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Autore: RobynODriscoll    07/05/2012    8 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Penserete di me che sono una donna leggera: il che, almeno in parte, corrisponde a verità. Non so cosa mi fosse passato per la testa quando avevo dato quell'appuntamento a Martino. Me lo chiesi anche la mattina successiva, quando mi guardai allo specchio: non indossavo forcine, i capelli corti mi spiovevano scarmigliati sul viso e la cicatrice dava un'aria imbronciata al mio volto. La divisa da assassino nascondeva le mie forme femminili. La lama celata al mio braccio mi rendeva pericolosa e sgraziata.

Quando fosse arrivato al cascinale, verso l'imbrunire, Martino avrebbe trovato una Bianca maschile e spigolosa, e questo di certo lo avrebbe allontanato. Magari sarebbe tornato dalla bionda dell'altra sera, la quale, di sicuro, era più aggraziata e disponibile di me.

Non sapevo se il pensiero mi consolasse, oppure mi angosciasse tremendamente.

Tutto proseguì in modo normale quel giorno, anche se con picchi di tediosa lentezza. Consumammo i pasti in sala comune, cercando di mantenere la conversazione più normale possibile con gli altri nostri compagni e scambiandoci solo raramente qualche parola.

Partecipammo al lungo addestramento, fortunatamente combattendo sempre separati. Per tutto il tempo mi sentii come se lo sguardo di Martino non mi abbandonasse nemmeno un istante: eppure, ogni volta che alzavo il viso nella sua direzione era intento a parlare con qualcun altro, a guardare in un'altra direzione, a fare qualsiasi cosa fuorché concentrarsi su di me.

E poi, l'addestramento finì.

Per un attimo l'aria mi bruciò nei polmoni. Il tempo era scorso a rilento, fino ad arrestarsi in quel momento. Martino stava ridendo con Nicola, discutevano del combattimento di quel pomeriggio e di come l'uno avrebbe potuto sopraffare l'altro se solo avesse usato una mossa diversa.

Mentre mi oltrepassavano, Martino mi rivolse uno sguardo che mi paralizzò, facendo cessare ogni attività del mio corpo. Il respiro in petto, il cuore nei polsi. Tutto ciò che ero si bloccò, come una marionetta che non sia più guidata dalla mano del burattinaio.

C'era una promessa in quello sguardo che non si poteva equivocare. Non sarebbe mancato all'appuntamento.

E io? Ci sarei andata?

Non sapevo ancora la risposta, ma nel frattempo i miei passi erano già sulla strada verso il cascinale.

Trovai una scusa qualsiasi, che a Veronica sembrò subito essere più che plausibile: volevo fare una passeggiata nei campi, per i fatti miei. Ormai, ero un'allieva addestrata, che aveva superato la sua prima missione. Il fatto che andassi sola, all'imbrunire, fuori dalle mura non inquietava più quasi nessuno, al borgo.

Camminando verso la porta principale rividi i vicoli della mia infanzia, attraverso i quali spesso e volentieri avevo sfrecciato con Vanni e Ferrante. Le botteghe, i cui proprietari erano ormai incanutiti o sostituiti al bancone dai figli. Vidi il tetto su cui mi ero arrampicata per prendere le prime piume per nonna Maria, rischiando di lasciarci la pelle per la prima volta se Ezio non fosse stato pronto a prendermi. E oltrepassando le mura non potei fare a meno di gettare uno sguardo al punto da cui Ferrante, Vanni ed io ci eravamo calati, in quella maledetta sera d'estate di due anni prima. Mi calcai il cappuccio della cappa imbottita sul viso, per non guardare l'albero sotto cui Ferrante era stato ucciso da Michelotto.

Ad ogni passo verso il cascinale, mi sentivo sospesa nel vuoto. Come un'equilibrista. E in quel momento compresi che forse il segreto per non cadere era smettere di pensare alla strada trascorsa, per concentrarsi soltanto su quello che c'era davanti a me.

Le nuvole erano dita stanche abbandonate contro l'orizzonte rosato, quando arrivai nel luogo dell'appuntamento. Lì, seduto sulla staccionata fatiscente con una gamba a penzoloni, c'era Martino.

Restai ad osservare la sua figura infagottata nella cappa. Avevo avuto modo di verificare, a Firenze, quanto le sue braccia fossero forti. In quel momento non potei evitare di osservare i muscoli definiti delle gambe sotto la calzamaglia pesante. Mordendomi il labbro, mi domandai come sarebbe stato senza vestiti.

Martino si alzò in piedi appena mi vide. Mi si avvicinò.

Come pensavo.”

Sorrisi senza nemmeno rendermene conto. “Cosa pensavi?”

Che sei più bella oggi de ieri sera.”

Risi sottovoce, accarezzandogli la guancia. “Che razza di spudorato bugiardo...”

Ah! Hai riso. T'ho fatto ride, te l'avevo promesso.” Allacciò le braccia intorno alla mia vita, attirandomi delicatamente a sé. Il sole stava calando, ma non sentivo affatto freddo. “Me merito o no 'na ricompensa?”

Avvicinai il volto al suo, per assaporare quelle labbra morbide e provocanti. “Possiamo discuterne, Semeraro Martino.”

Prima di ricominciare a baciarlo, lo guardai negli occhi, fino in fondo a quelle iridi scure, calde, quasi nere...sì, penserete subito: simili a quelle di Cesare. Ma sbagliate, non c'è nulla che li accomuni. Gli occhi di Cesare erano tenebra e perdizione, solitudine, profonda freddezza...acciaio, morte e battaglia: nient'altro. Lo scheletro spolpato di quella che un tempo era un'anima.

Quelli di Martino, invece...erano accoglienti, come i campi toscani, come un giorno d'autunno in cui c'è il sole, come un abbraccio. Potevo sprofondarvi fino a perdere me stessa, sapendo che sarei stata al sicuro.

Avevo paura di ciò che stava per accadere, e lo desideravo. Esattamente in eguale misura.

...dopo tutto, che c'era di male? Avevo quasi diciassette anni, e lui diciotto. Eravamo giovani, eravamo scampati alla morte su a Firenze, e avevamo voglia di celebrare le nostre vite. Bastava un suo sguardo per accendere in me il desiderio. Per quale motivo avrei dovuto combattere la prepotente attrazione che Martino esercitava su di me?

