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Autore: detoxIretox    17/04/2012    2 recensioni
[COMPLETA]
Come regalo di Natale/Capodanno ecco a voi una nuova mini-longfic sui nostri adorati Kagamine. Si applicano tutti gli avvertimenti che si applicano sempre ai Kagamine: tristezza, angst, no happy ending, ugh, why, e via discorrendo.
***
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
***
[Len/tragedia, Rin/tragedia, Gumi/tragedia, insomma vedete dove sta andando a parare]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5~ Unforgivable but ardent feelings towards you
 
La settimana precedente alla visita di Kamui Gakupo fu all’insegna di incontri clandestini e baci incessanti. Nessuno dei due sembrava avere bisogno della musica come prima; a dire il vero, Len non suonò per tutti i pomeriggi che i due si incontravano nella radura di ciliegi. Non appena vedeva emergere Rin dai rami in fioritura, un improvviso disinteresse per il violino lo saturava e abbandonava lo strumento nella custodia, andando incontro alla ragazza e baciandola ancora e ancora, godendosi ogni singolo istante che il destino riservava ancora loro per stare insieme.
Già si erano resi ampiamente conto di quanto fosse sbagliato ciò che stavano facendo. Eppure, stranamente, ogni paura o pensiero svaniva alla vista dell’altro. Non avevano bisogno di approvazioni, rassicurazioni né tanto meno elogi di nessun genere; per essere disperatamente felici bastavano loro due.
Il pomeriggio prima del primo incontro con Kamui Gakupo, Rin era pericolosamente suscettibile. Per la prima volta, sentire Len suonare non la fece calmare, ma anzi le provocò un senso di nervosismo che la fece andare in bestia più di quanto già non fosse. Imponendosi di non perdere la pazienza con Len, che non c’entrava niente con la sua insensata rabbia, si strofinò le tempie con le dita mormorando: “Fermati... fermati un attimo.”
Len obbedì e la melodia si interruppe, facendo sfuggire alla ragazza un piccolo sospiro. “Lo metto via.”
Anche lui pareva molto più teso di quanto non fosse mentre suonava. Nel vedere Rin in quelle condizioni, le si affiancò e la prese per i fianchi. Lei si lasciò guidare dalle sue mani e gli si sedette vicino, facendosi circondare dalle sue braccia e abbandonando la testa sul suo petto.
“Sei preoccupata?”
“Tu sì che mi capisci bene” soffiò, ma subito dopo aver detto quelle parole pesantemente sarcastiche si pentì di avergli parlato in quella maniera. “Scusa, scusa... non volevo...”
“Non fa niente”. Len sospirò. “Ti consento di trattarmi come vuoi per scaricare la tensione, che ne dici?”
“Ah, diavolo” imprecò Rin, poi affondò ancora di più il volto nell’incavo tra il mento e la spalla del ragazzo, chiudendo gli occhi. “Fammi pensare... la tua camicia è troppo sgualcita e ti fa sembrare un idiota. Quando baci hai le labbra screpolate e mi danno sui nervi. E poi spesso mi stringi così forte le spalle che devo darti una gomitata per farti allentare la presa... e ancora,...”
“Avevo detto trattarmi come vuoi, non di insultarmi” la interruppe Len. “Questo è un lato di te che non conoscevo. Diventi una belva quando sei nervosa.” Il suo tono tra l’amareggiato e il divertito le fece atteggiare le labbra in un piccolo sorriso tirato, che si spense quasi immediatamente nell’istante in cui il nome di Kamui Gakupo proruppe nella sua testa con la forza di una frustata. Si esibì in un verso di stizza e allacciò le dita dietro la nuca di Len con forza, costringendo il suo collo a una posizione davvero poco comoda; a quel punto lui sbuffò. “Rin, se andiamo avanti così non arriveremo a nulla però.”
“Mi dispiace... non riesco ad essere per niente serena.”
“Andrà tutto bene, lo sai” la incoraggiò lui. Accompagnò quelle parole con un paio di bacetti tra i capelli.
Lei, per tutta risposta, annuì. “Lo so, lo so che andrà bene. È solo che non tollero il pensiero di vedere, tra qualche ora, il volto del mio futuro marito... che...”
Si abbandonò a un sospiro caldo, che solleticò la pelle di Len, prima di terminare: “...che non sarà mai il tuo, dannazione.”
