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Autore: TuttaColpaDelCielo    06/05/2012    5 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 14 – Tradimento





Piangeva.
No, lacrimava: minuscole gocce dolcissime le scorrevano sulle guance, tiepide, ma era una reazione puramente fisica, istintiva, per la rabbia e la stanchezza e il dolore alla schiena sanguinante. Non aveva intenzione di mostrarsi più debole di quanto già non apparisse – la dignità e l’orgoglio non le mancavano, o almeno così le piaceva pensare.
«Smettila. Sono già abbastanza irritato.» le ringhiò Michael, affondando di più le unghie nella carne delle sue spalle. Le sue taglienti piume da arcangelo vibrarono quando irrigidì le ali, chiuse attorno a loro, così vicine da rischiare di ferirla.
Lei, in risposta, voltò il capo per non dover fissare quegli occhi grigi, furiosi, ma continuò a sentirli addosso, come una violenta stilettata di disagio e malessere.
Il caduto la lasciò andare all’improvviso, quasi con una spinta, facendola sbilanciare, ma la strattonò per un braccio prima che cadesse. Le voltò le spalle e mosse qualche passo rigido, calcando i piedi nudi sul terreno come se volesse frantumarlo; poi sospirò, rilassò le spalle e ritirò le ali, lentamente. Amitiel poté vedere con disgustosa chiarezza le ossa e le piume nere ritrarsi nella schiena, scomparendo poco a poco: al loro posto non rimasero che due larghe lacerazioni nel tessuto scuro della maglia e due cicatrici bianche sulle scapole del caduto.
C’era un motivo se, di solito, il processo era estremamente più rapido: vederlo era davvero nauseante.
Sperò di non doverlo mai fare. Tutti le assicuravano che era indolore, ma rimaneva disgustoso e innaturale – piuttosto che essere obbligata ad impararlo, non sarebbe mai passata al ciclo superiore. Pura illusione, lo sapeva, ma preferiva illudersi che pensare a quello... quello schifo.
Michael si voltò e le si avvicinò di nuovo, in apparenza più calmo. Lei cercò di indietreggiare, ma il tronco d’albero a cui prima si era appoggiata la fermò dopo un passo, dolorosamente premuto contro le sue ali rosse.
«Sei danneggiata?» mormorò il caduto, allungando una mano per sfiorarle una spalla. Là dove le sue dita erano affondate con violenza, il tessuto – più resistente rispetto alle stoffe umane – non si era lacerato, ma era ancora sgualcito; lo lisciò con un gesto lento, lieve, rassicurante.
«Gli squarci.» gli rispose senza guardarlo «E mi fanno male le spalle.»
Non si scusò. Con un sospiro, le chiese: «Ora mi spieghi cos’hai fatto all’essenza, o vuoi aspettare nove tramonti? Abbiamo poco tempo, non sprecarlo.»
Nove? Si guardò intorno. Era vero: un tramonto era già passato, la notte era scesa ad ammantare il mondo di ombre che i suoi occhi inumani percepivano appena. Nell’agonia non si era resa conto del tempo che passava; dopo, era stata troppo confusa per accorgersi della falce di luna che s’intravedeva tra le chiome degli alberi, o dell’alone scuro che ricopriva tutto.
La mano che le accarezzava una spalla si fece più pesante. Michael la scosse leggermente, con delicatezza; sembrava quasi una persona diversa dall’arcangelo furioso di poco prima.
«...non te l’ha detto Eisheth? Ho esteso troppo le Percezioni.» mormorò, a disagio per quell’errore così grossolano. L’insegnante non si era nemmeno raccomandata di evitarlo, perché era ovvio che non dovessero farlo. E lei, naturalmente, lo aveva fatto.
«Stronzate. Sforzarsi non riduce l’essenza in questo stato.»
«Ma ho solo esteso le Percezioni, nient’altro. Mi sono concentrata e... e ha fatto male.»
Se non era stato quello, cos’altro poteva averle provocato quel dolore? Succedeva quasi ogni volta che estendeva le Percezioni, come se la sua essenza si spingesse sempre troppo in là; la dimensione umana l’aveva amplificata, ma era sempre la stessa sensazione di strappo, di lacerazione. Doveva saperne la causa, perché altrimenti non avrebbe potuto evitarla – e non voleva ripetere l’esperienza, davvero. Se in Paradiso era sopportabile, un’unica volta nella dimensione umana le era bastata. Con una seconda temeva di impazzire.