L'autocontrollo non è mai stata una mia prerogativa, lo ammetto. Eppure, quella sera c'era dell'altro, oltre la mia solita sconsideratezza. Un'irrinunciabile voglia di sentirmi viva, di sentirmi libera. Voglia di lasciarmi andare e di essere qualcosa di più della figlia di mio padre, e perfino qualcosa di più di un'apprendista assassina. Avevo la certezza che alle mani di Martino avrei potuto affidare non solo il mio corpo, ma anche la mia vita. Non avevo nulla da temere, accanto a lui.

Entrammo nel cascinale ridendo come due ragazzini, quali dopo tutto eravamo. Esplorammo quella rovina: un tempo doveva essere stata una casa colonica. C'erano angoli gelidi ed altri più riparati: nello spazio per il focolare, annerito e delimitato da pietre scomposte, accendemmo un fuoco per non congelarci. Giocammo a stuzzicarci, fino a che le risate non divennero sospiri, e i corpi non iniziarono a cercarsi.

Martino mi guardò in silenzio, come a chiedermi il permesso prima di slacciare la mia cintura. Risposi, senza parlare, che poteva.

Lui la sciolse, lasciandola cadere ai miei piedi. La giubba pesante scivolò subito a terra, in mezzo alla paglia. Ipnotizzata da ogni suo gesto, sciolsi la fusciacca rossa che gli chiudeva il farsetto, e ripresi a baciarlo, insinuando le mani sotto la camicia. Mi fermai soltanto per sollevare le braccia, e lasciarmi spogliare.

Tutti i rumori erano amplificati. L'aria che mi gonfiava i polmoni. Il frusciare della camiciola sulla mia pelle, il suo tonfo sordo mentre cadeva sulla paglia. Il battito impazzito del mio cuore...o era il suo a risuonare come una grancassa, tra le pareti diroccate del cascinale? Non avrei saputo distinguerli in quel momento. Erano all'unisono.

Il suo sguardo sul mio corpo, ora che indossavo soltanto calzamaglia e stivali, mi diede una vampata di fiducia in me stessa. Ero bella, lo leggevo nei suoi occhi. Lo ero a tal punto che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, in quel momento. Gli sorrisi, con il cuore trionfante. Lui mi attirò a sé, facendo correre una scia di baci sul mio collo.

Mi sciolsi sotto quei baci, mi abbandonai al suo tocco e lasciai emergere lentamente una Bianca che avevo cercato di uccidere. Una Bianca che ora non mi sembrava più così sporca, come quella che era entrata nel letto del suo nemico. Una Bianca che sapeva ciò che desiderava, e quella sera non desiderava trovarsi in nessun altro luogo al mondo se non lì, tra le braccia di Martino.

 

Eravamo immaturi, all'epoca: avevamo soltanto assecondato i nostri sensi quella sera. Eppure, quel momento rubato mi aveva fatto sentire bene come da tempo non mi sentivo più. Divisa tra la paura di aver sbagliato e la certezza di aver fatto la cosa giusta, posai la testa sul suo petto. Pelle contro pelle. Mi accarezzò pigramente la schiena, mentre ci riparavamo sotto la sua cappa.

Biancare’.”

Che c’è?”

Io so' stato bene.”

Anche io.”

Quanno voi, io nun me tiro indietro.”

Gli sorrisi, poi sospirai e chiusi gli occhi.

E’ un gioco pericoloso. A lungo andare ci scoprirebbero.”

Hai ragione. Se vedemo qua domani sera?”

Tutta quella sfacciataggine mi strappò una risata. Sollevai il capo, osservando il suo volto alla luce più fioca del focolare, che iniziava a spegnersi. Poi mi chinai sulle sue labbra per dargli un bacio.

Tu vieni pure. Bisogna vedere se io ci sarò.”

 

***

 

La mattina successiva, quando mi svegliai nella mia stanza, il ricordo di ciò che era accaduto con Martino aveva assunto i contorni sfumati di un sogno. Mi sentivo bene. Non ero pentita. E, come constatai quando mi soffermai per guardarmi allo specchio...ero diversa dal solito. Meno pallida. Meno arrabbiata. Con una luce negli occhi che mi spinse a sorridere alla mia immagine riflessa. Quella Bianca mi piaceva.

Tuttavia, sapevo che non sarebbe potuta durare. Non volevo che mio padre lo scoprisse, e a Monteriggioni eravamo perennemente sotto il suo controllo. Non ci saremmo potuti nascondere per molto. Dovevo evitare che accadesse di nuovo, o quanto meno rimandare il prossimo incontro il più a lungo possibile, perché nessuno lo venisse a sapere.

Se me l'aveste chiesto a quel tempo, vi avrei risposto che non provavo nulla di speciale per Martino. Da quel giorno in poi avevamo iniziato a scherzare come vecchi amici affiatati, e la sua missione di strapparmi una risata stava iniziando a mietere sempre più frequenti successi. In sua compagnia non avevo paura di quello che mi aspettava, non pensavo al passato, e anche gli addestramenti sembravano più leggeri. Lui non disse più nulla sul fatto di vederci al cascinale, non mi fece nessun tipo di pressione, non mi forzò. Ero io a cercarlo, con lo sguardo, sempre. A volte mi affiancavo a lui in silenzio, consapevole della sua vicinanza, senza osare varcare di nuovo la soglia che avevamo oltrepassato giorni prima. Come promesso, mi feci dettare una lettera per i suoi famigliari, e iniziai ad insegnargli a leggere sui miei vecchi sillabari. Ci stavamo unendo sempre di più, e lentamente smisi di sentire il bisogno di alzare le difese accanto a lui.

La prima a sospettare di quella nostra improvvisa vicinanza – o forse, meglio, la prima a parlarmene – fu Veronica.

Tirò fuori l'argomento in un giorno di neve pesante, quando era troppo freddo perfino per addestrarci. Eravamo nella nostra stanza, sole: Margherita si trovava nelle stanze di mia nonna per ricamare insieme a lei. Veronica ed io eravamo molto diverse tra di noi, ma la nostra avversione per quel genere di lavori ci accomunava.