Il ragazzo le alzò delicatamente il mento per fare in modo che lo guardasse; le sue iridi, limpide ma come sempre leggermente adombrate da quella traccia di sofferenza che lo accompagnava sempre, la scrutarono in cerca di darle una piccola sicurezza. Sapeva di non esserle molto d’aiuto, e il senso di impotenza aumentò quando vide delle lacrime cominciare a formarsi negli occhi di Rin, impreziosendone le ciglia con piccole gocce che sembravano perle.
Le baciò la guancia già umida. “Quante volte ti ho detto che non sopporto di vederti piangere, eh?”
“Ti... ti sembro depressa?”
“Un pochino” ammise Len. Sfiorò le proprie labbra con quelle di lei. “E poi è strano baciarti mentre piangi. È tutto troppo umido.”
“Stu... stupido.” La ragazza sorrise esitante e lo abbracciò stretto, mentre Len sentiva il cuore gioire per averla fatta stare un po’ meglio, almeno per quel solo istante.
Più tardi, poté dirsi alquanto fortunata ad essere sopravvissuta alla preparazione di sua madre, la quale l’aveva letteralmente infilata a forza nel suo vestito buono, dopo averle scaraventato in aria l’armadio in cerca di qualcosa di elegante e, come aveva detto lei, “presentabile”.
Perché a quanto pareva possedere tre interi armadi guardaroba contenenti, o per meglio dire, straripanti di abiti dai tessuti più rari e preziosi in Giappone significava avere roba appena presentabile. Mentre la maggior parte delle persone normali non poteva permettersi nemmeno un decimo di tutto ciò che aveva lei.
E poi la gente si chiedeva perché Rin odiasse essere schifosamente ricca.
E specialmente perché odiasse ostentarlo.
Perché, in fondo, era quello che era stata costretta a fare quella mattina. Ostentare la propria ricchezza. Per apparire bella agli occhi del suo futuro sposo, certo, ma specialmente apprezzabile dal punto di vista economico e con una dote.
E sorridere, sorridere finché non le venivano i crampi alle guance; e non ci misero molto a farsi vivi.
Sua madre si aggirava in preda al panico intorno alla sua figura, sistemandole una volta i capelli che le ricadevano sul viso - “questo volto grazioso dev’essere messo in mostra, tesoro” -, una volta il fiocco leggermente storto, una volta l’abito che prima sembrava troppo scollato, poi troppo chiuso, poi volgarmente scoperto. Rin tirò un sospiro di sollievo nel sentire uno scalpiccio di zoccoli sul sentiero che portava a casa sua, così sua madre poté finalmente allontanarsi da lei e smettere di tormentarla. Un ultimo bisbiglio da parte sua - “mi raccomando, cara, mostrati matura e seria, non fare la frivola come tuo solito” -, un’occhiataccia da parte di Rin alla suddetta per via della raccomandazione/insulto, e la sagoma di un uomo alto e dal petto largo apparve davanti a loro.
Rin affilò lo sguardo per vederlo meglio: portava una camicia apparentemente semplice - fu il tessuto leggero e pregiato a tradire la sua ricchezza - con un gilet nero dischiuso e dei normalissimi pantaloni, infilati in pratici stivali. Rin si vergognò all’istante del fatto che lui si fosse vestito in modo piuttosto comune, mentre lei era stata costretta ad indossare un cavolo di kimono a motivo floreale e, se fosse stato per sua madre - ma lei si era rifiutata categoricamente - perfino un centinaio di gioielli.
Per quanto riguardava l’aspetto, era esattamente come Gumi lo aveva descritto. Alto, in forma, capelli lunghi e sguardo bonario e gentile. Quando si avvicinò alla ragazza, accompagnato dal padre di Rin, si inchinò e con fluidità le fece un perfetto baciamano. Rin arrossì, come sempre quando le si rivolgeva quel gesto; tuttavia stette bene attenta a cercare di captare altri eventuali sentimenti che quell’atto le avesse smosso: nulla di nulla.
Solo Len ci è riuscito, vero?
Scosse la testa senza farsi troppo notare da Kamui Gakupo, che nel frattempo adulava sua madre complimentandosi per l’abito.
Cattiva Rin. Non si pensa a Len oggi. Non pensarci.
Certo. Era più facile a dirsi che a farsi...
“Come avete già visto, questa è mia figlia Rin” la presentò suo padre.
“Incantato”. Kamui Gakupo aveva una voce profonda e rassicurante.
 “E’ un piacere.”
