Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: orphan_account    23/04/2012    43 recensioni
Ero a pezzi, fisicamente e mentalmente. Stavo cercando disperatamente di dire quello che pensavo, ma la mia gola era chiusa e non riuscivo a respirare dal dolore: "A-Avete la minima idea di quello che ho dovuto sopportare? Di quello che ancora sopporto, tutti i giorni?"
Li guardai con sfida. Due di loro era chiaramente confusi, come se non avessero la minima idea di cosa stessi parlando. Liam e Niall, invece, abbassarono lo sguardo.
[...]
"Per favore, Taylor! Lasciati aiutare." Liam mi stava supplicando, ma i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle mie braccia. Niall era così disperato che per poco non si metteva a piangere. Dieci minuti dopo questo teatrino mi abbandonai alle lacrime, lasciandomi scivolare lungo il muro del bagno.
Basta, ora basta.
Srotolai le bende bianche e voltai le braccia verso di loro.
E proprio in quel preciso istante, la porta si aprì, e Zayn entrò nella stanza. No, lui no. Lui non doveva vedere i tagli, non potevo permetterlo.
I suoi occhi saettarono verso le mie braccia scoperte, e la sua espressione cambiò di colpo.
[Gli aggiornamenti sono molto lenti. Siete avvertite.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

N.d.A. Potrebbe essere un po' forte per alcuni.

Buona lettura :)

 

11 settembre 2:00

Distesa per terra, mi lasciai andare ad un singhiozzo liberatorio. Una prima lacrima scese lungo la mia guancia. E dopo la prima, ne cominciarono a scendere giù altre. Stavo piangendo a dirotto, stringendomi lo stomaco con le braccia.

Gary, di fianco a me, mi mise un braccio attorno alle spalle.

Ma il gesto, che era inteso come confortante, mi fece solo piangere più rumorosamente. Praticamente ero nel bel mezzo di una crisi isterica. Mi misi le mani tra i capelli, tirandoli forte.
Dovevo trovare una valvola di sfogo, altrimenti sarei esplosa con tutta la pressione. E tagliarmi non era la soluzione in quel caso, visto che farlo due volte in due giorni era davvero pericoloso, avrei rischiato di sentirmi male.

Shh, non piangere. È tutto finito, tranquilla.” mormorava Gary, ma riuscivo a vedere qualche lacrima scivolare anche lungo il suo di viso.

Stasera sarei tornata a casa, a casa mia però. Non potevo restare da Hannah, con quei tre vicino. Avrei preso le mie cose e sarei tornata senza dire niente a nessuno. E forse, se ne avevo il coraggio, sarei finalmente riuscita a prendere una corda e legarla alle travi dei soffitto. Mi sarei impiccata. Game Over, diceva il mio cervello. Avevo perso, la mia vita non valeva tutto quello che avevo passato.

No, dovevo darmi una dannatissima calmata. Non sarebbe servito assolutamente a niente piangere, men che meno ora.

Invece avrei fatto meglio a preoccuparmi per il ragazzo di fianco a me, che era messo molto peggio di me.

Come va il polso?” chiesi, girandomi a guardare Gary.

Lui fece una piccola smorfia di dolore: “Non credo sia rotto, ma fa un male cane.”

Posso?” puntai il suo polso con lo sguardo. Il suo sguardo mi faceva pensare che non si fidava delle mie intenzioni, anche se l'unica cosa che volevo fare era assicurarmi che fosse realmente a posto.

Ormai avevo pratica in queste cose, lui invece, essendo più piccolo di me, aveva un anno in meno di esperienza in queste cose. Se solo avesse saputo tutte le volte che avevo dovuto curare e nascondere i tagli, le bruciature, i lividi e le slogature che mi facevano...

Ma sapevo anche che il contatto fisico dopo essere stati picchiati era molto fastidioso, si aveva sempre l'impressione che l'altro volesse farti del male. Quindi aspettai pazientemente che fosse lui a fare la prima mossa.

E alla fine lui allungò la mano, seppur diffidente.