La mia compagna stava lavorando allo scrittoio, con una pila di libri sommariamente accatastati al fianco e un foglio davanti, su cui prendeva appunti. Molti dei tomi provenivano dalla biblioteca di mio padre, ed altri le erano stati inviati da Teodora al ritorno da Firenze. Li scartabellava per aiutare mio padre e gli altri a capire se i versi dell'Alighieri che avevamo trovato a Firenze nascondessero qualche significato particolare, mentre il preziosissimo carteggio era stato inviato nelle mani di messer Machiavelli, perché lo visionasse e traducesse eventuali codici criptati. Io, invece, ero persa nei miei pensieri, sdraiata sul letto con gli occhi al soffitto, indugiando nei ricordi della sera al cascinale e chiedendomi cosa dovevo fare con Semeraro Martino e quella nuova svolta del nostro rapporto.

Del tutto inaspettatamente, Veronica mi gettò un libro, che produsse un tonfo sul cuscino proprio accanto alla mia guancia.

“Capra. Vedi di leggere qualcosa ogni tanto, o la tua ignoranza un giorno ti ucciderà.”

Mi sollevai sui gomiti. “Ehi! Potevi farmi male.”

“Povera piccola cara. Se i tuoi riflessi sono lenti non è colpa mia.”

Sfogliai distrattamente il libro che mi aveva tirato, rigettandomi con la testa sul cuscino. Lei continuò a spulciare i tomi che Teodora le aveva spedito. Versi di Dante, Dante, Dante: quel nome mi stava dando alla nausea ormai, per quanto spesso l'avevo sentito dal primo giorno della nostra missione a Firenze.

“Lo sapevo!” esclamò la mia consorella, dopo qualche minuto in cui l'unico rumore tra di noi era stato un frusciare di pagine. “Paradiso, canto quindicesimo. Poscia rivolsi alla mia donna il viso,/e quinci e quindi stupefatto fui;/ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso/tal, ch’io pensa co’ miei toccar lo fondo/de la mia gloria e del mio paradiso1.” Alzò di nuovo il capo verso di me. “Non sono i versi che hai letto nella Tomba di Beatrice?”

Nemmeno la sentii: mi limitai a bofonchiare un assenso, con la mente lontana. Erano trascorsi dieci giorni dal mio primo incontro con Martino. Avrei dovuto chiedergli di rivederci al cascinale? Dirgli che era stato solo un episodio occasionale, e che tutto sarebbe finito così? Avrei dovuto continuare a fingere che nulla fosse successo, come ora, per non rovinare la nostra amicizia?

Ho detto: non sono i versi incisi sotto la statua della Portinari?”

Uhm-uhm.” Fruscio di pagine. Quelle del mio libro.

Bianca...mi senti?”

Ancora fruscio. “Sì, credo che tu abbia ragione.”

Sei un cinghiale selvatico?”

Probabile.”

E nel tuo tempo libero ti rotoli nel fango, immagino.”

Mi sembra una buona idea.”

Tump. Il libro di Veronica si chiuse. La sentii alzarsi in piedi.

Bene, è evidente che sei intenta a pensare a qualcun altro e non hai tempo di starmi a sentire.”

Pensare a chi?”

Lei inarcò un sopracciglio, con aria divertita. “Be', perdonami se sono un po' brusca, ma se è un segreto non lo state nascondendo molto bene. Tu e Martino state sempre a tubare come due piccioncini...se non è successo ancora niente, è ovvio che succederà presto.”

Prima di cedere le armi, tentai uno sguardo indignato. Ma non mi riuscì bene. Mi poggiai il libro in faccia, inspirando l'odore di polvere e carta inumidita che emanava. “C'è già stato qualcosa. Una breve parentesi...” cercai di restare sul vago mentre la voce usciva da sotto il libro. “Niente di importante.”

Sei sicura? A me sembra che ti brillino gli occhi quando lo guardi.”

Non dire sciocchezze.” Tolsi il libro da sopra il mio viso, buttandolo sulle coperte. “A me piace un altro.”

Senza bisogno di guardarla, mi accorsi che si era irrigidita. La sua voce era metallica, quando disse: “Ah. E chi sarebbe il fortunato?”

Lì per lì, non capii il motivo di quell'improvvisa ostilità. “Nicola” dissi, ancorandomi a quella mia vecchia convinzione. Ormai non funzionava più come bugia per me stessa, ma magari avrebbe depistato Veronica. “Obiettivamente, è il più bello tra i ragazzi. E' il più abile nella tattica militare, e ha un carattere equilibrato. I suoi modi sono perfetti...è così saggio, e sa sempre cosa dire.”

Non ero suonata molto convincente, ma Veronica sembrò rilassarsi. Mi aveva creduta?

“Vuoi la mia opinione?”

“Ho scelta?”

La mia consorella si alzò e iniziò a riporre i libri sullo scaffale, in ordine di altezza della brossura.

Quello che mi hai descritto non è amore, è ammirazione. Nicola è quello che vorresti diventare, dalle parole che hai usato somiglia a un idolo più che a un uomo. Lo ammiri da lontano e vorresti avere le sue qualità migliori...sarà un ottimo comandante per te, ma di certo non un compagno di vita.”

Nemmeno Martino mi sembra un compagno di vita” obiettai, sospirando. “Lui è così...e io sono...” scossi il capo. “Non funzionerebbe mai tra noi due.”

Non puoi saperlo. Nella vita non puoi sapere niente in anticipo.” Seguì un silenzio. Volsi il viso verso di lei: continuava a sistemare i libri senza guardarmi “Forse…” aggiunse, con voce incerta “chissà, un giorno scoprirai che sei sempre stata innamorata di Agamennone.”

La sola idea mi fece scoppiare a ridere forte.

Lei si accigliò.

“Che ho detto? Agamennone è un bel ragazzo. E’ un po’ strano, d’accordo…ma è sincero. Lo vedi dal suo sguardo. Uno così non è capace di mentire nemmeno per sbaglio.”

“Per quel che mi riguarda, equivarrebbe a dire che potrei innamorarmi di Vanni. Siamo troppo legati. E poi, ci somigliamo troppo, io e lui.”

Mi soffermai un attimo, e mi volsi a guardarla. Cercava palesemente di non tradire il nervosismo, con gesti lenti, ma un po' troppo rigidi.

“E’ da questi rapporti che spesso nasce l’amore. Perché sono più profondi.”

“Veronica…”

“Che c'è? Sto solo dicendo che sareste una splendida coppia. Così...alti, e snelli...sareste proprio...carini insieme, tutto qui.”

Rimasi quasi pietrificata per qualche istante, mentre lei riordinava meticolosamente i libri per non mostrarmi il tremito delle mani. Ma certo, come avevo potuto non accorgermene prima? Nonostante lo stupore, mi si disegnò un sorriso sulle labbra.

