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Autore: Thiliol    19/04/2012    4 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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1 Salve a tutti, come va?
Questa storia prende il via, oltre che il suo personaggio principale, da una serie di storie che ho scritto qualche tempo fà e a cui sono particolarmente affezionata. Silevril, protagonista di questa storia è proprio il figlio dei due protagonisti della mia serie precedente, ovvero Alatariel ( parente di Feanor e invischiata in tutta la faccenda dei Silmaril ) e Aeglos ( del polopo di Olwe di Alqualonde, a cui nè Feanor nè i Silmaril hanno portato proprio quello che si dice giovamento). Dopo svariate vicende, parecchio rancore, un numero imprecisato di fughe e rincorse, nonchè due esili, i due sono riusciti a capire come stare insieme conciliando il loro grande amore con la voglia di sgozzarsi a vicenda, facendo pure un figlio che porta lo stesso nome del Gioiello di Feanor.
Ecco, questa è la storia di Silevril, con nuovi personaggi e pochi o nessun rimando particolare alla serie "madre", quindi potete leggerla tutti, anche senza conoscere il resto (nessuno vi vieta però di fare un salto sul Narn o Alatariel ar Aeglos ).
Spero di ritrovare vecchie conoscenze e di farne di nuove, con l'invito sempre di dirmi tutto ciò che non funziona e/o eventuali errori.
La Terra di Mezzo e i personaggi tolkeniani non appartengono a me, scrivo senza scopo di lucro e bla bla bla, mentre invece Silevril e gli altri sono interamente miei quindi se volete usarli chiedetemelo e ne possiamo parlare con piacere. Buona lettura!







Prologo: So close no matter how far [1]




