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Autore: LaU_U    16/04/2012    2 recensioni
Robin e la sua banda hanno scoperto che lo sceriffo e i Cavalieri Neri stanno architettando un piano per uccidere il cugino del Re così da eliminare un rivale di Giovanni al trono dell'Inghilterra. Decidono quindi di partire per salvarlo.
In un viaggio fra avventura, battibecchi, comicità e azione... riusciranno a raggiungere la capitale e compiere la loro missione?
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 2




Knighton Hall, stanza di Lady Marian, II giorno, prima mattina.
«Dev’esserci un’altra soluzione.»
«No, non c’è. E se anche ci fosse io non riesco proprio a figurarmela.»
Come al solito, uno diceva sole e l’altra rispondeva luna. Stavano dalla stessa parte, ma non riuscivano mai a trovarsi d’accordo nelle loro discussioni.
«Questa cosa va oltre le vostre possibilità.»
«È per questo che dobbiamo intervenire. Questa cosa è oltre le possibilità non solo nostre, ma di tutta la contea e non troveremo nessuno a Nottingham che possa risolvere la questione per noi.»
«Non a Nottingham, ma altrove? Non c’è una persona in tutto il regno? Si troverà pur qualcuno a Londra in grado di far qualcosa. Basterebbe mandare un messaggio per avvisare. Al consigliere al trono, o al cugino stesso del re, per esempio.»
«Dubito che Edgardo legga personalmente la sua corrispondenza, è poco più di un ragazzino. E che cosa sappiamo dei suoi collaboratori? Come scopriamo se sono affidabili o se per caso non sono coinvolti anche loro nel complotto?»
La giovane non seppe come controbattere, lui le si avvicinò.
«Marian, tra i Cavalieri Neri si potrebbe celare chiunque, sono nobili provenienti da tutti i lati dell’Inghilterra. Non potrei mai fidarmi del tutto di qualcuno. Soprattutto senza neanche aver prima la possibilità di parlarci di persona guardandolo negli occhi. Non mi sento di lasciare la questione nelle mani di un segretario o di un lord che non sanno neppu…»
«E in quali mani vorresti lasciarla? In quelle di una manciata di ladruncoli e contadini armati di asce e bastoni?»
La donna si pentì di ciò che stava dicendo non appena cominciò a pronunciare la frase, ma non riuscì comunque a smettere di parlare. Marian rispettava la banda di Robin e sapeva che ne facevano parte persone incredibilmente in gamba, ma questo non avrebbe cambiato quello che erano.
«Robin…»
L’uomo scosse la testa.
«Stasera partiamo per Londra. Ci vediamo al mio ritorno.»
Scavalcò il davanzale della finestra della camera da letto e scomparve.
Quando si trattava di Re Riccardo, far ragionare il precedente Signore di Locksley diventava ancora più complicato. Non c’era causa al mondo che avesse più a cuore di quella, avrebbe dato la vita per il suo sovrano con più determinazione di quella che metteva quando rischiava la pelle per la gente di Nottingham. Marian sapeva che nulla l’avrebbe fermato: qualsiasi cose lei avesse detto, quell’uomo avrebbe raccolto il suo arco e la sua spada e sarebbe andato nella capitale per proteggere gli interessi di Riccardo, anche a costo di compiere la missione da solo.
Mettersi contro i Cavalieri Neri sarebbe stato pericoloso; erano ricchi, potenti e pieni di risorse. Certe volte sperava che Robin non fosse così testardo; che rimanesse tranquillo come una persona comune e che non fosse l’eroe di cui tutti narravano le gesta.
 