“Tu…sei innamorata di Agamennone?”

Lei spalancò gli occhi scuri. Sbatté le palpebre, una volta, due volte. Tentò di ridere, con troppa angoscia perché le credessi.

“Io? Ma che dici. Era così, per dire. Agamennone ed io, che cosa ridicola…per lui non andrebbe mai bene una come me.” Poi la spavalderia scivolò via dal suo tono di voce, e la vidi improvvisamente fragile. “Io…sono sporca, Bianca. E lui è così puro. A volte mi fa paura per quanto è ingenuo, sembra che niente possa scalfirlo. Riuscirei soltanto a rovinarlo…come ho sempre fatto con tutte le cose belle.”

Ricordai per un momento le parole di Teodora, quando mi diceva che l’amore prende corpo sui volti della gente. In quel momento era lì, così abbagliante sul viso di Veronica che me ne sentii toccata.

Mi sollevai a sedere sul letto, con le gambe incrociate. “Dovresti dirglielo.”

“No. Nemmeno da morta. No. Va tutto bene così com’è. Per la prima volta, nella mia vita, le cose vanno bene come sono. Ti prego, fa’ finta che non abbiamo parlato, va bene? Fa’ finta di niente.”

La fissai a lungo, indecisa se insistere o meno. Sapevo quanto si sentisse fragile Veronica nel campo delle emozioni: un'eccessiva invasione avrebbe potuto ottenere l'effetto contrario. Tuttavia, non riuscii a trattenermi dal dire: “Non dovresti lasciare che le tue paure ti dominino.”

Lei ci mise diversi secondi, prima di alzare uno sguardo duro su di me. “Da che pulpito, Biancarella.”

Non trovai nulla da controbattere: aveva più che ragione. Lei proseguì con il suo studio, ed io con le mie riflessioni. Non ci scambiammo più una parola per tutto il resto del pomeriggio, ma Veronica, con la sua bruschezza, mi era stata più utile di quanto un'amica dal modo di fare più amorevole e confortante avrebbe mai potuto.

 

Quel dialogo mi era servito a fare chiarezza almeno su un punto: se avessi continuato a fingere che la faccenda non esistesse, non sarebbe comunque sparita. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Almeno un piccolo movimento, per mettere in moto l'ingranaggio. Per questo smisi di nascondermi dietro a mille scuse, e quella notte – l'undicesima, dopo che ci eravamo visti l'ultima volta – tornai al cascinale, sicura di non trovarlo.

Invece Martino era lì, nella nostra stanza segreta. Me ne accorsi dal bagliore che proveniva dall'interno dell'abitato diroccato: seguii la luce, per entrare tra le quattro mura dove l'ultima volta avevamo fatto l'amore.

Martino se ne stava sdraiato sopra una spessa coperta di lana, accanto al focolare semi-spento, riattizzando pigramente le braci. Aveva l'aria di chi aspetta da parecchio tempo.

“Che ci fai qui?”

Sollevò lo sguardo su di me. I suoi occhi mi dissero che era sorpreso della mia presenza: tuttavia, come suo costume, rispose spavaldo:

“T'aspettavo.”

“Mi hai aspettato...per tutti questi giorni?”

Depose il bastone con cui stava ravvivando il fuoco, e si strinse nelle spalle. “Chi 'o sa, magari cambiavi idea.”

La sua espressione mi strappò un sorriso, che non coinvolgeva soltanto le labbra. Sentivo un inspiegabile pizzicore al cuore.

Semeraro Martino, tu sei tutto matto.”

Andai a sedermi accanto a lui, e lo vidi sorridere. “Però alla fine sei tornata.”

Questa volta è davvero l’ultima.”

Biancare’, sta' 'n po’ zitta adesso.”

Il bacio che seguì mise a tacere ogni mia paura. Da che pulpito, mi aveva detto Veronica quando l'avevo rimproverata di lasciarsi soggiogare da ciò che le era successo in passato. E aveva ragione. Io non avevo fatto lo stesso, in quei giorni? Avevo avuto paura di lasciarmi andare. Ogni mio tentativo in quel senso era stato fallimentare, e avevo paura di essere ferita, di ferire, di commettere sbagli di cui poi non avrei potuto sopportare le conseguenze.

Era tempo di lasciare andare quegli stupidi timori e non farsi domande, come durante un salto della fede.

Quella sera, Martino ed io ci addormentammo nel cascinale. Mi assopii per prima, contro la sua spalla, stringendomi addosso la sua cappa bianca che ci copriva entrambi. Il suo braccio era intorno alla mia vita. Sentii a malapena le sue parole sussurrate.

Hai freddo?”

Mormorai un no appena accennato, mentre il battito del cuore di lui, tornato calmo sotto la mia mano, mi guidava verso il sonno.

Non so quanto tempo sia trascorso, prima che sentissi il suo bacio sulla fronte. Ma ricordo di aver pensato distintamente, prima di confondermi nel mondo dei sogni:

Sono a casa.

 

Da bravi incoscienti, ci svegliammo che era già l'alba. Ci tirammo su di colpo, increduli di non esserci accorti che stava per sorgere il sole: iniziammo a rivestirci in fretta, io preoccupata di dover spiegare la mia assenza a Veronica e forse perfino ai miei genitori, e Martino che cercava di stemperare la mia tensione con battute in cui, dopo tutto, non credeva nemmeno lui.

Dai, Bià. Se ce dice male tu' padre me scuoia vivo e tutti i problemi so' risolti!”

Strinsi sbrigativamente il nodo della mia fusciacca rossa. “Grazie, Martino. Questo sì che mi è di conforto.”

Eh, che sarà mai. Se te vedono, dì che sei uscita per allenatte ar mattino presto.”

Mi voltai verso di lui, che si stava infilando gli stivali con dei frettolosi balzelli. Misi le mani sui fianchi. “Sembra una scusa che sei abituato ad usare.”

Lui sogghignò. “Forse.”

Mi imbronciai, senza poter fare nulla per impedirlo. Odiavo reagire a quel modo: dopo tutto, si trattava di un gioco leggero, giusto? Quindi non avevo alcun diritto di lamentarmi se Martino aveva giocato qualche partita con altre ragazze.

Lui sembrò divertito. Mi abbracciò alle spalle, dandomi prima un bacio su una guancia, e poi sull'altra. “Mo' ne devo trovà una nuova però! Quella mijore te l'ho appena regalata!”

