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Autore: Thiliol    02/05/2012    4 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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2.

Capitolo 1: There's no place I can be since I found Serenity 



< Dieci pezzi d'argento, è la mia ultima offerta. >
Galmoth si voltò appena di lato e sputò in terra, per poi tornare a guardare l'uomo che gli stava di fronte.
< Dieci pezzi, Lannon? > ringhiò, afferrandolo per la collottola, < Maledizione! Lo sai da dove viene questo tabacco, eh? Lo sai? Erba pipa, Lannon, capisci quello che ti sto dicendo? Maledetta erba pipa dalla terra dei maledetti Mezzuomini! Ho dovuto risalire l'Anduin fino a Osgiliath, pagare i carovanieri e ritornare qui, il tutto sotto gli occhi di maledettissimi soldati di Gondor... e tu mi vuoi dare solo dieci pezzi d'argento? >
Lo strattonò e l'uomo cadde, ma si rialzò subio dopo, un ghigno stampato sulla bocca storta.
< Potrebbe persino dispiacermi per te, Galmoth, ma in realtà non me ne frega niente. Inoltre, se non ti liberi subito della merce, qualcuno potrebbe iniziare a fare domande scomode. >
Galmoth strinse i denti. Lannon aveva il coltello dalla parte del manico e lo sapeva, facendoglielo pesare in maniera sfacciata e palesemente compiaciuta.
Si voltò verso Laer alla sua destra, spostata un po' indietro, in una domanda silenziosa, anche se sapeva perfettamente cosa poteva passare per la mente della ragazza: cacciagli un coltello, in gola, Galmoth, e facciamola finita. Avrebbe potuto farlo facilmente, in fondo gli scagnozzi di Lannon lo odiavano e probabilmente l'avrebbero persino aiutato con il colpo di grazia. Sarebbe potuto fuggire e tornare alla Stella portandosi dietro ben più di dieci pezzi d'argento e forse anche qualche uomo.
< Sta bene, Lannon, > disse infine, a denti stretti, < dammi i tuoi schifosissimi soldi e prenditi la merce. >
Potè sentire lo sguardo di Laer puntato sulla sua nuca, uno sguardo che lo avrebbe incenerito come l'alito di un Drago, se solo avesse potuto.
Due uomini si avvicinarono alla cassa aperta, la chiusero e la portarono via, in una specie di retro bottega, mentre Lannon allungava una mano e gli porgeva un sacchetto sudicio, tintinnante di monete: le dieci monete d'argento.
Misero prezzo per aver quasi rischiato la vita, si disse.
Fece un cenno, e Laer si fece avanti, prese il denaro e lo nascose nella camicia.

< Maledetto te e il tuo onore, Galmoth! >
Laer doveva trattenersi per non urlargli contro in mezzo alle strade affollate del porto di Dol Amroth. Aveva le guance rosse di collera e la lunga treccia di capelli castani fremeva come se fosse un prolungamento della ragazza stessa, come se avesse vita propria.
< Potevamo farlo fuori e quelli ci avrebbero anche detto grazie! >
< Sì, sì, lo so, ma... >
Sbuffò senza lasciarlo continuare e accelerò il passo, balzando poi agilmente sul piccolo camminatoio improvvisato e infine sul ponte della Stella Marina.
Galmoth la seguì più lentamente, senza riuscire a nascondere un soorriso. Quella ragazza era davvero impossibile, nonostante fosse il miglior  primo ufficiale che chiunque potesse mai desiderare: era efficiente e precisa, cresciuta praticamente in mare e con un'eccellente senso degli affari. Era perfetta, se si evitava di soffermarsi troppo su quanto fosse bisbetica e saccente...ma a lui andava bene così, dopo tutto, anzi, ne era diventato quasi dipendente da quando, tre anni prima, a soli vent'anni, l'aveva presa con sè. Laer era stata il primo membro del suo nuovo equipaggio, il modo che aveva trovato per ricominciare daccapo e le voleva bene come a una figlia.
La raggiunse sotto coperta e la trovò seduta al tavolo nella sua stretta cabina. Gli dava le spalle e non si voltò quando lo sentì entrare, ma continuò imperterrita a scrivere qualcosa su un foglio.
< Non potevo ucciderlo, lo sai. >
Lei sospirò pesantemente, posò la penna e si voltò a guardarlo, lo sguardo addolcito.
< Lo so, l'onore, il Re e bla bla bla, cosa credi, che non ti conosca? >
Galmoth rise di gusto e lei lo seguì, finchè non ebbero entrambi le lacrime agli occhi.
< Ascolta, > disse Laer dopo una pausa di silenzio, < non posso essere in collera con te perchè non hai ucciso un uomo, come potrei? La mia è stata una reazione esagerata, scusami. >
< Sei fatta così, > fece un gesto come a dire che non gli importava, < perchè credi che continui a portarti con me ovunque, Laer? Mi diverti e sei imprevedibile, in più non hai tutti i torti. > Gamoth ghignò, < Lannon è un bastardo è glie li avrei dovuti far ingoiare i suoi pezzi d'argento. >
Laer scrollò le spalle, tornando a srivere sul suo foglio.
< La prossima volta, Galmoth. >

