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Autore: Beatrix Bonnie    07/05/2012    6 recensioni
E' finalmente arrivato il giorno che Gellert Grindelwald progettava da una vita intera: il giorno della sua presa di potere in Germania, del compimento del Bene Superiore.
Da quel giorno nulla sarà più come prima e un'ombra di terrore si diffonderà su tutto il mondo magico dell'Europa continentale.
Storia prima classificata al contest "Passate inosservate" di Isidar Mithrim.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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Giallo imperale

Monaco di Baviera, 1921



Emil non era mai stato un tipo con molto tatto: certe cose andavano dette e basta, senza tanti giri di parole. Forse era per questo che molta gente non apprezzava la sua compagnia, a cominciare da quella sogliola in ibernazione di Cyrillus Otto VonTraust.
Davvero, non esisteva al mondo una persona con una soglia di emotività così bassa come Cyrillus. Se Emil avesse sostituito quell'uomo con uno scimpanzé imbalsamato in una teca di cristallo, nessuno avrebbe notato la differenza.
Forse per i capelli, ecco. Quelli di Cyrillus erano sempre così fastidiosamente perfetti. Magari li incollava alla testa con una qualche pozione misteriosa.
E anche i suoi vestiti erano impeccabili: mai una volta che avesse un solo filo fuori posto o una minuscola macchiolina sul tessuto.
Schiavizzava gli elfi domestici per averli così puliti, ecco cos'era.
Comunque, stava decisamente divagando.
Scarsa capacità di concentrazione, diceva il suo capo. Ma, ehi!, per lavorare come Spezzamaledizioni per il Ministero non serviva una concentrazione da colletto bianco seduto dietro una scrivania!
Cioè, anche, ma... insomma, non solo!
E poi lui si lasciava semplicemente cullare dai suoi pensieri che vagavano liberi...
Era solo allergico alle regole e alle costrizioni, ecco tutto. Odiava che gli dicessero perfino quello che doveva pensare: lui voleva solo essere libero da ogni condizionamento.
Mica come quello stoccafisso di Cyrillus, che di regole si nutriva.
Bene, stava divagando di nuovo.
Ah, ecco Gellert, per fortuna!
«Ehi, Gellert!» lo apostrofò, sventolando la mano in aria per farsi notare dall'uomo. «Sei vestito di giallo» appurò poi, con un certo ribrezzo. Non che lui fosse per i completi classici di costosa sartoria, anzi, il suo guardaroba era caratterizzato da abiti piuttosto eccentrici, ma un minimo di sobrietà era comunque segno di buon gusto. E quella giacca gialla non ci azzeccava proprio con il buon gusto.
«È orribile» si sentì in dovere di far notare, giusto per tornare alla questione di prima sull'essere diretti.
Gellert scrollò le spalle, per nulla scosso da quel commento.
Emil sorrise soddisfatto. Era per questo che lui e Gellert andavano così d'accordo: l'amico non se la prendeva mai quando lui non riusciva a trattenere la sua linguaccia.

