Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: swiebers    05/05/2012    1 recensioni
Alice ritorna a Wonderland, ma non tutto (o forse niente) è più come una volta.
Strane cose accadono in quel posto dove non vedeva l'ora di tornare, ma perché?
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel paese della regina
Giunse un giorno una bambina.
Dolce, affabile, curiosa,
Di risposte era bramosa.
Ma alle volte chi non sa aspettare
può incontrare qualche male.
Oh, Alice, dove sei ora?
Hai poi più rivisto l'aurora?
Corri, corri, Alice cara,
Cosa mai ti accadrà ora?
Prova tu a ricordare
Di questa storia qual è il finale. 
 
La stessa cantilena si ripeteva ogni notte, a volte a mo' di canzoncina, a volte come una semplice poesia recitata.
E Alice non trovava pace.
Non era più tornata a Wonderland, ma forse qualcosa stava provando a dirle che doveva farlo; o forse no.
Quel giorno era sulla sponda di un ruscello, lo stesso dal quale anni prima cominciò il suo viaggio, e fissava le nuvole stando a pancia in su.
Le parve per un attimo di sentire il coniglio bianco lamentarsi. “E' tardi!” diceva.
Ma quando posò lo sguardo sul sentiero da cui le era parso di sentir la voce, non scorse niente; e tornò a contemplare il cielo.
D' un tratto sentì degli schizzi d'acqua gelida bagnarle il braccio e parte del vestito azzurro, quello col grembiule, che da sempre portava. 
Una rana saltava da una ninfea all'altra e poco più in là, qualcuno si muoveva.
“Il coniglio bianco!” pensò Alice tra sé, correndo incontro a quella figura in lontananza.
Ed era davvero lui, che sbraitava e correva e saltava; trovò solo un secondo per dire: “Oh, Alice!”, poi balzò nella solita tana, questa volta però si trovava in un posto diverso.
Senza pensarci su due volte, come effettivamente era nella sua indole, Alice si intrufolò nel buco per seguire il coniglio, dicendo: “Mi hanno concesso di ritornare a Wonderland, non posso rifiutare un così evidente invito”.
Cadde a testa in giù, come l'ultima volta, e come l'ultima volta ad attenderla c'era la porta “impassabile”. 
Alice si assicurò di aver preso la chiave prima di bere la “bevanda restringente”, così poté passare senza aver allagato nulla con le sue lacrime.
Ma, stranamente, dall'altra parte non c'era Capitan Libeccio, né il Dodo o le aragoste, e il tutto le sembrava privo di vita. 
Arrivò dove avrebbero dovuto abitare PincoPanco e PancoPinco, ma non trovò neanche loro. 
Non c'erano più i fiori; cosa avrebbe dato per sentire qualche insulto da parte dell'anziana viola!
Non c'era più lo stregatto, che le era sembrato l'unico con ancora un po' di sale in zucca.
La “sala da tè” composta da un tavolo chilometrico e tante, troppe tazze e caffettiere, era vuoto. 
I palmipedoni non giravano più intorno ai suoi piedi, non si vedeva da nessuna parte il fumo colorato del Brucaliffo. 
“Ma dove sono tutti?”, si domandò Alice, “E' o non è Wonderland, questo? Qualcuno mi risponda!”.
Ad ogni suo passo, comparivano cartelli a forma di freccia con scritto: Segui questa stradaNo, segui questa!Va' da questa parte.
Dove dovrei andare?”, si chiese Alice, non ancora abituata a quelle stranezze.
Prese un sentiero buio, illuminato solo da una striscia rossa che correva per tutta la strada, permettendole di arrivare ad un piccolo fiumicello, dove vide una rana-tamburo, di quelle che ad ogni salto facevano il rumore di un tamburo o di un piatto.
Ehi, disse Alice, ma sfortunatamente per lei, la rana con un balzo raggiunse un cespuglietto e andò via saltellando.
Strano, pensò lei, mettendosi le mani nelle tasche del grembiule. 
Si accorse di avere ancora quei pezzi di fungo che le permettevano di ingrandirsi o rimpicciolirsi.
Ma come è possibile? L'ultima volta li avevo mangiati nel palazzo della regina! Questa storia mi torna strana, il tono di Alice si faceva sempre più cupo, aveva paura: quello non era più il paese in cui era stata da bambina.
Tornò indietro perché la strada non aveva uscita, e decise di raggiungere il palazzo della regina.
 
Si fece coraggio e raggiunse l'albero dove era solito star seduto lo stregatto, lo aveva riconosciuto perché in passato vi aveva intagliato di nascosto una “X”, tanto per essere sicura che se mai fosse tornata, lo avrebbe trovato facilmente. 
Tirò la leva che apriva la scorciatoia per arrivare al palazzo della regina di cuori, poi entrò, non senza un po' di riluttanza: del resto, l'ultima volta che era stata lì, aveva rischiato la testa!
Gli alberi erano coperti di rose rosse, vere e non colorate, ma le carte non c'erano.
Al palazzo tutto taceva; Alice si spinse oltre la sala del trono e, ad ogni passo, sentiva la filastrocca risuonarle in testa:
 
Nel paese della regina
Giunse un giorno una bambina.
Dolce, affabile, curiosa,
Di risposte era bramosa.
Ma alle volte chi non sa aspettare
può incontrare qualche male.
Oh, Alice, dove sei ora?
Hai poi più rivisto l'aurora?
Corri, corri, Alice cara,
Cosa mai ti accadrà ora?
Prova tu a ricordare
Di questa storia qual è il finale. 
 
