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Autore: Spencer Tita    17/04/2012    6 recensioni
Terza classificata al concorso "The most beautiful death in the world"
Terza classificata al concorso "A river of Tears" indetto da Millo&Millo su FFZ
L’aria era bollente. Vibrava e tremolava vittima del calore, come una donna in preda al culmine del piacere sessuale.
C’era odore di asfalto consumato in quella stanza. Le automobili all’esterno viaggiavano troppo velocemente e frenavano troppo bruscamente, facendo stridere le gomme con quel pavimento ruvido, reso più fragile dal caldo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Espiazione

 

"Does anybody know what we are living for?"

The show must go on, Queen

 

 

I raggi solari illuminavano pigramente il bancone della cucina Ikea dai ripiani lucidi e levigati.

Era una cucina nuova di zecca, gli scatoloni dai quali erano stati tirati fuori gli ultimi oggetti erano ancora accatastati all’ingresso.

L’aria era bollente. Vibrava e tremolava vittima del calore, come una donna in preda al culmine del piacere sessuale.

C’era odore di asfalto consumato in quella stanza. Le automobili all’esterno viaggiavano troppo velocemente e frenavano troppo bruscamente, facendo stridere le gomme con quel pavimento ruvido, reso più fragile dal caldo.

L’uomo nascosto nell’ombra della cucina storse appena il naso, infastidito dall’odore di gomme bruciate.

Detestava quel posto. Non era lì che doveva essere.

Eppure quella cucina Ikea nuova di zecca l’aveva ordinata lui, nella vana speranza di costruirsi una vita migliore.

La verità era che non era stato nemmeno capace di montare insieme i pezzi del bancone e aveva dovuto chiamare il numero verde stampato dietro lo scatolone, per farsi aiutare.

E non era stato in grado nemmeno di telefonare a quel dannato numero verde, aveva dovuto chiedere aiuto alla vicina di casa, una donna anziana e sospettosa, che lo aveva scrutato da dietro i suoi occhiali e aveva composto il numero, passandogli poi scetticamente l’apparecchio e sbattendogli la porta in faccia.

L’uomo era rincasato, più nervoso e arrabbiato di prima, e aveva trattenuto il respiro per lo spavento quando qualcuno aveva improvvisamente parlato dall’altro lato dell’apparecchio:

-Servizio assistenza Ikea, come posso aiutarla?- aveva detto una ragazza gentile.

Aveva preso un bel respiro, cercando nella sua mente le informazioni che potessero essergli utili per una conversazione telefonica, e aveva risposto, forse parlando troppo forte:

-Sono Draco Malfoy, non riesco a montare la mia cucina nuova.

-Si tratta di una cucina Ikea?

Draco avrebbe voluto mandarla a quel paese, o peggio. Era palese che si trattasse di una cucina Ikea, o non avrebbe chiamato il servizio assistenza Ikea.

Però aveva preso un altro bel respiro, prima di parlare.

-Sì- aveva semplicemente detto.

-Ha bisogno che mandi qualcuno ad aiutarla?

-Grazie, sì.

-Mi può dire l’indirizzo del suo domicilio?

Draco glielo aveva detto, lentamente e scandendo le parole.

-Benissimo, mando subito un paio di tecnici da lei. Si faccia trovare in casa tra venti minuti. Suoneranno al citofono.

L’uomo non aveva idea di cosa fosse un citofono, o di cosa fossero due tecnici. Nel mondo magico questi due termini non esistevano.

Lo aveva scoperto, però, quando un suono lancinante proveniente da uno strano apparecchio appeso al muro gli aveva perforato le orecchie.

Draco si era avvicinato e aveva visto due uomini salutare da un piccolo schermino.

-Siamo i tecnici dell’Ikea!- aveva detto uno -Ci apre?

Aveva premuto il tasto con disegnata in rilievo una chiave, immaginando giustamente che servisse ad aprire il portone.

I due uomini erano entrati sorridendo e si erano messi al lavoro.

Ora la cucina era montata e Draco aveva finito le cose da fare.

