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Autore: Una Certa Ragazza    09/05/2012    6 recensioni
Quando il Generale Maggiore Roy Mustang subisce un attentato, a Riza Hawkeye non resta altro da fare se non vendicarlo. Ma chi si nasconde davvero dietro all'organizzazione terroristica che semina distruzione in tutto il paese? Nonostante le premesse non è una storia tragica. Royai con meno fluff possibile. Longfic, post-brotherhood e manga. Giallo per precauzione.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E finalmente aggiorno! Sono talmente in ritardo che... che non mi viene neanche in mente un paragone azzeccato per esprimere quanto io sia in ritardo.
Mi scuso, sono davvero dispiaciutissima ma questo dal punto di vista del tempo è davvero stato un periodaccio. !
Ora sono messa un po' meglio, ho finito il romanzo che stavo scrivendo (ci sarebbero un po' di revisioni da fare, ma ho la sensazione di aver già fatto il grosso del lavoro in termini di tempo), lo spettacolo teatrale se dio vuole è finito e il polo di filosofia anche, e la gente ha momentaneamente smesso di chiedermi di fare qualsiasi lavoro gli venga in mente di farmi fare, per cui entro due-tre settimane (che già sono tante, è vero) dovrei aggiornare di nuovo.
Ci sarebbero ancora l'esame di maturità e quello per entrare a medicina, ma quelli li liquido in un attimo (*"Non è vero, ti tremano le gambe" NdMe*).
Scusate ancora, per farmi perdonare questo capitolo è leggermente più lungo degli altri e vi ho fatto un disegno *arrivano pomodori dal fondo* Ehi, siamo in tempi di crisi, non si spreca il cibo! U.U
Ok, dopo molta fatica sono riuscita ad inserire l'immagine! Ringrazio Neutraldarkside (e la sua amica) per avermi detto come fare!
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Nei suoi occhi c’è la vita, c’è l’amore

sul suo corpo c’è la febbre del dolore

sta seguendo una luce che cammina

lentamente tanta gente si avvicina.

[...]

Mille voci come sabbia nel deserto

mille voci come onde in mare aperto.

[...]

Liberati dal cemento e dalle luci

il silenzio nelle mani e nelle voci.”

Jehsael”, Ivano Fossati

 

 

Quando ripartirono, né il Generale né il Maggiore fecero ulteriori commenti sulla vicenda.

Anzi, non appena furono saliti in macchina Riza chiese ad Edward di tirare fuori lettera e libro, perché dovevano iniziare a tradurre.

«Cosa facciamo se i terroristi usano un’edizione diversa dalla nostra?» domandò Edward con le sopracciglia aggrottate.

«Questa è la più comune, ce l’hanno quasi tutti.» spiegò Roy.

«Già. Non credo che i terroristi si siano complicati la vita: se comunicano grazie a quel libro e sono sparsi in giro per il paese dev’essere facilmente reperibile, no?» Rebecca faceva le sue considerazioni sgranocchiando i pasticcini che aveva fatto in tempo a comprare mentre l’edicolante incredulo caricava di giornali il povero Havoc.

«E poi, Acciaio, non dimenticarti un fattore fondamentale.» proseguì il Generale.

«Sarebbe a dire?»

«La fortuna.»

Edward si ritrovò a riflettere sul fatto che effettivamente la buona sorte influiva non poco sulla buona riuscita delle imprese, da che mondo è mondo. Solo che spesso i protagonisti delle imprese suddette si dimenticavano di ringraziarla, e lei neppure se la prendeva troppo.

«Come dovremmo leggerli, questi numeri?» chiese Havoc, mentre si rigirava tra le mani la lettera.

«Mhmh» fece Edward pensieroso «Ammettiamo che il primo sia la pagina...poi? Leggi gli altri.»

«46,162 e 2410» lesse Havoc «Quanto ci metteremo?» domandò poi, espirando una lunga boccata di fumo «Dovremo fare qualche tentativo per capire qual è la riga e qual è la parola.»

