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Autore: LarcheeX    29/04/2012    6 recensioni
Dopo la morte di Xemnas, le istanze dittatoriali di un certo Re cominciarono a farsi troppo ambiziose e avide di potere, portando quello che era un universo che aveva faticosamente guadagnato la pace e la serenità a diventare un oscura distorsione di sé stesso.
Ma come ogni dittatura porta consensi, volenti o nolenti, e dissensi, un gruppo di Ribelli ritornati in vita capitanati dai traditori traditi dal loro migliore amico è pronto a sorgere dalle macerie dei ricordi e farsi avanti per distruggere il Re.
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Tornata in vita non si sa come, LarcheeX torna alla carica dopo un imbarazzante numero di mesi: qualcuno la seguirà? Boh. Vedremo.
Penumbra is back.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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La sitazione si complica.

Cuore dell’Oltretomba, ore 02.03

 

“Saïx?” chiese Riku, sorpreso: “Credevo foste tornati indietro a cercare Vexen.”

Il numero VII annuì: “L’abbiamo trovato.” Disse, semplicemente, e non diede altre spiegazioni. Si guardò intorno con circospezione, poi si rivolse ai soldati dietro di lui: “Cosa c’è sotto il fango?” fu un nanerottolo dai capelli ricci e lunghi che teneva in mano una lancia dalle misure sproporzionate rispetto al suo piccolo corpo a rispondere: “Lì Ade tiene la moglie!”

Axel fece un commento che doveva sembrare divertente, ma che nessuno notò o sembrò notare, e Saïx gli lanciò un’occhiata per ordinargli di tacere e di parlare solo se interpellato. Nonostante non fossero più amici come prima, notò il numero VIII, riuscivano ancora ad intendersi con lo sguardo, e quello di Saïx era così poco rassicurante che non pensò nemmeno di opporsi. “Ammazza” gli disse uno dei soldati, avvicinandosi di soppiatto: “Il tuo amico deve essere proprio nervoso, per guardarti così.”

Era un giovane col quale si era messo d’accordo per la spedizione, insieme ad altri soldati ribelli, e gli somigliava parecchio, era anche lui spiritoso e chiacchierone. Per questo lui si era sentito in dovere di entrarci in confidenza, sembrava di parlare con Lea: il suo modo di parlare era vivace e colorato da una perenne sfumatura di ironia non cattiva ma solo allegra, nata per far ridere, e gesticolava un sacco, anche solo per dire piccole cose. Se avesse avuto un cuore era sicuro che l’unico sentimento a pervaderlo sarebbe stata una sorta di paterna tenerezza nel vedersi attraverso gli occhi chiari di quel giovane soldato.

Chinò il capo: “Penso che darebbe tutti i capelli per esserlo.” Mormorò, e sorrise alla sua espressione perplessa, senza però aggiungere altro.

Saïx, a capo di tutto il gruppo, stava discutendo con Riku sul da farsi: “Cosa intendete fare con questi uomini?” chiese Riku.

“Questa è metà dell’armata ribelle” spiegò, indicando le decine di persone che stavano quiete dietro di lui, in attesa: “Gli altri aspettano che noi sferriamo il primo attacco per avanzare. Sanno che sotto il fango c’è qualcuno, come hai appena sentito, anche se non ho capito se per moglie Ade intenda altro.”

A quel punto, il nanerottolo ricciuto che prima aveva parlato, Rial, caracollò tra i due uomini con la lunga lancia ancora stretta nel pugno dalle piccole dita, e, avendo origliato la conversazione, decise di intervenire: “Ade ha davvero una moglie!” esclamò, come imbronciato per non essere stato preso sul serio solo perché piccolo: “Lo sanno tutti! Si era messo d’accordo col Padre degli dei per sposarla, ma la madre di Kore si è opposta e non ha voluto darla in moglie a lui, così Ade l’ha rapita.” Riku e Saïx guardarono il nanerottolo con interesse, questa volta: “Kore?” chiese il numero VII, cercando di capire se stesse raccontando balle o se stesse dicendo la verità, e il bambino annuì: “Sì, è il nome della ragazza che è stata rapita.”

“Capisco.”.