Se ne stava lì, in piedi, cercando di ignorare l’insistente rumore del clacson, quel caldo asfissiante che non aveva mai sentito in vita sua e le voci meccaniche che uscivano dalla radio accesa sul tavolino.

L’avevano azionata quei due uomini, e il mago non aveva idea di come farla smettere.

Si sarebbe dovuto abituare a quella nuova vita. Lo sapeva. Era solo che era così dannatamente difficile.

L’orologio appeso al muro segnava le dodici in punto. Era ora di pranzo.

Draco non aveva mai cucinato, prima.

“C’è sempre una prima volta” si disse pensieroso, aprendo il frigorifero e tirando fuori quello che sembrava un involucro bagnato.

Cuocere in microonde per otto minuti. Erano quelle le parole scritte sul retro della confezione.

Draco si guardò intorno smarrito, cercando il “microonde” con gli occhi.

Non capiva assolutamente niente di quella cucina. Come diavolo faceva a mangiare?

Scagliò la confezione attraverso la stanza, con forza e rabbia repressa.

La scatola scivolò sul pavimento di piastrelle lasciandosi dietro una traccia umida.

Draco si mosse nel piccolo appartamento come un animale in gabbia, dirigendosi verso la camera a passi da elefante.

C’erano solo un letto cigolante e una scrivania grezzamente lavorata in quella stanza. Niente armadio. Niente cassettiera. Niente di niente.

Draco lanciò uno sguardo vacuo al suo baule, abbandonato ai piedi del letto, e si sedette sul coperchio di legno massiccio: non avrebbe sopportato di sentire il cigolio delle molle sotto il suo peso quasi inesistente.

Si prese la testa fra le mani e tirò su con il naso.

Devi essere forte Draco.

Quelle erano state le ultime parole che gli aveva rivolto sua madre, poco prima di avergli messo in mano una Passaporta e averlo guardato scomparire sotto i suoi occhi.

E Draco ci aveva provato, ad essere forte.

Aveva trovato quell’appartamentino in quell’orrido paesino sperduto nel cuore della Spagna, dove era sempre caldo come nei suoi peggiori incubi, e ci si era trasferito subito.

Aveva cercato un lavoro, e ne aveva anche ottenuto uno come cameriere. Lavoro che aveva perso non appena il suo datore di lavoro si era reso conto che quel ragazzo dall’aria spaesata non sapeva nemmeno battere a cassa.

Si era ritrovato di nuovo a casa, circondato da giornate vuote che avrebbe dovuto riempire in qualche modo.

Ma come avrebbe potuto? Lui non faceva parte di quel mondo.

Era un mago purosangue appena uscito dalla guerra. Dalla parte sbagliata della guerra, in realtà.

La lettera di convocazione al processo gli era arrivata appena due giorni dopo la caduta di Voldemort.

Accusato di partecipazione in associazione a delinquere. Accusato di uso improprio della magia. Accusato di abuso della magia in presenza di Babbani. Accusato di tentato omicidio.

Era stato accusato praticamente di tutto. La cosa triste era che la maggior parte di quelle accuse erano fondate.

A chi sarebbe importato del fatto che lui non aveva avuto la minima intenzione di uccidere Silente, se testimoni l’avevano visto puntare la bacchetta contro di lui?

A chi sarebbe importato del fatto che non aveva mai voluto un Marchio Nero, se lo vedevano tatuato sul suo braccio?

A chi sarebbe importato del fatto che era stato obbligato a usare la magia per scopi che non voleva raggiungere, se decine di persone avrebbero affermato il contrario?

No. Non avrebbe senso rimanere e finire ad Azkaban.

Aveva fatto bene a fare come gli aveva detto Narcissa e scappare.

Era sembrata una buona idea.

All’inizio.

Ma erano passati dieci giorni dalla sua fuga e la vita andava avanti in maniera più angosciante di prima.

Quella radio che parlava da sola in cucina rendeva l’aria ancora più carica, ancora più tremante, e a Draco non piaceva sentire voci senza corpo.

Quel letto cigolante non faceva altro che fargli venire in mente la sua regale camera al Manor, dove un letto dalle cortine spesse  e avvolgenti lo aspettava freddo e spoglio.