Non era una sua sensazione: l'avrebbe sentita anche prima.
Si avvicinava sempre di più ad una piccola porticina in legno e la filastrocca si faceva più veloce, finché, preso il pomello nel palmo della mano, la ripetizione tartassante delle parole cessò.
La maniglia girava a vuoto, senza che la porta facesse cenno di aprirsi. 
“Stai perdendo tempo, Alice”, disse una voce dietro di lei. Si girò meccanicamente e la vide: la regina di cuori. 
Non era cambiata neanche un po': il lungo abito rosso e nero era sempre lo stesso e la corona aveva sempre la stessa lucentezza accecante della prima volta in cui Alice la vide.
“Vostra maestà”, cominciò la ragazza, “Sono capitata per caso di nuovo qui, nel vostro regno, ma non trovo più i miei amici. Saprebbe lei indicarmi la via che devo seguire per trovarli?”.
“Non li trovi perché qui non hai amici”, rispose lei, con una calma che non le apparteneva affatto.
Alice la guardò stranita.
“Piccola, ingenua Alice! Non sei cambiata per niente dall'ultima volta. Sempre la solita ragazzina curiosa!” rise la regina.
“Io non capisco”, fu tutto quello che uscì dalla bocca di Alice.
Nel paese della regina giunse un giorno una bambina...” cominciò a canticchiare l'altra.
Alice indietreggiò. 
“Oh no, cara, vuoi già andar via? Non hai ancora rivisto i tuoi amici!”.
Detto ciò, la regina aprì la porta che prima era come sigillata per Alice, e da essa uscirono tutti i protagonisti di quel viaggio assurdo: per primo lo stregatto, seguito dalla Lepre Marzolina con il Cappellaio Matto, poi il Brucaliffo e i fiori, infine tutti gli altri. 
“Siete tutti qui”, sospirò Alice, “Temevo non vi avrei più rivisti”.
“Ma dopo questa volta non ci rivedrai più” disse il Cappellaio, con un'espressione quasi estasiata sul viso. Poi tutti le si avvicinarono lentamente e, più lei cercava di fuggire, più le si stringevano intorno non lasciandole alcuna via di fuga.
Finalmente trovò un po' di spazio tra i palmipedoni e corse fuori dal castello, finendo nel labirinto del giardino.
“E adesso cosa faccio?! Perché mi inseguono?”, si chiedeva, ansimando e continuando a correre.
Poi si ricordò degli ultimi versi della filastrocca: “Prova tu a ricordare di questa storia qual è il finale” e pensò che se avesse immaginato di lasciare Wonderland per sempre, per com'era strano quel luogo, magari il suo pensiero si sarebbe avverato. 
E lo immaginò, eccome: chiuse gli occhi, in piedi al centro del labirinto, con i pugni stretti e i piedi ben saldi al suolo; immaginò di star seduta sul ramo del ciliegio fuori casa sua, intenta a leggere un libro in cui, ahimé, non vi era neanche una figura, ma che era costretta a studiare. Sarebbe stata molto più piacevole quella situazione a confronto del pasticcio in cui si era cacciata stavolta. Intanto, assorta completamente nei suoi pensieri, veniva circondata dai suoi inseguitori, avvertiti dai fiori che l'avevano trovata per prima. 
Passò del tempo prima che riaprisse gli occhi per accorgersi che il suo piano non aveva avuto un felice esito.
Davanti a lei c'era il Cappellaio Matto, con un'espressione più lucida dell'altra volta, che diceva con un sorriso:

Perché i tramonti son pupazzi da legare, Alice?”, mentre le si avvicinava sempre di più.
La ragazza si gettò nella mischia che si chiudeva sopra di lei, per poi uscire e correre via, nel labirinto. 
Davanti ai suoi piedi apparivano improvvisamente radici di alberi che la facevano inciampare e rallentare; la regina, dall'alto del palazzo, urlava ai suoi servitori di lanciarle contro delle frecce.
Non c'era via d'uscita da quella situazione, agghiacciante quanto strana.
Alice si arrampicò su una delle aiuole rettangolari che componevano il labirinto e riuscì ad arrivare al passaggio nell'albero dello stregatto. Lo attraversò, poi lo chiuse dietro di sé, per assicurarsi che nessuno sarebbe potuto uscire.
Correva, correva, e intanto si accorgeva che quanto detto in quella sorta di canzoncina si stava avverando; si chiedeva se avrebbe più rivisto la luce del sole, quello del suo mondo, non certo quello della spiaggia del Tricheco e del Carpentiere, e intanto continuava ad introdursi nella selva.
Era tutto buio e così poco familiare: “In questo posto non ci sono mai stata, me lo ricorderei”, pensava. 
Alberi dai rami scheletrici si innalzavano sopra di lei, il nero del cielo si confondeva con ciò che si trovava in quel bosco, privo di luce o qualsiasi spazio luminoso. 
Alice avrebbe voluto che tutta quella pazzia cessasse per sempre; per una volta le mancava persino quella petulante di sua sorella maggiore.
Dopo aver camminato per un bel po', si ritrovò nella reggia della regina, di nuovo.
“Oh, ma come è possibile?”
“Tu ci sei arrivata con la scorciatoia l'ultima volta. Ricordi? Non hai mai conosciuto la strada primaria”. 
La riconosceva, era la voce dello stregatto che in un batter d'occhio le era apparso su una spalla. 
“Non scappare, Alice”, le diceva, mentre gli altri la circondavano.
 
Sarà mai tornata Alice
Dal suo viaggio non tanto felice?
Pensan di sì, pensan di no, 
Io personalmente dirlo non so.
Chissà se poi si è liberata
E sul ruscello è infine tornata.
Ma del resto ancora non si sa
Se quello fosse un sogno o fosse la realtà.
  
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