Cloud e Jack, intanto, erano impegnati a cercare di disincastrare lo spadone del primo dalla fanghiglia ostile e puzzolente, con scarsi risultati e molti grugniti da parte del pirata. “Ma porc’!” gridò, dopo un tentativo fallito che lo aveva scaraventato tra le gambe di Xigbar, che intanto guardava i due con l’aria di chi si sta divertendo un mondo, estraneo alle chiacchiere di Saïx e Riku.

Kairi e Naminé cercavano di aiutarli come possibile, utilizzando le magie che sembravano poter essere utili allo scopo, sempre invano, tanto che il Capitano, irritato oltremodo, si alzò e infilò un piede nella fanghiglia, prendendo a calci la punta dell’arma per svellerla una volta per tutte: “Non è ancora stata forgiata una spada che mi metta in ginocchio, non me, Capitan Jack Sparrow!” esclamò. “Io non credo dovresti entrar-” aveva provato a dire Kairi, ma non fu ascoltata, anche perché quel liquido denso e scuro cominciò a ribollire, allungandosi sulle ginocchia del malcapitato.

“Oh-oh.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima di essere travolto e risucchiato giù.

“Diamine!” esclamò Xigbar, mobilitandosi per afferrare all’ultimo momento il compagno che affondava, invano. Evidentemente non si potevo tornare indietro per quella via. Cloud, dall’alto della sua espressione indifferente, sembrava davvero preoccupato, come lo sarebbe stato Riku per Kairi o Naminé, perché il legame che si era creato tra il silenzioso guerriero dai capelli biondi e il pirata fanfarone era molto più che amicizia. Condividendo giorni e giorni di prigione, dividendo pasti esigui e poca possibilità di bere, i due avevano intessuto, quasi inconsciamente, una sorta di fratellanza silenziosa e fidata, unica catena della loro vita che non poteva essere spezzata tanto facilmente, perché nata nella difficoltà e nella disperazione e resistente a qualsiasi altra cosa. Quante volte Jack gli aveva detto, scherzosamente o meno, che “quando saremo liberi, amico muto, perché lo saremo, te lo dico io, ti prometto che ti porterò alla mia nave che nel frattempo sarà ricostruita e ti farò fare il capitano per un giorno” e quante volte lui, nel suo mutismo lungo due anni, si era immaginato navigare per le acque cristalline del mare piratesco del suo mondo, libero da qualsiasi responsabilità e qualsiasi pericolo! Jack per Cloud rappresentava ciò che non aveva mai avuto, la libertà, anche nei confronti dei doveri: sapeva che un pirata vive svincolato da qualsiasi laccio, persino da quello della legge, e bazzica senza pensieri tra le onde del mare, in cerca di qualcosa di divertente, mentre lui, Cloud, aveva sempre passato i suoi giorni ad arrancare dietro al pressante fardello della presenza di Sephiroth, la sua oscurità, la sua parte crudele, e anche il simbolo del suo futuro sacrificio. Ma perché, si chiedeva in quel momento, mentre guardava impotente il proprio amico affondare nell’ignoto, perché doveva sacrificarsi per il bene, quando tutto quello che gli veniva in cambio era paura, vuoto e incertezza? Perché, lui che aveva lottato per eliminare il male, riceveva il peggio? I suoi amici erano spariti dietro il trono di un Re troppo malvagio per esistere, lui stesso era stato imprigionato, lui stesso, in quel momento, assisteva alla sparizione del suo compagno più caro. Si sentiva frastornato.

Poi, si disse, Jack non era mica morto, aveva visto che quei fanghi portavano da qualche altra parte, e perché solo vederlo affondare lo aveva scosso così tanto? Forse era stato così solo che bastava anche una sparizione simbolica a impressionarlo? Oppure il suo animo era davvero fragile, accidenti, così non sarebbe mai riuscito a sconfiggere Sephiroth.