Gellert ignorò placidamente il commento di Emil. Povero idiota, gli faceva quasi pena con il suo candido tentativo di volergli essere amico. Proprio non si accorgeva di venir raggirato? Gellert lo stava usando, era molto semplice. E Gellert Grindelwald sapeva sfruttare dannatamente bene le persone che gli servivano.
«Il giallo, in Cina, è il colore dell'imperatore» ritenne comunque giusto fargli notare. «Sai, per via del fatto che rappresenta il sole e l'imperatore è colui attorno al quale gira tutto il mondo» spiegò, nascondendo fra le pieghe della bocca un sorriso sprezzante.
Emil rise, perché era uno sciocco superficiale che rideva sempre delle cose che non riusciva a capire. «Tu sei pazzo» gli disse, con l'aria di chi ha appena avuto una rivelazione.
Gellert, questa volta, si lasciò sfuggire un ampio sorriso: quante volte gli avevano gettato addosso quell'accusa e quante volte ancora se la sarebbe sentita rivolgere. Solo in quel momento, però, gli venne l'illuminazione per rispondere all'insulto: «No, Emil. Io sono un eroe.»
Emil si limitò ad un sorrisetto divertito: lui prendeva sempre tutto sul ridere.
«Tu, piuttosto, che ci fai qui?» chiese Gellert, con assoluta e totale noncuranza. Non che la presenza del rumoroso alsaziano potesse in qualche modo intralciare la riuscita del suo piano, ma quel giorno era necessario per lui sapere ogni cosa e essere certo di quali persone ruotassero intorno alla fabbrica di calderoni. Emil, infatti, lavorava per il Ministero e, in linea teorica, Cyrillus gli aveva impedito di avvicinarsi alla sua azienda per qualsiasi ragione, visto che aveva l'abitudine di incitare gli operai allo sciopero.
«È stato indetto uno sciopero nazionale per la settimana prossima!» esclamò appunto Emil, con lo stesso entusiasmo di un tifoso che ha appena visto vincere la propria squadra del cuore.
Era dentro un qualche gruppo di sobillatori, Emil. Sindacalisti, o qualcosa del genere: volevano migliorare le condizioni dei lavoratori, dicevano, ma Gellert riteneva che l'unica cosa che riuscissero ad ottenere fosse quella di risultare invisi a chiunque.
«Ho portato i volantini. Tu verrai?»
No, certo che no. Non aveva tempo da perdere in quelle sciocchezze, lui, quando c'erano ben altri piani da portare a termine.
«Per cos'è lo sciopero?» domandò comunque, perché non aveva conquistato la fiducia e l'ammirazione dei suoi seguaci comportandosi da sgarbato.
Emil assunse un'espressione indignata, quella che usava sempre di fronte alle ingiustizie che dovevano subire i poveri operai. «Ci sono certe fabbriche che utilizzano delle Giratempo per allungare le ore di lavoro dei dipendenti» annunciò, come se si trattasse di una vera piaga sociale. «È uno scandalo!»
Gellert cercò di trattenere un cenno di disinteresse, perché non voleva che l'altro si insospettisse. Gli rivolse invece un sorrisetto tirato, senza entrare nell'argomento: l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, era di istigare Emil ad un'accesa arringa politica.
Per fortuna il giovane uomo lasciò cadere la conversazione, estraendo invece dalla borsa una scatola di caramelle. «Ne vuoi una?» domandò all'altro, scuotendola per far tintinnare la latta della confezione.
«A cosa sono?» si informò Gellert in tono neutro.
