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Autore: M e g a m i    01/05/2012    14 recensioni
« Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ecco, ci risiamo...
« Lascialo andare. », la udì scandire lentamente, guardandolo con aria minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
« ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.
« Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arisawa Tatsuki, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NDA: Grimmjow alle prese con le farfalle nello stomaco. AWW. Che cosa cariiina. x°D
However, questo capitolo sarà piuttosto incentrato sulle parti del corpo. Eh eh. Non pensate male, zozzoni. 8D
Comunque, mi sono divertita molto a scriverlo, e spero di essere riuscita a spiegare un po’ di più cosa si nasconde dietro la psicologia di Tatsuki. Quanto è bella, quanto la amo. ;W;
E spero anche di non star andando troppo velocemente a farli prendere così uno dall’altra. Ma vedete, il mio cuore di fangirl esige amore... ♥
Ichigo lo rimandiamo alla prossima volta, se no si fa troppo lungo. Aspettatevi pure uno stralcio di Nee-san! =v=
 
-
 
In qualche modo, si era sentito di colpo più leggero.
Nello stesso istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva visto il suo sorriso. C’era qualcosa di incredibilmente fuori posto nella sua reazione, qualcosa che... gli fece venire voglia di ridere.
Quell’umana non finiva mai di sorprenderlo. Era assurdo. No, lei era assurda.
Perché?
Per un attimo aveva quasi sperato che scappasse via. Che si allontanasse, e tutta quella situazione assurda finisse lì, prima che potesse anche solo cominciare. Sarebbe stato giusto così, sarebbe stato anche meglio. E non solo per lei. Grimmjow non era così altruista da pensare semplicemente al bene degli altri.
Il vero problema stava nella sua testa, o forse un pochino più in basso, all’altezza del petto, e ancora più in basso, dove nella sua anima ci sarebbe dovuto essere un buco, un vuoto.
Non sapeva dare una spiegazione alla sensazione, alla stretta, che aveva sentito quando aveva alzato lo sguardo verso di lei. Era come se davvero gli avesse dato un pugno nello stomaco.
Ma la cosa più strana, era che non faceva male. Per niente.
Perché?
Perché cazzo... mi stai sorridendo così?
Si portò nuovamente il dorso della mano sulla fronte, scuotendo il capo. Era davvero tutto così assurdo che non poteva fare altro che ridere, e rispondere al suo sorriso.
   « ... Le pantere sono più eleganti. », asserì poi con convinzione, girandosi nuovamente verso di lei e spostandosi su un fianco per guardarla meglio, con la testa appoggiata a un pugno.
Alle sue parole, anche Tatsuki si lasciò andare a una risata.
   « Elegante?! Tu? », replicò, chinandosi su di lui e dandogli una leggera spinta sulla spalla, facendolo cadere nuovamente sdraiato. Le era venuto spontaneo cercare un contatto. Nello stesso istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva visto il suo sorriso. Anche quel minimo di paura che aveva provato durante il suo racconto, era sparito in meno di un secondo.
Lo faceva sempre, gli parlava, lo toccava, gli si avvicinava, sempre con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Forse non se ne rendeva conto neanche lei stessa, ma Grimmjow sì. Lo notava eccome. Anche quella lieve spinta, anche se era stata sulla spalla, gli era valsa come un altro pugno nello stomaco.
Si tirò su puntellandosi sui gomiti, per poi rispondere a sua volta, spingendola appena.
   « Ma che vuoi?! Non è colpa mia se sei cieca e non riesci a vedere il mio fascino. », si atteggiò, facendole una smorfia derisoria.