Silevril sospirò pesantemente, guardando la porta di casa sua come se fosse un Drago dei Tempi Remoti. Probabilmente, si disse, un Drago sarebbe stato decisamente più facile da far ragionare rispetto a sua madre.
Avevano avuto un'altra, violenta, lite quella mattina e ormai non ne poteva più di lei, della sua arroganza e di quell'invisibile, eppure inespugnabile, laccio che lei aveva legato al suo polso. Si sentiva stanco di lottare ogni giorno con la donna che l'aveva messo al mondo, stanco di quello scontro di volontà che nessuno dei due riusciva mai a vincere, stanco di essere ancora in balia di lei e delle sue lacrime e delle sue suppliche.
Prigioniero di quella casa da troppo tempo, come un bambino tenuto in punizione per una marachella, solo che lui, ormai, non era più un bambino da molti anni.
Alla fine si costrinse a girare la maniglia e ad aprire la porta, entrando accompagnato dai raggi del sole morente.
Alatariel era lì, seduta su una piccola sedia di legno e paglia, le mani strette a pugno ed il volto rigato di lacrime. Non si mosse quando lo sentì, ma Silevril riuscì a scorgere molto chiaramente il suo sguardo indurirsi.
< Non avevi detto che non saresti mai più tornato? >
Eccola, la voce sprezzante e acida che aveva imparato ad associare al dolore. Credeva di poterlo ingannare, ma si sbagliava: nessuno, nemmeno il suo sposo Aeglos, la conosceva profondamente quanto lui, nessuno era stato più legato a lei di quanto lo fosse stato lui. Aveva memoria di essere stato nel suo grembo, ricordava i pensieri di lei nella sua testa ancora prima di avere coscienza di sè, ne aveva sentito la paura e il dolore per tutto il tempo e anche ora, pur non essendo più connessi mentalmente ma due individui distinti, ne percepiva sempre l'anima come nessun altro.
< Le mie intenzioni non sono mutate, madre, > le disse, < ma io non sono te e non scompaio nel nulla, lasciando coloro che mi amano nello sconforto e nel dubbio. >
La vide tremare e seppe che quella freccia, seppur lanciata a malincuore, aveva colto nel segno.
Aveva soppesato a lungo quel sentimento di rancore che provava verso di lei, non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma tutti quegli anni passati senza di lei, senza sapere dove fosse, se sarebbe mai tornata erano ancora impressi a fuoco nella sua memoria... era solo un bambino, all'epoca, e tutto ciò che aveva desiderato era l'abbraccio di sua madre.
Alatariel si voltò verso di lui, le sopracciglia aggrottate e gli occhi ridotti a due fessure.
< Non hai nessun diritto di dirmi questo, Silevril! > sibilò quasi, furiosa < Non capisci e non capirai mai, non sei come tuo padre. >
< No, > sospirò < ma non è vero che non capisco. >
Si sedette accanto a lei e la guardò dritta negli occhi.
< Nessuno ti ha mai capita quanto me, ma è per questo che devi lasciarmi andare. Lasciami andare. >
< Oh, Silevril > Alatariel trattenne un singhiozzo e si tappò la bocca con una mano. < Ho trovato la pace solo grazie a te, tu mi hai riportato alla vita e se vai via, in quale abisso ricadrò? Tornerò ad essere quella di un tempo? >
< No, perchè non sono stato io a liberarti, non vi è mai stata alcuna catena. Sei ciò che sei, Alatariel. >
L'elfa lo guardò intensamente, soppesando le sue parole alla ricerca di un significato più profondo, nascosto sotto la superficie, ma non ve n'era alcuno. Probabilmente, e Silevril ne era quasi certo, Alatariel non avrebbe mai accettato il suo desiderio di lasciare quella casa, troppo egoista per ammettere che suo figlio ne aveva un disperato bisogno. Era sempre stata quella la sua maledizione, sua e di coloro che la circondavano: lei amava di un amore possessivo ed insano, un'esclusività morbosa che la portava ad odiare la compagnia di chi tanto agognava... allora andava via, spariva per anni, solo per poi ritornare come se niente fosse successo, con un sorriso ed una lacrima.
< Ascolta, madre, > sispirò, cercando di affrontare l'argomento con quanta più calma possibile, < non vado via per colpa tua, o almeno non solo per colpa tua. Sai cosa vuol dire desiderare qualcosa di più, desiderare di poter viaggiare e impegnare la propria mente in qualcosa! >
< Lo so, > appariva sconfitta, quasi rattrappita, eppure il suo sguardo era alto e fiero, lo trafiggeva in un modo che gli ricordava la sua lontana infanzia, < e non voglio fermarti, non davvero. Hai vissuto qui per trecento anni ed io... io non sono sempre stata con te e so che non riesci a perdonarmelo, così come tuo padre. Avete tutto il diritto di accusarmi e, credimi, io stessa mi accuso di cose ben peggiori, ma sono fatta così ed Aeglos ha imparato a conviverci. > Si bloccò e gli prese la mano, stringendogliela talmente forte da fargli male.
< Ho paura, Silevril, > disse, < ho paura perchè prima che arrivassi tu la mia vita stava scivolando pericolosamente in un abisso di oblio e disperazione. >
< Non accadrà di nuovo. > Ne era assolutamente certo. Suo padre aveva parlato a lungo della loro storia, in quei giorni desolati in cui lei non c'era, aveva tentato di spiegare ciò che un bambino non avrebbe mai potuto comprendere, ma adesso era diverso, adesso sapeva e capiva ed era sicuro di una cosa: lo spirito infuocato che animava sua madre era ancora potente, nonostante tutto, ed era forgiato dello stesso fuoco che albergava anche detro di lui e non si sarebbe mai enstinto.
< Come lo sai? > sbottò e lui sorrise.
< Non riesci a sentirti, madre? Sei forte e nulla ti abbatterà. Hai Aeglos con te, vedrai che riuscirai a farlo impazzire ancora a lungo. >
Allora rise; era cristallina ed allegra, la stessa risata che aveva accompagnato i suoi giorni più felici e fu come un buon augurio.
< Pace fatta tra noi, mio adorato Silevril? >
< Pace fatta, madre > rispose, sporgendosi ad abbracciarla.

