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Autore: Medea00    07/05/2012    29 recensioni
"Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l’intensità di una minuscola scossa elettrica."
Cheerio!Kurt/Nerd!Blaine. C'è bisogno di aggiungere altro?
Liberamente ispirata da un sacco di gifset che in questo periodo popolano Tumblr.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 26
Immobile

 
 
 


 
Ci sono dei momenti in cui un uomo vuole stare da solo; può essere per via di una partita, di una delusione. Nel caso di Blaine, era il nuovo Diablo III che si presentava magnificamente davanti a lui, con la copertina rivestita da una plastica quasi emozionante, che donava all’insieme un aspetto ancora più sacro.
Quello non era un gioco; quello era IL gioco, il gioco per cui aveva atteso due lughissimi anni. Nel frattempo aveva fatto in tempo a re-iniziare e finire tutto il suo arsenale di videogiochi, e quello era tutto dire.
Ma adesso non era più una notizia smentita crudelmente dalla Blizzard, non era più un sogno che era solito salutarlo a ogni nuovo mese; Diablo III era lì, nelle sue mani, e bramava di essere giocato. Perchè, ovviamente, lui aveva già pronto tutto il necessario per preparare quello che sarebbe stato il personaggio migliore della storia dei personaggi, un Demon Hunter talmente potente che i creatori del videogioco si sarebbero inchinati davanti a lui proclamandogli amore eterno. Continuava a sfregare le mani con un sorrisetto che chiunque avrebbe descritto come inquietante, il computer che elaborava gli ultimi dati accompagnato da una familiare musica di atmosfera.
E dopo appena un paio di minuti, era lì: il suo eroe, con un arco corto e una tunica anonima e semplice, pronto ad affrontare una nuova avventura; cercò di trattenersi dall’esultare facendo sobbalzare mezzo Lan Party, si limitò a mandare un sms a Kurt chiedendogli scusa se per le prossime otto, dieci ore, non si sarebbe fatto vivo. L’unica risposta del suo ragazzo, arrivata qualche secondo dopo, fu “Spero che quel mostriciattolo in vestaglia muoia”.
Ok, lo perdonava per aver detto quelle cose sul suo preziosissimo Demon Hunter solo perchè era Kurt.
Con concitata emozione strinse il mouse nella mano destra, sfiorò la tastiera con delicatezza, prese un bel respiro prima di selezionare il proprio personaggio e-
“Blaine-chan insomma MI VUOI STARE A SENTIRE!?”
Non c’era bisogno di riaprire gli occhi – socchiusi dopo aver udito lo strillo – per capire di chi fosse quella voce; perchè c’era una sola persona che lo chiamava Blaine-chan. L’unica, forse, che aveva ancora il coraggio di interrompere una partita.
“Emily.”
La ragazza saltellò sul posto, afferrandolo per le spalle e facendo voltare la sedia verso di lei. Greg e gli altri Warblers stavano osservando la scena come degli spettatori di un film horror, nascosti dietro al bancone e con gli occhi sgranati dalla paura.
“La farà a pezzi - mormorò Wes - ha fermato Diablo III. Gli ha fatto fermare Diablo III.”
“Gli Otaku non hanno davvero il senso della ragione”, confermò Nick, ricevendo un’occhiataccia dal proprietario del locale perchè, insomma, erano dei suoi clienti. E poi lui voleva bene a quella strana ragazzina: sicuramente doveva aver avuto un buon motivo per interromperlo no?
La vide gesticolare un po’ con le mani, facendo roteare i suoi grandi occhi marcati dall’eye-liner su Blaine e il laccetto di cuoio che teneva legato al polso.
“Emily, hai bisogno di qualcosa?” cercò di dire Blaine, calmo, ma anche impaziente di ritornare alla postazione di partenza.
“Sì – affermò lei – ho bisogno di sapere che stai pensando a quello che penso io.”
Blaine la guardò per un attimo, inarcando le sopracciglia: “Stai pensando che un monk full armatura è più sgravo di un pally?”
“No, baka! Sto pensando al fatto che Kurt ti ha regalato quel ciondolo ed è la cosa più Kawaii che abbia mai visto in vita mia!”
Oh. Beh, anche quello. Emily non aveva tutti i torti, Blaine posò lo sguardo sul laccetto al suo polso dal quale pendeva, in bella vista, la monetina spezzata a metà. Ancora non riusciva a credere a tutto quello che era successo, al regalo, al fatto di avere Kurt. Gli sembrava quasi una sorta di beta di qualche videogioco bellissimo e perfetto: un’anteprima di quello che potrebbe essere, ma che per il momento è solo un’illusione di poche ore.