Emil sfoderò uno dei suoi sorrisi irriverenti che tanto irritavano i suoi interlocutori. «Bella domanda, compagno! Con le Gelatine Tuttigusti+1 non sai mai cosa ti capita» esclamò allegro. «Però io sceglierei il giallo, per andare sul sicuro» aggiunse poco dopo, frugando nella scatolina alla ricerca del colore desiderato.
Ma Gellert aveva già smesso di ascoltarlo, perché quella frase l'aveva riportato lontano nel tempo e nello spazio.

Godric's Hollow. Tanti anni fa.
«Secondo te con il giallo vado sul sicuro?» chiede un ragazzo, disteso sul letto della piccola stanza. Dalla finestra aperta entrano i raggi del sole spezzati dalle chiome dell'albero del giardino, che lasciano sul pavimento di legno un gioco di luce maculato.
C'è un altro ragazzo nella stanza, seduto alla scrivania con il naso ad un soffio dal foglio di pergamena su cui sta scrivendo. È tutto concentrato e probabilmente non ha sentito la domanda dell'amico.
Il primo si alza dal letto e si avvicina al tavolo. È parecchio alto per la sua età, ha un paio di occhiali a mezzaluna calati sul naso a nascondere due vispi occhi azzurri, e una morbida coda di capelli rossi che si adagia sulle spalle. Tiene in mano una scatoletta di latta: sono le Gelatine Tuttigusti+1 di suo fratello Ab, ma gliele ha sgraffignate. Tanto lui non se ne accorge mai, stupido com'è, sempre dietro a guardare le sue capre.
«Allora, Gellert, che dici? Vado sul sicuro con il giallo?» chiede ancora, avvicinandosi alle spalle dell'amico.
«
Verdammt, Albus! Che ne so!» sbotta l'altro ragazzo e una strana espressione di follia mista a rabbia attraversa il suo bel volto. Ma è solo un attimo ed è già sparita.
«Chiedevo solo» mormora Albus imbronciato.
Gellert chiude gli occhi e si massaggia la sella del naso per qualche secondo, poi torna calmo. «Scusa, Albus» sussurra, ma c'è ben poca umiltà nelle sue parole: quelle scuse sembrano solo una questione di rito. «Abbiamo cose più importanti a cui pensare ora» cerca di farlo ragionare.
Albus sbuffa con un certo risentimento. «La conquista del mondo può aspettare. È solo una caramella» si lamenta, mettendosi in bocca la gelatina gialla.
Gellert serra la presa sulla piuma che tiene in mano. A volte ha l'orribile sensazione che Albus non prenda davvero sul serio quello che stanno progettando. Certo, crede anche lui alla Gloriosa Rivoluzione per il Bene Superiore, e si lascia afferrare dall'entusiasmo se viene incitato, ma spesso sembra assecondarlo solo per poter godere un po' della sua compagnia. Non mostra una fede cieca, non spende ogni singola energia per la causa della Rivoluzione. Chissà cosa diavolo gli passa per la testa quando lo guarda!
A Gellert passa per la testa una sola cosa: lui è l'unico con cui può condividere il suo progetto e l'unico che potrà accompagnarlo in quella grande impresa, perché sono simili. È un altro se stesso e solo per questo può accettarlo. Lui lo capisce, quando il resto del mondo lo chiama pazzo.
Proprio in quel momento, Albus si sputacchia sulla mano la gelatina che si era messo in bocca per ripicca e la osserva disgustato. «Sa di vomito» commenta con una smorfia.
Gellert gli lancia uno sguardo di sfuggita, tuttavia si riesce benissimo a leggere sulla sua faccia un'espressione di superiorità. Non proferisce parola, ma i suoi occhi azzurri parlano per lui:
te lo sei meritato, Albus - sembrano dire – perché ti distrai con sciocchezze infantili invece che pensare al nostro piano.