La mano gelida di Michael risalì lungo il suo collo nudo, nella versione più delicata della stretta con cui le aveva bloccato il respiro, all’inizio dell’incontro precedente. Amitiel non riuscì a reprimere un fremito allarmato delle ali, tormentando ancor di più gli squarci alla schiena; inclinò il capo per sottrarre la gola al suo tocco, senza guardarlo in viso, ancora stanca e irritata.
Michael riteneva una stronzata la sua risposta? Che ne trovasse una lui. Doveva sapere come evitare quel dolore assurdo, doveva.
«Sei offesa?» le chiese in tono neutro – non una preoccupazione, ma una semplice perplessità.
«Mi hai fatto male.» sibilò, muovendo un passo di lato, perché il tronco d’albero non le impedisse più di indietreggiare. La mano del caduto, tornata a stringerle una spalla, non le permise di allontanarsi di più.
«E tu hai l’essenza più lacerata che abbia mai visto.»
Le agguantò il mento, costringendola con poca delicatezza a fissarlo in viso. Lei avrebbe chiuso gli occhi pur di non incontrare i suoi, ma le parve un gesto troppo infantile, perciò sostenne il suo sguardo grigio con quella che sperava fosse un’espressione dignitosamente risentita.
«E quindi?»
«Mi irrita essere venuto a saperlo così tardi.»
«Non è dipeso da me.»
«Oh, giusto, tu stavi... estendo troppo le Percezioni, vero?» commentò, la voce grondante ironia.
«Se non è stato quello, allora cosa?» ringhiò «Succede solo se estendo le Percezioni.»
«...non ho mai visto niente di simile. Ma ti assicuro che sforzarsi troppo non produce effetti così... devastanti. Dovrai trovare il modo di spiegare questi danni al tuo insegna-»
«Mia.» lo corresse d’istinto, aggiungendo poi, alla sua occhiata perplessa: «Alla mia insegnante. È una donna. Ramiel.»
Lo sguardo di Michael si fece distante, come se non la stesse guardando davvero. Le sue labbra scandirono quel nome senza darvi voce, come un pensiero o un ricordo ritenuto ormai lontano, di cui non riteneva possibile il ritorno: aveva bisogno di renderlo concreto in qualche modo, per credervi.
«E comunque» mormorò Amitiel con voce acuta, incurante di sembrare polemica o infantile, pur di spezzare quel silenzio «se nessuno ti ha avvisato, o se stavo male, non è colpa mia.»
Gli occhi del caduto tornarono penetranti, severi, e quasi si pentì di averlo riscosso.
«Tu non hai migliorato la situazione.» ringhiò, spingendola di nuovo contro il tronco – non violentemente, ma abbastanza forte da farla sussultare per il dolore alla schiena.
«Io non ho fatto niente.»
«Tu hai fatto domande a Eisheth.» sibilò ad un soffio dal suo volto, con voce vibrante, furiosa «Non capisci. È capace di farti impazzire, quella donna. Di farti star male. Le sue parole sono veleno.»
«Perché dovrebbe?»
«Perché è un demone, non una tenera fanciulla che si diletta in opere di carità.»
«Lo diventerà anche Anane?» chiese d’impulso, atterrita dall’idea che la sua migliore amica si trasformasse in una persona simile.
«Non sono nella mente di Anane.» le fece notare con un’occhiata ironica «Né ho il dono dell’onniscienza.»
«Ma quindi quello che ha detto Eisheth potrebbe anche non essere vero, giusto?»
«Immagino che, se sapessi cosa ti ha detto, potrei darti una risposta.» sospirò, esasperato. Poi, notando l’urgenza e la stanchezza nei suoi occhi nocciola, aggiunse in tono più pacato: «Spiegami. E siediti, prima di collassare.»
Amitiel si lasciò scivolare a terra, senza poggiare la schiena contro l’albero. Sentiva la disgustosa consistenza del sangue scivolarle tra le scapole, colando sul corpetto che le cingeva la schiena poco più sotto. Il dolore, almeno, iniziava ad attenuarsi.
Michael rimase in piedi, a guardarla dall’alto, con rare occhiate distanti che si perdevano nel nulla. Ascoltò il suo racconto in silenzio, senza interromperla nemmeno con un sospiro o una risata; se il viso lasciò trapelare qualche emozione, lei non poté vederla, troppo intenta a fissare il terreno.
«È vero.» mormorò infine il caduto, lo sguardo di nuovo distante «Tutto.»
«Quindi Anane...»
«Anane è rimasta in Paradiso nonostante fosse un rischio. Un rischio enorme. Per quanto possa essere codarda, immagino che la paura dello Sviluppo non sarebbe bastata, da sola.» soppesò per qualche istante le parole successive «Ma se vorrà cadere subito dopo lo Sviluppo o no, non posso saperlo. Non è nemmeno una cosa che dipenda totalmente da lei.»