“Insomma?” Lo esortò Emily incrociando le braccia contro il suo corsetto di pizzo, rigorosamente nero. “Eddai Blaine-chan, non farti pregare, racconta!”
“Non-non c’è molto da dire...” mormorò con tono basso, arrossendo appena.
“Sì invece! E io ho bisogno di saperlo, la mia graphic novel deve andare avanti e-ops.”
“La tua cosa?”
E fu in quel momento che Greg e gli altri ragazzi si alzarono in piedi, aprendo bene le orecchie.
“La mia...ecco...il mio manga.”
Blaine ci mise diversi secondi per calibrare quella frase con la giusta precisione e assumere un’espressione sconcertata.
“Tu... tu non stai disegnando un manga su di me e Kurt, non è così?”
Emily si strinse nelle spalle, facendosi timida timida. “No! Figurati. E’ solo che, stavo cercando spunti e...voglio dire, la tua vita è così fluffosa...voi due siete così yaoi e...beh... si chiamano Takeru ed Eichi-“
“FAMMI LEGGERE” urlò Jeff piombandole davanti e trascinandola nella zona otaku, fino a quando Emily non si decise ad estrarre una pila di fogli da un cassetto e mostrarli a lui con un’aria vagamente soddisfatta. Blaine tentò di strappargli i fogli di mano, ma fu prontamente placcato da Nick e Wes, che volevano sentire cosa dicessero le prime vignette della storia.
“Takeru ed Eichi sono due ragazzi diversi, ma allo stesso tempo vicini come non mai. Takeru è un giovane carino e dolce, ma rinchiuso nel suo mondo di otaku.”
“Otaku!?” Sbottò Wes, ma Jeff continuò: “Eichi è il senpai più popolare della scuola, un ragazzo dalle fattezze di un angelo e non alla portata del nostro protagonista.”
E Blaine era indeciso se morire d’imbarazzo o offendersi: come sarebbe a dire, non alla sua portata? E poi si ricordò: giusto, quel Takeru non era lui. Non poteva essere lui.
“Gli amici di Takeru sono tre ragazzi –continuò Jeff -, e il presidente del loro club di lettura manga è... è uno tsundere.”
“Un cosa!?” Sbottò Wes; chissà come mai, nessuno si domandò come mai si fosse sentito chiamato in causa.
“E’ un ragazzo arrogante e combattivo che però in realtà è generoso e di buon cuore.“
“Ma che stai dicendo, dai qua.” Prese i fogli e li osservò attentamente, prima di scuotere la testa con una smorfia.
“Non mi assomiglia per niente. Io sono molto più figo.”
“Ma non sei tu!”
Tutti quanti si voltarono verso Blaine, quasi, preso in contropiede. Era ancora indeciso se scandalizzarsi o restare serio, ma tutto ciò che riuscì a fare fu guardare con una sorta di imbarazzo e disperazione Emily.
“Perchè...perchè Takeru non sono io, non è vero?”
E lei lo guardò con la coda dell’occhio, con le sue guance che, per la prima volta, si tinsero leggermente di rosa.
“Forse?”
“Che spettacolo, voglio anche io essere protagonista di un tuo manga!”
“Sì, anche io! Però voglio essere figo. E non voglio essere in un manga yaoi; qualcosa tipo sangue, combattimenti...”
“Io voglio fare il bardo!”
“Nick, sei scemo? Non è Dungeons and Dragons, è roba giapponese questa.”
“Perchè non c’è un bardo?”
“Perchè, non hai un cervello?” Mugugnò Wes facendogli il verso, e questo non fece altro che provocare un’altra risposta acida, e un’altra ancora, e poi tutto il Lan Party si ritrovò a sospirare per l’ennesimo litigio degli Warblers; Greg, quella volta, aprì la bottiglia di Champagne.
Blaine per tutto il tempo restò seduto in un angolino, incredulo, con Emily che gli dava delle confortevoli pacche sulle spalle e mormorava: “Coraggio Blaine-chan, non è che ho reso tutta la tua vita di dominio pubblico...voglio dire, più che altro si tratta di puro smut.”
E no, di certo, non si aspettava che il ragazzo alzasse la testa sfoggiando i suoi grandi occhioni da cucciolo, guardandola confuso e chiedendo: “Che cos’è lo smut?”
Ed Emily pensò, che ci fossero cose che una fangirl deve tenere per sè.
“Quando sarai grande, capirai.” Mormorò con un’ultima pacca sul braccio, per poi alzarsi e dirigersi con passo fiero verso le uniche persone in quel posto che potessero veramente capirla.
 
