Cap 16:
casa dolce casa
Pov Naho
“Come sarebbe a
dire che non è Kumiko?” chiese Sasuke
sorpreso.
Anche tutti i
ragazzi sembravano sbalorditi da quella rivelazione e non ne capivo il motivo.
Il mio papà mi
guardò, mi sorrise e mi accarezzò la testa, cogliendomi di sorpresa “L’ho
capito subito, appena l’ho vista che non era lei!”
“Se non è lei, chi
è? E perché l’hai abbracciata come se fosse stata Kumiko.
Sai che dopo tanti anni non riesco
ancora a capirti sensei?” disse il ragazzo dai
capelli argentati.
“Tu e tuoi compagni
non siete ancora al corrente degli ultimi sviluppi, ma Sasuke
sa che ho sviluppato la capacità di percepire i chakra
altrui e quello che proviene da…” si interruppe e mi
guardò con aria interrogativa. Dopo tutto ci eravamo solo ritrovati, non
presentati.
“Il mio nome è Naho!” dissi timidamente.
“...il chakra che proviene da Naho è
estremamente elevato per poter appartenere a una bambina di soli sei anni!”
disse ancora sorridendo.
Era felice e lo si
poteva vedere lontano un miglio.
Vidi la ragazza
avvicinarsi e, abbassandosi alla mia altezza, mi fissò negli occhi. “Allora
questa bambina non sta mostrando il suo vero aspetto! Mi domando il perché e
soprattutto come fate a conoscervi!”
Mi sembravano un
po’ tutti spaesati, ma d'altronde lo ero anche’io, in quanto mi ritrovavo
circondata da estranei, anche se uno di loro era mio padre. Infondo non lo
conoscevo e mi ritrovai improvvisamente triste. Lo avevo chiamato papà e per
quando bella e dolce fosse questa parola, mi sembrava strano dirla a una
persona di cui non sapevo nemmeno il nome…eppure mi
era venuto così spontaneo.
“Non dirmi che è la
volpe!” disse Sasuke sbuffando dopo aver ricevuto un
accenno affermativo in risposta.
Non lo capivo,
prima era contento perché mi aveva trovato e dopo pochi secondi sbuffava perché
non era me che stava cercando.
“Chissà perché mi
sono illuso di ritrovare tutte e due in un colpo solo!” disse in un secondo
momento incrociando le braccia “Ma immagino che il ritrovamento di una, comporti
a un ravvicinato ritrovamento dell’altra. Potrebbe darsi che Kumiko non sia lontano!” disse nuovamente guardandomi, come
se si aspettasse da me qualche risposta.
Inclinai la testa
da un lato e sbattei le palpebre perplessa.
Il mio papà si abbassò e spostandomi qualche
ciocca di capello mi chiese dolcemente se sapevo dir loro dove si trovava Kumiko.
Guardai uno ad uno
tutti loro e soffermandomi sugli occhi di quell’uomo che aveva gli occhi
azzurri come il cielo, molto simili ai miei, chiesi “Chi è Kumiko?”
Lo vidi grattarsi
la testa imbarazzato per poi dirmi “Probabilmente non porta quel nome, non so
come si chiama, ma Kumiko è la bambina dentro la
quale risiedi!”
Capii
immediatamente di chi parlava “Vuoi dire Rei!” dissi incrociando le braccia
scocciata “è rimasta a casa. Quella sciocca non ha voluto darmi retta. Volevo
che venisse con me, ma non crede a una parola di quello che dico!”
L’ultima volta che
l’avevo vista, cioè la sera prima, avevamo litigato. Quella mocciosa sapeva
essere irritante.
“Vuoi dire che si
trova ancora nel paese del ferro?” mi
chiese il mio papà.
Annuì e aggiunsi
che in realtà lei non ci fosse mai uscita da quel luogo. Solo la prima volta
riuscii a convincerla a venire con me con una scusa, ma non avevo considerato
le capacità di Kabuto e dei suoi scagnozzi e
riuscirono a fermarci quasi subito.