«Quanto la fai difficile» Edward si appoggiò col gomito al sedile e con la schiena alla portiera, e si girò verso Havoc e Rebecca «Vedi? Non ci possono essere 162 righe in questa pagina, e beh, neppure 2410.» diede un’occhiata al foglio, poi disse con sicurezza «Le righe sono la 4, la 16 e la 24, mentre le parole sono nella prima riga la sesta, nella seconda la seconda, nella terza la decima.»

«Cosa viene fuori?» domandò Rebecca, quasi accoppando Havoc per vedere il libro che Edward teneva in mano.

«Nord.» sottolineò il ragazzo con una matita «Stazione. Diciannove.»

«Ma diciannove che cos’è? Il giorno o l’ora?»

Roy mise da parte i suoi frenetici pensieri su come risolvere la situazione in cui si sarebbero trovati lui e il Maggiore una volta che quella storia fosse finita. Cacciò via dalla sua testa i giornali, le leggi, le domande, via tutto, e rispose.

«Potrebbe essere tutti e due: il diciannove luglio alle diciannove.» dopotutto per pensare a cosa avrebbero fatto una volta fuori pericolo bisognava prima uscirne, e non si trattava di lui, ma di tutto il paese.

«Abbiamo quattro giorni.» precisò Riza.

«Ce la facciamo?» domandò Rebecca, alzando un sopracciglio.

Havoc scoppiò a ridere «Si vede che non lavori con noi, Catalina.»

Quella era una domanda che la squadra di Roy Mustang aveva imparato a non farsi da molto tempo.

 

«Benvenuti a Ishbal.» borbottò Roy quando giunsero in vista della città del deserto. Edward, che si stava lamentando con Havoc di quanto quel pastrano da deserto che gli avevano ficcato addosso fosse fastidioso, ammutolì.

Fino a qualche anno prima, la gente non sapeva nulla di Ishbal. Certo, c'era stata la guerra, questo era un dato di fatto, ma nessuno sapeva veramente cosa fosse successo su quella sabbia che aveva bevuto così tanto sangue.

"Ancora adesso", pensò Edward "Chi non è mai stato a Ishbal non può immaginare questo."

Dall'altura dove si trovavano si vedeva chiaramente la distesa di rovine che si estendeva per chilometri, all'infinito. Un deserto in mezzo al deserto.

Le urla, la gente che correva tra quelle mura che cadevano, l'odore del sangue...

«Mamma!» Un bambino che gridava, nel buio. Un cerchio di trasmutazione. Un rantolio. Al che non c'era più...

«Ed!» la mano di Havoc sulla spalla scacciò quella penosa associazione di pensieri «Guarda là davanti.» superata l'ultima curva, la visuale si aprì su un agglomerato di case questa volta indubbiamente intere. Il centro abitato non era molto grande, ma era già tagliato in due da una ferrovia, e gli innumerevoli cantieri che lo circondavano indicavano che era in via di espansione. Tutt'attorno le tende spuntavano dalla sabbia come margherite, e ancora oltre si aprivano sorprendenti campi coltivati e serre. Dei campi, in mezzo al deserto!

Catalina rise dell'espressione stupefatta di Edward «Ecco qui la nuova Ishbal!»

«Non è un paradiso» disse Havoc senza giri di parole, scoprendosi a guardare quel panorama quasi con affetto «Ma se mi sai dire un posto che lo sia, Capo, mi mangio gli anfibi.» fece una pausa «Sai» disse a Edward «E' stato il Generale a proporre che le rovine della vecchia Ishbal non fossero rimosse. Gli Ishbalan sono stati molto contenti: temevano che volessimo ricostruire sulle macerie e fare finta che la guerra non ci fosse mai stata.»

Roy scrollò le spalle «E' stata una manovra politica.»

Havoc fece un sorriso pigro e non disse niente.

Si fermarono prima che iniziassero le strade sterrate tracciate tra le tende.

«Io e Rebecca andiamo al Quartier Generale, allora?» domandò il Tenente.

«Sì» rispose Roy «Noi vi aspettiamo in piazza: voglio vedere com'è la situazione dopo gli attentati.»

Havoc e Rebecca fecero per eseguire il saluto militare, ma Riza gli scoccò uno sguardo di ammonimento. Nessuno doveva riconoscerli.