La presi timidamente: “Dimmi quando fa male.” dissi piano.

Piegai piano il polso in avanti. Quando arrivai più o meno a trenta gradi lo sentii fare un piccolo gemito, così mi fermai immediatamente, ripetendo il procedimento all'indietro.

Una volta finito, gli lasciai andare il braccio, che Gary appoggiò titubante sul pavimento di fianco a lui.

Allora?” mi domandò, aspettando un verdetto.
Scossi la testa, asciugando le ultime lacrime salate dalla faccia: “Non si è rotto, ma dovrai tenerlo fermo e bendato per un po'.”

E il tuo stomaco come sta?” mi chiese.

La domanda mi rese improvvisamente più cosciente del bruciore della mia pancia. Toccai piano l'area, sussultando al dolore. Lasciai che la mia testa colpisse il muro dietro di noi, cercando in qualche modo il sollievo.

Non risposi alla sua domanda, non ne avevo la forza necessaria. Nel silenzio che ci circondava, sentimmo chiaramente il rimbombo di passi nel corridoio. Il mio cuore si bloccò per mezzo secondo, prima di riprendere a battere al triplo della velocità solita.

Le lezioni erano già finite, tutti gli studenti se ne erano tornati a casa. E i professori non venivano mai in questa zona della scuola, semplicemente non ce n'era bisogno.

Avendo eliminato queste due opzioni, non avevo idea a chi appartenessero i passi. Gary sibilò, accrescendo il mio nervosismo già presente.

Mi appallottolai su me stessa, nascondendo la testa tra le ginocchia. I passi si fermarono, facendomi rabbrividire. Possibile che fosse di nuovo Mark, non ancora soddisfatto del numero di colpi che ci avevano dato? Impossibile, era fuori con i suoi cavolo di amici.

Qualche parte sana di me si stava domandando chi era che ci disturbava mentre eravamo impegnati a leccarci le ferite vicendevolmente. Metaforicamente parlando, ovviamente.

Ma la parte più prominente era concentrata su come fare a sfuggirgli, chiunque fosse.

Gary fece un verso disgustato: “Cosa vuoi ancora?” ancora? Ancora?! No, non altri colpi, per favore!

Ok, lo ammettevo, mi stavano rompendo. Ancora pochi giorni di questa tortura e mi sarei spezzata in due.

Magari mi sarei soffocata, o forse sarebbe andata bene anche un'overdose. O magari avrei fatto come quei due ragazzi, Eric Harris e Dylan Klebold. Avevano fatto una sparatoria nella loro scuola, la Columbine High School. Erano morti tredici ragazzi, perlopiù quelli che erano soliti prenderli in giro. E poi si erano suicidati.

Avrei ucciso Mark e Stacy e tutti gli altri bulli. Sarebbe stato come ripulire la scuola di tutti quelli che non meritavano di vivere.

Ma che stavo dicendo? Oh Signore, perdonami! La vita è sacra, non dovevo nemmeno pensare a certe cose!

Io...” una voce maschile. Ci misi appena un secondo a riconoscerla.

E quando capii a chi apparteneva, il bruciore dei lividi sullo stomaco si intensificò, quasi a burlarsi di me, prendermi in giro. I miei occhi si riempirono di nuovo di lacrime.

E Gary se ne accorse: “Sparisci. Guarda cosa le stai facendo!”

Sentii, senza vederlo, il ragazzo che si inginocchiava davanti a me: “Tay...” sussurrò, con la voce che traspariva pentimento da ogni angolazione.

E forse avrebbe anche potuto convincermi a calmarmi, a tornare a casa di Hannah, se solo in quel momento non avesse commesso un errore madornale.

Mi appoggiò una mano sulla spalla. Il tocco mi fece scartare di lato, allontanando con una spinta il ragazzo con gli occhi chiari. Non mi doveva toccare, non potevo permetterlo. Io ero sporca, piena di germi. Non doveva toccarmi, non potevo permetterlo.