Oh, come si sbagliava.
Tatsuki aveva degli occhi perfettamente funzionanti. E non è che fosse... immune al suo fascino.
Non si poteva negare che fosse... beh, bello. Aveva dei lineamenti marcati, eppure affilati. Un bel profilo, un naso dritto. Occhi sottili, di un azzurro intenso, così rari lì in Giappone, non ne aveva mai visti da vicino, se non in fotografia, o in qualche film. Per qualche strano motivo, prima era convinta che gli occhi chiari fossero in un certo senso piatti, poco profondi e privi di espressione, a differenza di quelli scuri. Prima... sì, prima di incontrare quegli occhi chiari. In quelli rischiava di annegarci dentro, tanto erano profondi.
E poi, la cosa che la colpiva di più. Quel sorriso che... dannazione, dannazione, dannazione. A cosa stai pensando, Tatsuki?!
   « Scusa tanto, ma mica tutti possono avere i tuoi occhi di lince. Ah, no, com’era? Pantera. », lo schernì a sua volta, scandendo bene le parole.
Grimmjow le fece un’altra smorfia, avvicinandosi e fissandola con arroganza. « Ah ah ah. Ti credi così divertente? »
   « Scusa, forse tu non ti diverti? Magari preferiresti un gomitolo... »
   « Sinceramente? Preferirei altro latte... », replicò, lanciando di sfuggita uno sguardo al suo seno.
Ed eccolo ancora. Il suo sorriso.
Era così... spontaneo. Infantile e malizioso al tempo stesso. Ed era contagioso, fin troppo. Tatsuki si ritrovava a rispondergli quasi contro il suo volere, anche quando avrebbe voluto rimanere seria, immancabilmente... si trovava a sorridergli anche lei.
Le sembrava di avere a che fare con un bambino. Un bambino alto un metro e ottantasei centimetri, e pettorali quasi più grossi della sua terza di reggiseno – che in quel momento era oggetto di occhiate poco gradite –, ma insomma...
Certo che era un tipo strano. Forse troppo strano, ma era anche questo che... che la affascinava. Sì, va bene?! Tanto valeva ammetterlo, ormai.
Quando stava con lui, anche solo quando gli parlava in quel modo, scherzando, provocandolo, si sentiva attirata in un mondo completamente diverso, in cui contava solamente il suo sguardo e il suo dannato, dannatissimo sorriso. E la parte di se che tendeva a non mostrare agli altri, quella capace di arrossire, di ridere senza preoccupazioni, veniva fuori così, spontaneamente.
Si rese conto che era stato così fin dall’inizio. Anche ai primissimi tempi, quando non facevano altro che fissarsi in cagnesco da lontano, minacciandosi a suon di fulmini, in quei momenti... esisteva solo lui.
Era qualcosa che non capiva, e che sinceramente, aveva anche un po’ paura di capire, perché era la prima volta che provava quel qualcosa di indefinito.
Eppure non riusciva proprio a trovare un salvagente per tirarsi fuori da quegli occhi così azzurri.
 