“Cloud!” lo chiamò Naminé, scuotendolo con forza, e lui si riscosse dai suoi contorti pensieri, anche perché gli era parso di essere stato chiamato altre volte perché il tono della bionda celava anche una strana preoccupazione. Scosse la testa, come a voler fare uscire tutti i pensieri con una semplice scrollata di capo, e si diresse verso il bordo della fanghiglia. “Sembra che non inghiottisca a caso.” Mormorò, poiché aveva notato che lo spadone era ancora conficcato al suo posto nonostante tutti i tentativi del pirata di tirarlo fuori. Gli altri, intanto, attirati dal trambusto, si erano avvicinati e guardavano, chi con curiosità, chi riflettendo, il punto in cui era sparito Jack. Riku rifletté: “A pensarci bene quando Ade e gli altri” e qui si fermò un attimo, pensando con rabbia a Larxene. Gli sembrava di vederla, quella traditrice, sorridere maliziosamente come suo solito e saltare via agilmente come per definire quel gesto totalmente. Non aveva capito che sarebbe solo stata sfruttata?

“quando Ade e gli altri sono entrati non sono stati risucchiati subito come lui, hanno camminato fino al centro e solo lì sono riusciti a scendere.”

“È probabile che questa Kore possa controllare a suo piacimento questa massa puzzolente.” Intervenne Xigbar, cercando di toccare lo spadone e rinunciando all’impresa, pensando di non voler fare la stessa fine del pirata.

“Entriamo.” Decise Saïx, dopo aver scrutato a lungo la superficie viscida ma, come a volergli impedire di procedere oltre, questa cominciò a brillare così tanto da risultare accecante, da rischiarare l’intera grotta. Molti si misero le braccia davanti agli occhi per evitare di rimanerne accecati, e i soldati alzarono i loro variopinti scudi, ma alcuni non fecero in fretta e si bruciarono gli occhi. Sembrava di guardare il sole da vicino.

Spenta quell’innaturale fonte di luce, chi poteva si guardò intorno, rimanendo basito: il fango si era trasformato in uno spessissimo e duro strato di roccia, tanto che lo spadone di Cloud pareva ormai irrecuperabile.

“Come…?” si chiese Kairi, mentre Axel saltava sopra la superficie appena formata: “È asciutto!” esclamò, come se volesse rassicurare gli altri e Rial, il ragazzino, caracollò in avanti e tirò la manica di Saïx: “Hai una spiegazione anche per questo?” gli chiese freddamente il numero VII, prima di lasciarlo parlare, e lui annuì energicamente facendo danzare i riccioli color rame: “Sissignore!” esclamò, raddrizzandosi come se stesse di fronte ad un generale: “Kore ha avvertito che la madre sta arrivando e si sta difendendo.”

“A proposito di genitori” gli disse un soldato: “Dov’è tua madre?, è un sacco che non la vedo.”

L’attenzione di tutti verté sul piccoletto dai riccioli di bronzo, che fece cadere la lunghissima lancia a terra e incrociò la braccia: “Megara ha detto che sono grande e devo badare a me stesso.” Replicò, diventato all’istante più freddo, cosa strana per un bambino come lui, che doveva avere al massimo dieci anni. Borbottò qualcosa e, alla fine, si rivolse a Saïx: “Questa difesa dura due giorni ed è impenetrabile tranne che per le anime che devono giungere negli Abissi.” Spiegò, e si sedette, segno evidente che non c’era nulla da fare.

“Due giorni!?” esclamò Kairi, avvicinandosi ai due: “Non possiamo aspettare così tanto!”

In quel momento, la sua frustrazione cresceva a dismisura: davanti a tutto, il dovere che aveva nei confronti dei Nessuno la forzava a voler sbrigare in fretta ogni cosa, e, inoltre, aveva timore che gli altri potessero essere in pericolo mentre loro erano costretti a perpetuare quello stallo per un lasso di tempo che in effetti era breve ma, in quella situazione, pareva lunghissimo.

“Non è possibile!” si scaldò Axel, aggiungendosi alla discussione: “Chissà cosa potrebbe succedere mentre noi siamo qui ad aspettare!” ma, mentre lo diceva, non aveva nemmeno la benché minima idea di quello che sarebbe potuto succedere.

 

Corridoio sperduto nei meandri dell’Oltretomba, ore 02.23.