Non mi toccare.” strillai, la mia voce troppo acuta e il fiato pesante per lo spavento.

Il punto dove mi aveva appena sfiorata ora stava bruciando, sembrava che stesse andando a fuoco.
Avevo l'impressione che chiunque mi stesse guardando da là sopra si divertisse a farmi capitare ogni sfortuna possibile ed immaginabile.

Altrimenti perché c'era lui davanti a me? E perché mi stava guardando con quegli occhioni feriti e colpevoli? Quello sguardo che mi stava trapassando da parte a parte, facendomi venire voglia di buttargli le braccia al collo e perdonarlo all'istante per quello che aveva fatto.

Oh Louis, i tuoi occhi avrebbero spezzato la mia volontà.

In un secondo di smarrimento, non riuscii a mantenere le barriere attorno al mio cervello. Riprovai ancora la sensazione di essere colpita da quelli che fino a pochi minuti prima avrei detto essere... beh, non miei amici, ma per lo meno conoscenti.

Le stesse mani che stamattina mi avevano abbracciata, poco prima mi avevano colpita. Gli stessi occhi che stamattina mi avevano disprezzato, poi erano stati quelli che avevano dimostrato meno pentimento nel picchiarmi. La stessa bocca che stamattina mi aveva sorriso, adesso mi stava uccidendo con la sua piega all'ingiù.

E piangevo. Dio, ero una creatura miserabile, non sapevo fare altro che piangere.

Lui allungò di nuovo una mano verso di me. Mi allontanai, strisciando lungo il pavimento. Fermai l'ennesimo singhiozzo mettendomi una mano davanti alla bocca.

Gary, sia benedetto, praticamente gli saltò addosso, fermando il suo braccio. E facendo una smorfia di dolore al movimento brusco che gli procurò un dolore che non potevo nemmeno cominciare ad immaginare.

Louis si girò a fissarlo, con gli occhi confusi: “Senti, posso parlare in pace con la mia amica?”

Noi non eravamo amici, non lo eravamo prima e di certo non lo saremmo stati ora. Non dopo quello che lui e i suoi amici avevano fatto.

Vedendo che Gary non accennava a lasciarlo andare, anche se lo sforzo che stava compiendo era davvero notevole, continuò a parlare: “Mi dispiace, Taylor.”

Ci vidi rosso dalla rabbia. Dopo due anni di torture, ci mancava solo che i bulli si mettessero a chiedere scusa!

Ah, ti dispiace, eh? Ma per che cosa ti dispiace? Tu non hai idea di quello che mi state facendo passare. Tu non hai mai dovuto affrontare il dolore che sto affrontando io adesso! Mi avete reso la vita peggio di quanto non fosse già.” stavo urlando mentre singhiozzavo. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quel dolore?

Forse vedendomi così distrutta, Gary si staccò completamente da Louis per avvicinarsi molto lentamente a me, con le braccia sollevate in aria.
“Taylor, ascoltami, non ti voglio fare del male.” disse molto lentamente, cercando di non spaventarmi.

Un piccolo passo alla volta, si avvicinò a me, prima di prendermi le mani. A quel gesto, che in qualche modo mi sembrava minaccioso, come se volesse tenermi ferma, tentai in tutti i modi di liberarmi dalla sua presa leggera. Ma vedendo che le mie mani riuscivano a scivolare via senza problemi dalle sue, riuscii a rilassarmi un po'.

Mi guardò fisso negli occhi, ed io non potei che guardare il suo labbro spaccato e lo zigomo bluastro, solo per sentirmi ancora più in colpa di quanto non fossi già.

Io stavo facendo una scenata per tre miseri pugni, mentre Gary era messo così male che mi chiedevo come riuscisse a reggersi in piedi.

Lo guardai, con il labbro inferiore che mi tremava leggermente. Avevo visto il mio riflesso nei suoi occhi. Avevo tutti gli occhi rossi e gonfi, i capelli scompigliati ed ero pallida come un lenzuolo.