Quando i loro amici furono spariti, Roy e Riza si incamminarono puntando verso il centro della città. Edward gli tenne dietro guardandosi attorno perchè sentiva che gli abitanti della tendopoli lo stavano fissando.

Ad un tratto qualcuno sbucò da dietro un drappo di stoffa e lo salutò.

Edward, riavutosi dalla sorpresa, sorrise e ricambiò il saluto. Era il ragazzo che aveva incontrato alle rovine di Xerses così tanti anni prima, lo stesso che i dottori Rockbell avevano salvato durante lo sterminio.

«Ed, che fai?» Riza, accortasi che era rimasto indietro, si era voltata verso di lui.

«Ah, arrivo!» disse il giovane, accelerando il passo.

 

La piazza di Ishbal era piuttosto grande, abbastanza per contenere l'enorme fontana ma anche per lasciare molto spazio attorno.

C'era un certo viavai di gente: alcuni discutevano tra di loro, i bambini giocavano e parecchie donne attingevano l'acqua e si fermavano a chiacchierare.

Edward guardò la statua al centro della fontana.

Riza colse il suo sguardo e spiegò a bassa voce: «È dedicata a Ishvara.» non aggiunse che tutte le volte che il Generale Mustang vedeva quella statua la sua espressione cambiava, e lei sapeva perchè anche se non poteva capirlo fino in fondo.

Ma il ragazzo non la stava ascoltando. Quella statua...

Era costruita in una pietra in apparenza porosa che non doveva essere facile scolpire nel dettaglio, tuttavia Edward sentì un freddo glaciale dalle parti del petto anche se era nel deserto in estate e c'erano quaranta gradi.

Ogni tratto inciso su quella pietra era solo un frammento di un disegno più grande, ed era naturale, ogni statua era fatta così, eppure... eppure guardando quella statua in particolare era impossibile dimenticare che tutto fosse uno e uno fosse tutto: non si poteva scordare che quel solco o quella curva, pur in tutto quello che potevano significare, erano in realtà solo una parte della statua, lo stesso materiale a cui si era data una forma diversa.

Edward ebbe la sensazione che la pietra riverberasse, che spandesse ciò che era nel mondo come una musica, come un urlo. E il volto, il volto della statua...

La Verità.

Il giovane provò un'improvvisa vertigine e distolse lo sguardo dalla statua dal volto liscio, sedendosi sullo spesso gradino di pietra squadrata che circondava la fontana.

Roy lo guardò con un'espressione grave e fonda. La Verità pretendeva qualcosa in cambio da chi si avventurava fino a lei, ma anche se non l'avesse fatto avrebbe potuto ritenersi soddisfatta: chi l'aveva vista non tornava più normale, per quante braccia o occhi o corpi potessero essergli restituiti. Mai più.

Ed, che quando cercava di allontanare da sé qualcosa che lo turbava tendeva ad osservare meglio quello che lo circondava, notò che dalla fontana si dipartiva a raggiera una serie di tubi che sparivano immediatamente nel sottosuolo, interrati.

«Dove portano?» chiese con voce rauca, non volendo dare a vedere al Generale più di quanto avesse già fatto. Entrambi sapevano che cosa significava quella statua. Era abbastanza.

«Ai campi» spiegò Riza «Qui sotto c'è una falda acquifera, e il suolo della città è leggermente in pendenza. Questo è il punto più alto, così l'acqua finisce a valle.»

«Adesso stiamo cercando un modo comodo per far arrivare l'acqua corrente nelle case.» aggiunse distrattamente Roy, che da quando erano scesi dalla macchina non aveva detto nulla. Sentiva che l'atmosfera era tesa come una corda di violino.

«Avete fatto un ottimo lavoro.» constatò Edward, osservando quello che erano riusciti a fare in soli tre anni. Non doveva essere stato facile.

«E' il minimo» replicò Mustang in un tono che il ragazzo non riuscì a decifrare «visto quello che abbiamo distrutto.»

«Inoltre quello che vedi è merito della popolazione.» precisò Riza.

Qualunque fossero stati il loro lavoro e i loro meriti lì, non volevano parlarne. Edward rispettò questo desiderio.