Albus si sente offeso e umiliato. Lui ci crede alla Grande Rivoluzione, vuole davvero mettere a tacere i Babbani ed essere a capo del futuro impero insieme a Gellert, ma a volte l'altro prende tutto troppo sul serio. Sembra che la sua vita dipenda esclusivamente da questo, mentre a lui piacerebbe anche godersi un po' l'estate e i suoi diciotto anni. E poi, gli occhi di Gellert sono così azzurri, il suo volto così angelico, così... ma il suo sguardo è sempre inscrutabile, cupo e riflessivo. Non c'è tempo per le divagazioni.
Albus si pulisce la mano con un veloce incantesimo e torna serio. Gellert ha ragione: hanno un obiettivo.
Niente più Gelatine Tuttigusti+1 per lui.
Solo la Rivoluzione.

«Allora, ne vuoi una?» lo incalzò la voce di Emil.
Gellert ritornò al presente e si ritrovò davanti all'entrata della fabbrica con Emil che gli sventolava davanti al naso una gelatina gialla.
«No, grazie» rispose tranquillo, osservando l'altro che si stringeva nelle spalle e si metteva in bocca la caramella. Si era lasciato distrarre dai suoi ricordi, come una ragazzina alle prime armi. Che stupido! Quel giorno non c'era tempo per i rimpianti: Albus l'aveva abbandonato. Era da solo e avrebbe affrontato tutto da solo.
Anche se per tanto tempo aveva progettato di condividerlo con Albus.
Il traditore.
Prese un profondo respiro per tornare concentrato sulla sua missione. Estrasse la Bacchetta di Sambuco dalla tasca e colpì mollemente un mattone rosso che sporgeva più degli altri, rivelando l'apertura del muro di cinta sul cortile interno della fabbrica.
«Beah, gusto vomito!» esclamò Emil, sputando in terra la gelatina.
Gellert si concesse un sorriso divertito, ma tornò subito serio perché non aveva tempo per banali divagazioni. No, non quel giorno.
«Scusa, Emil, fra poco comincia il mio turno» si congedò con un cenno del capo. Raggiunse a passo svelto la sezione della fabbrica di cui era capo operaio e vide con piacere che i suoi uomini erano già al lavoro. Oh no, non per produrre i calderoni di VonTraust, ma per preparare il suo piano.
Sorrise.
Quello sarebbe stato un grande giorno.
«Herr Grindelwald, la sua fascia» lo chiamò Gorgwang Rommel, un tizio rosso dalle dimensioni mastodontiche che era stato tra i primi convertiti. Gellert offrì il braccio sinistro al suo sottoposto e l'uomo vi infilò la fascia nera con il simbolo dei Doni della Morte.
«Le spille?» si informò Gellert, cercando di nascondere la sua euforia.
«Eccole» rispose prontamente Rommel, mostrando una scatola di cartone e cominciando a distribuire le spille con lo stesso simbolo ai suoi seguaci. Gellert osservò il tutto con evidente compiacimento, poi, controllando che nessuno li seguisse ordinò: «E ora muoviamoci: Berlino ci aspetta.»
Dopo aver sprangato la sezione della fabbrica posta sotto il suo controllo, condusse gli uomini fuori dall'edificio, dove trovò ad attenderlo un altro piccolo gruppetto, capeggiato da un ometto nervoso e scattante: Adalbert Zielinski, uno dei suoi primi seguaci.
«La Passaporta, herr Grindelwald» disse Zielinski, con quel suo strascicato accento ceco, mettendo nelle mani di Gellert un vecchio scarpone. Gellert controllò l'ora sul suo orologio d'oro, poi fece segno agli uomini perché si stringessero a cerchio attorno alla Passaporta. Dopo pochi secondi, il familiare strappo all'ombelico indicò loro che era arrivato il momento di giungere a Berlino.
Atterrarono in un terreno abbandonato poco fuori la capitale. Il cielo grigio e carico di pioggia contribuiva a creare un'atmosfera cupa e oscura, come se persino il sole avesse deciso di nascondersi dietro la coltre di nubi pur di non assistere a quella follia.
Gellert si guardò intorno e respirò l'aria fredda della regione di Brandeburgo, che gli solleticò le narici e arrossò di poco le sue guance, sempre così pallide. L'ora era giunta, l'ora in cui il Bene Superiore avrebbe trionfato.
In quel momento, arrivò un nuovo gruppo di persone, atterrate con un'altra Passaporta. Questa volta, a capeggiarle, c'era un uomo dalla mascella squadrata e lo sguardo di ghiaccio: Friedrich Wolfgang Strauss, principe di Vestfalia.
Solo con lui Gellert si concesse un sorriso più aperto. «Prinz Strauss» lo salutò, mettendogli le mani sulle spalle in segno di rispetto.
«Herr Grindelwald» rispose Strauss, con un breve inchino. Poi fece segno ad uno dei suoi uomini per farsi portare uno scrigno con intarsi dorati. Lo aprì e ne estrasse un magnifico mantello interamente ricamato d'oro, cucito a partire dal tessuto di una preziosa cappa da prete del Seicento, e ornato con un collo di pelliccia bianca. Lo drappeggiò sulle spalle di Gellert e ne allacciò gli alamari dorati. «Per il Bene Superiore» recitò, osservando il suo lavoro con compiacimento.
Gellert sorrise, estraendo dalla tasca la Bacchetta di Sambuco. «Per il Bene Superiore.»
«E ora, herr Grindelwald?» domandò Zielinski, con una leggera eccitazione nella voce. I suoi occhi scuri brillavano sul viso sgraziato: sembrava reclamare sangue.
«E ora... MARCIAMO!» gridò Gellert, gli occhi dilatati dalla follia.
«Marciamo?» gli fece eco Strauss, celando la sua incredulità sotto una patina da rispettabile Purosangue.
Gellert si voltò verso il profilo di Berlino, mentre un sorriso arricciava gli angoli della sua bocca sottile. «Marciamo.»