 
Foresta di Sherwood, rifugio dei fuorilegge, II giorno, mattina.
«Quattro giorni di marcia? Ma siamo pazzi?»
«Much, in passato abbiamo camminato molto più di così» gli fece notare pazientemente Robin mentre riempiva una sacca con del cibo da portare in viaggio.
«Infatti ancora ricordo le sofferenze che i miei poveri piedi hanno dovuto patire quando eravamo di ritorno dalla Terra Santa. Per non parlare delle sofferenze del mio stomaco, che a volte non ha visto del cibo decente per più di una settimana.»
Little John sbuffò all’udire la voce - come al solito lamentosa - del compagno, il quale non si fermò:
«Non potremmo, per caso, prendere un carro? Oppure mandare solo un gruppetto mentre noi attendiamo qui in caso ci fossero novità?»
«Ecco, in tal proposito…» intervenne Allan. «È necessario che tutta la banda si diriga laggiù? No, perché avrei degli affari da sbrigare qua e là e immagino che questa operazione richiederà un po’ di tempo, quindi…»
«Ragazzi, nessuno di voi è obbligato a partire. Se non ve la sentite potete restare a Sherwood» disse Robin con fermezza, ma senza voler fare alcuna pressione. Era conscio che più fossero stati, più possibilità di successo avrebbe avuto la missione, ma non si trattava più di un salvataggio nei paraggi e non poteva chiedere ai suoi compari di seguirlo tanto lontano contro la loro voglia. Erano tutti poco convinti di quel viaggio, non avevano mai fatto nulla di simile e non erano sicuri che lasciare Nottingham sarebbe stata una buona idea. Finché c’era Robin – il capo – a ordinar loro di portare a termine un incarico, potevano permettersi di sbuffare interiormente, ma fare comunque la mossa giusta per il bene della comunità. Ora che lui li stava lasciando liberi di scegliere e di rifiutare, ognuno di loro si sentì in colpa per il fatto di non essere in grado di accettare a spada tratta quell’incarico al suo fianco.
«Noi verremo.»
La voce sicura di Will fece girare tutti.
«Certo che verremo» aggiunse Djaq, mentre metteva a tracolla la borsa che aveva appena finito di riempire. Little John, Jamie e Cathy annuirono. Robin osservò i volti determinati dei suoi compagni e li ringraziò con un cenno del capo. Allan sospirò:
«Tanto con lo sceriffo concentrato solo sul suo piano a Londra ci saremmo annoiati a morte.»
 
 
Foresta di Sherwood, accampamento dei fuorilegge, II giorno, mattina.
«Non combinare guai mentre sarò via.»
Jamie aveva portato Cathy a qualche passo dall’accampamento per salutarla dolcemente in privato, lontano da occhi indiscreti. Era piuttosto agitato sia per la missione che per il fatto di dover lasciare la sua ragazza da sola a proteggersi dalle guardie che lei spesso attirava su di sé. La giovane, al sentire le sue parole, alzò un sopracciglio.
«Primo: io non combino guai, sei tu quello che me li fai arrivare dritti addosso.» La cosa era solo parzialmente vera, ma la maggior parte delle volte in cui c’era qualche problema con i soldati, il giovane e il suo scoiattolo erano – guarda caso – nei paraggi. «Secondo: cercherò di fare del mio meglio. Terzo: potrai controllare tu stesso.»
Jamie non fu certo di aver capito:
«Cathy, io non posso rimanere qui a badare a te, devo andare a Londra.»
«Meno male. Perché se stessi qui non potresti certo badare a me» disse, avviandosi lentamente verso il resto della banda, celando un sorrisetto.
«Come? Che cosa vuoi dire?»
Possibile che fosse così ottuso, alle volte?
«Che vengo con voi.»
«Cosa? Non se ne parla nemmeno. Tu stai qui!»
Il tono autoritario proveniente dalla bocca di Jamie la fece girare di scatto e tornare ad un palmo dal suo naso con un indice puntato dritto in mezzo alla faccia.
«Non usare quel tono con me, ragazzino. Non sei di certo tu a darmi ordini.»
Lui deglutì e cercò di sembrare più sicuro di quanto non fosse:
«Tu… non fai parte della banda. E poi è una missione pericolosa.»
«Sono stata invitata anche io a Londra e quindi ci vengo pure io.»
«Ma Robin parlava di noi. Non noi… te, noi… noi. Non è una cosa per donne!»
«Djaq è una donna e viene con voi.»
«Ma Djaq non è una donna.»
Cathy incrociò le braccia e lo fissò in attesa di una spiegazione plausibile a quell’affermazione.
«Cioè… sì, è una donna, ma… è diverso, lei è come un uomo, è una della banda.»
«Non vi lascerò andare a divertirvi a Londra e abbandonarmi in questa foresta dimenticata da Dio. Londra è casa mia… Per lo meno lo è stata per un paio di mesi, in passato, quindi ora voglio tornarci. Voglio salutare degli amici e salvare il cugino del re. Tra l’altro conosco giusto una persona che potrebbe fare al caso nostro, lavora a corte e non ha mai avuto in simpatia il principe Giovanni. Quindi potremo rivolgerci a lui per…»
«Questo non ha importanza perché tu non puoi venire!»
«Sì, invece.»
La voce del capo dei fuorilegge interruppe la discussione e i due lo videro sbucare da dietro alcuni alberi. Il ragazzo di Roxburgh sobbalzò e lo guardò con occhi imploranti; era preoccupato, non voleva mettere a repentaglio la vita dell’amica, teneva troppo a lei. Anche Gang sbucò dal cappuccio del suo padrone e puntò il suo nasino curioso in direzione del nuovo arrivato.
«Ma, Robin… non c’è bisogno che anche lei si metta contro lo sceriffo per questo.»
«Jamie, mi dispiace» rispose l’altro avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. «Ma credo che ce ne sia bisogno.»
Cathy sfoderò un sorriso di soddisfazione per il fatto che persino il capo fosse dalla sua parte. Purtroppo lo sguardo affranto del suo ragazzo non le fece apprezzare la vittoria come avrebbe sperato. Robin poggiò la mano destra sulla spalla di lei, senza togliere la sinistra da quella del compare.
«Questo contatto che hai a Londra… credi che sarà disposto ad aiutarci?»