 

Il terremoto fu così forte da far cadere la maggior parte delle guardie e dei soldati che stavano marciando con una certa fretta verso il cosiddetto “cuore dell’Oltretomba”, anche se durò poco. Vexen fece in tempo ad aggrapparsi ad una roccia sporgente prima di crollare tra gli altri uomini, ma non bastava la scossa per sconvolgere il proprio animo da scienziato, dato che cominciò ad analizzare probabili cause ed effetti di un avvenimento abbastanza strano, per trovarsi nell’Oltretomba. Di sicuro non era stato un terremoto naturale: tanto per cominciare non erano stati percepiti piccole scosse di preludio, cose che invece sono sempre presenti, e poi non era crollato nulla a dispetto della magnitudo.

Notò che Demeter era rimasta tutto il tempo della scossa in piedi, come se per lei il terreno non sussultasse e, per quanto potesse essere muscolosa, era qualcosa di inspiegabile. Come aveva fatto a non cadere insieme ai propri uomini? La donna chinò lievemente il capo, ma Vexen non poté leggerle il viso poiché, essendo a capo della truppa, si trovava davanti, ma, quando si girò verso di loro ad ordinare che si alzassero immediatamente e che non perdessero tempo, nella sua espressione c’era una determinazione e una freddezza così tremendamente autoritarie che, nel giro di qualche secondo, tutta la truppa fu in piedi e in completo assetto da guerra. Sembrava quasi brillare un’aura di potere, intorno a lei.

“L’hai vista, vero?” gli chiese Demyx, caracollando verso di lui. All’inizio il numero IV non riuscì a comprendere di cosa stesse parlando, poi annuì, come se la cosa lo preoccupasse molto: “Sembrava doversi trasfigurare da un momento all’altro.” Assentì.

Demyx sembrava capire qualcosa che agli altri sfuggiva, tanto guardava Demeter con l’aria di chi aspetta un qualche avvenimento straordinario. Con un certo sarcasmo, pensò che alla fine il numero XI era più informato rispetto agli altri solo quanto riguardava quel mondo, e per quello sembrava avesse interesse nel completare la missione, diciamo anche per vanità. Tutto, dalla capigliatura alla gestualità, di quel ragazzo faceva trasparire un modo di fare appariscente e spettacolare, utile solo a non passare inosservati, e a causa di ciò Vexen aveva imparato a catalogare il proprio sottoposto come goffo e poco responsabile: Demyx parlava a voce molto alta, e gesticolava, e non sapeva combattere, era vigliacco e poco capace. Fin dal primo giorno in cui era stato arruolato da Xemnas Vexen aveva avuto che da ridire.

Se lo ricordava troppo bene, quel giorno: stava giusto cominciando ad abituarsi all’entrata in scena di quei due perditempo di Saïx e Axel che un ragazzino irrompeva nel palco della loro finta vita con una scivolata. Un ragazzo di circa vent’anni, un po’ spaurito non dal fatto che non sentisse il proprio cuore battere, ma dagli Heartless che ondeggiavano placidamente negli angoli bui del Mondo Che Non Esiste, che, non appena Xigbar si accinse a spiegargli cosa fosse diventato, dichiarò candidamente di non aver capito ma che non importava, avrebbe inteso più tardi perché in quel momento aveva fame. Non faceva altro che bazzicare di salone in salone chiedendosi perché otto persone abitassero in un posto così grande senza affittarlo ad altri, senza essere di alcun aiuto né a lui, né agli altri.

Non sapeva proprio cosa ci fosse in lui.

Ma se c’era qualcos’altro che Vexen non sapeva o non prendeva in considerazione, era senza dubbio il fatto che, se Demyx era lì, era perché il suo cuore era stato forte abbastanza da resistere allo stravolgimento effettuato dagli Heartless. Basandosi solo sulla sua goffaggine e limitandosi a redarguirlo, non si era mai soffermato sulle sue difficoltà: il potere di Demyx era l’acqua, ed essendo l’elemento naturale più turbolento e mutabile del cosmo era molto più difficile da controllare rispetto alla rigida compostezza del ghiaccio, e questo ne faceva uno dei membri più potenti. E Demyx, molto probabilmente, se n’era accorto.

Semplicemente tanta responsabilità pesava troppo sul carattere spensierato e candido di ciò che era stato, stravolgeva troppo gli ideali e i comportamenti del Myde che, suo malgrado, si era trovato coinvolto in qualcosa di troppo grande per la sua semplicità.