Dopo qualche minuto il ragazzo si rese conto che erano diventati oggetto dell'attenzione di parecchia gente. Non era nulla di palese, nessuno li aveva circondati per sentire cosa dicevano o aveva iniziato a darsi di gomito col vicino indicandoli, ma non c'era persona nella piazza che non lanciasse verso di loro occhiate più o meno regolari.

Edward si chiese come avesse fatto a non accorgersi che erano gli unici abitanti di Amestris che si vedevano nei paraggi.

Alla fine una donna si decise a rivolgergli la parola: «Cosa vi porta qui?»

Non aveva esordito con uno "scusate" o con mille salamelecchi, ma nella sua schiettezza era riuscita a sembrare educata.

«Sono un imprenditore di East City» si presentò il Generale «John Smith. Questi sono mia moglie Jane e mio figlio Edmund.»

Edward si sarebbe aspettato di vedere il Generale allungare la mano per concludere la presentazione, invece si toccò il petto, le labbra e la fronte e disse qualcosa che Edward non capì.

La donna spalancò un poco gli occhi, poi si affrettò a ripetere il gesto e replicò con un'altra frase in una lingua che il ragazzo non conosceva.

«Cos'hanno detto?» domandò, inclinando leggermente la testa verso il Maggiore.

«E' antico Ishbalan. John ha detto "pace", e la donna ha salutato dicendo "e pace sia con voi": si dice così, quando due persone si incontrano.»

Ma certo. Non ci aveva mai riflettuto su, ma era ovvio che prima di parlare la loro lingua la gente di Ishbal doveva averne avuta un'altra. Non era stato Al a dirgli che gli appunti del fratello di Scar erano scritti in Ishbalan antico? Si chiese quante lingue che non conosceva fossero sepolte all'ombra di Amestris.

«Sono interessato ai tappeti che producete qui.» proseguì Roy «Penso che si potrebbe trovare un accordo.»

«È una buona notizia.» affermò la donna, quieta «Temo che adesso inizieranno i tempi duri: molti ci ritengono responsabili degli attentati, e adesso anche il Generale Mustang è morto...»

Roy si stupì delle parole della donna «Perdonatemi, io non so niente di queste cose, ma voi di Ishbal non siete soddisfatti della sua morte? Lui...»

«Il Generale ha ucciso molta gente.» lo interruppe dura una donna che si era avvicinata nel frattempo. Portava in testa un foulard arrotolato più volte che le cadeva su una spalla e una cesta di panni tra le braccia «Ma ha anche avuto il coraggio di tornare qui per rimediare a cose che non era stato lui a decidere. Cose che...» distolse lo sguardo e lo piantò lontano, non riuscendo a continuare.

«Noi non perdoniamo.» chiarì la prima donna «Sappiamo quello che ha fatto, ma neppure possiamo dimenticare il suo impegno.»

Di fronte all'espressione stupefatta di Roy, che rimase un lungo momento immobile con la bocca aperta a metà come se volesse dire qualcosa ma avesse dimenticato come si parla, la donna rise senza allegria «Non cerchi di capire il legame tra noi e Mustang. Ci vedrebbe sempre troppo odio o troppo amore.»

«Capisco, invece.» disse quietamente il Generale. Aveva voglia di gridare, di piangere, di dire grazie «Più di quanto immagina.»

«Comunque» riprese la donna con lo scialle sui capelli «non passeremo indenni i prossimi mesi. Adesso che il Generale è morto, chi prenderà a cuore questa zona?» dalle occhiate che il resto della gente che assisteva si scambiò fu evidente che su quel fatto si era dibattuto a lungo.

«Non infastidire questa gente con i nostri problemi, Rada.» disse un uomo, facendosi avanti e mettendo una mano sulla spalla della donna «Scusi mia moglie. Siamo tutti preoccupati.»

«Ora sapete perchè siete i benvenuti qui!» si intromise un ragazzo, in tono più leggero «Ma come mai siete qui in piazza?»

«Quando abbiamo contattato preso contatti con l'amministrazione locale ci hanno fissato un appuntamento con un certo Miles. Dovrebbe arrivare a momenti.»