Gary sapeva bene cosa fare in questi casi, si vedeva da come si stava comportando. Al contrario di Louis, sapeva che quando si era nel mezzo di una crisi di nervi, doveva comportarsi con parlare, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi. Gary sapeva che il contatto fisico andava stabilito, sì, ma in quantità minime.

Cominciando a mormorare parole confortanti, riuscii a calmarmi fino ad un livello gestibile.

Con un sorriso debole, lo abbracciai forte, la mia testa all'altezza del suo petto.” Dapprima, lui si irrigidì, ma poi capì che anche io non volevo fargli del male, e quindi ritornò il mio abbraccio con trasporto.

Un ultimo singhiozzo mi scosse, svuotandomi completamente. Ero completamente vuota, priva di ogni emozione negativa.

Taylor, sei tranquilla ora?” mi chiese gentilmente Gary.

Era strano pensare come nelle situazioni di bisogno, noi vittime riuscissimo sempre a fare squadra, anche se io e Gary non ci eravamo mai parlati se non quando venivamo presi di mira assieme.

Sì” sussurrai, con la mia voce che si rifiutava di collaborare con me.

Cogliendomi di sorpresa, mi posò un bacio sulla fronte: “Hai voglia di parlare con Louis?”

Io scossi la testa veementemente, ma sbagliai a guardare Louis negli occhi. Aveva lo sguardo distrutto, e gli occhi lucidi.

Taylor, lo sai che non volevo farlo.” io scossi la testa di nuovo, più per scacciare i dubbi che per negare la sua affermazione.

Ma lui pensò che non gli credessi: “Tay, no, non farmi questo. Tu-tu lo sai, che io non volevo. Taylor, ti g-giuro su Dio che se tu non mi avessi detto di farlo, non avrei mai osato.” Louis stese una mano in un mezzo tentativo di convincermi a prenderla.

Aveva ragione lui. Avevo visto perfettamente il rifiuto nei suoi occhi, se io non gli avessi detto di darsi una mossa non l'avrebbe mai fatto. Ma né io né lui ci aspettavamo che io avrei preso veramente la sua mano.

E invece fu proprio quello che feci: presi lentamente la sua mano, e con tutta la calma del mondo, Louis mi trascinò verso di lui.

Con il respiro leggermente nervoso, mi lasciai trasportare verso di lui.

Mi fermai a una decina di centimetri da lui. Presi il mio tempo per osservarlo.

Non me n'ero accorta prima, ma era... bello. Una bellezza diversa di quella degli altri quattro. Il suo viso aveva i lineamenti più definiti, e uno sguardo più acuto rispetto ai suoi amici.

Mi riscossi dalla mia momentanea apatia, per vedere che anche Louis mi stava fissando, con quegli occhi così sinceri. I suoi occhi facevano paura da quanto riflettessero le sue emozioni.

Vieni a casa?” mi domandò, facendomi capire implicitamente che voleva essere lui ad accompagnarmi.

Scoccai una breve occhiata a Gary, che era stato in silenzio durante il nostro breve esame fisico.

E senza sapere come, mi ritrovai a scuotere la testa: “Devo accompagnare Gary a casa, non ce la farà mai da solo. E deve anche passare in farmacia a prendere delle bende.”

La sua faccia si illuminò: “Vi accompagno io, tanto sono in macchina.”

Mi girai a guardare Gary, cercando di capire se era d'accordo o meno. Personalmente, io avrei colto al volo qualsiasi opportunità per scappare lontano da lui e non tornare. Non volevo passare del tempo con lui, non volevo respirare la sua stessa aria. Sapevo però che Gary non era in condizioni di gironzolare per la città come se nulla fosse. Valutai con calma tutti i pro e i contro.

I pro erano che Gary sarebbe arrivato a casa ancora vivo, io non avrei avuto l'opportunità di essere un pericolo per me stessa e Louis avrebbe potuto dimostrarmi se era veramente pentito.

I contro erano che non sapevo cosa volesse fare Louis, magari era stato incaricato da Mark di portarci di nuovo da lui per un secondo giro. E che non avrei avuto l'opportunità di sfogarmi nell'unico modo che conoscevo.