C'era decisamente qualcosa che non andava. Emil lo percepiva, punto. E aveva imparato ad assecondare le sue sensazioni perché di solito gli salvavano la pellaccia, visto che lavorare come Spezzamaledizioni non era tranquillo come bere un bicchier d'acqua.
Quella mattina c'era decisamente qualcosa che non andava: interi reparti della fabbrica di calderoni di VonTraust erano silenziosi in modo innaturale. Dove erano finiti tutti i lavoratori? La zona sottoposta al controllo di Gellert, addirittura, era sprangata.
«Ehi, compagno!» chiamò un operaio a caso che vide passare con un calderone da smerigliare. «Dove sono finiti tutti?»
«Non lo so» rispose quello, stringendosi nelle spalle. «Grindelwald ha fatto mettere su delle spille con uno strano simbolo e se ne sono andati con una Passaporta.»
«Andati? Dove?» gli fece eco scioccamente Emil.
L'uomo scosse la testa. «Berlino, dicevano» mormorò con indifferenza.
Ringraziare l'operaio e uscire dalla fabbrica per smaterializzarsi fu un tutt'uno: doveva andare a Berlino e capire cosa diavolo stesse succedendo. Perché c'era puzza di guai. Grossi guai.
Una volta arrivato in città, raggiunse la parte magica (accessibile tramite un passaggio in un vicolo cieco, che si apriva con colpo di bacchetta su un preciso mattone) e capì subito che il suo intuito non aveva sbagliato: c'era un innaturale silenzio anche per le vie di Alt Cölln (questo il nome della parte magica della città), come se tutti avessero paura di qualcosa e si fossero rintanati in casa. C'era una strana tensione che aleggiava perfino nell'aria densa e fredda. Ad alcune finestre era stato appeso uno striscione nero, con al centro un cerchio bianco e rosso, recante uno strano simbolo che Emil era certo di aver già visto da qualche parte, ma non ricordava dove.
Si intrufolò nei vicoli secondari per raggiungere la strada principale che portava al Palazzo del Cancelliere. E finalmente vide il motivo di tanta inquietudine: Gellert, con quella sua perturbante giacca gialla e un mantello che sapeva tanto di chiesa, insieme ad una ventina di uomini, tutti decorati da una spilla con lo stesso simbolo degli striscioni, stavano letteralmente marciando lungo la via.
Non aveva niente a che fare con una simpatica scampagnata tra amici. Oh no, facevano dannatamente paura. Gellert, soprattutto, era spaventoso, con quel suo incedere determinato e allo stesso tempo un po' folle.
I passanti si scansavano, terrorizzati, mormoravano frasi a mezza voce, sussurravano impauriti, come se temessero di opporsi a qualcosa di insieme grandioso e terribile. Altri invece, eccitati da quella dimostrazione di forza, si aggiungevano alla folla marciante con entusiasmo, credendo di diventare in questo modo partecipi della gloriosa rivoluzione.
Emil si sentì parte di un evento che avrebbe cambiato la storia della Germania magica e forse del mondo intero. Ma non sarebbe restato a guardare, perché era sempre stato stupidamente impulsivo e perché Gellert era suo amico: avrebbe potuto farlo ragionare. Forse.
Si piazzò in mezzo alla via e sbarrò la strada alla marcia. Ridicolo, lui da solo contro più di cinquanta uomini. Ma era fatto così, determinato, coraggioso e forse sciocco.
«Gellert, che cosa...?» domandò, completamente allibito da quella messinscena assurda.
Le espressioni di Gellert erano sempre state indecifrabili, ma comunque tendenti al gentile. Ora, invece, i suoi occhi celesti erano un'assurda vertigine di follia, dentro cui ci si poteva perdere. Digrignò i denti. «Levati di mezzo, Borkhausen, o non esiterò ad ucciderti» disse con una calma tanto innaturale da essere quasi più spaventosa della rabbia.
Emil non riuscì a muoversi. Gellert non lo chiamava per cognome da... non l'aveva mai chiamato per cognome! Nemmeno ai tempi della scuola. Che cosa stava accadendo?
Non fece in tempo a chiederselo che Gellert lo aveva raggiunto con la sua folle marcia e aveva alzato la bacchetta contro di lui.
Fu una frazione di secondo, quell'Avada Kedavra pronunciato quasi con noia e il lampo verde che illuminò il cupo cielo di Berlino.
Emil si smaterializzò appena in tempo per evitare la maledizione mortale. Ringraziò mentalmente il suo lavoro per averlo aiutato a sviluppare dei riflessi pronti, perché Gellert era stato maledettamente veloce e soprattutto imprevedibile.
Aveva cercato di ammazzarlo, per le mutande di Thor!
Che diavolo gli era preso? Era per caso impazzito?
Ma, insomma...
Cyrillus.
Aveva bisogno di parlare con Cyrillus. Lui aveva sempre una risposta pronta a tutto, in special modo se la questione riguardava le follie di Gellert. Dopotutto, era stato lui a farlo espellere da scuola, quando avevano scoperto i suoi traffici con la magia oscura. Forse era stata una decisione un po' eccessiva e se n'era pentito con il tempo, ma vedendo come si stavano mettendo le cose, c'era da andarci cauti con Gellert. Insomma, era pazzo davvero.
L'aveva quasi ucciso!
Seguendo il corso dei suoi pensieri, era giunto fino all'ufficio di Cyrillus: la targhetta d'ottone recitava “Cyrillus Otto VonTraust, Direktor”.
Emil nemmeno bussò alla porta. Semplicemente si catapultò dentro e trovò l'altro chino su dei fogli di pergamena.