«Certo. È lui che si occupa dei progetti economici.» fece un giovane con un paio di occhialetti.

Sembrò deciso all'unanimità che fosse l'ora di togliere il disturbo, e la folla radunata lì attorno si disperse e tornò alle proprie occupazioni, anche se molti rimasero nei pressi.

Roy si lasciò cadere sul muretto in preda a uno strano miscuglio di emozioni. C’era la gratitudine verso il popolo di quella terra che era riuscito a capirlo nonostante tutto, ma c’era anche il dolore per quello che aveva fatto, più forte del solito. C’era l’amarezza, c’era il rimorso, c’era un senso di liberazione che paradossalmente rinsaldava un legame.

Era sicuro che gli Ishbalan avrebbero visto la sua morte come un risarcimento, il segno che giustizia era stata fatta. Poco importava che lui coordinasse la ricostruzione della città: le reazioni di un popolo ferito non sono dettate dalla ragione, o dall’utilità.

E invece, sorprendentemente, si fidavano di lui.

Non era sicuro di volere che fosse così. Era più facile fingere di essere in pace con sé stesso se era odiato dalla gente a cui aveva fatto del male.

Alzò lo sguardo e incontrò quello di Riza. Erano stati graziati. Perdonati no, questo mai, ma adesso... era come se gli avessero detto che avevano ancora il diritto di essere al mondo.

«Adesso vediamo di meritarcelo.» disse lei, in risposta ad una domanda non fatta.

Roy fece un cenno, breve ma deciso. Sì, l’unica strada, per il resto della loro vita.

Interruppe il contatto visivo col Maggiore con un’espressione di scusa.

La donna si guardò rapidamente attorno – Edward stava parlando con un’anziana signora che curiosamente sembrava conoscere e le raccontava del suo fidanzamento con la figlia dei dottori Rockbell – e si sedette accanto al Generale, tirando fuori qualcosa dalla borsa.

Senza dire niente gli mise davanti la copia di “Gente di Dublith”.

Roy alzò lo sguardo, perplesso.

«Ha visto che storia hanno usato?»

L’uomo sfogliò il libro finchè non arrivò alla pagina sottolineata da Edward, poi fece una specie di risata malinconica «Evelynn.» disse, quasi con un sussurro «Era la tua storia preferita e non la volevi mai leggere.»

«Già.» disse lei, poi fece una pausa e sollevò il mento, chiudendo per un attimo gli occhi e lasciando che la luce del sole le gocciolasse sul viso «Somigliavo molto ad Evelynn.»

«Ma tu te ne sei andata.» obiettò Roy.1

«Perché non ho incontrato nessun Frank. Ho incontrato lei.» Roy la guardò sorpreso. Sapeva che dire quelle parole doveva esserle costato non poco, perché Riza era così, riservata, silenziosa, e anche dopo tanti anni doveva essere lui ad andare a cercare quello che lei voleva dirgli senza che lei lo dovesse dire ad alta voce.

«Ce l’avresti fatta comunque...» disse infine.

«È sicuro che sarei stata ancora io?» ribatté lei.

Tacquero, non dissero più nulla. Ma Roy si ritrovò a sorridere piano.

 

Tutto ad un tratto l’aria si riempì della consapevolezza che qualcosa stava per accadere, come se mille voci mormorassero senza che nessuno avesse aperto bocca.

Laggiù, in fondo ad una delle strade, la gente faceva spazio ad una divisa blu che procedeva a passo spedito verso la piazza. Nessuno si ritraeva al suo passaggio, ma l’atteggiamento delle persone che aveva attorno era inequivocabile anche da lontano: era circondato da una diffidenza quasi palpabile.

Quando anche Edward si accorse di lui pensò che fosse Miles, ma solo per un secondo: più si avvicinava più diventavano evidenti i capelli castani e la carnagione chiara.

Accidenti, pensò il giovane, ci mancava solo che gli calasse la vista. Un momento, Hohenheim...

Hohenheim portava gli occhiali, maledizione, e adesso anche lui era condannato a vaderci sempre meno!