La faccia di Gary si era sollevata nel sentire le parole di Louis, quindi purtroppo avremmo dovuto accettare la proposta. A nostro rischio e pericolo.

Lo prendo per un sì.” mormorò lui con un piccolo sorriso vittorioso.

Senza chiedere niente a nessuno, prese l'iniziativa di andare da Gary, per aiutarlo.

Pensavo che lo avrebbe aiutato a camminare, o qualcosa lungo quelle linee, e invece lo prese proprio in braccio, sollevandolo dal terreno.

Lo vidi diventare rosso, e dimenarsi nelle sue braccia: “No, cosa fai? Mettimi giù!” balbettò Gary, mordendosi il labbro.

Louis ridacchiò: “Non penso proprio.”

Gary diventò ancora più rosso a quelle parole. Louis cominciò a camminare verso i portoni della scuola, con me subito dietro.

Lo sai che sono gay, vero?” chiese, guardando per terra.

Louis non fece una piega a quella affermazione: “Sì, l'avevo capito.”

E non ti da fastidio?”

A quelle parole, Louis si fermò di botto, guardando il ragazzo tra le sue braccia: “Capisco che dopo oggi possiate esservi fatti una brutta impressione di me, ma io non sono come Mark, o come diavolo di chiama.”

Stai dicendo che non pensi che io sia un mostro perché mi piacciono i ragazzi?” la faccia di Gary mostrava tutta la sua incredulità.

Louis scosse la testa: “Puoi amare chi ti pare. Solo perché chi ti piace ha i capelli più corti e il petto piatto non vuol dire che tu debba essere preso in giro.”

Gary fece un sorriso debole, ma si aggrappò a Louis più saldamente e smise di divincolarsi.

Anch'io sorrisi dal mio angolino. Nello stesso momento attraversammo le porte, uscendo all'aria aperta.
Le nuvole si erano un po' dileguate, lasciando intravedere uno spiraglio di luce. Louis aprì le portiere della sua BMW, posizionando Gary nei sedili posteriori e aprendomi la portiera per farmi sedere davanti.

Sbatté delicatamente tutte le porte, per entrare a sua volta in macchina e mettere in moto.

Dove vi porto?” domandò mentre ingranava la retro.

Una farmacia qualsiasi andrà bene.” mormorai. Ero maledettamente stanca, non ce la facevo più.

Persi la cognizione del tempo, e fui riportata alla realtà dal motore della macchina che si spegneva davanti all'insegna verde della farmacia.

Torno subito.” dissi, uscendo con calma dalla macchina, senza aspettare la loro risposta. Mi sentivo una specie di automa. Non pensavo a niente, agivo e basta. La mia mente era andata in stand-by.

Dentro ero una delle pochissime clienti, regnava un silenzio confortevole. Afferrai, come ormai era di routine, le bende e del disinfettante. Mi fermai davanti alla sezione riservata ai sonniferi e ai medicinali contro l'insonnia.
Erano chiusi dietro ad una teca di plastica. Appoggiai la mano contro la barriera, disperata di averli.

Ma ero sicura che fossero dietro prescrizione medica. Anche se spesso i farmacisti se ne fregavano, e li davano lo stesso anche senza ricetta.

Mi avvicinai alla cassa, porgendo all'uomo quello che dovevo comprare: “Mi scusi, potrei avere anche una confezione di sonniferi?” tentai, anche se non credevo sarei stata abbastanza fortunata da riuscire nel mio tentativo.

L'uomo mi allungò una confezione da sotto il bancone, senza degnarmi di uno sguardo: “A lei. Sono diciassette sterline.” disse, infilando il tutto dentro un sacchettino di plastica.

Incredula, allungai velocemente il braccio per dargli i soldi. Ero sconvolta. Per la prima volta da due anni avevo in mano un metodo ottimale per farla finita con tutto. Sarei morta. Mi sarei suicidata.