 

Finn quella mattina fu molto fortunato ad aver trovato Kurt di buon umore: perchè il ritardo di venti minuti che era stato costretto a fare a causa sua non era di certo una fonte di serenità, anzi, in un altro momento probabilmente lo avrebbe lasciato a piedi con cartella e tutto il resto, mentre lui se ne andav a scuola con la sua macchina. Eppure non riusciva a capire come diavolo facesse ad essere sempre puntuale come un orologio svizzero, visto tutti i trattamenti che faceva. L’unica risposta del fratellastro a quella sottospecie di polemica fu: “E’ semplice, Finn. Io mi alzo ad un orario decente, non come tu, che ti svegli cinque minuti prima.”
E detto quello, con movimenti decisi ed un po’ troppo forzati mise in moto la macchina, innestando la marcia; Finn per un secondo temette che il volante si spezzasse in due, conoscendo la forza con cui lo stringeva quando era nervoso. Invece, incredibilmente, sembrava semplicemente avvolto dalle dita affusolate di Kurt, nè con troppa violenza nè con troppa gentilezza. Non capì il perchè di quella reazione fino a quando non lo vido accarezzare quasi inconsapevolmente il ciondolo che portava al collo, una moneta spezzata a metà sorretta da una sottile catenina in argento. Sorrise: doveva ricordarsi di ringraziare Blaine, prima o poi.
Una volta aver parcheggiato nel cortile della scuola Rachel si lanciò letteralmente tra le braccia del suo fidanzato, schioccandogli un sonoro bacio a fior di labbra e salutandolo come se non si vedessero da secoli; Kurt e Blaine furono molto più pacati, si lanciarono un piccolo sguardo d’intesa, raccontarono a vicenda quello che avevano fatto il giorno prima e i loro occhi per tutto il tempo vagarono alla ricerca della monetina dell’altro, e sorrisero non appena le trovarono; si concessero un piccolo gesto con le mani, come stringendosi.
“Ti vedo teso”, annotò Blaine, una volta arrivato al suo armadietto e aver visto Kurt accasciarsi con la schiena contro quello accanto.
“Oh, non ti preoccupare. Sono soltanto il mix di matematica, Finn e le nazionali che si avvicinano.”
“Matematica?”
Kurt si trattenne a stento dal guardarlo male e sbuffare: possibile che di tutto quel discorso avesse captato solo la parte peggiore?
“Sì, ho un compito in classe.”
“Buona fortuna allora”, commentò, quasi come se fosse convinto che sarebbe andato tutto bene. Kurt gli diede una leggera spallata cercando di ignorarlo, perchè in quel momento tutto quel suo ottimismo non lo capiva per niente. Oppure, forse, era solo felice di ricordare il motivo per cui si erano conosciuti: di certo, quello aveva aiutato lui a odiare di meno la matematica. Ma solo un po’.
Quando la campanella suonò, entrambi esitarono un secondo prima di augurarsi una buona giornata: quella mattina non avevano nessuna lezione in comune, sarebbe stato difficile sopportare l’assenza dell’altro fino all’ora di mensa; in più, dopo quella faccenda della Sylvester e del suo povero Iphone, avevano smesso anche di scriversi sms.
Ma ce l’avrebbero fatta, lo sapevano bene entrambi: si trattava solo di qualche ora, dopotutto. Rachel continuava a dire che era ridicolo che fossero così appiccicosi, ma nessuno dei due credeva veramente alle parole di una che faceva il remake di Via col Vento ogni mattina che rivedeva Finn. E poi, a Kurt non sembrava poi un così grande problema.
Stava correndo per raggiungere al più presto l’aula di matematica, quando tutto ad un tratto si sentì scontrare violentemente contro qualcosa di duro per poi cadere a terra, con il fiato corto e la testa pesante.
Riuscì a scorgere il ghigno di Azimio che lo fissava, la sua spalla che roteava in modo disordinato come se avesse appena urtato una mosca fastidiosa.
Gli aveva fatto terribilmente male, sentiva il freddo e lo sporco del pavimento attraversare la divisa dei Cheerios e soffiargli sulla pelle, o forse era solo il suo sguardo minaccioso a fargli venire i brividi.
Se ne andò, lasciandolo da solo in un corridoio vuoto, prima che riuscisse ad avere la forza di alzarsi.
 