Rimasero a chiacchierare tutti e quattro per un po’, sotto il portico di fronte all’ingresso della casa di Rin, mentre i suoi genitori facevano alcune domande e Gakupo rispondeva prontamente e sembrava sempre dire la cosa giusta al momento giusto. Pareva possedere un senso innato di stare a proprio agio in mezzo a persone che eppure aveva appena conosciuto. Da parte sua, Rin cercava di farsi il più piccola possibile, lasciando gli adulti ai loro bei discorsi.
...Già, adulti.
Presto sarebbe dovuta diventare adulta anche lei, giusto?
“Rin, perché non andate a fare una passeggiata?”
La ragazzina annuì, prendendo il braccio che Gakupo le porgeva e iniziando a camminare, lasciandosi trasportare da lui - conscia che quel gesto avrebbe caratterizzato la sua vita da allora in avanti.
In fondo non fu un pomeriggio tanto disastroso come si era immaginata; lei e Gakupo percorsero parecchi sentieri lungo le campagne lussureggianti che circondavano il loro paese, attraversando giardini pieni di petali di fiori che cadevano.
Il suo futuro marito era un uomo con cui era facile avere conversazione e trovare dei punti in comune; era un amante della musica e del silenzio, non amava la vita mondana e spesso aveva bisogno di un contatto con la natura per azzerare un po’ di quello che gli stava intorno e che lo infastidiva, esattamente come Rin. Che poi fossero cose vere, e non dette per fingere di andare d’accordo con la sua futura moglie, quello era un altro paio di maniche.
Non era per nulla autoritario, sebbene la sua immagine lo suggerisse, e sembrava molto accondiscendente; molto di più di quanto Rin si fosse potuta aspettare, e di più di quanto avesse mai visto in qualsiasi altro uomo della sua vita. Persino Len, per quanto gentile e tutto il resto, ogni tanto veniva assalito da una forte gelosia quando erano insieme; Gakupo non pareva interessato davvero, invece, al fatto che Rin si allontanasse troppo da lui o non gli desse ascolto. Solo da quei semplici dettagli la ragazza capì quasi immediatamente di essere stata affidata a buone mani - Dio solo sapeva quanto tempo aveva passato a pregare che il suo promesso sposo non fosse di carattere dispotico come suo padre: non avrebbe mai retto di passare dal comando di un uomo a un altro, sempre al servizio di qualcuno.
Restava il piccolo dettaglio che, una volta sposato Gakupo, Rin non avrebbe mai più potuto vedere Len... nonostante sapesse benissimo che la solita scusa “è ancora presto per pensarci” non reggesse più da tempo, continuava a ripeterselo come un mantra religioso nella mente, facendo del suo meglio per illudersi che il momento dell’inevitabile addio fosse lontano - quando invece era più vicino di quanto potesse immaginare.
Infatti, quando Gakupo le svelò che il loro matrimonio si sarebbe svolto alla fine della primavera, per Rin fu terribilmente difficile mantenersi impassibile. Tuttavia riuscì a far passare quel singhiozzo improvviso per un piccolo starnuto, senza che Gakupo se ne accorgesse - comunque, non si sarebbe preoccupato, nel caso l’avesse vista piangere.
“Avete detto che vi piace la musica, vero?” chiese dopo un po’ Rin, la voce roca per la fatica di mandare giù le lacrime. Gakupo stava osservando un albero i cui fiori sembravano restii al voler sbocciare, mentre intorno a loro le chiome erano già del tutto dipinte di un rosa perlato. A quella domanda si voltò sorridendo: “Sì, molto.”
“Ogni tanto sento... sento...”, deglutì rumorosamente, mentre Gakupo tornava a rivolgere la sua attenzione ai rami sopra di lui, “qui nei pressi... sento qualcuno suonare il violino.”
“Nei pressi?”
“Sì. Ho cercato a lungo questo violinista, ma non l’ho mai potuto vedere... vi andrebbe di aiutarmi a trovarlo? Spesso vado in giro per conto mio, ma...”
“Non è ben indicato per una ragazza sola” la interruppe lui serio.
Rin sospirò di finto rammarico. “Avete ragione, è quello che stavo per dire. Non me la sento di allontanarmi così tanto da casa mia in solitudine” mentì. “Perché non venite con me, oggi?”
L’espressione di Gakupo si fece pensosa per meno di un secondo, e fu col suo solito sorriso bonario che accettò di accompagnarla all’interno del bosco di ciliegi.
