
un povero illuso pensando che lei sarebbe andata a letto con lui da
sobria. - ... non lo so, che pensavo» concluse, improvvisamente
furioso con se stesso. Si era fregato con le proprie mani, avrebbe
dovuto dare ascolto al suo buon senso, la sera prima.
«È
bellissima, in realtà. Perfetta in questo momento» lo corresse
Mariah. Si gettò il lenzuolo sulla testa e infilò la maglia al
riparo da occhi indiscreti, che avevano già avuto modo di scorgere
ogni cosa durante la notte. Le stava grande, enorme, ma copriva tutto
ciò che ora il pudore rendeva conveniente nascondere.
«Sicuro»
commentò, scettico. Steve osservò l’involtino primavera umano
raggiungere il cassetto del comodino e prendere un paio di mutandine.
Distolse lo sguardo per lasciarle un minimo di privacy e ne
approfittò per indossare i propri vestiti.
Quando
tornò a guardarla, Mariah aveva gettato via il lenzuolo e lo
guardava timidamente, dondolando sui talloni. «Mi sa che ho fatto un
casino, eh?»
Aveva
gli occhi lucidi, i capelli scompigliati, una maglia di diverse
taglie più – avrebbe potuto essere sua – e le gambe nude. Steve
non poté fare a meno di notare quanto fosse bella in quel momento.
Non rispose, continuò ad osservarla, senza riuscire a ragionare
lucidamente.
Lei
sospirò. «Steve, io...»
Lui
la zittì con un gesto della mano. «Non importa, ok? Scommetto che
non ti ricordi nulla di ieri sera».
Mariah
aprì bocca per rispondere, aveva l’aria confusa. Abbassò il capo
con aria triste e lui la prese come una conferma. «Bene. Anzi,
benissimo. Insomma, sarebbe difficile da spiegare alla mia
ragazza, non trovi? Non sono più Peldicarota Steve, non me la faccio
più con le ragazzine». Sputò quelle parole con astio, come se
quella menzogna potesse sostituire la realtà. Lui una ragazza non ce
l’aveva e, anche se l’avesse avuta, a quel punto non avrebbe più
retto il confronto. Immaginarlo era una cosa, ma fare l’amore con
la ragazza di cui era innamorato era tutta un’altra storia. Non
sarebbe più stato lo stesso ora, con nessuna. Si era rovinato da
solo.
La
ragazza non rispose, limitandosi a sedersi sul letto con aria
dispiaciuta.
Avrebbe
voluto insultarla, inveire, rinfacciarle gli anni trascorsi pensando
solo a lei e le giornate spese a sentirsi uno sfigato – Peldicarota
Steve – pur di starle accanto. Avrebbe voluto elencare ogni presa
in giro subita, ogni ragazza mollata per lei. Ma non lo fece.
Raccolse
le sue cose, schiumando di rabbia e la salutò freddamente.
Mariah
non disse nulla, si limitò ad attendere in silenzio il rumore della
porta d’ingresso che si chiudeva. Ascoltò la portiera dell’auto
di Steve aprirsi, poi chiudersi e la macchina partire. Perché lui
non sarebbe andato a casa, non quella mattina, non in quelle
condizioni.
Si
gettò con la faccia sul cuscino e si abbandonò alle lacrime. Si
sentiva uno schifo, si sentiva fragile. Aveva sopportato per anni
menzogne sul proprio conto, ma in quel momento non sarebbe riuscita a
sostenere nemmeno il peso della maglietta che indossava. Le sembrava
che tutti gli insulti che le avevano affibbiato nel tempo le
calzassero a pennello.
Portò
un lembo della maglietta che indossava al naso, sperando di percepire
il suo odore. Ma non avrebbe mai potuto profumare di Steve, era stata
acquistata in un negozio, non era mai appartenuta al ragazzo.
Era
stata una stupida, aveva rovinato tutto. Per cosa, poi? Lui era
fidanzato e lei si era illusa – illusa come la ragazzina che era –
che potesse esserci qualcosa di più. In una sola notte era stata
capace di rovinare un’amicizia durata anni.
In
der Ecke – Nell'angolo:
Buonasera!
Questa one shot non è sicuramente uno dei miei lavori migliori, lo
so, ma ormai l'idea era sorta e non sono riuscita a trattenermi.
Scriverla mi ha lasciato l'amaro in bocca e non sono sicura sia per
via del finale.
Ma
lasciate che puntualizzi un paio di cosette. Le parole con cui Steve
conclude la conversazione sono puramente volte a ferire Mariah, in
particolare il riferimento alla differenza di età. È uno dei
'problemi' per cui un tempo era stato preso in giro dai suoi compagni
e decide di rinfacciarlo alla ragazza senza essere troppo esplicito –
anche lui ha un proprio orgoglio, nonostante tutto, non vuole
frignare davanti a lei.
Per
quanto riguarda Mariah, invece, vi prego di non biasimarla.
Personalmente è un personaggio che mi piace molto, non è stupida
come sempre. È sicuramente eccentrica e spontanea, alla sera ha
agito senza pensare – seguendo comunque quelli che erano davvero i
suoi desideri – mentre al mattino, non diversamente da Steve, in
fondo, si ritrova ad aver paura di ciò che è successo. Non sa come
comportarsi, quindi, per l'imbarazzo, finge che sia successo tutto
senza che lei fosse lucida. In realtà lo era. È la paura di aver
rovinato l'amicizia con Steve che la porta a peggiorare le cose,
anche se era in buona fede.
Spero
che la storia vi sia piaciuta, anche se non è il mio solito genere.
Peldicarota
Steve è un missing moment della mia Originale (Commedia) Cows and
jeans.
Ringrazio
Mary_ per il betareading e voi per essere giunti fin qui. ^^