 
Da quel giorno, qualcosa cambiò: non era un cambiamento netto, radicale, non era una cosa che si poteva vedere o toccare. Era una sensazione, un’atmosfera, un presentimento di Kurt che si acquistava sempre più spazio trasformandosi in un’ampia e minacciosa ombra.
Gli allenamenti erano lunghi, faticosi; per quanto Mercedes tentasse di distrarlo, a Kurt quelle due ore passate nel campo da football sembravano non finire mai. E non era per colpa della Sylvester, non era per via delle coreografie difficili, o per la canzone mozzafiato. La verità era che non passava un singolo minuto senza che si sentisse osservato, da un paio di sguardi che non sapeva localizzare.
Sapeva che i giocatori di football erano lì, da qualche parte. Ogni tanto riusciva a scorgere Finn uscire dalle docce e salutarlo sventolando una mano in aria; sapeva che lo sguardo e lo spintone di Azimio lo aveva sorpreso più del solito, forse perchè quella volta non si era minimamente giustificato. Forse, perchè non era mai stato guardato in quel modo, come se fosse una preda.
La verità, era che Kurt cominciava a essere in ansia. E l’unica cosa che riusciva a farlo stare meglio, ogni sera, era vedere il volto raggiante di Blaine mentre esultava per il suo nuovo Diablo III.
 

Più il tempo scorreva, più Kurt si rendeva conto che per ritrovare la tranquillità non gli bastavano più le mura di camera sua, nè l’abbraccio colmo d’affetto di Carole, o le chiacchierate con suo padre: gli unici momenti in cui si sentiva realmente bene erano con Blaine. Quello, arrivò ad essere perfino un problema: lui aveva da studiare, lo sapeva bene; per quel motivo si sentiva un completo idiota ogni volta che lo vedeva arrivare a casa sua, con occhi troppo stanchi e delle profonde occhiaie. Non ci volle molto per intuire che studiasse di notte, per passare insieme a lui più tempo possibile del giorno. Provò lasciarlo stare, provarono perfino a studiare insieme; ma poi Kurt si ricordava di qualche strana occhiata ricevuta da Azimio o Samuelson quel giorno, e non riusciva a trattenersi dal lasciare la sedia per andare a finire esattamente tra le braccia di Blaine.
E Blaine, tutto quello, non lo capiva: si limitava a stringerlo forte, sussurrandogli qualche parola e lasciando che si tranquillizzasse. Lo vedeva strano e, forse, anche un po’ scostante: pensò che fosse soltanto molto stressato per le nazionali, o per i test di fine anno; Kurt non pronunciò mai il nome dei giocatori di football in sua presenza, e nemmeno lui.
 


 
Si dice che i problemi sono come un uragano: arrivano all’improvviso, senza che possano essere visti, evitati. Si dice che i problemi vengono sempre tutti insieme, quasi per creare più fastidi.
In realtà, quando arrivò quel Sabato mattina, Kurt sapeva già che sarebbe successo; era stato un climax durato una settimana, un insieme di occhiate, spintoni, risate e commenti bisbigliati lungo le fredde mura della scuola.
Lui, in realtà, sapeva benissimo che prima o poi si sarebbe ritrovato di fronte a Samuelson, al suo sguardo scuro, alla sua espressione gelida.
Accadde dopo gli allenamenti, quando tutti quanti erano già andati via e lui stava raccogliendo la sua borsa per raggiungere Finn al parcheggio; si era messo un bel completo, aveva scelto con cura quei vestiti perchè la sera sarebbe uscito con Blaine, ed era da tanto tempo che non si concedevano una cenetta romantica loro due da soli. Gli piaceva molto il suo gilet nero, e il suo foulard chiaro, che si sposava perfettamente con i suoi occhi.
Aveva sentito la porta chiudersi a chiave, con lentezza e precisione. E poi vide Samuelson fissarlo dalla parte opposta della stanza, e in quel momento capì di non aver nessuna via di fuga.
 