E Vexen, dall’alto della sua algida, rigida, categorica, fredda logica, proprio non ci arrivava.

 

???, ore 02.35

 

Un vento lieve sibilava tra le catene, smuovendole lievemente e producendo un lieve tintinnio.

Il sangue macchiava gran parte del pavimento, e la luce sembrava smorta, come se provenisse da un’altra stanza.

I lamenti ormai flebili si intrecciavano in quella sala circolare, con qualche picco di disperazione acuta.

“Anni…” quel sussurro roco ed assetato sembrò scuotere tutti i prigionieri, anche se, dopo l’attimo di confusione, tutti tornarono al proprio posto, sicuri che nulla di nuovo sarebbe successo.

“Anni…” questa volta fu più convinto, più disperato, più morente. Qualcuno scosse la testa.

“Anni! Anni! Anni!” le grida si levarono alte dalla bocca della donna appesa per i polsi su di una parte particolarmente ruvida della pietra delle mura, una donna che nel buio, nonostante l’aspetto sciupato e trasfigurato, ancora splendeva di una certa bellezza, tanto che, in quella che era considerata vita, sarebbe stata chiamata la Bellezza in persona.

“Piantala, Afrodite, è da circa dieci anni che te ne vai strillando solo quelle quattro fottute lettere, per Zeus!” sbottò il giovane accanto a lei, spostando con un soffio un ciuffo di capelli biondi che era scivolato, unto e sporco, sul naso.

Un uomo alto e massiccio sbuffò, e alzò di poco la testa: “Dovrei considerarla una battuta?” mormorò quelle parole scherzose col tono di chi ha perso tutto in un colpo e si ritrova a fare i conti con un destino troppo duro per essere guardato in faccia, tanto che, se un tempo sarebbero state pronunciate con una voce burbera ma gioviale, in quel momento suonavano come una sentenza di morte.

“Alla fine… ha vinto lui.” Sussurrò, mentre le grida e le lacrime di Afrodite aumentavano.

 

Monte Olimpo, ore 03.02.

 

“Fallo un’altra volta e ti ritroverai la mia falce in un posto poco piacevole.”

Sì, Marluxia si era svegliato.

Il gruppo di uomini in soprabito nero si lasciò cadere, sfinito, ansimante e sudato contro le scalinate in rovina e ammuffite di quella che un tempo era stata l’arena principale. Luxord aveva estratto due carte dalla manica e le utilizzava per farsi vento, mentre Zexion tentava di scostarsi dagli occhi il ciuffo divenuto appiccicoso per il sudore, infilandoselo con riluttanza dietro l’orecchio. Se c’era una cosa che odiava, o che avrebbe odiato se avesse avuto la facoltà di farlo, era essere guardato negli occhi da chi parlava, o almeno in entrambi gli occhi perché, lo sapeva, fin troppo facile era intuire i pensieri di una persona, se la si poteva fissare nello specchio dell’anima.

“E chi lo avrebbe detto che dietro il ciuffo avessi un altro occhio!” esclamò il numero X, con un sogghigno che per Zexion ebbe il risultato di farlo sembrare ancora più idiota del solito. Era già abituato alle sue battute di dubbio gusto, ma quella lo aveva fatto cadere ancora più in fondo.

“Che corsa, eh?” esclamò Marluxia, gioviale, incrociando le mani dietro la nuca. Era l’unico dei suoi compagni ad essere, letteralmente, fresco come una rosa, e se ne stava stravaccato sulle gradinate come chi è venuto fino a lì per prendersi il sole o, dato che era notte, la luna. Xaldin grugnì.

Appena usciti dalla prigione, si era scatenato il pandemonio; evidentemente c’era una contromisura per eliminare i detenuti che erano riusciti a scappare, perché erano stati sommersi da qualsiasi cosa si potesse definire pericolosa: Heartless, Nessuno e varie guardie infernali li avevano praticamente circondati e sembravano essere a migliaia.

Xemnas aveva imprecato tanto sonoramente da far sussultare tutti gli altri: era naturale, lui, che voleva concludere la missione nel giro di una notte, si vedeva complicare le cose davanti, come se qualcuno si stesse prendendo gioco di lui, e questo non poteva far altro che complicarle ancora.