La parola riecheggiò nel mio cervello. Quante volte, durante le lezioni di scienze sociali, avevamo parlato delle motivazioni che spingevano i suicidi.

Molti ragazzi avevano espresso l'opinione che chi si suicidava era egoista. Perché non pensava alle ripercussioni che il suo gesto aveva sulle persone che lo circondavano. Ma nessuno si era soffermato a riflettere sul perché il suicida faceva quello che faceva. Non era proprio una scelta che spuntava all'improvviso, bisognava davvero essere tirati fino all'inverosimile, arrivati al punto di rottura. Per poi decidere che non ne valeva più la pena.

Mi ricordai improvvisamente dei due ragazzi che mi aspettavano, e con un sussulto corsi fuori.

Entrai nella macchina, cercando di non sembrare colpevole.

Modellai la mia faccia in un sorriso tirato.

Louis smise di parlare con Gary quando entrai. Sembrava che avessero trovato qualcosa in comune, dallo sguardo molto più allegro e rilassato di Gary. O forse Louis era solo un ottimo intrattenitore.

Preso tutto?” mi domandò allegramente. Annuii.

Andiamo, allora!” esclamò, ripartendo.

Ogni tanto lo sentivo chiedere indicazioni a Gary, ma per il resto l'unico rumore che riempiva lo spazio tra di noi era la musica trasmessa sulla radio.

La macchina si fermò davanti ad una casa di modeste dimensioni, né troppo grande né troppo piccola.

Senza dire una parola, allungai i medicinali a Gary, nascondendo velocemente le pillole nella tasca dello zaino, che avevo messo davanti a me.

Il ragazzo aprì la portiera, abbozzando un sorriso spento: “Ci si vede, allora. Ah... e grazie Louis.”

Quest'ultimo fece un grosso sorriso radioso: “Non c'è di che.”

lo guardai zoppicare verso la porta di casa e aprire la porta. Una bambina bionda gli si buttò addosso. Doveva essere sua sorella, vista la somiglianza tra i due.

Vidi il visino tondo della bimba diventare preoccupato quando guardò suo fratello. Sentii un peso sul cuore.

Fortunatamente Louis scelse proprio quel momento per far ripartire la macchina sulle strade semi affollate del primo pomeriggio.

Ero in profondo imbarazzo, non sapevo cosa dire o come comportarmi in sua presenza, specie dopo quello che era successo.

Come stai?” domandò, il suo tono più sommesso.

Per l'ennesima volta quel giorno, sentii gli occhi pizzicare per le lacrime: “Bene.”

Louis sbatté le ciglia: “Niente di rotto?”

Contro la mia volontà, feci una piccola risata malinconica: “Non mi avete fatto così tanto male.”

Per fortuna! Comunque, te l'ho già detto che amo i tuoi capelli?” disse, cambiando completamente il tema.

Oh...io, grazie?” mormorai, presa alla sprovvista. I miei capelli erano orridi.

Sì, sono del colore delle carote.” disse, come se fosse stata una cosa straordinaria.

Mi grattai una guancia: “Appunto! Sono bruttissimi.”

Louis fece un verso sconvolto: “Ma io amo le carote. E i tuoi capelli sono del colore delle carote. Quindi ne possiamo dedurre che io amo i tuoi capelli.”

Oh, beh, mi sembra logico.” ridacchiai, confusa dal suo strano modo di pensare.
Una memoria mi invase il cervello: la pelle color caffellatte di Zayn che si appoggiava al mio stomaco, il suo pugno che si connetteva alla mia pancia, facendomi piegare in due per la fitta di dolore.

Mi appoggiai una mano allo stomaco, rabbrividendo. Improvvisamente non avevo più voglia di ridere.

Portami a casa.” ordinai sussurrando, tremando per il ricordo fresco.

Louis mormorò qualcosa che non sentii. Ma che suonava stranamente come una scusa.

Schiacciò l'acceleratore, facendo andare la macchina più velocemente.

In pochi minuti arrivammo a casa di Hannah, passando per casa mia nel tragitto.