Nella sua mente prese forma un’immagine di Winri che decideva di trasformare i suoi occhi in automail e un panico neanche troppo sottile, anzi abbastanza invadente, si insinuò in lui.

L’angoscia riguardo al futuro della sua vista non poté durare a lungo, però, perché il soldato sconosciuto era ormai arrivato al limitare dello spiazzo e qualcosa in lui attirò l’attenzione di Edward.

Eppure non era niente di speciale, in realtà. Un giovanotto mingherlino, con una zazzera di capelli castani. Alto e sgraziato, una di quelle persone che si devono piegare goffamente sotto lo stipite delle porte per non sbatterci contro.

L’unica caratteristica degna di nota era lo strano contrasto tra il suo aspetto fisico e la sua camminata militare. Procedeva impettito, troppo anche per un soldato.

Roy e Riza si scambiarono un’occhiata impercettibile. C’era un inconfondibile profumo di guai.

La marcia del giovane allampanato si tradusse in ampie falcate all’inizio della piazza, fino a diventare quella che, se non fosse stata così contegnosa, si sarebbe potuta definire corsa.

Riza si voltò verso Edward nel momento in cui il soldato urtò il giovane.

Subito Ed guardò sorpreso l’uomo che l’aveva scontrato, poi assottigliò gli occhi. Per un attimo a Riza sembrò che volesse fermare l’altro, ma quello era già salito con un balzo sul muretto della fontana.

Calò un silenzio affilato, di quelli che si potevano sentire, forse, solo tra gli asteroidi ghiacciati a miliardi di chilometri da lì.

«Bastardi!» sbraitò concitato il soldato all’indirizzo degli Ishbalan «Bastardi ed assassini!»

Nessuno replicò alla sua accusa. Qualcuno si voltò dall’altra parte, una madre si allontanò e spinse i figli in casa.

Solo Roy e Riza, fino a quel momento ancora seduti sul muretto, fecero un movimento brusco e si alzarono contemporaneamente.

«All’inferno!» urlò ancora l’uomo, tirando fuori dalla tasca un fascio di fogli stropicciati e scagliandogli davanti a sé.

Riza incrociò lo sguardo di un Ishbalan. Era uno sguardo di rabbia rassegnata: si aspettavano una cosa del genere da un momento all’altro, era solo questione di sapere quando il disastro sarebbe esploso.

Il più arrabbiato di tutti però era Roy. Strinse i pugni, furioso, pronto ad intervenire, poi il suo sguardo cadde sui fogli a terra e si tinse di amarezza. Era un dispaccio telegrafico. Un nuovo attentato, altri morti.

Quell’uomo era uno di quelli. Uno di quelli che generalizzavano, uno di quelli che agivano prima di riflettere, uno di quelli che si accodavano volentieri alle opinioni correnti per avere le loro risposte, ma era un atteggiamento più normale di quello che Roy avrebbe voluto ammettere.

Respirò a fondo e abbracciò con un’occhiata l’atteggiamento degli Ishbalan. Non stavano raccogliendo la provocazione.

Sorrise a metà tra sé e sé, pensando che in casi come questo il loro orgoglio tornava utile.

Era meglio che anche lui non facesse niente, se non si fosse reso necessario.

Anche il soldato allampanato parve accorgersi del fatto che nessuno sembrava colpito dalle sue parole. Saltò a terra e si scagliò contro il primo uomo che gli capitò a tiro e gli sputò in faccia con una foga quasi inumana ma a bassa voce: «Morirete tutti.»

Solo in quel momento ci fu un qualche tipo di reazione.

Un uomo si fece avanti per liberare il malcapitato dal soldato, la gente cominciò a parlare e a protestare ad alta voce, Edward borbottò qualcosa che somigliava ad un: «Se l’è presa con lui solo perché è più basso.» e Riza fece un passo avanti.

«Caporal Maggiore Colt, la smetta immediatamente!» disse severa, dimenticandosi che non avrebbe dovuto conoscere il nome dell’uomo.

Nella confusione nessuno ci fece caso.

Il soldato si voltò verso l’Ishbalan che aveva cercato di fermarlo e c’era qualcosa di inquietante in lui che non era né nel volto, né nella piega della bocca, né nello sguardo, era solo nel modo in cui si era girato. Rimase a lungo immobile.