Il Superiore, da quando era tornato in vita, sempre che di vita si potesse parlare, non aveva visto altro che panorami e situazioni troppo complesse perché le potesse controllare e modificare come era abituato a fare con i membri dell’Organizzazione, tanto che persino i suoi sottoposti sembravano quasi reticenti ad obbedirgli. Anche quelli più fedeli, come Xigbar e Xaldin, che prima di morire eseguivano con una puntualità decente i compiti a loro affidati, dopo la rinascita lo guardavano come un individuo nel quale non si dovesse riporre fiducia e questo, purtroppo, lo riconosceva anche da solo. Mettendo da parte la propria, fantomatica cocciutaggine e buona parte dell’orgoglio, si accorgeva che, dietro la morte di tutti loro, c’era solo lui.

Con uno scatto, Xemnas evocò le proprie lame e si precipitò all’attacco. Nonostante si battesse più furiosamente del solito, cosa che Zexion e gli altri non mancarono di notare, il frastuono dei corpi in movimento e delle lame e armi che cozzavano tra loro non riusciva a distoglierlo da quel pensiero fastidioso, che in un mondo in cui aveva un cuore sarebbe stato chiamato senso di colpa.

Semplicemente non riusciva a non pensarci.

Era lui che aveva mandato Marluxia e gli altri al Castello dell'Oblio, lui che aveva assunto Roxas con tutte le conseguenze, lui che aveva manipolato anche la fiducia di Saïx e l’aveva spedito a morire come tutti gli altri, lui che, in principio, aveva costretto tutti a quel viaggio penoso e senza fine.

Ad ogni constatazione i colpi si facevano più potenti e letali, ad ogni pensiero un nemico soccombeva e, estraneo al fracasso prodotto, Xemnas si inoltrava sempre di più nella matassa di Heartless che occupava tutto il grande corridoio in cui si erano ritrovati a correre, ignaro che, continuando così, sarebbe stato solamente ucciso.

“Ma che gli prende?” chiese Xaldin, che portava ancora uno svenuto Marluxia sulle spalle e che avrebbe davvero voluto lasciarlo tra gli Heartless per poter scappare in pace. Ma, purtroppo, già la loro ribellione contava pochi uomini, figuriamoci a perderne uno solo per un pretesto di fuga.

Fortunatamente per il Superiore, Luxord e Zexion si fecero abbastanza spazio per raggiungerlo e spiegargli brevemente che erano troppo pochi e che le loro forze si sarebbero esaurite prima di poter annientare una massa così imponente di nemici – e qui Zexion si premunì di eliminare un Heartless troppo insistente per permettergli di parlare – e che avrebbero piuttosto dovuto cercare un posto sicuro per permettere al numero XI di riprendersi.

A quel punto Xemnas ritornò in sé e, sbattendo le palpebre come se si fosse svegliato sul momento, guardò i propri sottoposti con un aria un po’ persa, forse non capendo davvero la situazione ma, comunque, decise di correre al riparo prima di perdere anche la dignità dopo i ricordi, la vita e il cuore.

E così si erano ritrovati a correre come dei pipistrelli in trappola, sbattendo con frustrazione in ogni vicolo cieco che si parava loro davanti, ringhiando ad ogni deviazione che erano stati costretti a prendere per colpa di qualche guardia di troppo e maledicendo ogni dannato corridoio in più che era stato costruito durante la loro assenza.

Ad un certo punto avevano avvertito un terremoto così forte da farli cadere tutti per terra. Xaldin fu sbalzato indietro nonostante la sua corporatura massiccia, ma, per fortuna, il corpo di Marluxia attutì buona parte del colpo. Vedi com’erano utili i sottoposti, alle volte! Ma, concentrato com’era a rimanere tutto intero, forse non si accorse dei vivaci insulti che provenivano dal peso non più inanimato che si portava sulla schiena, perché, se il numero XI non era sveglio, almeno aveva ripreso parte delle forze, ma ovviamente era troppo profittatore per scendere e mettersi a correre come gli altri.

Fortunatamente, la scossa durò poco, e così i quattro più uno poterono mettersi in salvo.