Vidi mio padre
rattristarsi, sembrava che ormai non fosse più felice di avermi trovato e
temetti che mi lasciasse in quel luogo. Abbassai la testa, ma non ebbi il tempo
di rattristarmi, perché molti dei samurai si erano ripresi e avevano afferrato
le loro armi.
Mio padre mi spinse
dietro di lui e mi disse di nascondermi. Non me lo feci ripetere due volte e
andai a mettermi dietro un cespuglio.
Erano stati tutti
bravi a mettere ko tutti quei tipacci, ma il fatto che si erano ripresi,
significava che i loro colpi non avevano avuto effetto e ora temevo per
l’incolumità dei ninja. Vidi Sasuke sfoderare la sua
katana e impugnarla con fare sicuro. I tre ragazzi impugnarono kunai e shuriken, mentre mio
padre delle strane lame, che intrise di chakra
azzurro nella mano destra e rosso nella mano sinistra.
“Sora, Miiko, Eichi seguite lo schema
4!”
“Si, sensei!” dissero i ragazzi disponendosi a croce, con quello
che doveva chiamarsi Sora in mezzo. Lo vidi assumere una posizione strana, con le braccia
divaricate e le gambe piegate. Vidi delle vene ispessirsi sulle tempie e gli
occhi diventare ancora più strani di quanto fossero.
“Rotazione
suprema!” urlò il ragazzo prima di girare sempre più veloce, fin quando Eichi e Miiko scambiandosi uno
sguardo complice agirono in simultanea.
Miiko si morse il dito a
sangue e scrivendo una parola sulla mano sinistra, pose entrambi i palmi sulla
cupola che si era venuta a creare dal costante girare di Sora, mentre Eichi prese a fare segni strani con le mani e una volta che
presero a diventare elettriche, anch’esso compì lo stesso gesto della ragazza.
“Tecnica del
richiamo inversa!” gridò Miiko.
“Chidori” gridò invece Eichi.
E appena finito di
urlare le rispettive tecniche, dal vortice cominciarono a uscire miriadi di
armi a velocità elevata, avvolte dall’elettricità, che con forza andavano a
colpire il nemico, per poi scomparire e venire nuovamente scagliate
all’attacco.
Se la vista non mi
ingannava quelle armi che venivano lanciate contro i samurai, erano dei samurai
stessi, i quali senza capirne il motivo, vedevano le loro armi sparire dalle
mani per ritrovarsele puntate contro, più e più volte.
Era come se quella
tecnica del richiamo, richiamasse direttamente le armi in un ciclo continuo.
Ci vollero molti
colpi, ma uno dopo l’altro i samurai
presi di mira, caddero nuovamente a terra.
Sasuke aveva ingaggiato
una lotta corpo a corpo con due di loro contemporaneamente e lo stesso valeva
per mio padre. Entrambi se la cavavano
egregiamente, ma non si poteva dire di meno dei propri avversari. Avevo visto
come i samurai si allenavano all’arte del combattimento. Si sottoponevano ad
allenamenti estremamente duri, tanto che non mi sorprendevo della loro
resistenza dopo i colpi subiti, al contrario mi stupivo della forza di volontà
dei ninja, dato che avevo sempre sentito dire che essi erano dei buoni a nulla.
Doveva essere per
forza una diceria perché i miei occhi smentivano quella affermazione.
Anche loro due
riuscirono a stendere il nemico, ma una cosa mi sorprese. Non so come, ma mio
padre era riuscito a far sgretolare la corazza di uno dei ninja, nonostante
fino a quel momento tutti i suoi colpi non avessero fatto riportare alle
armature dei seri danni. Infatti la maggior parte dei samurai era a terra, non
a causa dell’entità dei colpi subiti, ma probabilmente per la stanchezza,
perché quella sembrava una lotta a chi aveva più resistenza, sia fisica che
mentale e quei ninja avevano da dire la propria. Erano formidabili e mi piaceva
pensare che fosse così perché volevano proteggere me, nonostante quella
felicità di avermi ritrovata fosse sparita al nominare Rei.
