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Autore: Gringoire97    22/04/2012    1 recensioni
E se Quasimodo non fosse così buono? E se Frollo mentisse per espiare le sue colpe? Una versione alternativa del famoso romanzo di Hugo che tenta di unire il serio al divertente con uno strano matrimonio...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4° capitolo

La scarna figura

 

 

Le mani ossute di quell'ombra tenevano ben fisse e ferme le spalle di Quasimodo, tremante come quella foglia d'inverno. Non tentava di ribellarsi, come un cucciolo che avverta l'odore della madre. Era infatti proprio quello l'odore che Quasimodo aveva sentito: la scarna figura era l'arcidiacono di Josas Claude Frollo. La sua figura statuaria si cominciò a muovere. Portò fuori Quasimodo e lo legò ben stretto, poi tornò nella stanza in penombra e prese su di se quella fragila creatura, come se stesse maneggiando un vaso vecchio di secoli. Con premura l'adagiò su un giaciglio, poi si diresse verso la finestra e rimase assorto per un tempo infinito. Egli vedeva scorrere davanti a se tutti gli eventi tumultuosi che aveva passato. Claude Frollo era riuscito a fingere bene la morte e soprattutto a farla credere a Quasimodo. Egli, in realtà, non era mai deceduto. Era più vivo di una piantina appena sbocciata. Appena sentì che Quasimodo aveva abbandonato la cattedrale, Claude Frollo, si ridestò dal suo svenimento e scese le ripide scale a chiocciola che lo portarono nella navata principale della sua cattedrale. Meditò su cosa fare, vide la sua anima. Era bruciata, annerita e poco vigorosa, ancora una volta un animale che, ferito, cerca di guarire e di tornare al suo splendore. Frollo, che aveva sempre creduto nell'oro e nell'alchimia, aveva ora bisogno di trovare qualcosa che lo facesse brillare come ciò che aveva sempre cercato. Lui era fatto per brillare. Si rialzò dalla sua genuflessione e si girò di scatto come se avesse sentito un rumore alle sue spalle. Percorse in senso inverso le anguste scalette e tornò nella sua piccola adorata cella. Lì, su quelle pareti che avevano assistito mute e immobili al decadere del loro padrone, vigevano e regnavano ancora tutte le formule dell'alchimia. Una di esse spiccava: ANATKH.

Quella era profondamente radicata in Frollo e su quei muri, era ciò in cui lui aveva sempre creduto. Destino, fatalità. Se Dio aveva voluto sottoporlo alla prova dell'amore allora quella prova andava affrontata fino alla fine. Carico di quella forza che solo una decisione presa con coscienza e riflessione può dare, prese carta e penna e scrisse.

Voi siete sempre stato una guida per me. Io Vi sono sempre stato fedele, o mio Signore. Ebbene sì, il vostro più fedele servitore rinuncia alla sua carica di arcidiacono ma anche alla sua completa devozione in Dio. La mia anima, troppo provata, è ormai troppo poco integra e pulita per affrontare senza remore questo impegno. Io Vi lascio la mia tunica e con essa un pezzo della mia anima. Come se vi lasciassi una parte del mio corpo fondamentale alla vita, così su questo tavolo abbandono tutto ciò in cui ho sempre creduto. Non cercate di fermarmi, non fatelo. Fareste del male a Voi, alla cattedrale e anche al popolo. Sono impuro come ormai tutti gli uomini, i tempi stanno cambiando e io non vi potrò assistere per un minuto in più chiuso da questa veste nera.

Sempre vostro fedelissimo,

L'arcidiacono di Josas Claude Frollo.”