Fa' uno sforzo di immaginazione, sono sicura che non ti ci vorrà molto.”

Mi divincolai dal suo abbraccio, ma il mio fastidio era – quasi – solo una finta. Feci per allontanarmi, calcandomi addosso la cappa foderata; quindi, dopo qualche passo tornai indietro per prendergli il volto con una mano e stampargli un bacio sulle labbra. Lo guardai negli occhi. “Se qualcuno al borgo lo viene a sapere sei un uomo morto.”

Martino ammiccò. “So' 'na tomba.” Quindi, dopo avermi strappato un altro bacio, aggiunse: “T'aspetto stasera?”

Meglio se non ci vediamo per qualche giorno, inizierebbero a sospettare.”

Va bene, famo domani.”

Gli diedi un colpetto scherzoso sul petto, come a dirgli che non se lo sognasse neanche. In realtà, sapevo che sarebbe stato lì l'indomani sera. E che ci sarei stata anche io.

 

Sgattaiolare fino alla villa sarebbe stato semplice, tutto sommato: bastava arrampicarsi fino alla mia finestra. Certo, non avevo considerato che, in pieno inverno, di certo Veronica l'avrebbe tenuta chiusa. Non avevo con me nessun tipo di arma o utensile adatto a scassinarla: questa operazione, in ogni caso, avrebbe causato un sacco di rumore, e farmi individuare era l'ultima cosa che desideravo. Quindi, mi risolsi a salire dalla balconata, e scivolare nei corridoi con il mio passo più silenzioso, come nemmeno in Santa Croce, circondata dalle guardie scelte di Elena, avevo fatto. Ero quasi arrivata alla mia meta: schiusi piano la porta della stanza che dividevo con Veronica. Fortunatamente, la mia amica era piuttosto pigra: la sua sagoma era ancora raggomitolata tra le coperte, i capelli rossi sfuggiti alla treccia se ne stavano sparsi sul cuscino. Misi un piede nella stanza, mi sentivo già al sicuro.

E poi, ci fu un distinto rumore di passi.

Mi bloccai sulla soglia della stanza, gelata. Mi voltai, con il terrore di incontrare lo sguardo duro di Ezio. Invece, incrociai quello allarmato di Rosa.

Ora, obiettivamente: sia io che Vanni abbiamo sempre saputo che non saremmo mai stati in guai seri con nostra madre. Questo, perché lei ha sempre avuto un carattere fumantino, che la portava alle grandi sceneggiate e alle urla. E tutti, perfino i bambini, capiscono immediatamente che nessuna vera minaccia può arrivare da una persona che grida. Le punizioni più terribili sono somministrate con uno sguardo freddo e un silenzio.

Per questo, non inquietai più di tanto quando la vidi incrociare le braccia con aria severa.

Dove sei stata?”

Di rimando, sussurrai, in parte per non svegliare Veronica e in parte sperando che mia madre capisse che non era il caso di urlare. “Ho pensato di allenarmi un po' prima dell'alba.”

Lei gettò un'occhiata sospettosa oltre la porta schiusa. “Il tuo letto è fatto.”

L'ho rifatto prima di uscire.” Accennai ad un sorriso nervoso. “Posso andare a cambiarmi, adesso?”

Feci per entrare, quando mia madre mi trattenne per il polso. Mi costrinse a voltarmi verso di lei.

Non avevo mai visto uno sguardo simile nei suoi occhi grigi.

Bianca, dimmi che non mi stai nascondendo niente.”

Mi sentii umiliata da quella domanda, perché sapevo che aveva tutte le ragioni di pormela. L'ultima volta che le avevo tenuto un segreto, aveva riguardato la fuga con Ferrante. E ciò che ne era conseguito, lo sapete fin troppo bene.

Mi morsi un labbro. “Nessun segreto, mamma.” Era una bugia. Alzai gli occhi nei suoi. “Te lo giuro, puoi credermi.” Ma una bugia innocente...da Martino non poteva venirmi lo stesso pericolo che era giunto da Ferrante.

Giusto?

Odiavo sentirmi così. Fino a poche ore prima mi sembrava che il macigno che portavo sul petto si fosse dissolto, ed ora eccolo qui, di nuovo a schiantarmisi sul cuore insieme alla diffidenza di mia madre.

Il perdono non esiste. Chi sbaglia, verrà sempre sospettato di ricadere nello stesso errore. I passi falsi marchiano per sempre, non importa quanto lotti per costruirti addosso un'altra reputazione, sarai sempre quella che un tempo ha fatto questo o quest'altro. Chi vi dice il contrario, vi sta mentendo.

Rosa non fu convinta della mia bugia: se una madre finge di crederti, è perché vuole farlo, non perché tu l'abbia ingannata. “Va bene. Allora...” mi sfiorò il viso gelato “quando vai ad allentarti così presto, copriti di più.” Si distaccò da me, e fece per allontanarsi.

Ricorderete che spesso ho provato l'impulso di stringere a me una persona triste, o fragile, e non l'ho assecondato. Fa parte di una forma di stupido pudore dei sentimenti che mi porto dentro da sempre, e che frequentemente dà l'idea che io sia una persona fredda, o poco affettuosa.

Non è così, invece. E in certi momenti non puoi aspettarti che gli altri lo capiscano, o stiano a scavare nella tua anima per interpretare il tuo atteggiamento. In certi momenti davvero importanti, devi forzare il tuo carattere e dare quell'abbraccio, dire quella parola, fare quel gesto che getterà un ponte tra te e loro.

Per questo raggiunsi Rosa, e la fermai, voltandola verso di me.

Ti prego, credimi. Mamma, sto bene. Forse non sono mai stata così bene come adesso” dissi tutto d'un fiato. “Va tutto bene, davvero.”

Lei accennò ad un sorriso.

Ti credo, Bianca. E adesso su, vai a recuperare un po' di sonno perduto.”

Non ho idea se capì qualcosa, in quel momento, intuendo cosa – o meglio, chi - fosse la causa del mio benessere. Se è così, comprendo perché da quel giorno in poi non ha più fatto parola dell'episodio. Al contrario di zia Claudia, mia madre rivedeva in Martino la giovane se stessa irascibile e sboccata che correva sui tetti e tra le calli di Venezia: tra tutti i Fratelli di Lama, era uno quelli che stimava di più. Martino non era Ferrante, e questo era sotto gli occhi di tutti. Ma nemmeno Bianca era più la ragazzina manipolabile di una volta. Anche se mia madre era terrorizzata che potessi ricadere nei miei vecchi errori, io ero certa che qualcosa del genere non mi sarebbe potuto accadere mai più.