Nessun altro si mosse.

Roy raggiunse la pistola sotto il mantello e tolse la sicura. Non era necessario fare niente di drastico, ma la situazione stava rapidamente degenerando.

Colse con la coda dell’occhio Edward che si avvicinava al Maggiore e le sussurrava qualcosa nell’orecchio, ma tutta la sua attenzione era dedicata a cercare di capire cosa avrebbe fatto Colt adesso.

Era un bravo soldato, Colt. Un semplice. Strinse i denti, pensando che se anche persone che credeva di conoscere avevano tirato fuori il loro lato peggiore allora non poteva sapere quanti anonimi invasati si aggirassero per Amestris.

Si rese conto in quel momento che, se bastava questo per distruggere la facciata mite dietro alla quale tanta gente viveva, allora non sarebbe mai potuto essere del tutto sicuro di aver raggiunto un obbiettivo, di aver fatto anche solo un piccolo passo avanti. Al diavolo, questo non cambiava le cose.

Il Caporale si mosse. Lasciò lentamente la tunica dell’uomo che aveva afferrato e poi, all’improvviso, si lanciò verso l’altro.

Il sole si specchiò sul coltello che aveva in mano.

Uno sparo risuonò nell’aria, ma non era stata la pistola del Generale.

Roy si voltò di scatto verso il Maggiore.

Lei e Edward stavano lì, immobili, Riza con la sua calibro nove in mano, il ragazzo con un’espressione dura sul volto.

Non ci fu un cenno da parte loro, ma c’era qualcosa nel loro sguardo, che guardava oltre lui, che lo costrinse a girarsi di nuovo verso il Caporal Maggiore.

L’uomo era finito contro il muretto della fontana dietro di lui per il contraccolpo, ma dalla ferita proprio al centro della fronte non usciva sangue. Era un’orbita cava, un terzo occhio che li guardava dal buio di un cranio vuoto.

«L’ho sentito prima» disse Ed, a bassa voce, avanzando e portandosi al fianco del Generale «quando mi ha scontrato...» deglutì «suonava come Al.»

Nel frattempo Riza stava aspettando che l’uomo si alzasse, sperando che con un suo movimento tradisse la posizione del suo sigillo così com’era successo per l’uomo che la aveva attaccata due giorni prima.

Colt si sollevò e cercò con lo sguardo chi lo aveva colpito.

BANG.

Un altro colpo, questa volta dritto sulla mano che reggeva il coltello.

Le palpebre di Riza sfarfallarono. Aveva dimenticato come risuonava uno sparo nel deserto, in quel deserto. Un suo sparo. Era un’eco vibrante che aveva dentro sia il tuono sia il silenzio che l’avrebbe seguito. Certe volte, lì ad Ishbal, avrebbe preferito che fosse il suono della morte, invece era il suono di un inferno dove lei restava viva.

L’uomo barcollò, quasi ruotò su sé stesso, ma questa volta non cadde, anche se si piegò e si portò una mano al cuore, sotto l’uniforme.

Sembrava che stesse male, ma Roy e Riza contrassero i muscoli.

Colt rialzò la testa e allungò un braccio davanti a sé, mentre qualcosa che assomigliava più ad una ferita che non ad un sorriso si disegnava sul suo volto.

Una pistola. E la stava puntando contro un bambino.

Ci fu una frazione di secondo in cui la folla fece un rumore che sembrava un singhiozzo. Qualcuno – forse la madre del bambino – gridò. Movimenti, tutti quei movimenti e tutti assieme, senza che potessero fermare la scena in corso. E il bambino stava lì, con gli occhi spalancati e ipnotizzati dalla bocca scura della pistola.

Roy vide tutto questo anche se ognuna di quelle sensazioni separate che lo circondavano facevano parte di un solo attimo.

No, questa volta no.

Il Generale schioccò le dita e una colonna di fuoco divorò l’aria all’improvviso, come se fosse sempre stata lì, nascosta da qualche parte.

Qualcuno che aveva la guerra nel cuore e l’odore di quelle fiamme intrappolato lì con essa gemette, ma i più si abbandonarono ad una semplice esclamazione.