Rin finse per tutto il tragitto di essere combattuta su che strada scegliere, o di guardarsi titubante intorno come per cercare di ricordare qualcosa di difficile - recita che la faceva sentire stupida ogni momento di più, siccome avrebbe trovato la strada per la radura anche ad occhi chiusi. Facendo sempre finta di non essere del tutto sicura dei sentieri che prendeva, condusse Gakupo, che la seguiva docilmente, molto vicino al luogo in cui Len suonava di solito, così tanto che ormai si poteva sentire chiaramente la melodia familiare delle sue composizioni preferite. Rin arrossì quasi involontariamente, e si voltò per evitare di farsi vedere, aspettando il momento in cui anche Gakupo avesse sentito la musica e l’avrebbe trascinata là da dove proveniva.
Passò un minuto che sembrò un’eternità, ma alla fine l’uomo si accorse del suono e picchiettò leggermente Rin su una spalla. “Credo di averlo trovato...”
“Sul serio?”. Rin cercò di usare tutto il tono sorpreso di cui era capace al momento.
“Sì... venite, da questa parte.”
Le prese la mano e la guidò nella direzione che lei aveva desiderato percorrere più di ogni altra cosa per l’intera giornata; portando le dita della mano libera al volto per celarlo, Rin sorrise tra le lacrime.
Era incredibile come in un solo giorno di assenza Len le fosse mancato così tanto; quando lo rivide a suonare nella solitudine beata con nient’altro che la sua passione, pensò di non aver mai capito quanto bello fosse veramente. A ogni occhiata in più riusciva a cogliere un dettaglio a cui prima di allora non aveva mai fatto caso, e non poteva fare a meno di chiedersi con rabbia perché si fosse innamorata perdutamente di lui e non di Gakupo, perché Len fosse orfano e povero, perché diavolo non le fosse concesso di amarlo alla luce del sole.
“E’ bravo” concesse in un sussurro Gakupo, distogliendola dalle sue domande senza risposta.
Bravo? Bravo? Lui era splendido. Talentuoso, passionario, elegante, dolce, lui era... lui era tutto.
Avrebbe voluto urlargliele in faccia, quelle parole, avrebbe voluto farglielo capire con tutte le energie di cui disponeva; ma non fece nemmeno in tempo a prendere fiato per una risposta che Gakupo si diresse verso Len allungando il braccio e esclamando un esitante: “Scusatemi...!”
Rin si prese la testa tra le mani. “Cosa diavolo fa?” le scappò in un mormorio che lei stessa faticò a sentire, mentre la musica si interrompeva bruscamente e Len si voltava sorpreso.
“Sì?” chiese leggermente smarrito. Non aveva ancora visto Rin tra gli alberi.
“Mi chiamo Kamui Gakupo...”
A quel nome gli occhi di Len scattarono più veloci della luce dal volto del suo interlocutore a ciò che vi era dietro la sua schiena, trovandovi uno sguardo di scuse da parte di Rin. Si irrigidì impercettibilmente; la ragazza dubitava che Gakupo, però, se ne fosse accorto.
“...e la mia fidanzata...”
Len sbatté le palpebre in una specie di tic nervoso, ma Gakupo continuò imperterrito: “...vi ha sempre sentito suonare, e vorrebbe conoscervi.”
“Oh” fece Len, più confuso di prima. “Ah. Ehm, certamente.”
“Rin, venite!”
Nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare di trovarsi una situazione più imbarazzante di quella. Se le circostanze non avessero richiesto una certa serietà, erano certi che sarebbero scoppiati a ridere più di quanto avessero mai fatto in vita loro. Tuttavia, il loro “futuro” dipendeva dal fatto di essere bravi attori - dote che nessuno dei due poteva vantare di possedere, purtroppo.
Gakupo rimase immobile a guardare Rin e Len col sorriso soddisfatto stampato in faccia, evidentemente convinto di aver fatto la mossa giusta; i due, dal canto loro, non avevano il coraggio di alzare gli occhi.
“Insomma...” Len si decise, infine, a interrompere il silenzio. “Io sono... io mi chiamo... Len.”
“Oh. Io sono Rin. È un piacere.”
“E’ un onore.”
“Vivete da queste parti?”
“Insomma... più o meno...”
Silenzio snervante.
“Siete... molto bravo con il violino.”
“Ah... grazie mille. Voi siete...”, Len esitò un attimo, indeciso su quale complimento rivolgerle, “ehm... siete... bionda.”
Rin temette di essersi rotta un paio di costole a forza di trattenere le risate.
E Len temette di prendere fuoco da un momento all’altro, dal tanto che era arrossito.
Entrambe le reazioni però, fortunatamente, sfuggirono all’occhio inattento di Gakupo, il quale si guardò intorno come rapito e respirò l’aria primaverile a pieni polmoni. “Venite spesso a suonare qui, dove nessuno può sentirvi?”