«...no?»
«Ignoranza spaventosa.» commentò «Ma cosa v’insegnano? A intrecciare ghirlande?»
«Devo ridere?» sbuffò, infastidita.
«L’essenza dei Cherubini è neutra. Eisheth te l’ha spiegato, vero? Ecco. Un cherubino potrebbe tradire il Paradiso, ma la sua essenza non ne verrebbe influenzata troppo. Non sarebbe evidente come per un adulto, anzi, a volte è quasi impossibile da notare – come nel caso di Anane. In realtà non si tradisce, perché non si appartiene agli Angeli più di quanto si appartenga agli Sconsacrati.»
«Quindi un... un cherubino potrebbe tradire e non venire scoperto?»
La ignorò. «I Cherubini, proprio per questo, possono sopportare il contatto con gli Sconsacrati meglio degli adulti: la vostra essenza non entra istintivamente in conflitto con la nostra.»
«Potrebbero esserci dei traditori, allo Specchio? Potrebbero continuare a vivere normalmente fino al loro Sviluppo?»
«Sfortunatamente, i Cherubini non sono tenuti troppo in considerazione, vero? Siete così tanti che uno in più, uno in meno... che sarà mai?» rise, amaro «I Censori non hanno il tempo di controllarvi. Lo fanno solo una volta, prima di concedere lo Sviluppo, ma... se sei un nessuno – e Anane lo è – potresti essere infido e traditore quanto una serpe, e loro non sarebbero abbastanza attenti da accorgersene. Diverso se la tua essenza è più promettente, se sembra volersi sviluppare in arcangelo o serafino, ma-»
«Quindi potrebbero esserci dei traditori ancora non scoperti?»
«Ma» ringhiò, irritato «questo non è il caso di Anane, perciò non preoccuparti. Al massimo si preoccupano gli insegnanti dell’integrità degli allievi, ma non sono presi troppo sul serio nemmeno loro, vero? A meno che non siano particolarmente potenti. Ma questo, come sempre, non rientra nel caso di Anane.»
«E quindi-»
«Ti ho risposto, Amitiel.» le gettò un’occhiata gelida «Lieto che tu faccia domande, ma impara a recepire la risposta, o è inutile. Se hai la fortuna che qualcuno ti spieghi, almeno ascolta.»
Non trovò nulla da ribattergli. Quella ricerca di conferme era puerile, lo sapeva – e insensata. L’importante era che Anane fosse rimasta al sicuro fino ad allora.
Lei, ancora, si riteneva fedele al Paradiso – ancora s’illudeva di non aver tradito.
«...quindi?» mormorò Amitiel, quando il caduto non accennò a continuare.
«Quindi Anane non sarà in pericolo fino allo Sviluppo.»
«E poi?»
Parve infastidito. «Non sono Naamah. Non ho il dono della divinazione.»
«Ma... in generale... cosa potrebbe accadere?»
«Vi hanno spiegato almeno la Caduta, vero?»
«È la scelta dei traditori, o... una punizione per colpe troppo gravi per la semplice Espiazione, ma non abbastanza per la Scomparsa. O per il Ritorno.»
Ad una fugace occhiata, le sembrò che Michael si fosse irrigidito.
«Scelta non è il termine giusto. Non sempre siamo noi a decidere.» la corresse «È la nostra essenza, spesso – quando ha già iniziato a marcire, non può sopportare il Paradiso. Cerca di sfuggire al dolore e l’unico modo che trova è cadere.»
«Anane allora potrebbe cade-»
«Mi ascolti, quando parlo?» ringhiò «, l’ho appena detto.»
«Volevo solo... essere sicura.»
Voleva che le dicesse che no, Anane non sarebbe stata obbligata a cadere. Che avrebbe potuto rimanere con lei, lontana da quella donna crudele che si definiva sua madre, dai pericoli della dimensione umana, dall’orrore degli Inferi.
Ma Michael non sembrava disposto ad accontentarla – a mentirle.
Scese il silenzio, un silenzio di cui le loro percezioni alterate non avrebbero saputo quantificare la durata; un istante o un secolo, mentre la mente scivolava verso la calma. Così, quando il primo raggio di sole giunse a sfiorarle la mano, Amitiel non seppe se esserne stupita o se invece avrebbe dovuto aspettarselo.
«L’alba.» mormorò.
«L’alba.» convenne Michael con voce bassa, malinconica. Stanca.