Dopo un’altra decina di minuti di penoso peregrinare di corridoio in vicolo, riuscirono a vedere il cielo che si apriva sullo stadio diroccato da cui avevano cominciato la loro missione e, stremati, si erano accasciati uno dopo l’altro sulle scalinate. Solo il Feroce Lanciere rimaneva in piedi. Aveva sentito benissimo l’insulto di Marluxia al momento della caduta, e aveva intenzione di fargli pagare il passaggio: così, libero dalla maledizione dell’Oltretomba, sollevò un piccolo turbine che mandò un Marluxia tranquillo di essere al sicuro a sbattere contro il muro di cinta dell’arena.

E da qui era partita la colorita minaccia: “Fallo un’altra volta e ti ritroverai la mia falce in un posto poco piacevole.”

“Piuttosto, tu la prossima volta te ne vai a piedi come tutti gli altri.” Rimbeccò Xaldin, squadrando il proprio sottoposto dalla sua estrema altezza e incrociando le braccia come un uomo che cerca di domare la rabbia invece di prendere a pugni il poveraccio di turno.

Marluxia trovò sfogo in uno stizzoso ‘tzè’, e, dopo un secondo in cui valutava se far diventare realtà la propria minaccia, si sedette sulle scalinate, accavallando le gambe. Si guardò intorno: “Dov’è Larxene?”

“Oh, giustappunto” disse Xemnas: “Quando stavamo nella prigione” ma fu subito interrotto dal numero XI che, perplesso, aveva domandato: “Ci avevano presi?” Il Superiore annuì: “Sì, e anche legati, ma non è quello il problema: infatti, quando eravamo in prigione Larxene è riuscita ad uscire con la scusa di sapere qualcosa che in realtà non sapeva, e non abbiamo proprio idea di che cosa abbia in testa.” Finì con lo scrutare il Leggiadro Sicario con aria di attesa, anche se non sapeva quanto sarebbe stato sincero con lui, che lo aveva messo in discussione come membro umiliandolo davanti a tutti. Però, rifletté, non gli sarebbe convenuto molto mentire, dato che lui stesso si ritrovava coinvolto. Intanto, si accorse  che Marluxia lo squadrava, impassibile. Chissà cosa passava per quella testa astuta… forse si erano precedentemente accordati per tradire ancora l’Organizzazione, ma perché? In due non avrebbero mai e poi mai potuto combattere contro Topolino, erano entrambi forti, certo, ma non abbastanza da fronteggiare in due una dittatura! Erano già pochi in quindici!

Mentre Marluxia era ancora immerso nei propri pensieri, Zexion si rivolse a Xaldin, che, precedentemente, aveva fatto capire di aver inteso il gioco della Ninfa Selvaggia: “Ma tu non avevi capito cosa aveva in testa?” gli chiese, e il tono, sebbene rimanesse indifferente, celava una lieve accusa, come se fosse colpevole di non essersi ancora spiegato, ma il numero III scrollò le spalle: “Avevo solo capito che voleva uscire per fare qualcosa, e prima ancora mi aveva detto di reggerle il gioco… Credo abbia voluto infiltrarsi.” Ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, avrebbe potuto provare a tradire ancora l’Organizzazione senza essere ostacolata, facendo passare il piano per un sotterfugio a vantaggio dei Nessuno.

“Non credo ci abbia traditi” si intromise Luxord, prendendo un’altra carta e aggiungendola al proprio ventaglio per potersi fare più aria: “Larxene non è stupida, avrà capito che facendo la voltagabbana sarebbe stata consegnata direttamente a Topolino… ed inoltre mi sembra difficile da credere che abbia fatto tutto da sola, senza il suo collaboratore più stretto.” E detto questo ammiccò verso Marluxia, che, invece di reagire alla sottile accusa del numero X, fece una domanda che, all’apparenza, sarebbe stata solo inutile: “Cos’ha detto Larxene prima di andarsene?”

“Ha importanza?” chiese Xemnas, con alterigia, e il numero XI lo fissò con odio: “Sì.” ringhiò, pronto allo scontro, ma Zexion, decisamente poco disposto ad un litigio, bloccò immediatamente il rimbrotto del Superiore: “Ha detto ‘Oramai è tutto perduto’ … c’è un qualche significato in questa frase? È un codice?”