***

Aveva percorso, in poco più di due ore, a cavallo la Via che attraversava tutta la costa fino a Dol Amroth e che passava proprio accanto alla casa in cui aveva vissuto per tutta la sua vita. Era andato molte volte a Dol Amroth, per lo più aveva camminato per le vie del mercato e ammirato lo splendente porto che, a detta di suo padre, era tanto simile a quello di Alqualonde da far male, ma quella volta attraversare l'arco di pietra che costituiva la porta principale della Città, fu come entrarci per la prima volta.
Si sentiva strano, giovane e fragile, ma anche pieno di una strana sensazione di euforia. Aveva pianto e riso, durante la via, e non sapeva più quale altra emozione far affacciare per prima. Era sopraffatto e impaurito come un bambino.
Smontò dal cavallo e lo condusse per le briglie attraverso le strade affollate, il cappuccio grigio argenteo calato sul capo.
Si diresse direttamente al Pescatore una locanda piccola e accogliente che aveva frequentato molte volte ma in cui non si recava da quasi cinquant'anni.
L'insegna raffigurava un uomo su di una piccola barca stilizzata e la scritta era verde e azzurra. Una giovane donna bionda e carina serviva ai tavoli e gli sorrise dolcemente non appena entrò e si scoprì il capo.
< Salute a te, sire. > Disse gentilmente, avvicinandosi, < posso portarti del latte e del pan di spagna? Il tavolo vicino alla finestra è libero se desideri sederti. >
Silevril le sorrise a sua volta, scuotendo appena il capo.
< Nessun "sire", nè latte. Solo dell'acqua e un buon posto per il mio cavallo, resterà qui molto a lungo. >
La ragazza lo lasciò e lui si avvicinò al bancone, dove un ragazzo gli diede un grosso bicchiere colmo d'acqua.
Era così tanto tempo che non si trovava tra gli uomini che si sentiva quasi spaesato! Gli sembrava di essersi svegliata da un lungo sonno, fatto di sogni stellati e opprimenti, un mondo che non era quello reale.
Riusciva quasi a capire il desiderio che spingeva sempre sua madre a fuggire via da loro, eppure non poteva fare a meno di chiedersi perchè avessero scelto quell'isolamento. Non c'era nessuno nei pressi della loro casa, se non il mare e i prati, nulla se non il sentiero che si immetteva sulla Via e su cui quasi nessun viaggiatore si incontrava.
Suo padre viveva nella malinconia, nel continuo rimpianto per la sua patria perduta, degli amici lontani e dei suoi fratelli morti e sua madre... sua madre non aveva bisogno di nessuno se non di se stessa e dello sposo che cercava in modo così ossessivo.
Ma lui sarebbe presto morto, ne era certo ormai.
Bevve tutto d'un fiato ed espirò, lasciando che la sua vita passata scivolasse via da lui come acqua piovana.
La stalla era appena di fianco alla locanda. Pagò due monete di rame allo stalliere e poi si avvicinò a Laurel, suo amico da ormai molti anni.
< Namarie, mellon nin, > lo salutò, baciandolo sul muso vellutato, < qui sarai accudito e amato e avrai una buona vecchiaia. Non ci rivedremo, ma sappi che ti ho voluto bene. >
L'animale strusciò il muso contro di lui, in segno di saluto e Silevril lo baciò di nuovo.




Ok, eccomi qui. Primo capitolo mini, in realtà volevo inserirsci anche l'incontro tra Silevril e Galmoth, ma non mi piaceva e ho preferito tenere il capitolo così, seppur breve. Questa volta il titolo del capitolo è un verso della bellissima "Ballad of Serenity", la sigla di Firefly. La Stella Marina e il suo equipaggio sono ispiati infatti alla Serenity e al suo equipaggio, protagonisti di questo telefilm magnifico del maestro Whedon. Se l'avete visto avete tutto il mio appoggio e sappiate che vi sono vicina (sfogatevi pure), se non l'avete visto VERGOGNATEVI.
Detto questo, vi lascio, abbracciando Hary e Saralasse che hanno recensito (grazie ragazze!)
   
 
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