Il cherubino alzò il capo verso l’alto per guardare il cielo: non era più terso e limpido come nelle giornate precedenti, ma nell’azzurro s’intravedevano le macchie biancastre di diverse nubi, tra le chiome degli alberi. Secondo ciò che aveva studiato, la temperatura avrebbe dovuto essere più fresca, poiché il sole era un po’ coperto. Non riuscì comunque a percepire alcuna variazione degna di nota.
Si alzò in piedi e mosse qualche passo, gli occhi ancora puntati verso l’alto, alla ricerca di uno stralcio di cielo più ampio degli altri.
Sentì Michael avvicinarsi e si tese, a disagio, ma lui si limitò a rimanerle alle spalle, il petto a contatto con le sue ali rosse e il capo reclinato verso il suo. Il caduto inspirò piano e mormorò, contrariato: «Non hai usato gli oli, sui capelli. Non hanno odore.»
Amitiel represse una risata, perché erano le stesse parole di Anane, ma dubitava che lui avrebbe apprezzato saperlo. Non sembravano essere in ottimi rapporti.
L’uomo si scostò appena per scioglierle la treccia e affondarle le dita tra i capelli, districando le ciocche con movimenti lenti, come a sancire una tregua dopo i ringhi irritati dell’uno e le domande insistenti dell’altra. Lo lasciò fare, suo malgrado rilassata da quel gesto che iniziava a diventare familiare.
«Ti piace la dimensione umana?» le chiese Michael dopo un po’, richiamando la sua attenzione.
«Non lo so. È un po’ stancante, ma mi piace il cielo di qui. Il sole, il tramonto, l’alba.» si morse il labbro inferiore, con un fremito per ciò che stava per dire, aperta ribellione a ciò che le avevano insegnato «Non sono sicura di amare i suoi abitanti, però.»
Il respiro gelido di Michael la fece rabbrividire, quando si chinò a sfiorarle la tempia con le labbra.
«Spiegami. Puoi dire quello che pensi, con me. Non temere.»
«Io... non lo so, quello che penso. Non capisco. So che non dovrei disprezzarli, che non è colpa loro questa debolezza verso il male, ma-»
«Amitiel.» la richiamò con un sospiro infastidito, cingendole il ventre con le braccia, in un contatto lieve e rassicurante «Parli con un caduto, immagino che tu te ne renda conto, vero? Non c’è bisogno che ti giustifichi, se non sei d’accordo con le balle che ti hanno insegnato. Non ti minaccerò dell’Espiazione per aver osato esprimere un tuo parere.»
Era troppo, per lei. Troppo orrore, al ricordo del gatto massacrato dai bambini; troppo sollievo e al contempo impacciata insicurezza, nel sentirsi dire che poteva esprimersi liberamente; troppo turbamento strano, sconosciuto, simile ad un brivido caldo che saliva dal ventre alla schiena, per quel contatto così intimo e piacevole.
Le sfuggì un singhiozzo.
«Hanno... massacrato un gatto. Dei bambini. Lo stavano uccidendo.» mormorò «Mi sono sporcata del suo sangue. Avrei voluto che fosse il loro.»
«Tu stai bene? Sei caduta, ti sei ferita? Gli squarci?»
Non seppe se sentirsi infastidita per quella mancanza di considerazione verso il suo turbamento, o se piuttosto dovesse essere lusingata dall’attenzione che le dedicava. Optò per un neutro: «Niente. Solo quando... quando ho esteso le Percezioni, sono stata male. E poi...» voltò il viso per gettargli un’occhiata che sperò fosse eloquente «tu.»
«È passata un’intera notte. La schiena dovrebbe già aver smesso di dolere.»
«Non è questo il punto.» replicò, ma lui non sembrò comunque colpito dalla sua espressione offesa.
«Già. Stavamo parlando degli Umani.» strusciò una guancia contro i suoi capelli e rafforzò la stretta attorno al suo ventre «Posso spiegarti il mio pensiero – il pensiero dei Caduti. Ma sei tu a dover scegliere in cosa credere, non io per te; posso solo sperare che, almeno, non ti lasci condizionare da ciò che t’impongono gli Angeli.»
«Sono diversi, i pensieri di Demoni e Caduti?»
«No, siamo divisi perché ci piace giocare ad ammazzarci a vicenda e indebolirci per fare un favore al Paradiso.»
«...era un modo per chiederti di spiegarli.»
«Ironia. Immagino che tu abbia già sentito questa parola, vero?»
«Se non vuoi spiegarmelo, basta dir-»
«Non volevo spiegarlo a qualcuno teso come se stesse parlando con un Censore.»