   « Arisawa? »
Tatsuki alzò lo sguardo a sentirsi chiamare da una voce non familiare, distogliendo l’attenzione da Grimmjow. Per un attimo provò irritazione. Non è che quel salvagente lo volesse così tanto, in fin dei conti.
La voce che l’aveva chiamata, apparteneva a un ragazzo che come pensava non conosceva. Se ne stava fermo con la mani nella tasche della tuta, in piedi a qualche metro di distanza da loro, e la fissava con un aria indecifrabile. Tatsuki inarcò impercettibilmente le sopracciglia, chiedendosi cosa volesse, poi si alzò e si avvicinò a lui, spazzolandosi i pantaloncini dall’erba e lasciando un Grimmjow altrettanto irritato per l’interruzione a farsi i fatti suoi e a tormentare il cartoncino di latte, che durante il loro scambio di gentilezze era completamente finito nel dimenticatoio. Grimmjow che a sua volta si chiese cosa diavolo volesse quel tipo, mentre coi denti mordeva, sollevandola, una delle alette di cartone, cercando invano una distrazione per trattenersi dall’impulso di tirare nuovamente verso di lui Tatsuki e costringerla a ignorare quel tipo che davvero, si può sapere che diavolo voleva da lei?! Per poco non strappò il cartone a morsi.
   « Dimmi. » Tatsuki esortò il ragazzo, portandosi una mano sul collo e stirando appena la schiena. Forse era venuto a chiamarla per la partita. In effetti aveva perso completamente la cognizione del tempo, il suo turno doveva essere arrivato e passato da un pezzo. Acciden-...
   « Ah, sei tu? »
Tatsuki rimase interdetta per qualche secondo, a vedere la sua espressione cambiare. « Sì, perché? », gli domandò, facendosi esitante e guardandolo con aria diffidente. Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto chiederglielo.
   « Scusa, mi avevano detto che eri un maschio. »
... Appunto.
Grimmjow aggrottò le sopracciglia, spostando lo sguardo dal suo prezioso latte ormai finito a lui, incenerendolo letteralmente. Non gli era sfuggito il suo tono, e nemmeno il suo sorrisino bastardo. Doveva proprio avere un bel coraggio per dire una cosa del genere. Certo, Arisawa Tatsuki non era l’emblema della femminilità in senso lato. Non era raffinata, non si curava particolarmente del suo aspetto. Però viveva la femminilità a modo suo.
E le sue curve, erano decisamente al posto giusto. E le sue gambe – coperte appena dai corti pantaloncini blu della tuta – anche se così toniche, non si potevano certo scambiare per quelle di un maschio, anzi. Erano decisamente delle belle gambe.
Per qualche motivo, Grimmjow si sentiva preso per il culo. Come se, offendendo lei, avesse insultato indirettamente anche lui. In fondo, lei era la sua preda. E lui non sceglieva mai prede mediocri. Come cazzo osava parlarle in quel modo?
Tatsuki distolse lo sguardo, per poi alzarlo per frugare l’area circostante a loro. E infatti, come pensava, vide un gruppetto di ragazzi nascosti dietro una siepe, che sghignazzavano e si spintonavano a vicenda, godendosi la scena.
Chiuse gli occhi.
   « Ma chi lo sa, forse in realtà lo sei davvero... »
Okay. Okay, questo era decisamente troppo.
Senza un attimo di esitazione, Grimmjow era scattato in piedi facendo un passo verso il ragazzo, e aveva preso a ringhiargli a pochi centimetri dalla faccia, facendolo indietreggiare.
   « Chiedile scusa all’istante o ti spacco la-... », iniziò a dire, a denti stretti, ma non riuscì neanche a finire la frase perché Tatsuki gli afferrò il braccio, bloccandolo.
   « No. », gli disse detto solo, con voce piatta.
Grimmjow spostò lo sguardo verso di lei, esterrefatto. No?! Ma l’aveva sentito o cosa? C’era un limite alle cose che poteva avere la faccia tosta di dire. Tornò a fissare il ragazzo, facendo per liberarsi con uno strattone dalla presa di Tatsuki, ma lei gli premette l’altra mano sul petto, spingendolo indietro.
Anche il ragazzo indietreggiò ulteriormente, per portarsi ancora più fuori dalla sua portata.
   « Devi esserlo per forza per tenere fermo uno così. », ghignò di nuovo, anche se si vedeva che aveva preso un bello spavento alla reazione di Grimmjow. Voleva solo dimostrare di non essere un fifone davanti ai suoi amici che seguivano la scena da lontano.
 Grimmjow sentiva il sangue ribollirgli nelle vene come non gli capitava da tempo. Digrignò ancora i denti. Se solo fosse riuscito ad avvicinarglisi di qualche centimetro... « Dove scappi? Posso sempre prenderti a calci, pezzo di-... »
   « Grimmjow. »
Era forse la prima volta che lei lo chiamava per nome. Per un secondo esitò.
   « Mollami. », sibilò, irrigidendosi all’improvviso e continuando a fissare il ragazzo davanti a sé che stava cominciando davvero a sudare freddo.
Anche Tatsuki gli lanciò un occhiata. « No. Lascia... lascia perdere. Per favore. », e lo spinse ancora più indietro. Poi tornò a rivolgersi al ragazzo, guardandolo con aria inflessibile.
   « Allora? Hai vinto la scommessa coi tuoi amici, no? Adesso puoi anche andartene. »
 