Quell’odore di asfalto bruciato che gli si riversava nelle narici era peggio della puzza acre del sangue nel campo di battaglia a Hogwarts, dove i Mangiamorte avevano ucciso indifferentemente uomini, donne, bambini.

Draco non aveva mai ucciso nessuno. Almeno quello dovevano concederglielo.

Era troppo codardo per uccidere.

Forse era troppo codardo anche per vivere.

Si alzò di scatto dal baule e si diresse di nuovo in cucina.

Spalancò le finestre che davano sulla strada e fu investito dal calore assordante della Spagna, dal vociare delle persone, da una sensazione di smarrimento.

Rimase immobile qualche istante, cercando di metabolizzare il tutto, e si accese una sigaretta. Era l’ultima del pacchetto.

Draco lo lasciò cadere in terra, infastidito. Ci mancava solo di finire le sigarette, in una giornata come quella.

Portò lìaccendino davanti ai suoi occhi, accese il piccolo cilindro sottile e aspirò il fumo a grandi boccate, beandosi del bruciore asfissiante che gli intossicò la gola e lo fece lacrimare, felice del dolore fisico.

Si, il dolore era l’unica cosa che lo legava alla vita.

Perché la verità era dura e triste, ma era quella: Draco non aveva più voglia di vivere.

Draco stava tenendo duro per sua madre e per suo padre.

Ma il giornale che aveva ricevuto quella mattina gli aveva portato via l’unico motivo per vivere: suo padre aveva ricevuto il bacio dei Dissennatori la sera precedente. Sua madre era morta, uccisa dai carcerieri di Azkaban dopo lunghe torture.

Draco non aveva potuto fare a meno di pensare che se fosse rimasto avrebbe fatto la fine di sua madre.

E così era rimasto solo.

Soffiò una boccata di fumo fuori dalle labbra screpolate. Si era già scottato la pelle albina, in quella città. Non era abituato a un sole così cocente.

Draco lanciò un’occhiata di sbieco a quel bastoncino di Biancospino appoggiato sul piano da lavoro della cucina.

Quel bastoncino che una volta chiamava bacchetta magica ma che adesso non poteva più essere definito tale.

Se lo avesse usato, lo avrebbero trovato subito.

La mascella di Draco si mosse violentemente.

Che importava a quel punto?

Per che cosa viveva?

Draco sapeva solo che voleva morire, ma che forse avrebbe preferito non essere torturato, prima.

Quindi, considerato che buona parte del mondo magico lo detestava, gli rimaneva solo una cosa da fare.

Uccidersi.

Si soffermò un attimo a guardare il pulviscolo che aleggiava nell’aria, illuminato dai raggi del sole. Ora che aveva deciso di farla finita tutto sembrava molto più interessante.

Ad esempio, non aveva mai notato tutte le nervature che c’erano tra le assi di legno del tavolo. Alcune sembravano seguire le linee del suo albero genealogico.

Gli pareva di vedere il collegamento che partiva da Bellatrix Black e lo legava a lui. O la linea sbiadita che portava alla foto strappata di Ninfadora Tonks, mezzosangue.

La sua famiglia non aveva mai ammesso ibridi. Non aveva mai ammesso errori, delusioni, sbagli.

E lui aveva sbagliato. Aveva deluso. Aveva commesso indicibili errori.

Doveva espiare.

Doveva morire.

Draco scavò di nuovo nella tasca dei suoi pantaloni di lusso, di un taglio costoso e lineare che stonava con la povertà di quella casa di provincia.

Il lusso in generale stonava con la sua nuova vita.

Estrasse l’accendino con il quale aveva accesso la sigaretta. Era stata una delle prime cose che aveva imparato, come accendere l’accendino. Non avrebbe mai più potuto farlo con la magia, e non avrebbe potuto rinunciare al fumo in un momento come quello.

Draco spense la sigaretta sul dorso della sua mano, gemendo alla scarica di dolore che raggiunse il suo cervello.

Gettò il mozzicone a terra, insieme agli altri tre che aveva già fumato quel giorno.

La piccola scottatura sulla sua mano pulsava dolorosamente, e Draco sorrise.