Amitiel aveva l’impressione che si divertisse a metterla in difficoltà, non che si fosse preoccupato di metterla a suo agio, ma le sfuggì comunque un mezzo sorriso sorpreso, che si affrettò a celare chinando il capo. Sarebbe stata un’espressione più evidente, forse, se le ali non avessero iniziato a provare un violento fastidio per il contatto con la pelle gelida dell’uomo. S’intensificava ad ogni istante, a stento attenuato dal tessuto – stille di gelo che colavano tra le piume, imbrattando l’essenza come il sangue aveva imbrattato la divisa. Un cherubino poteva non essere ancora legato nel profondo al Paradiso, ma il suo plasma era candido come quello degli Angeli, e il contatto con un caduto rimaneva proibito e innaturale.
«Le ali.» mormorò, soffocando un sibilo di dolore «La schiena.»
«Si sono di nuovo riaperti gli squarci?»
«No, è... sei tu.»
Lui la lasciò e si allontanò di pochi passi, per appoggiarsi ad un tronco. «Così?»
«Meglio.»
Michael annuì, riflessivo, poi si distaccò dall’albero il tempo di esporre le ali. «E così?»
Amitiel non seppe cosa rispondere. Percepiva di nuovo una sensazione di gelo, ma sottile, quasi carezzevole. Il suo corpo rabbrividiva, ma era qualcosa di più intimo, di più profondo. Non riusciva a capire se fosse fastidiosa o persino piacevole.
«Hai freddo?» le chiese, venendole in aiuto.
«Un po’. Ma è... strano.»
«Bene.»
«Bene?»
Le sembrò che avesse sibilato ‘Ignoranza spaventosa’ tra i denti, prima di fissarla e spiegare, accademico: «Ho disteso l’essenza. Sfiora la tua.»
«Ed è un bene?»
Le era stato insegnato a tenere la propria essenza sotto controllo, isolata dalle altre; non si muovevano certo sul piano fisico, un eventuale contatto sarebbe stato puramente spirituale, ma proprio per questo considerato troppo intimo. Persino i Cherubini della prima classe erano in grado di controllarsi abbastanza da non sfiorare troppo spesso le essenze altrui.
«È un bene che ti abitui ai Caduti. Più rimani a contatto con la nostra essenza, prima accadrà.» chiuse gli occhi e rivolse il viso verso l’alto «E prima accadrà, prima perderai questa irritante sensibilità verso il nostro corpo.»
Non trovando una risposta, si limitò a guardarlo in silenzio, non ricambiata. Non sentirsi addosso due lame grigie e gelide era più rilassante di quanto pensasse; si accorse di non aver mai osato fissarlo con attenzione, per timore di incontrarne lo sguardo. Le avevano insegnato a prestare attenzione all’aspetto fisico solo per raccogliere informazioni, così che aveva imparato ad associare un corpo fin troppo magro, come quello di Anane, ad un’essenza fievole; uno imponente ad un’essenza quasi eccessiva; una donna florida ad un’essenza dalla natura pacifica e materna; e così via. Il colore della pelle o i lineamenti del volto non indicavano nulla e non erano, perciò, nemmeno da prendere in considerazione – osservarli sarebbe stato un inutile spreco di tempo e di concentrazione.
Ma aveva voglia di guardarlo. Senza motivo, senza utilità. Solo guardarlo.
Corte ciocche scure, le palpebre a celare gli occhi grigi, i lineamenti marcati, le braccia incrociate al petto. La pelle sfiorata dal sole, di un colore pallido, malsano, diverso dal candore degli Angeli – il suo sangue era nero, non bianco come il loro, e pensò che la differenza di incarnato fosse dovuta a questo; in ogni caso, non era qualcosa di troppo evidente o rilevante. Non lo guardava per analizzarlo, ma per fissare nella mente l’immagine di Michael quasi rilassato, sfiorato dai raggi del sole, con gli occhi chiusi che non la trafiggevano. Voleva ricordarlo, perché lui era importante – la faceva sentire importante e, per questo, diveniva a sua volta speciale. Un sentimento egoista, ma Amitiel non se ne rendeva conto, né sarebbe stata in grado di dargli altro, e a Michael sembrava bastare.
Rimase a fissarlo a lungo, smarrendo la percezione del tempo, come le capitava spesso nella dimensione umana. I pochi pensieri che aveva si perdevano oziosamente nel punto in cui il collo pallido dell’uomo scompariva sotto gli abiti scuri, o sulle labbra tese in quello che sembrava un sorriso appena accennato. Il gelo interiore diventava lentamente sempre meno acuto, sfumando in un fastidio sopportabile, mentre la sua essenza si distendeva piano a contatto con quella di Michael.