Ma mi sbagliai.
Il mio papà era
triste di non aver trovato anche Rei, ma sembrava considerare il mio ritrovamento una vittoria personale e me
lo dimostrò quando, con facilità estrema mi sollevo, facendomi sedere sulle sue
spalle.
“Tieniti forte Naho. È ora per te di ritornare nella tua vera casa!”
Mi aggrappai ai
suoi ciuffi di capelli dorati, che avevo già preso ad amare.
“Ehm papà!” dissi e
anche se non riuscivo a vederlo da quella posizione, potei scommettere che
avesse alzato gli occhi “Quel’è il tuo nome?”
Ebbe l’impulso di rigrattarsi la testa e capii che quello era il suo modo di
fare quando era in imbarazzo o faceva una figuraccia.
“Scusa. Ma
presentarsi alla propria figlia è strano. Mi chiamo Naruto
Uzumaki!”
In quel momento
ricordai. Era lo stesso nome che avevo sentito pronunciare più volte da Kabuto con un certo disprezzo.
“La mamma sarà
contenta di vederti!” disse felice.
Io invece sussultai
e sgranai gli occhi “I-io ho una mamma?” lo vidi
annuire e disse “Si chiama Sakura Haruno!”
“E com’è?” chiesi
curiosa.
Non avevo mai
pensato all’eventualità che anche io, come tutti i bambini, possedessi una mamma.
Kabuto si era sempre spacciato per mio padre e quello
di Rei, ma non aveva mai accennato a una mamma, tanto che pensavo che almeno
per me, in quanto volpe, fosse normale non averla.
“è bellissima! Ha i
tuoi stessi occhi. Non per il colore, ma per l’espressione e la forma. Sono
grandi come i suoi!”
Cercai di
immaginarla, ma con così poche informazioni non riuscivo molto a dar spazio
alla mia fantasia, ma quando mi venne detto
che se si arrabbiava poteva essere una furia…bhe
quello mi sorprese.
“Certo che hai
proprio una bella opinione di tua moglie!” disse Eichi
divertito.
“Che ho detto? Non
ho fatto altro che elogiarla. Ho solamente accennato al fatto che quando si
arrabbia, fa paura. Anche Sasuke è spaventato da lei,
vero?” disse il mio papà osservando con la coda dell’occhio l’uomo che mi aveva
trovato.
Sasuke lo guardò storto
per averlo messo in mezzo, ma poi abbozzando un sorriso disse “Fa più paura
Karin!”
“Suvvia, non sono
mica così tremende!” disse Sora.
“Ti devo ricordare
tutte le volte che hai dovuto
riattaccare rattoppare questi due, perché avevano fatto arrabbiare
Sakura e Karin?”
Sora sorrise “Ma
erano solo carezze!”
“Che facevano male
per una settimana!” disse mio padre.
A questo punto io
non sapevo più che cosa pensare, ma vedendo l’aria divertita di tutti, mi
rilassai in quanto se ci fosse stato da temere, non si sarebbe venuta a creare
quell’aria allegra.
Poche ore dopo,
sempre ammirando il paesaggio sopra la testa di mio padre, vidi qualcosa di
gigantesco comparirmi davanti. Due enormi porte aperte, dietro alle quali
sbucavano fuori delle case.
Erano tante e di
diversa forma e colore. I villaggi samurai invece sembravano fatti a stampo.
Ovunque si andasse sembrava di essere sempre nella stessa zona.
I samurai dicevano
che erano un popolo di guerrieri e non volevano perdersi in cose futili come
l’abbellimento delle loro case e quartieri, tanto che il colore con cui
descriverei quei luoghi, è il grigio.