Tatsuki aveva sempre avuto un carattere impulsivo, fin da bambina. Era permalosa, fin troppo orgogliosa, non sopportava le prese in giro, le prendeva come affronti personali, che finivano puntualmente in zuffe.
Ma dopo tutti quegli anni passati nel dojo, aveva imparato a temprare la sua impulsività, così come i suoi pugni.
C’erano momenti in cui, però, non riusciva proprio a controllarsi. Quando c’era di mezzo Orihime, ad esempio. Se qualcuno provava a sfiorarla, ecco che si trasformava nel tanto temuto “demone” della Karakura Ichikou, capace di lanciare banchi per aria come coriandoli, alla faccia di tutti i Comitati Disciplinari.
Oppure se si trattava di Ichigo. Quell’idiota era talmente idiota che sentiva il bisogno di aiutarlo, quando qualche altro idiota esagerava con le parole o con le mani.
Certo, c’erano anche volte in cui perdeva la pazienza per cose che la riguardavano. Se qualcuno metteva in dubbio il suo talento nelle arti marziali ad esempio. Si sentiva in dovere di dimostrare a quel qualcuno che anche se era una ragazza, poteva mandarlo all’ospedale. Oppure se si trattava di altre cose di cui andava orgogliosa, che non sopportava venissero svalutate.
Ce n’erano altre ancora però... a cui non si sentiva di rispondere. In fondo, era colpa sua. Se fosse stata più... carina, certi commenti e certe insinuazioni le avrebbe evitate. Ma lei si piaceva così. Quando si guardava allo specchio, nuda dopo una doccia, non si sentiva meno femminile di qualsiasi altra ragazza. Non indossava gonne per il semplice motivo che le trovava scomode. Non si truccava per il semplice motivo che non aveva tempo da perdere, e la mattina preferiva dormire qualche minuto in più, piuttosto che spenderlo per farsi bella. Si era lasciata crescere i capelli per un puro capriccio estetico. Si piaceva così. E non doveva dimostrare niente a nessuno, se non a se stessa.
Eppure...
Eppure sono una ragazza anche io, sai?
Eppure certe cose... feriscono anche una come me, che una ragazza non lo sembra per niente.
 
Aveva le mani bollenti.
Quelle mani, minuscole in confronto alle sue, eppure non lisce e delicate. Aveva le nocche screpolate, forse da tutti gli anni di pugni contro i sacchi da boxe per allenarsi, e scommetteva che lei non era esattamente il tipo che si preoccupava di usare i più svariati tipi di creme per la cura del corpo. Le unghie non erano lunghe né curate, eppure gli facevano male, conficcate nella carne.
Aveva le mani bollenti, con una stretta inaspettatamente forte.
Mani che Grimmjow aveva preso il dolce vizio di pensare quando si trovava solo.
Così come la sua bocca, le sue labbra. Veniva voglia di morderle, tanto sapevano essere velenose e irritanti. Ma anche provocanti, involontariamente, quando si piegavano in un sorriso.
In quel momento, però, il sorriso era quanto di più lontano dalla sua espressione.
Dura. Quasi fredda.
Non gli piaceva. Il freddo era tutto tranne che lei. Lei era bollente, bruciava, come le sue mani. Eppure non in quel momento. Non batteva ciglio, non si arrabbiava. Perché?
Tutto quello che si limitava a fare era stringergli il polso, anche se ormai non c’era più bisogno di bloccarlo perché quel piccolo stronzo si era allontanato da un pezzo. Ma Tatsuki continuava a farlo, con tutta la sua forza.
Gli bastò un attimo per realizzare che era davvero ferita.
Ferita nel suo orgoglio, probabilmente, nel suo orgoglio... di donna.
Si chiese quante volte avesse dovuto sopportare quel comportamento da bastardi da parte dei suoi compagni di scuola. Per come la vedeva lui, Tatsuki era una capace di farsi rispettare. E infatti molti lo facevano, forse per paura, forse per vera e propria ammirazione, se n’era accorto in quei pochi mesi che aveva passato in quel bidone di adolescenti puzzolenti di sudore chiamato scuola. Eppure, come in ogni luogo, c’erano sempre dei coglioni che non sapevano riconoscere una persona degna di rispetto e perché no, timore, quando la vedevano.
Per un attimo vide se stesso, piccolo Hollow dall’aspetto felino, piccolo davvero, in confronto agli altri Adjuchas che cercavano sempre di divorarlo. Quante carni aveva dilaniato per guadagnare quel rispetto che pretendeva, quel potere che sentiva già suo di diritto...
Ed ecco che invece si trovava di fronte quella umana, no, quella donna, no... Tatsuki, che... il rispetto se lo meritava. E che nonostante tutto, mandava giù gli affronti, senza però chinare la testa, ma neanche replicare. Con un autocontrollo incredibile.
Cazzo. Cazzo se era... bella.
La sua mano tremava di rabbia. Probabilmente dentro di lei si era accumulata in quei pochi minuti che aveva cercato di trattenersi. Anche la sua espressione, non era più così fredda e distaccata come prima. Le sue guance si erano tinte di rosso, sotto la mandibola serrata, al contrario delle sue nocche ormai esangui per la presa troppo forte della mano.
Mano che – così piccola, così calda, così... forte – Grimmjow strinse istintivamente nella sua, senza neanche pensarci due volte.
  
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