“Ehm, io... sì.”
“E come mai?” chiese Gakupo.
“Oh, è una cosa che facevo sin da piccolo.” Len si schiarì la voce, guardando Rin a disagio con occhi piuttosto eloquenti.
Gakupo era sul punto di fare un’ulteriore domanda - e probabilmente l’interrogatorio si sarebbe protratto a lungo, se Rin non gli avesse afferrato un lembo della camicia mormorando: “Si è fatto tardi, non pensate?”
“Oh, sì...” Gakupo parve cadere dalle nuvole. “Vi riaccompagno a casa. Len, è stato un piacere.”
“Ah, ehm...” fu tutto ciò che riuscì a sillabare lui, la gola secca, reduce ancora dall’imbarazzo della gaffe di poco prima. Come sempre, Gakupo non ci fece molto caso e con un gesto cordiale lo salutò. Rin non ebbe il coraggio di voltarsi e, man mano che si allontanavano, la voglia di ridere scompariva così come era venuta.
 

***

 
“Era strano quel ragazzo, non trovate?”
Rin si riscosse, e fece un mezzo sorriso; allora Gakupo non era così distratto come sembrava fare intendere. “Cosa vi è sembrato strano di lui?” chiese, col cuore in gola; inutile dire che avesse il terrore che Gakupo potesse aver intuito qualcosa.
L’uomo fece spallucce. “Non sembrava parlare molto bene. Forse è povero e non ha una gran cultura...”
Rin strinse i denti fino a farsi male. “Voi... voi dite?”
“Non saprei. Non mi pareva neanche una brava persona, a dirla tutta.”
“Perché mai?” chiese lei, cercando di nascondere la rabbia.
Gakupo si appoggiò al tronco di un albero, guardando il torrente che scorreva a pochi metri da loro. “Non conosceva l’etichetta. E quella battuta laida che vi ha rivolto è stata davvero poco educata. Quella del fatto che siete bionda. Si comportava come se fossimo confidenti, mentre avrebbe dovuto portarci più rispetto, visto il rango elevato di cui facciamo parte.”
“Se una persona non conosce il galateo, non vuol dire che sia un poco di buono” replicò Rin.
“Avete ragione. Ma non avrebbe dovuto permettersi di mancarvi di rispetto comunque, o di evitare di salutarci a modo quando ce ne siamo andati.”
Rin abbassò gli occhi per un istante; come aveva potuto illudersi che Gakupo fosse diverso da tutti i ricchi che la sua famiglia frequentava? Tutti con i loro bei pregiudizi sulla gente che non aveva soldi, parenti, o casa; tutti a considerarsi migliori, solo per essere nati con una dote, aver ricevuto insegnamenti da intellettuali, potersi permettere di comprarsi titoli con cui farsi grandi davanti a quelli che loro chiamavano “ignoranti”, “contadini”, e altri termini molto meno gentili che Rin aveva sentito usare molte, troppe volte. Se solo avesse potuto decidere, sarebbe voluta nascere tra i “plebei” un milione di volte di più che in una famiglia come quella. Invece, era costretta a far parte di una classe cui sentiva di non appartenere davvero, con cui non condivideva nulla... se non il fatto di essere ricca...
Voltò il collo lentamente, quel poco che le consentì di vedere, con la coda dell’occhio, la sagoma di Len che li osservava seminascosto dalle fronde. Tornò a rivolgere la sua attenzione a Gakupo: aveva appena afferrato un sasso, e ora lo aveva lanciato in modo da farlo rimbalzare sulla superficie piatta dell’acqua. Guardandola, doveva aver frainteso lo sguardo pensieroso di Rin per un’occhiata ammirata per il suo tiro; così sorrise e le si avvicinò. “Ti è piaciuto?” chiese, riferendosi compiaciuto al suo colpo da maestro.
Rin annuì, non potendo fare a meno di notare che Gakupo le aveva dato del tu.
“Vorresti che ti insegnassi?”
A quel punto, che importava? Avrebbero dovuto passare una vita insieme, e Rin avrebbe fatto meglio a smettere di pensare e rassegnarsi a ciò che la aspettava. Annuì una seconda volta, mentre permetteva a Gakupo di cingerle i fianchi con tocchi leggeri e carezzarle le braccia, con il pretesto di posizionarle nel modo migliore per lanciare il sasso e farlo rimbalzare.
Girò nuovamente la testa: Len era scomparso.
  
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