Qui era tutto
diverso: giallo, rosso, verde, blu, mille colori mi avvolgevano e il mio cuore
si affollava di sensazioni mai provate. Il mio naso odorava profumi nuovi e le
mie orecchie sentivano suoni di risa, chiacchierii tra amici e le voci dei
bambini. Quest’ultime cose non erano tanto diverse, ma mancava il suono delle
armi che venivano fabbricate e questo fu piacevole.
“Benvenuta a Konoha!” mi sentii dire da Sasuke.
Rimasi a bocca
aperta a tutto quello e non potevo credere che quello fosse il mio villaggio.
“Ragazzi, fate voi
rapporto a Kakashi per favore!” disse mio padre.
“D’accordo capo,
lascia fare a noi!” disse Eichi battendosi il pugno
sul petto, per poi ricevere un leggero colpo dietro la testa da Miiko, la quale disse “Non ti preoccupare Naruto-sensei, farò in modo che Eichi
non si prenda il merito di questa missione!” disse per poi allontanarsi,
facendomi ciao ciao con la mano.
“Vado anche io con
loro. Potrò dare maggiori dettagli sulla vicenda. Tu vai subito da Sakura e non
fermarti all’ichiraku ramen!”
disse per poi andarsene anche lui.
Non mi piaceva
molto il modo in cui si era distaccato da noi. Non ci aveva nemmeno fatto un
saluto, ma il mio papà non sembrava turbato dalla cosa.
Per non so quante
volte in quella giornata, rimasi a bocca aperta alla vista di una grande casa a
due piani, con un giardino che la circondava in tutti i lati e fui ancora più
sorpresa nello scoprire che quella era la mia casa.
Era bellissima, ai
miei occhi sembrava una reggia, anche se sinceramente non sapevo nemmeno cosa
fosse.
Sulla porta di
entrata vi era uno strano simbolo rosso. Mi ricordava una spirale, ma non feci
domande. Vidi giochi sparsi per il giardino e mi domandai se quelli fossero per
me, anche se le macchinine non mi erano mai piaciute.
Mio padre mi mise a
terra e dandomi una pacca sulla spalla, mi sorrise.
“Pronta?”
Deglutii.
L’ignoto mi aveva
sempre fatto paura e temevo quello che avrei potuto trovare dietro quella
porta. E se non fossi piaciuta alla mamma?
“Daiki, Akai!” sentii un urlo di
donna provenire dall’interno quando la porta fu leggermente aperta.
“Tornate subito
qua! Vi insegno io a pasticciare i muri di casa!” disse poi.
L’urlo mi fece
sussultare e per istinto mi nascosi dietro le gambe di mio padre, tenendoli ben
saldi.
Lo sentii ridere e
bisbigliare “Si è già fatta conoscere!”
La chiamò ed essa
scese le scale mettendo nei piedi una certa forza che mi sembrò quasi che
facesse tremare la casa.
Sporgendomi
leggermente, la osservai. Aveva i capelli di un assurdo colore, ma che mi colpì
molto. Erano lunghissimi, proprio come i miei. Aveva una maglia bordeaux, con qualche
macchia, senza maniche e a dolce vita, dei pantaloncini neri corti e delle
pantofole a forma di volpe. Portava in mano un secchio pieno di acqua, tanto
che il contenuto, si rovesciava ad ogni passo.
“Che c’è!” disse in
modo sgarbato con il fumo che le usciva dalle orecchie, ma appena si ritrovò
davanti al mio papà, mi vide.
La sua espressione
da furente, si trasformò. Fece cadere il secchio dell’acqua a terra. Spalancò
gli occhi e la bocca e successivamente cominciando a piangere, si portò una
mano alla bocca.
Guardai il mio papà
che con tocco gentile, mi spinse verso di lei…verso
la mia mamma.
Feci qualche passo
titubante, ma non riuscii ad avvicinarmi di più. Avevo paura e non sapevo cosa
dovevo fare.
Abbassai la testa,
alzai gli occhi, portai le mani al petto e tirando fuori un po’ di coraggio,
dissi “Mamma?”