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Foresta di Sherwood, campo dei fuorilegge, II giorno, mattina.
I preparativi per la partenza erano quasi ultimati: tutti gli oggetti necessari erano stati raccolti, le armi già legate alle loro cinture e i viveri accuratamente imballati da Much, che stava brontolando su quanto pesasse la sua borsa e su come sicuramente sarebbe stata orribile la marcia fino a Londra.
Allan sospirò, anch'egli poco entusiasta all'idea di camminare quattro giorni, e si caricò in spalla la sua parte di bagaglio; voltandosi, notò poco più in là una Cathy quanto mai sorridente mentre riempiva a sua volta una borsa di cuoio. Allan la esaminò, sgomento: la ragazza aveva l'espressione spensierata di chi si sta preparando per partecipare ad una scampagnata, e al biondo sorse un orribile dubbio.
«Di’» sussurrò a Will che, accanto a lui, stava ficcando a viva forza nello zaino il necessario per fabbricare, all'occorrenza, frecce per un intero esercito. «Non sarà mica che quella viene con noi, vero?»
Il giovane carpentiere alzò lo sguardo verso di lui, lanciò un'occhiata a Cathy e fece spallucce: «Pare di sì.»
«COSA!?» sbottò l'altro, per poi guardarsi in giro e ripetere a voce più bassa «Cosa!? Ma non... Questa non è roba per donne! E poi lei non fa parte della banda! Non può assolutamente venire.»
«Sembra che Robin sia d'accordo.»
Allan si volse a guardare Robin, che stava saggiando un'ultima volta la corda del suo arco senza badare minimamente ai preparativi di Cathy, e borbottò: «Ah sì, eh? Be', se James si porta la fidanzatina, non vedo perché io non potrei...»
Senza terminare la frase, si avviò a grandi passi verso i margini del campo sotto lo sguardo perplesso di Will; stava per inoltrarsi tra gli alberi, quando la voce del capo lo fermò: «Allan, dove vai?»
Si voltò a fronteggiare Robin, che gli si avvicinava con le sopracciglia aggrottate: «C'è una cosa che devo fare, prima di partire.»
Locksley sospirò piano: «Senti, ve l'ho già detto, nessuno deve sentirsi obbligato a venire. Se preferisci restare-»
«Non sto scappando!» s'irritò Allan, vagamente offeso «Devo solo vedere una persona!»
«Non puoi rimandare?» domandò Robin in tono conciliante. «Siamo quasi pronti per partire.»
«No, non posso.» tagliò corto l'altro. «Senti, non ci metterò molto. Ci vediamo tra due ore all'incrocio della strada maestra.»
«E va bene» concesse Robin. «Ma fa' in fretta.»
Il biondo annuì e si voltò, incamminandosi spedito verso i margini della foresta.
 