Era una questione di tranquillità, di autocontrollo: se avesse imparato a mantenerla rilassata, quasi inerme, avrebbe smesso di essere fastidioso. Un meccanismo simile a quello con cui ferivano le ali degli Arcangeli – un’essenza aggressiva che si avventava su quelle avversarie, concretizzata nelle piume taglienti. Elementi senza natura senziente non rimanevano neppure graffiati, poiché mancava la possibilità di uno scontro tra essenze: e infatti l’albero contro cui Michael era appoggiato non risentiva delle sue ali, la sua corteccia non veniva segnata dalle piume che invece avevano rischiato di ferire lei. Era affascinante osservare il sole che affondava in quel mare nero senza rischiararlo davvero, riflettendosi appena sui bordi taglienti, come se la luce sfiorasse la sua essenza ma non riuscisse a pervaderla.
Tanto evidente da non poter nemmeno essere definito un simbolo, forse. Un’allegoria priva di sottigliezza.
«Non immaginavo che le mie ali fossero così interessanti.» la gelò la sua voce.
Alzando gli occhi, stupita, incontrò quelli di Michael, di nuovo fissi su di lei. Non seppe come reagire, se dovesse sentirsi in imbarazzo per essere stata sorpresa a osservarlo, o se potesse far finta di nulla; un angelo l’avrebbe rimproverata per la scarsa discrezione, ma il caduto sembrava avere opinioni piuttosto personali su tali argomenti. Perciò rimase immobile, l’espressione forzatamente distaccata, lo sguardo fuori fuoco, la schiena dritta e le mani incrociate sul ventre con i gomiti aderenti al busto – la rigida postura che le avevano insegnato ad assumere in ogni situazione, tanto che era diventata istintiva. Le sembrava quasi di sentire la voce morbida di Sariel che le mormorava «I gomiti più stretti, Amitiel.» in tono materno.
Notando che non raccoglieva la provocazione, Michael continuò: «Dopo queste innumerevoli digressioni, ricordi di cosa stavamo parlando?»
C’era una macchia di terra e sangue secco sulla sua divisa, una striscia rossastra su una mano, un’immagine che le balenò in mente con violenza. Naturalmente ricordava.
«Il gatto.» mormorò.
«Ci sono miriadi di questioni morali e ideologiche implicate, pensare solo al gatto mi sembra un po’ riduttivo...» squadrò il suo misero tentativo di espressione impassibile e sospirò, rassegnato «...ma immagino che noi faremo esattamente in questo modo.»
«Il gatto. Cos’aveva fatto il gatto?»
«Agli Umani non serve un motivo per essere crudeli.»
«Ma... ma li tentate voi. Volete le loro anime e perciò le sporcate.» mormorò, con voce poco convinta.
«È questo che vi dicono?» rise, gelido «Immagino che non dovrei stupirmi, non vi spiegano nemmeno la differenza tra Demoni e Caduti.»
«Ma è vera, la... la Tentazione. Non puoi negarlo.»
«Non Tentazione, tentazione.» la corresse, eliminando l’accento più marcato che nella loro lingua indicava una maiuscola «Il Paradiso, nella sua umiltà, pensa bene di usare queste forme di rispetto solo per ciò che riguarda gli Angeli.»
«Va bene, tentazione. Esiste.»
«Esclusiva dei Demoni. Loro sì, tentano, ma non accade troppo spesso. Buona parte di ciò che fanno gli Umani è una loro scelta. Il vostro tanto benevolo Dio» sputò quel nome sacro come un insulto «concede il libero arbitrio a creature che si crogiolano nel loro marciume, mentre lo vieta agli Angeli, che ne sarebbero di certo più degni.»
La spaventava udire quelle frasi, pregne di odio e di rancore, contrarie a tutto ciò che le avevano insegnato. Ma la spaventava ancor di più sentire che qualcosa, dentro di lei, assentiva.
«Allora i Demoni sono malvagi, se tentano.» mormorò, cercando una conferma, perché la impauriva l’ipotesi che tutto ciò che aveva imparato non fosse che un’illusione. Aveva impressioni, sensazioni, pensieri che a volte contrastavano gli ideali del Paradiso; ma da questo a sentirsi dire chiaramente che non era vero nulla, la differenza era enorme e spaventosa. Se gli Sconsacrati non erano più malvagi, allora lo erano gli Angeli, eppure lei non si sentiva così – non voleva sentirsi così.