Fece scattare la rotellina dell’accendino con sicurezza, e fissò la fiamma per pochi istanti.

Poi lo lasciò andare.

L’oggetto cadde roteando, con una lentezza snervante, e finì proprio sopra al pacchetto di sigarette gettato poco prima dall’uomo.

Il cartone prese fuoco lentamente, accartocciandosi tutto su se stesso, rivelando un’ultima sigaretta stropicciata.

Draco cacciò la mano nel pacchetto in fiamme, dimentico o abituato al dolore, la prese e la portò alle labbra.

Si sedette sul davanzale e attese pazientemente, mentre il sole caldo gli scottava la schiena e le fiamme crescenti gli lambivano i piedi.

Il fuoco raggiunse l’apice in fretta. Il caldo era diventato insopportabile.

Draco iniziò a sudare dalla fronte. Goccioline chiare e salate scivolavano sopra il suo viso. Alcune stille nascevano negli occhi.

Forse erano lacrime.

Lacrime versate per la sua bacchetta in fiamme.

Era il suo ultimo legame con il mondo magico, e stava andando in cenere.

Draco chiuse gli occhi quando l’anima di quel ramoscello uscì dall’involucro, gridando ferita e abbandonata. Non poteva guardare la sua magia che lo abbandonava.

Qualcosa iniziò a suonare.

Draco guardò sul soffitto e notò un piccolo aggeggio che lampeggiava di rosso e strillava come una Mandragola arrabbiata.

Era l’allarme antincendio? Non lo sapeva.

Tanto, qualunque cosa fosse, era troppo tardi.

I suoi vestiti avevano preso fuoco e la pelle alla quale una volta aveva tenuto tanto si stava rovinando sotto i suoi occhi.

La vedeva accartocciarsi e diventare rossa, bruciare incredibilmente forte. Resistette all'impulso di alzarsi e gettarsi sotto l'acqua corrente della doccia o del lavandino.

Doveva resistere per morire.

Che cosa era rimasto del Draco Malfoy di qualche anno prima?

Solo un corpo indifferente e due occhi insensibili.

Il dolore era tremendo. Per un attimo lo distrasse dal vuoto che sentiva dentro.

La sigaretta gli sfuggì dalle labbra e lui cadde.

Pensò ai suoi genitori, alle loro anime che lo attendevano da qualche parte. Forse all’inferno, forse in paradiso. Forse in effetti non c’era niente dopo la morte.

Ma a Draco non importava: se quella era la sua vita, preferiva morire.

Pensò a Harry Potter, che aveva ucciso il Signore Oscuro con un Expelliarmus e pensò che tutte le fortune capitano agli altri.

Poi si ricordò che lui era Draco Malfoy e che era sempre stato invidiato da tutti. Non poteva essere desideroso della vita di Potter.

Pensò a Dobby. Dobby era un elfo libero. Aveva conquistato la sua libertà, mentre lui non c’era riuscito.

Non si può vivere sentendosi inferiori a un elfo domestico.

Presto avrebbe avuto anche lui la sua libertà. Presto nessuno avrebbe più potuto obbligarlo a fare niente.

Il fuoco lo consumava in fretta, troppo in fretta, e la sua vita gli scivolava via tra le mani come sabbia al vento.

Draco Malfoy stava morendo.

Un ultimo sospiro stanco gli sfuggì dalle labbra, i suoi occhi grigi rimasero infine immobili.

Draco Malfoy era morto.

Di Draco Malfoy era rimasta solo la cenere.

 

 

 

 

Fine

 

 

 

Delirio dell’autrice

Questa storia partecipa al contest “The Most Beautiful Death in the World” e sono più che sicura di essere andata fuori tema come al solito.

Non è la prima volta che mi capita di iscrivermi a contest e finire con lo scrivere di tutt’altro.

Ma io non ce la faccio a tagliare, modificare, riscrivere le storie dopo averle completate.

Quindi la storia è questa: pura, diretta, impulsiva come sono io.

Spero vi sia piaciuta e spero che lascerete un segno del vostro passaggio!

Fatemi sapere se nonostante tutto ho scritto qualcosa di... leggibile?

Un bacione

Tita

 

  
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