«Cyrillus!» gridò Emil piombando di botto nel suo ufficio.
«No, Emil, non ti firmo nessun doc...» cominciò a dire Cyrillus, senza nemmeno guardarlo, ma si interruppe quando alzò gli occhi su di lui e vide la sua faccia: era più che sconvolta. «Che succede?» chiese preoccupato, posando la penna.
«Gellert è impazzito. Sta marciando su Berlino» balbettò a stento Emil. Doveva essere davvero grave: Emil Borkhausen non era mai rimasto senza parole.
«Come sarebbe... marciando?» ripeté allibito Cyrillus.
Emil scosse la testa, incapace di proferire alcunché. Semplicemente allungò la mano verso di lui e lo condusse fuori per una Smaterializzazione congiunta verso Berlino.
Percorsero a passo svelto Alt Cölln, attraversarono la via principale e raggiunsero il Palazzo del Cancelliere, dove si era fermata la folle marcia di Gellert. Il Cancelliere Supremo della Confederazione era ritto in piedi sui gradini di marmo bianco che conducevano all'entrata del suo palazzo, spalleggiato da alcuni uomini della sua guardia personale. Aveva un'aria baldanzosa e determinata, come se non si rendesse conto di avere a che fare con un vero e proprio colpo di stato e fosse certo di poter sedare la rivoluzione a colpi di bacchette.
La folla ferma davanti al palazzo era numerosa e aumentava sempre di più: era ormai impossibile distinguere tra i seguaci originali di Gellert, i suoi sostenitori occasionali e i cittadini curiosi che volevano essere partecipi dell'evento.
«Solo tu lo puoi fermare» sussurrò Emil a Cyrillus, accennando con il capo alla figura di Gellert, che spiccava tra la gente per il suo abito giallo e dorato.
«Io non fermo proprio nessuno» replicò Cyrillus. Lui non era il tipo di persona a cui piaceva mettersi in mezzo, scendere in campo senza prima aver valutato attentamente tutti i pro e i contro della situazione. E in quel caso, anche a prima vista, c'erano decisamente più contro che pro.
Allora Emil afferrò il braccio dell'altro e prese a farsi largo tra la folla per raggiungere i piedi della scalinata.
«Emil, fermati!» ordinò Cyrillus, con la voce incrinata dal panico.
«Che c'è?» sibilò l'altro, senza distogliere gli occhi da Gellert che aveva salito i primi gradini per avvicinarsi al Cancelliere Supremo.
Lo sguardo di Cyrillus saettò verso le prime file per poi tornare a posarsi sul Cancelliere. «Ha Strauss tra i suoi sostenitori» mormorò rivolto al compagno.
«E allora?» chiese Emil senza capire.
«Friedrich Wolfang Strauss, il principe di Vestfalia. Uno dei sette Grandi Elettori, il più potente dei sette Grandi Elettori» spiegò Cyrillus, cercando di far entrare in quella zucca vuota di Emil che cosa significava tentare di opporsi a Gellert in quel momento: era un suicidio. Era troppo tardi per qualsiasi azione di forza.
«E allora?» ripeté Emil, allargando le braccia come se fosse incapace di comprendere la titubanza dell'altro. «Anche tu sei uno dei Grandi Elettori! Sei il principe di Baviera, per la bava di Thor!»
«Ssssh!» gli intimò Cyrillus, ora più che mai preoccupato per la loro incolumità. «Non capisci cosa sta succedendo? È un colpo di stato che Gellert probabilmente organizza da mesi, se non da anni! Che cosa pensi potemmo fare io e te?»
«E dovremmo starcene qui con le mani in mano?» sibilò in risposta Emil, frustrato per l'ignavia del suo compagno.
Cyrillus era certo che Emil lo considerasse uno stupido, imbacuccato Purosangue, ma non aveva alcuna intenzione di farsi ammazzare in un modo così incosciente. Non poteva farci nulla, anzi, non ne aveva alcuna intenzione!
Far espellere Gellert da Durmstrang, quando aveva scoperto le sue pratiche di Magia Oscura, era stato doveroso, ma totalmente privo di rischi per la sua reputazione o la sua carriera scolastica; anche se se ne era leggermente dispiaciuto, alla fine, e per questo aveva cercato di rimediare offrendo al vecchio amico di scuola un posto come operaio nella sua fabbrica di calderoni - visto che senza titolo di studio non poteva aspirare a ricoprire grandi cariche - non significava che avesse smesso di sospettare di lui. Era sempre stato strano, Gellert, e quanto mai inafferrabile, come un dannato, debole soffio di vento che si trasforma all'improvviso in un tornado.
Ma, ora come ora, tentare di fermare quella follia era un vero suicidio. E lui era forse un imbacuccato Purosangue, ma non era affatto stupido.