«Sono superbi. Egoisti. Annoiati.» Michael scosse le spalle, neutro «Vuoi chiamarli malvagi per il modo in cui scacciano la noia? Chiamali malvagi, allora. Non fanno nient’altro che procurarsi anime; non troppo dissimile dal compito degli Angeli, in fondo. Anzi, il Paradiso è ancora più marcio.»
«Perché?»
«Perché i Demoni non possono trascinare un’anima negli Inferi, se è pura. Gli Angeli, invece, le strappano alla morte per dare infinite possibilità. Infinite possibilità di ferire, uccidere, distruggere. Infinite possibilità di essere crudeli. Infinite possibilità di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, fino a quando non ci si dimostrerà degni del Paradiso.» lo sguardo s’intorbidì d’ira, fissandola con più intensità «E gli Angeli, invece? Agli Angeli è mai concessa una seconda possibilità?»
Amitiel non rispose, perché se avesse parlato avrebbe dovuto dargli ragione, ma dargli ragione significava tradire. Lei non sarebbe mai stata feccia, lei non avrebbe mai tradito, perché doveva troppo al Paradiso per essere tanto ingrata – lei non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare tutto per qualcosa che le avevano sempre descritto come mostruoso. Tradire; e poi? Mischiarsi al marciume dei Demoni? Soffrire il gelo dei Caduti?
I suoi pensieri si ritraevano, atterriti, e a lei non restava che tacere. Avrebbe avuto tempo per pensare al futuro.
«I Caduti vogliono tornare alla situazione iniziale. Le anime meritevoli in Paradiso, le corrotte negli Inferi. Niente possibilità ulteriori. Alcuni vorrebbero negare anche il perdono – anche questo senza maiuscola, come la tentazione, perché non è degno di appartenere alla grandezza degli Angeli.» latrò un’aspra risata «Un umano si pente e viene perdonato di tutti i suoi errori. Comodo, vero? Mentre per gli Angeli questo non è nemmeno contemplato. Espiazione, Caduta, Scomparsa, Ritorno – mille tipi di condanna, ma mai il perdono.»
Amitiel abbassò gli occhi sulle proprie mani pallide, strette all’altezza del ventre, tentanto di impedire loro di tremare. Stavano sgualcendo la divisa. L’avrebbero rimproverata per questo, forse. E se avesse ribattuto con sgarbo l’avrebbero punita.
Ogni azione ha delle conseguenze, le ripetevano fino alla nausea, prima del lacerante dolore dell’Espiazione.
E per gli Umani, per gli Umani no?
«Sei turbata.» osservò Michael «Dai tuoi pensieri?»
«Dicono che non devo pensare. Che spreco energia e serenità.» mormorò, fissando le proprie unghie che affondavano nei palmi e nel tessuto candido. Un istante dopo si sentì sollevare il viso da una morsa gelida, che la costrinse a sostenere lo sguardo gelido e furioso di Michael. Si era mosso ad una velocità tale che quasi non l’aveva percepito – ridicolmente lenta e fragile, lei, in confronto all’efficienza di un corpo adulto – e anche il dolore per la stretta giunse con un attimo di ritardo, come se faticasse a rendersi conto del suo tocco brusco, quasi violento.
«Stronzate.» ringhiò con voce vibrante di collera «Se tengono per sé l’onere di pensare, non è certo per magnanimità. Poveri Cherubini, evitiamo loro il turbamento dei pensieri, rendiamoli bambole inermi. E poi, una volta cresciuti? Poveri Angeli, rischierebbero di farsi strane idee, meglio soffocare sul nascere ogni tentativo di pensare. L’Espiazione esiste apposta, in fondo, vero? E le altre condanne... sì, davvero magnanimi, ad evitarvi con tanto zelo queste preoccupazioni. Meglio che obbediate senza pensare. Meglio che vi riduciate a marionette.»
«Mi fai male.» sussurrò, sentendo le unghie irregolari del caduto affondarle nella pelle tenera del collo.
«Te ne stanno facendo di più loro.» sibilò «Ti stanno rendendo inerme, vuota, incapace di pensare. E le poche volte che pensi, hai paura – ti si legge in viso. Se ti ordinassero di uccidere un amico, tu lo faresti? Se ti ordinassero di uccidere Anane?»
«Non sarei comunque abbastanza potente.» gli rispose, angosciata. sarebbe stato un tradimento nei confronti di Anane; no, un tradimento nei confronti del Paradiso. La maggior parte dei Cherubini – degli Angeli in generale – avrebbe scelto la prima opzione senza esitare.