 

***

 

Arrivò un marzo ancora brullo, a cui seguì una primavera fresca che si trasformò rapidamente in estate. Durante quei mesi, le missioni furono frequenti, brevi e poco sanguinarie: viaggi a Firenze per parlare con Diamante e Camilla, incursioni nei dintorni di Siena, rari spostamenti fino al confine del Po per incontrare informatori e svolgere ricerche più approfondite sulla zingara Zenobia. Quelle spedizioni non ci diedero niente di concreto: la donna, che aveva ricevuto dalla Mela un potere sovrumano, sembrava sparita nell'ombra. Forse, dopo tutto, era morta. Forse eravamo sulle tracce di un fantasma.

In compenso, Leonardo e Machiavelli avevano ricavato qualcosa di molto preciso dalle lettere che Dante e Gemma Donati si erano scambiati. Pareva infatti che le iniziali di ogni terza, sesta nona parola (e così via con gli altri multipli di tre) contenuta in una riga ogni tre formasse un messaggio più breve della lettera in sé, ma molto più importante per noi. Ecco un esempio di ciò che le lettere contenevano:

 

Ho dato inizio ad un libello novo: credo fermamente che lo riterreste degno di un auditorio grande, tale da far tremare i polsi, oppure della corte eccelsa di un aristocratico signore.”

 

E poco più sotto, dopo due righe che non contenevano alcun messaggio cifrato sensato, spuntavano fuori d'improvviso queste frasi:

Dolce Gemma, lasciate che vi solleciti a non ignorare con tanta caparbia ostinazione l'utilità della poesia. Ritengo che dovreste ovviare alla lacuna.”

 

L'iniziale di ogni terza parola formava chiaramente la frase: “Il frutto è al sicuro.” Una coincidenza? Forse. Ma nella risposta della moglie, sotto un'apparente freddezza e pragmatismo, era nascosta una domanda preoccupata.

 

Amato marito, il consiglio vostro lo conserverò come segale in tempo estivo. Devo tuttavia ricordarvi che la poesia difficilmente può emendare la fame nella necessità.”

 

E ancora:


“Non voglio turbarvi, ma Antonia e Pietro mi fanno domande a cui non rispondo, pur sapendo, amor mio, che aspettano solo conforto.”

 

Non fareste voi così, evitando gli oneri di una risposta menzognera, in attesa di poter dire loro che l' esilio è finito?”

 

Non voglio lasciare alle loro mani bambine lavori aspri: pensate che la fantesca li eseguirà per loro?

 

Traducendo di nuovo a quel modo, si otteneva la domanda: “Il serpente farà ancora del male?”

La risposta di Dante a quella lettera era la più sibillina immaginabile.


“Moglie mia, dovete confidare nell'Altissimo Nostro Signore. La condanna mia Lo muove certo a Carità, come ogni torto subito lungamente da innocenti.”

 

e non lo so io, esule, che amarezza lascia addosso l'odiosa pratica della prece? Eppure, non potrei sottrarmici, nemmeno restando presso Cangrande.”


“buone nuove: otterrò un incarico tra poco. L'eccelso e valente Guido da Polenta giura che avrò incarichi esimi a Ravenna”

 

Questo messaggio era il più oscuro di tutti. “Dalla olle lo protegge.”

Dalla olle? Che cosa significa?” bofonchiò zio Ugo, osservando quasi con astio le lettere che Leonardo e Machiavelli ci avevano rimandato.

Ancora una volta eravamo riuniti intorno a un tavolo, noi discepoli insieme agli Alti Ranghi, nel laboratorio di mio padre. Leonardo non era presente, e nemmeno messer Niccolò: tuttavia, il loro corriere era stato nientepopodimeno che Galeazzo Marescotti, il padre di Agamennone. Anche lui leggeva con noi quelle lettere per la prima volta, e non sembrava avere idea di cosa significasse quella stramba parola, olle.

Fu Agamennone, a riscuotersi per primo dal torpore. Quando aprì bocca, lo fece come se stesse declamando le parole di una poesia.

Ma certo! E' un cognome. Dalla Olle...” come se si rendesse conto di dover mettere a parte tutti noi della sua intuizione, spiegò: “Sono un'antica famiglia bolognese. Sembra che la dinastia dei Bentivoglio abbia avuto origine da loro.”

Suo padre lo guardò a lungo, con stupore. Come tutti noi. Gettai un'occhiata in tralice a Veronica: il suo sguardo tradiva un'ammirazione a malapena celata sotto la sua solita aria di distacco.

Come diavolo fai a saperlo?” sbottò sorpresa mia madre. Agamennone arrossì.

E' che...ho studiato un po' la storia di Bologna, in questi anni.” Incassò la testa nelle spalle, e io pensai che, nonostante non lo si sentisse mai lamentarsi, Agamennone doveva soffrire acutamente l'esilio forzato dalla sua città di origine.

E bravo er nostro topo da biblioteca” gli bisbigliò Martino, dandogli una pacca sulla spalla. Mio padre annuì, con aria di grande approvazione. Galeazzo accolse quella novità con una scrollata di spalle, come se fosse abituato alle bizzarrie del figlio e non vi desse più molto peso.

Dunque, il Frutto dovrebbe essere nelle mani dei Bentivoglio?” mormorò zia Claudia, pensierosa. “Se non l'hanno trovato fino ad ora, è certo che non lo sanno. Ma perché Dante avrebbe affidato il Frutto ad un templare?”

Forse non è così semplice” rifletté Ugo. “Può essere che un tempo i Dalla Olle fossero Assassini...e poi, per qualche motivo, un loro discendente sia passato dall'altra parte dello schieramento. Se così fosse, la custodia del frutto dell'Eden deve essere passata per forza ad altri.”

E noi saremmo punto e accapo” commentò cupamente mio padre.

Perdonate la mia arroganza, Mentore” intervenne Veronica, rivolta a mio padre, con un tono poco timido che smentiva l'apparente umiltà delle sue parole “ma siamo certi che stiamo parlando del Frutto dell'Eden? Gemma si riferisce a un serpente. Nessuno conosce la vera natura del terzo frutto...potrebbero non essere la stessa cosa.”