E lui, contrariamente a quanto venisse raffigurato nei suoi incubi, fu lento: si concesse tutto il tempo di camminare verso di lui, guardarlo, con una maschera di cera al posto del viso e un velo che celava qualsiasi espressione.
Kurt non riusciva a pensare; non voleva pensare, perchè qualsiasi cosa, in quel momento, gli sembrava dannosa. Eppure Samuelson non sembrava preoccupato, non sembrava minaccioso, si stava muovendo con così tanta naturalezza da fargli venire i brividi; non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, ma poteva benissimo sentire la pelle d’oca delle sue mani che adesso erano strette contro la cintura del borsone, quasi, immobilizzate.
In realtà, ogni parte di lui, in quel momento, era immobile: eppure, Samuelson non era vicino. Non lo aveva nemmeno sfiorato.
Sorrise; per la prima volta, vide qualcosa di vagamente umano dipinto sul suo volto.
“Carina questa sciarpa”, commentò, facendo scorrere le sue dita sulla stoffa e potendo percepire il respiro di Kurt venire mozzato da uno spasmo.
E senza dire altro, gliela sfilò: sfiorò la pelle del suo collo, sentì la pelle d’oca direttamente sui polpastrelli.
Non aveva smesso nemmeno per un momento di guardarlo negli occhi, e non lo fece nemmeno quando mormorò: “Fai finta che sia tu.”
E fu in quel momento che tutta la calma di Samuelson si trasformò in una violenza capace di strappare il fazzoletto a metà. Fu in quel momento che Kurt volle portarsi una mano alla bocca, cercò, ma non ci riuscì. Alla fine, si sentì come se stesse succedendo una cosa che era stata rimandata per troppo tempo.
Alla fine, si sentì come se tutte le immagini dei suoi primi anni del liceo si congiungessero a quei fili di stoffa per ripresentarsi esattamente davanti a sè.
Il primo strappo era stato deciso, violento e brutale; lo aveva completamente paralizzato, esattamente come la prima volta che era stato buttato in un cassonetto della spazzatura, sentendo puzza di marcio, schifo e dolore.
Il secondo, invece, fu più centrato, centrando la metà; fu tutte le granite che gli erano state lanciate, tutto il freddo che era riuscito a raggiungere anche il suo cuore, trasformandolo in qualcosa di empio e inconsistente.
Il terzo, e tutti quelli a seguire, furono più piccoli; furono quelli dai quali derivarono innumerevoli sfilacci che adesso penzolavano dalla stoffa come inermi, abbandonati a loro stessi. Come gli spintoni che riceveva, accompagnati da tutte le voci che gridavano quanto fosse frocio. Sbagliato.
 
Del suo foulard, ne era rimasto solo il nome; non era niente di più di un ammasso di pezzi accatastati a terra.
E Samuelson restò a guardare il suo operato, non mostrando alcun tipo di soddisfazione.
Disse soltanto: “Guardalo. Guardalo bene.”
La calma con cui pronunciò quelle parole fu ancora più terrificante.
E fu soltanto una volta andato via, una volta udita la porta riaprirsi, e poi richiudersi con dolcezza, che Kurt cominciò a singhiozzare in modo compulsivo e affannoso, accasciandosi a terra per stringere il foulard tra le mani.
 
 







***


Angolo di Fra


Prima che mi mandiate minacce di morte: NO. Non ci saranno scene di violenza in questa ff. Questo è il massimo che possa scrivere. Ho cercato di scriverlo bene, ma rimanendo negli ambiti dettati da questa ff.
A proposito: mancano due capitoli alla fine, ma sono al 90% sicura di scrivere anche un epilogo.
Comunque la moglie ha un bunker carino carino in cui ci sono anche Lily e Vale e penso proprio che mi accamperò lì. Vi risponderò dal bunker. Sempre se avete ancora voglia di scrivermi qualsiasi cosa.
PS ____ Dedico questo capitolo a Rachele, perchè mi ha fatto tipo i complimenti più belli del mondo :) grazie!

   
 
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