«E se potessi farlo? Distruggeresti con le tue stesse mani ogni legame, ogni ricordo, ogni barlume di felicità della tua vita, per un ordine? O penseresti che in fondo non è giusto e ti ribelleresti?» il suo fiato gelido le sfiorò le labbra, i suoi occhi la trafissero con un’intensità dolorosa, tormentata «Gli ordini sono ordini; ma sei tu a doverli eseguire. Tu a dover uccidere, massacrare, torturare. Tu a ritrovarti il sangue di amici e compagni sulle mani. Tu che prima o poi finirai per farti ammazzare e diventare cenere. Tu che ci cammini in mezzo, a quella cenere, e cerchi di afferrare l’ultimo barlume di essenza, solo per capire a chi apparteneva – e no, preghi, non a quella persona che non riesci a trovare. Sei tu che soffri, per gli ordini che devi eseguire. Non hai il diritto di pensare, di giudicare?»
«Io...»
«Buona parte dei Caduti è stata condannata per questo motivo. Egoismo, lo chiama il Paradiso; io lo chiamo non essere vuote marionette. E Dio, in tutto questo, si gode le lodi e le preghiere senza degnarsi di agire di persona. Ha lasciato voi a sacrificare ogni cosa per il bene degli Umani, di cui avrebbe dovuto curarsi Lui
«Mi fai male.» sussurrò di nuovo. Un rivolo di sangue bianco le scese lungo il collo, dove Michael aveva stretto con più veemenza; probabilmente gli bagnò le dita, in un contatto che per il suo corpo da sconsacrato doveva essere doloroso, eppure lui non diede segno di soffrirne, né allentò la presa. La furia nei suoi occhi si placò quasi impercettibilmente, invece, quando una scia di lacrime le rigò il viso – un pianto silenzioso e discreto, non segno di dolore, quanto piuttosto della confusione e del turbamento che le scuotevano l’animo. Michael diceva il vero, glielo urlava qualcosa, dentro di lei, lo sentiva; ma faceva paura, così paura, pensare di tradire, e il ricordo dell’Espiazione era così vivido e così doloroso, e qualcos’altro le strillava di non lasciarsi corrompere da un caduto.
«Pensa al gatto, Amitiel. Quei bambini non si pentiranno mai di averlo quasi ucciso; e chissà quanti altri orrori compiranno, nella loro vita. Più di quanti noi possiamo concepire di compiere in tutta l’eternità. E avranno comunque un’altra possibilità, e infinite altre ancora, per perpetrare ancora tutto questo. Pensa a quanto altro faranno. Orrori. Sofferenze. Crudeltà. E non per tentazione dei Demoni; per loro scelta – quella proibita agli Angeli, che saprebbero di certo sfruttarla meglio. Non meriterebbero gli Inferi?» le lasciò il collo per accarezzarle i capelli e si chinò fino a sfiorarle la fronte con le labbra «Se gli Inferi non ingoiassero le loro anime, loro tornerebbero. Rifarebbero tutto, e anche di peggio. Diventano più marci ogni secolo che passa. Pensa a tutte le atrocità. E gli Angeli lo permettono, sperando che prima o poi conducano un’esistenza abbastanza pura da meritare il Paradiso. Nel frattempo... il gatto, Amitiel, è la cosa minore. Vi sono orrori molto peggiori.»
Aveva ragione. Non lo pensò in termini così espliciti, ma fu questo il senso del confuso turbinio di timore, approvazione e disgusto che le si agitò nell’animo: Michael aveva ragione.
...stava tradendo?
Prima che potesse darsi una risposta – se mai avesse trovato il coraggio di darsela –, il caduto la spinse contro un albero, strappandole un urlo per l’improvviso dolore agli squarci. Percepì la propria essenza venire circondata e compressa da quella gelida dell’altro, la avvertì distintamente dibattersi nel vano tentativo di liberarsi. Michael la stava... aggredendo?
«Taci.» le ordinò, con un tono gelido che non nascondeva l’urgenza «Arriva qualcuno.»





***
Angolo autrice
Grazie a chi ha letto e inserito la storia in una delle tre liste! State diventando sempre di più e mi fa davvero piacere (: E, come sempre, un ringraziamento speciale a chi recensisce. Critiche costruttive, consigli e commenti sono sempre ben accetti (:
Che dire, amo dal profondo questo capitolo, finalmente si inizia a ragionare u.u Un unico appunto: Naamah secondo la tradizione è uno dei demoni della prostituzione sacra e una delle compagne di Samael, ed è considerata colei che ha iniziato l'umanità alle arti della preveggenza. Il suo potere sarà forse spiegato più avanti, per ora prendetela molto alla larga come una "veggente", unica e conosciuta da tutti; questo spiega la frase di Michael "Non sono Naamah".
A domenica prossima!
   
 
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