Avrebbe più senso che fossero la stessa cosa, invece” ribatté Nicola, che per la prima volta prendeva la parola, riemergendo da uno strano torpore che non pareva da lui. “Allo stato attuale conosciamo solo due frutti dell'Eden: la Mela, e il Pastorale del Papa.” Non guardava nessuno di noi, tenendo gli occhi chiari bassi a terra. “Tuttavia, il Pastorale per come ce l'ha descritto il Mentore...non ha forse la forma di un albero?”

Solo a quel punto, Nicola sollevò lo sguardo.

Il mito di Eva?” mormorai. Come amava ricordarmi Veronica, non ero esattamente una ragazza acculturata: tuttavia, ricordavo almeno quella leggenda alla base della religione.

Forse leggendo i miei stessi pensieri, Ezio sussurrò: “L'Albero della Conoscenza, la Mela dell'Eden...e il serpente tentatore. Potrebbe essere.”

Rosa rivolse a mio padre un'occhiata preoccupata. “Dovremo organizzare una spedizione a Bologna, non si può più rimandare.”

I Bentivoglio cadranno entro la fine dell'autunno” ribatté Galeazzo.

E Giulio II entrerà in città” disse subito mia madre. “Se avrà il Pastorale e il Serpente non potremo più fermarlo.”

Dimenticate un dettaglio fondamentale, Madonna Auditore. Io e il Bibbiena2 stiamo lavorando da più di un anno per avere la fiducia delle truppe papali. Pensano che siamo loro alleati...potremo entrare in città con loro e avere occasione di rubare loro la mela sotto i naso.”

E dove cerchereste?”

Il padre di Agamennone, che al contrario del figlio era un uomo spiccio e diretto, replicò: “Dove Dante ci ha detto. Nella casa dei Della Olle...che oggi è il palazzo dei Bentivoglio. Appena potremo passare in città, lo distruggeremo fino alle fondamenta, se sarà necessario. La faremo passare per una ritorsione della mia famiglia e di quella dei Malvezzi. Nessuno sospetterà nulla.”

Mio padre rifletté brevemente, con il volto poggiato sulle mani giunte.

“Sì, fate così. Potreste avere fortuna.”

Non suonava convinto. Forse stava pensando di unirci a loro, dopo la caduta della città. In cuor mio, lo speravo ardentemente. Quei mesi di calma a casa iniziavano a starmi stretti: smaniavo per agire ancora.

Pensai che la situazione per Lucrezia si fosse fatta davvero critica. Giulio II le aveva strappato l'ultima città di una qualche importanza politica, ed ora non le restava che restarsene docile nel suo ducato di Ferrara, circondata dai Gonzaga che erano alleati degli Assassini, dagli Este che erano imparentati con i Gonzaga e dal dominio papale. Noi nascondevamo (o tenevamo in ostaggio, a seconda della prospettiva da cui la cosa poteva essere vista) la sua preziosa Margherita, che prima dell'inverno avrebbe raggiunto il vero padre a Pesaro. La Borgia era schiacciata, pensai, senza più prospettive. Come era sempre stata sotto il dominio di Cesare e di suo padre Rodrigo. Non importava quanto scalpitasse per emergere, il suo folle sogno di guidare un giorno i Templari era destinato a crollare come cenere.

Il pensiero mi faceva sentire al sicuro.

 

Galeazzo ripartì pochi giorni dopo, in maniera sbrigativa. L'assedio di Bologna era al suo culmine, e voleva essere presente quando le mura fossero cadute, per far sì che nessuno dei Bentivoglio riuscisse a fuggire alla sua vendetta, soprattutto il crudele Ermes.

Prima di andarsene, però, mi prese in disparte per allungarmi una missiva.

“Mi è arrivata tramite una staffetta. Il corriere che me l'ha portata non sapeva da chi provenisse, ma era stato pagato bene per portarla a Monteriggioni...ho faticato parecchio a farmela cedere, non voleva credere che te l'avrei consegnata di persona.”

Osservai la busta con su scritto il mio nome, solo lievemente incuriosita. Chi poteva cercarmi?

La infilai nella fusciacca. Se fossi stata un'assassina più navigata, avrei sottoposto la missiva a dei controlli prima di arrischiarmi ad aprirla. Una lettera anonima poteva contenere di tutto, perfino i germi della peste. Invece, commisi l'imprudenza di tenerla per me, e leggerla quella sera, prima di cena, di fronte al camino acceso nella mia stanza: l'estate iniziava a ritirarsi, e verso l'imbrunire iniziavamo a soffrire dei primi freddi autunnali. Veronica era già scesa per aiutare zia Claudia a dare disposizioni alle serve, ed io spiegai con cura i due fogli macchiati, scritti fitti e dall'inchiostro lievemente sbavato. E parola dopo parola, mi sentii come se il sangue mi si fosse sciolto in acqua, fermandomi il cuore.

 

 

Il cielo di Navarra è trapunto di nuvole. Nemmeno dalla mia prigione vedevo le stelle. Ed è buffo, perché non ho mai provato il bisogno di guardarle, prima. Ne sento la mancanza questa notte, non so perché.

Sono sulla soglia di un nuovo inizio, o della mia fine. E scrivo a te, senza capirne il motivo. Scrivo a te, perché se penso alla morte ricordo il tuo viso. Tu, così giovane, che hai cercato di uccidermi. Tu, così ingenua, che hai creduto di ingannarmi.

Sono partito con il tuo anello per lasciarti la dolce illusione di avermi sconfitto. Conosco le opere di mia sorella, Bianca Auditore, ma se avessi sospettato in minima parte che la vostra strategia comprendeva l’assassinio di mio padre avrei agito prima che le vostre fragili menti di donne potessero condurvi a elaborare un piano. Pensavo che l’acredine di Lucrezia fosse rivolta a me soltanto. Mi rendo conto che non l’ho mai conosciuta, dopo tutto.

Ho donato il tuo anello alla prima puttana di Roma che ho incontrato: la prima vittima del tuo ingegno, mia giovane assassina, è stata una poveraccia che non c’entrava nulla con la nostra guerra.

Ti sento rabbrividire d’orrore, e mi concedo il gusto di immaginare il tuo sguardo furioso. Tu mi odi, Bianca, ma ancora non hai capito che l’odio non è il contrario dell’amore.