***

Aeglos era stato tentato di entrare non appena suo figlio aveva varcato la porta di casa, ma si era trattenuto. Non era giusto intromettersi, doveva lasciare che le cose si spiegassero tra loro due soli, anche se probabilmente si sarebbero offesi e picchiati. Gli veniva quasi da ridere a quel pensiero: sua moglie era l'essere più testardo di Arda, questo lo sapeva bene, ma suo figlio, pur nella sua calma controllata e in quella disinvolta spacconeria, non era da meno.
Per questo si sorprese non poco quando lo vide uscire sorridendo appena, chiudendosi la porta alle spalle e traendo un gran sospiro.
Non appena lo vide, Slevril gli andò incontro e si sedette al suo fianco, con la chiena poggiato contro il largo tronco di pino che cresceva d'avanti la loro casa.
< È stato più facile di quel che pensassi. >
< Davvero? Questa mattina ho sentito le vostre grida fin sul ponte del Giuramento e adesso mi dici che è tutto risolto? In un lampo? >
L'elfo più giovane sorrise di sbieco, chiudendo gli occhi e inclinando la testa all'indietro per poggiarsi di più all'albero. Aveva sempre un'espressione austera, come quella di Alatariel, ma quando sorrideva Aeglos riusciva a rivedere se stesso negli angoli della bocca che non si sollevavano mai abbastanza, pur trasmettendo uno scintillio di sincera gioia agli occhi chiari.
Non l'aveva mai confessato a nessuno, ma era grato ai Valar che suo figlio non avesse gli occhi scuri e impenetrabili di sua madre, occhi inquietanti e freddi; Silevril gli somigliava intensamente nell'aspetto e nel carattere più di quanto non si rendesse conto egli stesso... no, non avrebbe mai smesso di ringraziare i Valar e il grande Iluvatar per quello.
< Non riesci mai a capire come prenderla, ada. > Lo spiegò come se fosse un dato di fatto. < Bisogna lusingarla, dirle che è forte e meravigliosa e che tutto si risolverà per il meglio. >
< Credimi, Sil, ho passato mille e mille anni lusingando tua madre, ma non è servito a molto. La verità che tu sei l'unico che riesce a farla cedere e a sapere cosa dire. A volte, mi sembra di rivedere Finarfin, anche lui era l'unico a riuscire a farla ragionare. >
Risero insieme. Era una cosa a cui Aeglos si era abituato e a cui sarebbe stata dura rinunciare: suo figlio gli aveva regalato la pace, una felicità troppo profonda che mai avrebbe potuto immaginare, aveva riportato Alatariel da lui, aveva quietato il suo tormento e allontanato i fantasmi di un passato che entrambi erano stati incapaci di lasciarsi alle spalle prima del suo arrivo.
Avrebbe sentito così tanto la sua mancanza!
Il pensiero di non vederlo ogni giorno, di non prendere il mare con lui la mattina per poi tornare al tramonto o di non sentirlo più cantare d'avanti al fuoco le sere d'inverno, era doloroso.
Lo guardò e strinse le labbra.
< Non temere, padre, > Silevril si era accorto del suo turbamento e aveva smesso di sorridere < non è un addio! >
< No? >
Le parole erano amare, ma era arrivato il momento di pronunciarle perchè sapeva, anche se Silevril non aveva detto nulla, che il mare era il vero motivo per cui lasciava quella casa... lo sapeva perchè aveva visto la chiamata nel mare nei suoi occhi e l'aveva riconosciuta... lo sapeva perchè il mare chiamava anche lui ad un viaggio che non avrebbe mai potuto compiere ma che Silevril poteva e doveva affrontare presto.
Dovette leggergli quei pensieri chiari come in un libro perchè lo fissò negli occhi, serio.
< Non lascerò la Terra di Mezzo, adar, senza essere tornato da voi prima. Lo giuro. Non me ne andrò senza aver detto addio a te e ad Alatariel. >

***

L'alba faceva capolino attraverso la tenda sottile e bianca che copriva la vetrata affacciata sul mare. Il Golfo di Dol Amroth si stendeva placido e appariva quasi incendiato dai raggi rossi del sole.
Silevril stava davanti alla porta e teneva per le briglie un bel cavallo grigio, alto e slanciato, figlio di quello che sua madre gli aveva portato da Rohan molti anni addietro. I suoi genitori erano in piedi di fronte a lui e si tenevano per mano; Alatariel sembrava quasi aggrappata al braccio di suo marito, ma non piangeva e i suoi occhi erano duri e freddi come sempre, nonostante un lieve sorriso le increspasse le labbra.
< I miei pensieri saranno rivolti costantemente a te, mio amato Silevril, > disse.
Non riuscì a fare a meno di posarle un bacio sulla guancia: lei appariva così fragile, un cristallo pronto ad infrangersi, ma sapeva che non era così.
Aeglos stava al fianco della donna che amava e i suoi occhi erano lucidi, eppure sorrideva anche lui.
< Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle, ion nin,[2] > sussurrò, < namaarie. >
< Namaarie. >
Salì a cavallo e lo spronò al galoppo.
Fu felice che nè Alatariel nè Aeglos lo avessero visto piangere.










Note:
[1]primo verso della meravigliosa "Nothing else matters" dei Metallica
[2]possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti, figlio mio


   
 
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