 
Pressi della foresta, casa di Erin, II giorno, poco più tardi.
Erin gettò un miscuglio di erbe medicamentose in un paiolo di acqua messa a bollire lentamente sul piccolo focolaio. Mentre si ripuliva le mani con un gesto automatico, pensò alla bambina che era andata a visitare quella mattina presto. La piccola non stava bene, per niente; ma non aveva avuto il cuore di dare la notizia ai genitori, non finché non avesse provato su di lei tutti i rimedi che conosceva. Sedette al tavolo, meditando cupamente sulla situazione: il malanno in sé non era grave, ma l'organismo sembrava troppo patito, provato com'era dalla fame e dagli stenti, per combattere adeguatamente la malattia ed Erin temeva che nessuna delle sue arti mediche potesse salvare la bambina.
A riscuoterla dai suoi pensieri furono dei colpi alla porta, forti e rapidi, come se la persona fuori dalla casa fosse impaziente o di fretta; temendo qualche brutta notizia, Erin si accostò all'uscio, domandando: «Chi è?»
«Sono Allan.»
Pur colta di sorpresa, si affrettò ad aprire la porta, trovandoselo davanti con una gran borsa a tracolla e la spada allacciata in vita; nonostante la perplessità di vederlo così attrezzato, nascose il tutto dietro un sorriso cortese: «Ciao. Come mai qui?»
Il biondo si guardò intorno, come se temesse di essere osservato: «Posso entrare?»
«Certo.»
Oltrepassata la soglia, Allan si chiuse la porta alle spalle; ci fu un breve silenzio imbarazzato prima che il biondo si decidesse a parlare: «Come stai?»
«Bene, grazie. C'è una mia piccola paziente che non sta molto bene, ma sto facendo del mio meglio. E tu?»
Egli esitò prima di risponderle: si era recato da lei con l'intenzione di chiederle se le andava di accompagnarli a Londra – una guaritrice fa sempre comodo, si era detto strada facendo, e in ogni caso sarebbe stata più utile di quell'irritante ragazzina – ma ora non era più sicuro che fosse una buona idea. Erin aveva del lavoro da fare lì, una bambina da curare a quanto diceva, e non era il caso di trascinarla fino alla capitale per un capriccio. La sua compagnia gli avrebbe fatto indubbiamente piacere, ma il suo prendersi cura della gente di Nottingham era più importante che mai, ora che la banda si metteva in viaggio. Perciò strinse un istante le labbra, per poi esibire il sorriso più disinvolto che gli riuscì: «Io sto bene, anzi, benissimo. Mi aspetta una missione emozionante. Partiamo per Londra.»
«Per Londra?» ripeté Erin, perplessa. «E quando?»
«Tra poco. Anzi, devo sbrigarmi. Sono passato solo... Solo per darti la notizia e per chiederti di prenderti cura della gente di Nottingham, mentre non ci siamo. Anche se so che lo farai in ogni caso.»
«Certo, ma...» Erin esitò, ancora non del tutto certa di aver capito bene «Perché andare fino a Londra? È qualcosa che riguarda il Re, o...?»
«Non esattamente» rispose Allan, evasivo; sebbene si fidasse ciecamente di lei, Robin non avrebbe apprezzato che rivelasse i segreti della banda ad una persona che non ne faceva parte.
«D'accordo, hai ragione, non puoi dirmelo.» capitolò Erin «Sai quando tornerete?»
«Non prima di aver concluso la missione. Non sappiamo quanto ci vorrà.»
«Capisco» commentò Erin. «Be', buona fortuna a tutti, allora. Fa' attenzione, d'accordo?»
«D'accordo» sorrise il biondo, indietreggiando verso la porta. «Ora è meglio che vada. Verrò a trovarti non appena saremo tornati. Nel frattempo, abbi cura di te.»
Lei annuì e Allan le fece un vago cenno col capo prima di oltrepassare la soglia e chiudersi la porta alle spalle; Erin la sprangò e si avvicinò alla finestra, seguendolo con lo sguardo mentre si avviava verso gli alberi a passo di marcia.





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Bentornati!
I nostri fuorilegge sono finalmente in marcia verso Londra, in missione per salvare il cugino del re.
In questa parte che avete letto (scritta da me e da Darma) avete incontrato il terzo personaggio originale del nostro gdr che sarà anche in questa storia.
ERIN. Un pg un po' più complesso da descrivere. Figlia del signore di Tintagel, fedele a re Enrico e rivale del successore Riccardo, da quest'ultimo è stato fatto uccidere una volta salito sul trono. Il Lord era stato proclamato "nemico del regno" e la sua famiglia con esso. Erin è quindi fuggita e da allora tiene nascosta la sua identità. A Nottingham lavora come guaritrice; è una donna molto riflessiva, diffidente ed indipendente che ha fatto l'errore di innamorarsi di Gisborne. La relazione con Allan non ha mai avuto una vera svolta, entrambi si sono girati silenziosamente attorno senza che nessuno rivelasse i propri sentimenti (che sono stati comunque molto profondi e radicati).
Vabbé... possiamo accontentarci di questo super-riassunto su Lady Erin.

Grazie a lettori e commentatori! Fateci sapere che ne pensate!
Darma, Eleu, Lau


   
 
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