Sai, ho trascorso due anni prigioniero. Prima a Chinchilla, e poi nel castello della Mota. Mi erano riservate ancora le parvenze di cortesia che si danno ai grandi signori. Io non guardo a queste sciocchezze. La notte sentivo le grida di una donna che hanno imprigionato insieme a me. Dicono sia la figlia del re di Spagna, la chiamano La Pazza. E non a caso. Le ore di buio erano scandite dai suoi ululati, ed io ho avuto modo di pensare. Anche ora che sono evaso, la consapevolezza non mi abbandona. Ho compreso che la grandezza di un tempo non tornerà da me.

La volpe in catene è diversa da un cane? Il leone addomesticato non somiglia a un qualsiasi gattino? Cesare senza il Papa non è un comune condottiero sconfitto?

Il mio fedele Michelotto diceva che il mondo non ha capito Cesare Borgia. Ad oggi, Bianca, è Cesare Borgia che rifiuta questo mondo. Troppe contraddizioni per sperare di ricondurle a un unico principio. Il Padre della Comprensione mi ha finalmente aperto gli occhi. Voi Assassini avete avuto ragione fin dall’inizio.

Non c’è un senso. Nella vita, nella morte. Non c’è pace in terra né dall’altra parte. Nemmeno dopo la morte ci rincontreremo, bambina mia, mia allieva.

Perché è questo che sei e resti, per quanto cerchi di aggrapparti all’eredità di tuo padre. E’ da me che hai appreso l’inganno, è sotto le mie mani che sei cresciuta. Sono io ad aver fatto di te l’assassina che diventerai. E sei tu ad aver fatto di me l’uomo che presto morirà.

La Volpe invidia all’Aquila le sue ali, come Cesare invidia a Bianca la sua giovinezza. Vivi, superami, sii grande.”

 

Nessuna firma, non ce n’era bisogno. Nessun messaggio di affetto o di amore. Nessun addio.

Gettai la lettera nel fuoco, e la osservai annerirsi.

“Eccote qua! T'ho cercata pe' tutta Monteriggioni.” La voce di Martino mi sorprese alle spalle, allegra come sempre. Non mi voltai.

Lui mosse un passo verso di me. “Biancarè...tutto bene?”

Sospirai, lentamente. Tremavo ancora di rabbia per ciò che avevo letto, e con quel gesto cercai di espellere tutta l'aria cattiva. “Sì...non preoccuparti, tutto bene.”

Non volevo che mi avvicinasse. Volevo rimuginare sul mio passato, sfogare la mia rabbia, ed essere sola. Volevo sentirmi sola, per poter sfogare il lato peggiore di me senza timore che qualcuno lo potesse vedere. Volevo essere grande.

Ero diversa dalla Bianca di due anni fa, vero? Ero cambiata, sapevo combattere, sapevo difendermi...non sarei mai più stata un peso per la mia famiglia. Potevo proteggere coloro che amavo, e non metterli in pericolo per i miei sbagli. Mai più.

Cesare Borgia finì i suoi giorni sette mesi dopo, il 12 Marzo 1507. Durante l'assedio di Viana si gettò da solo alla carica di venti uomini. Assassini? Miei compagni? Non ho voluto saperlo.3 So solo che ci vollero ventitré colpi di lama per far uscire da lui quella vita tanto ostinata che pareva volergli restare in petto a tutti i costi.

Lo ammetto, piansi quando appresi la notizia. Piansi per la sua morte arrogante, degna di tanta esistenza; ma sapevo che le sue parole erano false. Non ero più la sua allieva. Non ero nemmeno più l’allieva di mio padre. Ciò che avevo appreso dipendeva soltanto da me stessa.


Note

1Versi 32-36. Non amo il Paradiso, lo ammetto, ma sono particolarmente legata a questi versi. Ricordo di aver iniziato a prepararli in parafrasi per un compito in classe e di essermi commossa fino alle lacrime quando li ho letti. Esiste una dichiarazione d'amore più bella?

2Bernardo Dovizi da Bibbiena, segretario personale del futuro papa Leone X...che nel 1506 si chiama ancora con il suo nome laico, Giovanni De'Medici. Teneteli d'occhio, entrambi torneranno!

3So che forse è uno scandalo...ma per ragioni di trama: no, nella mia storia non è stato Ezio ad uccidere Cesare. Anche se avrebbe avuto forse molte più ragioni che l'Ezio di Brotherhood XD Ho preferito rispettare la realtà storica e descrivere la morte di Cesare Borgia per come è stata documentata. Lo ammetto...Brotherhood non mi ha esaltato per nulla a livello di storia, quindi cerco di distaccarmici il più possibile.



NdRuna

Ehilà! Aggiorno un po' al volo perché sono distrutta, qui nella verde Irlanda i ritmi di vita sono molto più alti di quelli che ho di solito XD
Tanto per darvi qualche news sulla mia nuova situazione, visto che mi è sembrato che qualcuno fosse interessato...vivo e lavoro a Cork, nel sud-ovest dell'Irlanda. Ricopro le mansioni di assistente e tuttofare in una deliziosa scuola privata che si chiama Scoil Mhuire, dove, tra le altre materie, sono insegnate anche l'italiano e il gaelico. Sono tutti deliziosi con me nella scuola, dalla preside che è sempre l'ultima ad andarsene, alle insegnanti, alle bambine (è una scuola esclusivamente femminile!) alla bidella...la quale ha un genero che viene da Modena, come me XD
Vivo in un delizioso quartiere residenziale, in doppia con una ragazza italiana simpaticissima che avevo già conosciuto durante le due settimane di corso di inglese nel paesino di Bandon. Ho visto alcuni posti incredibili, tra cui il Ring Of Kerry (una serie di luoghi meravigliosi tra cascate e boschi verdissimi, tanto che è facile immaginare fate e leprachaun muoversi in mezzo agli alberi) e la cittadina di Kinsale, una delizia sul mare con due fortezze del 1600...da brividi! E conto di vedere presto anche le splendide Galway e Dublin, anche se penso di essere fortunata a vivere a Cork perché è una città dal grande fermento artistico e culturale, pur essendo assolutamente a misura d'uomo per viverci.
Spero come al solito di riuscire a postare tra un mesetto...vi confesso che il prossimo capitolo è anche l'ultimo che ho scritto, e non sono riuscita a superare ancora il blocco del capitolo 26. Qui non ho tantissimo tempo solo per me, forse dalla prossima settimana ci riuscirò e tenterò di affrontare lo scoglio di ispirazione, per essere certa di avere ancora capitoli da postare con regolarità.

Un irish kiss a tutti voi! ^_^

   
 
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