Scesi in fretta dalla macchina, lasciando Louis là. Entrai in casa di soppiatto, cercando di evitare tutti per andare in camera.

Chiusi la porta a chiave, sussultando quando capii di essere finalmente sola.

Entrai con timore nel bagno, avendo paura di guardare il mio riflesso. Facevo davvero molta paura, andava ammesso. Alzai la felpa per esaminare anche i lividi. Per poco non scoppiai a piangere quando vidi i segni, in alcuni punti blu, o rossi o in altri neri, mentre attorno ai bordi aveva preso una tinta giallastra.

Alcuni erano risalenti a ieri, altri a oggi, ma erano pur sempre lividi. Feci un respiro profondo per calmarmi, poi due.

Dovevo trovare qualcosa con cui distrarmi, assolutamente.

Mi sistemai per il cambiare la fasciatura agli avambracci, notando come i tagli di ieri erano diventati leggermente arrossati attorno ai bordi. Li disinfettai delicatamente, per poi avvolgere una benda pulita attorno.

Mi lasciai scivolare lungo il muro del bagno. Ora che ero sola sembrava che tutto fosse peggio di prima.

Non c'era niente che potessi fare per poter cambiare la realtà: non era cambiato niente dall'anno scorso.

Non avevo ancora amici, e nemmeno persone che mi potessero capire.

I miei difetti erano sempre lì, non sarebbero spariti a meno che non ci avessi pensato io.

Mi inginocchiai davanti al gabinetto. E senza darmi il tempo di pensare alel ripercussioni del mio gesto, mio ficcai due dita in gola, attivando il riflesso faringeo.

Il mio stomaco si contrasse, facendomi vomitare della bile verdastra. Boccheggiando tra un conato e l'altro, non potei che sentirmi felice per aver fatto qualcosa di utile per perdere peso.

Non dovevo mangiare così tanto.

Il mio stomaco si acquietò. Mi rialzai, barcollando. Mi lavai velocemente i denti per togliere l'acido, e mi sciacquai la faccia con il getto freddo.

Taylor, mi fai entrare?” domandò una voce dall'altra parte della porta.

Il mio stomaco si annodò, spaventandomi a morte: “N-no, i-io non t-ti voglio par-parlare.” balbettai.

Per favore!” domandò di nuovo la voce di Harry.

Senza prestargli attenzione, andai a prendere le pillole dallo zaino.

Le tirai fuori dalla confezione, contandole una alla volta. Otto pillole sarebbero bastate? No, forse era meglio fare nove.

Riempii un bicchiere d'acqua e le mandai giù tutte.

Scribacchiai un vi amo per i miei genitori su un foglietto e mi infilai sotto le coperte.

I sonniferi ebbero un effetto immediato. I miei occhi si appesantirono, e ancora una volta scivolai nel sonno.

L'ultima cosa che vidi furono le immagini in successione di quei cinque ragazzi.

 

Ciao

20 aprile 1999, Eric Harris e Dylan Klebold sparano a scuola, uccidendo 13 persone e ferendone molte altre. Sono passati 13 anni e 3 giorni...

Questo capitolo è una cacchetta, ma non ho altro da darvi D:

Spero non vi abbia deluso troppo...

Ok, oggi voglio ringraziare di cuore TUTTE quelle stupende recensioni che mi hanno fatto piangere, ma a cui non ho ancora risposto... Ma lo farò... Si spera.

E in particolare 4 ragazze, che sono la mia ispirazione giornaliera:

Pettyfer, perché scrive benissimo e perché è una persona bellissima che io ammiro tanto :)

Extraordinharry, perché riesce a farmi ridere fino alle lacrime anche quando mi sento depressa.

Firelight_, perché mi capisce più di chiunque altro.

electric diorama, perché è l'unica persona al mondo capace di farmi apprezzare le scene di sesso...

Grazie di cuore, ragazze!

Mi lasci un commentino?

Ele

   
 
Leggi le 43 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: orphan_account