Emil sbuffò e si voltò impotente verso Gellert, che era ritto in piedi, un gradino sotto il Cancelliere. Era di spalle e per questo non riusciva a vedere la sua espressione facciale, ma Emil era certo che stesse sorridendo. Quello stesso sorriso folle e spaventoso che a volte aveva visto balenare sulle sue labbra sottili, ma al quale non aveva mai dato molto peso. Che stupido che era stato! Possibile che non fosse riuscito ad accorgersi degli oscuri semi di follia che germogliavano nel suo vecchio compagno di scuola?
Gellert e il Cancelliere si scambiarono qualche battuta, ma erano troppo distanti perché si potesse capire cosa stessero dicendo. E poi accadde: tre delle guardie personali del Cancelliere sfoderarono le loro bacchette e le puntarono contro gli altri uomini della sicurezza. Gellert aveva coinvolto anche quelle: corrotte, persuase a stare dalla sua parte o, più semplicemente, assoggettate con un Imperio.
Il Cancelliere, ormai vinto, chinò il capo e si levò la fascia rossa che portava al collo, con il rubino come pendente, simbolo del suo potere. La lasciò cadere a terra, in un vortice di seta vermiglia.
Gellert la appellò con un semplice movimento della bacchetta, la prese in mano e la ammirò per parecchi secondi. E poi, con un ultimo grande sospiro, la indossò.
La storia era compiuta.
Si voltò verso la folla e alzò le braccia al cielo, in segno di potere. «STATI DELLA FEDERAZIONE GERMANICA, ECCO IL VOSTRO NUOVO CANCELLIERE SUPREMO!» tuonò, in una maledetta, perfetta reincarnazione di una qualche divinità nordica.
Un brivido percorse la folla. Alcuni applaudirono e inneggiarono al nuovo Cancelliere, altri tremarono, alcuni scapparono.
«Non vorrei suonare melodrammatico» sussurrò Emil, con il cuore in gola, rivolto al suo compagno Cyrillus. «Ma questo... questo è proprio l'inizio della fine».








Ecco qui una piccola one-shot di nuovo su Grindelwald che avevo scritto per QUESTO contest. Inutile dire che sono rimasta un po' delusa dalla posizione in classifica (undicesima) e Geller è molto arriabbiato con me per questo, ma devo ammettere che fa bene al mio animo serpeverdesco prendere qualche botta in testa, ogni tanto! ;)
Temo che un Gellert davvero cattivo non sia ancora apprezzato nel fandom... lo so, io lo esaspero in modo impressionante, arrivando a postulare il fatto che Gellert NON fosse innamorato di Albus, ma lo vedesse come un alter idem, qualcuno con cui realizzare il proprio progetto di dominio; tuttavia bisogna ammettere che Gellert è stato un mago oscuro molto potente e molto cattivo, non il bell'angioletto biondo con cui si sollazzava Albie a Godric's Hollow! Uff, nessuno mi capisce! Ah, QUI l'immagine della storia: Gellert che marcia su Berlino. Avanti, non è un figo da paura?
QUI invece un immagine che rappresenta i tre bracci destri (bella espressione!) di Gellert, che in questa storia vengono solo nominati ma che avranno un gran peso nel regime.
Bene, ho detto tutto. Perdonate lo sproloquio, la causa di un Gellert cattivo mi sta troppo a cuore!
Grazie a tutti,
Beatrix B.

QUIil banner della storia fatto dalla gentilissima giudice TheGhostOfYou (che ringrazio per puntualità e precisione!):


EDIT dell'aprile 2015: la storia ha partecipato al contest "Passate inosservate - Il contest del riscatto", dove si è riscattata parecchio, arrivando prima!
Non posso dirvi quanto sono soddisfatta di questo risultato!
Tra le recensioni trovare il dettagliatissimo e puntuale giudizio della gentile giudice Isidar Mithrim e qui sotto il fantastico banner che ha realizzato:

   
 
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