Sigillò la busta e la indirizzò al supremo Vescovo di Parigi. Poi si tolse la tunica e, con lo sguardo perso nel vuoto, la abbandonò sulla sua tavola. Si diresse verso la porta, posò la mano sulla maniglia e rimase così, immobile. I suoi occhi, seppur persi nel vuoto, mandavano lampi di tristezza. Piangeva. Si appoggiò alla porta e si inginocchiò. Avrebbe abbandonato tutto. Tutta la sua vita sarebbe rimasta fra quelle quattro mura. Frollo, in realtà, era morto ma in senso opposto rispetto a quello che intendiamo noi. A lui era spirata sì l'anima ma il corpo era lì, forte e vigoroso seppur scarno, che lo sorreggeva. Era solamente il telaio di un'auto che aveva perso vitalità. Percorse la stessa strada di Dio verso la croce, egli infatti, si dirigeva lentamente verso la crocefissione. Ormai era perso, finito, ma l'istinto che è sempre in noi lo portò a rialzarsi. Impetuosamente e come se non pensasse, scese velecomente le scale e uscì dal portone della cattedrale. Passò sul sagrato e poi, di corsa, si diresse verso il fiume. Una piccola barca era lì, immobile, pareva che aspettasse solo di essere condotta lontano di lì. Frollo vi saltò sopra come una tigre, con il suo solito fare felino e si diresse velocemente verso la periferia di Parigi. Parigi era costituita da due città, il centro, così bello, vivo e la periferia, un albero morto, solamente un peso per la città. Egli non aveva tempo però di guardare, era impegnato nella fuga da se stesso. Impegnava le mani per non impegnare il cervello. Quando fu lontano da ogni forma di vita, che fosse una pianta, un albero od un uomo si fermò. Era giunto in una radura che rispecchiava perfettamente la sua anima. Quella, infatti, era appena stata protagonista di un incendio e tutta la vita che prima la popolava, la fauna e la flora era stata distrutta. L'ormai ex-arcidiacono riprese la sua corsa, fino a quando i bisogni naturali dell'uomo si fecero sentire in lui. Aveva sete, aveva fame. Si diresse verso il fiume e si mise a bere. Poi, però, prese un'improvvisa decisione. Egli sarebbe rimasto sacerdote, si lo sarebbe rimasto, ma nell'anima. Egli si sarebbe costretto ad usufruire dello stretto necessario per la sopravvivenza e avrebbe pregato ogni dì, girovagando. Abbandonò la piccola barca, che in questo modo tornava alla sua vita di desolazione e solitudine, e ricominciò a vagare. Frollo sfiorava tutto ciò che incontrava, la corteccià degli alberi sino a qualche piccola, sporadica, fogliolina ancora viva. Non tutto era bruciato, mai è bruciato tutto e tutto si rigenera. Perso in queste positive meditazioni l'uomo uscì dalla radura e si addentrò in un bosco fitto ed oscuro. Nulla si muoveva intorno a lui. Colse qualche piccola bacca e le mangiò. Trovò una piccola caverna e rimase lì per la notte, coricandosi sotto qualche piccolo filo di paglia. Non si era riparato, doveva espiare le sue colpe. Aveva intenzione di peregrinare sino a quando la sua anima non si sarebbe completamente rigenerata e non fosse stata candida come un vestito da sposa immacolato. La mattina l'alba lo svegliò, un sole rosso fuoco gli scaldò il viso e anche i più reconditi e dimenticati organi del suo corpo. Riprese il suo viaggio pellegrinando. Sino a quando cominciò a riconoscere qualche particolare. Qualche pietra con una forma particolare o qualche albero. Poi capì. Su quel colle, al quale era giunto quando ormai era notte fonda, spiccava alta e imponente seppur ferita la sua vecchia dimora, la sua vecchia casa. Quella dalla quale aveva salvato suo fratello alla nascita e quella dove ora nascondeva il suo pupillo. Era come se una forza magnetica lo attirasse intorno a quei volti, a quelle tentazioni. Dio non voleva smettere di metterlo alla prova. Frollo non sapeva che gli stava offrendo la via più breve e semplice per la redenzione. Poi due gridi squarciarono l'aria e l'uomo riconobbe la voce. Prima indeciso sul da farsi e poi veloce come un felino, capì che era giunta la sua ora, no, non quella della more, quella della vita, e così facendo si avventò su per quella dimora che aveva costituito per lui le sue opere più caritatevoli ed importanti della vita.

  
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