Il numero XI guardò Zexion, indeciso: certo che c’era un codice, ed era anche quello d’emergenza, ma lo scocciava il fatto di doverlo rivelare per poter spiegare l’esplosione che sarebbe arrivata di lì a qualche ora. Certo, Larxene era stata avventata, ma almeno in quel modo, avendo vicino i loro avversari, avrebbe potuto eliminarli immediatamente. Vedendo che gli altri ancora lo guardavano con l’aria di chi attende spiegazioni, si arrese: “Sì, è un codice… Sta per Ordigno Elettrico a Tempo, che sono le iniziali di ‘oramai è tutto’ e il tempo è indicato in ore e si ricava dal numero di lettere della parola ‘perduto’, quindi sette. È l’attacco estremo di Larxene, un’onda elettromagnetica che ucciderebbe chiunque si trovi nelle vicinanze, quindi probabilmente sta progettando di uccidere il nemico dall’interno.” Spiegò. Avrebbe dovuto crearne un altro codice per Larxene, altrimenti la volta successiva sarebbe stata scoperta subito: “Quante ore sono passate da quando ha pronunciato quelle parole?”

“Un’ora e cinquanttotto minuti.” Rispose Luxord, riponendo le carte dentro la manica e tirando fuori un dado. “Mh.” Valutò Xaldin: “Quindi ne mancano cinque circa.”

Marluxia annuì: “Almeno così avremo tempo per avvertire gli altri di allontanarsi. Qui riuscite ad aprire varchi oscuri?”

Xemnas lo sentì. Avvertì che il tono di Marluxia era diventato più autoritario e diplomatico, tipico di quando si danno ordini, e si avvide immediatamente del fatto che volesse proclamarsi ufficiosamente capo cominciando con il favore degli altri membri per sminuire la sua autorità. Fece per parlare e rimetterlo al posto di membro in prova ma, prima ancora che lui potesse aprir bocca e che gli altri potessero rispondere, un secondo terremoto aprì la terra sotto i loro piedi.

“Accidenti!” ringhiò, mentre, impotente, precipitava verso il fondo da cui era da poco uscito.

Zexion si aggrappò al bordo con tutte le sue forze, tentando di rimanere saldamente attaccato al suolo che franava sotto i suoi piedi e sembrava friabile alla presa dei guanti. Quando riuscì a risalire, però, gli altri erano tutti precipitati. Poco male, si disse, l’unico di cui si sarebbe preoccupato stava comodamente sdraiato su di un materasso a riposare, gli altri gli erano indifferenti. Si allontanò dallo squarcio per evitare che qualche cedimento trascinasse giù anche lui, e si sedette sulle scalinate dalla parte opposta alla quale si trovava.

Cosa poteva fare? Separato dal suo gruppo, ormai non poteva far altro che cercare di raggiungere gli altri. Ma dov’erano? Lui in quel mondo non ci era mai stato, come avrebbe potuto orientarsi? Forse Demyx sarebbe servito allo scopo, ma dove si trovava in quel momento?

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Questo capitolo è stato tremendo... non sapevo che titolo mettere DDD:
Inoltre, questo in teoria era il primo pezzo di un capitolo che complessivamente contava 18 pagine di word ed era
MOSTRUOSAMENTE lungo, perciò ho dovuto spezzettarlo. Che fatica!
Comunque... riassumiamo la situazione per chi non c'ha capito una mazza per chi non ha capito bene?
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Riku, Kairi, Naminé, Cloud, Xigbar, Axel, Saix e soldati sono bloccati nel Cuore dell'Oltretomba;
Jack è stato risucchiato chissà dove;
Larxene si è apparentemente alleata col nemico, ma poi farà esplodere tutto tra cinque ore;
Xemnas, Marluxia, Xaldin e Luxord stavano discutendo sul da farsi ma sono stati inghiottiti chissà dove;
Zexion si è salvato e non sa che fare.
Quante cose succedono sul Monte Olimpo!
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Ah, ho cambiato rating perché nei prossimi capitoli certe descrizioni potrebbero essere un filino cruente, quindi mi premunisco.
Bene. Salute a tutti e credo che i prossimi capitoli non si faranno attendere molto, essendo già pronti :P
Ciao!
  
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