E per l'ennesima volta in quel deserto cadde il silenzio, ma questo era il silenzio di tanta gente viva che tratteneva il fiato.

«Urca!» disse un bimbetto.

Quello che seguì, come tutte le volte in cui c'è una calma quasi religiosa e qualcuno parla, fu il pandemonio.

«I- Il Generale?» balbettò una donna, stordita.

«Ma, ma...»

«Che diavolo...?»

«Quello era un immortale!» esclamò uno degli Ishbalan, che aveva dato una mano il Giorno della Promessa e sapeva degli homunculus.

«Immortale? Ma se è morto!» lo contraddisse confuso un vicino.

«Che sta succedendo qui?» fece una voce autoritaria alle loro spalle.

«Tenente-Colonnello Miles.» salutarono in molti, altri iniziarono direttamente a tentare di spiegare l'accaduto.

Edward si girò e si trovò davanti quello che aveva conosciuto come Maggiore Miles, si stanza al Nord, e che ora aveva sostituito la pelliccia invernale con un mantello più adatto al deserto.

Un orso che aveva fatto la muta.

I suoi occhi però si spostarono subito sull'uomo che accompagnava la sua vecchia conoscenza, si spalancarono.

Un uomo dai capelli bianchi, con la carnagione scura e gli occhi rossi, cosa che in effetti era piuttosto normale in quella regione. Ma Edward conosceva bene la cicatrice che stava tra quegli occhi.

Il ragazzo emise un suono strozzato «Lui!»

«Lui?» fece Roy, non realizzando immediatamente la situazione «Ah, lui. Non te l'avevo detto? È vivo.»

«Ah sì? Tu pensa...» fece Ed, sarcastico.

Miles ci stava capendo sempre meno «Edward? Che ci fai tu qui?» lanciò un'occhiata perplessa a Roy e Riza «E loro due...?»

Si bloccò, mentre registrava anche la presenza della pira ancora fumante e una curiosa forma di comprensione si faceva strada sul suo volto.

«Sì, sì» confermò Edward senza tante cerimonie «sono il Generale e il Maggiore, sono vivi, festa grande eccetera eccetera... ma non li avete incontrati Havoc e il Tenente Catalina?»

La risposta alla sua domanda provenne dal fondo della via che portava al gruppo di tende che era stato nominato Quartier Generale ad interim.

«Eccovi!»gridò Havoc al loro indirizzo non appena giunse a tiro di voce.

«Eccovi tutti!» rincarò Rebecca, agitando le mani come un mulino a vento «Ci hanno spedito a cercarvi per tutta la città. Ma vi sembra l'ora di fare un'ispezione?»

Miles sorvolò sul fatto di essere appena stato apostrofato così da una subordinata. Non era tipo da formalizzarsi, lui. Si girò invece verso il Generale Mustang e il Maggiore Hawkeye, in attesa di una spiegazione meno convulsa e possibilmente più comprensibile.

«Mettetevi comodi.» disse quello che la gente lì attorno non aveva ancora capito se fosse il Generale Mustang o no ma probabilmente sì «Abbiamo parecchie cose da spiegare a voi. A tutti voi.» sottolineò, includendo con un'occhiata anche il gruppo eterogeneo di abitanti di Ishbal.

«Il Generale Armstrong» iniziò Riza, ma si interruppe per un attimo vedendo Miles e Scar irrigidirsi in maniera percettibile.

«Il Generale Armstrong è in pericolo.»

 

 

1 E rieccomi con una nota a piè di pagina, la seconda di questa storia! L’ho messa perché forse non tutti hanno letto “Gente di Dublino”. Mia sorella di sicuro non l’ha fatto *le lancia uno sguardo accusatore*. Dovete sapere che la storia di Eveline (che è famosissima, forse l’avete letta antologizzata, e di cui ho cambiato leggermente il nome) parla di una ragazza che vive col padre e si occupa della casa, vivendo in un clima soffocante e oppressivo, tormentata dal ricordo della madre morta. Questa ragazza vorrebbe fuggire con un giovane, Frank, che si è innamorato di lei, mentre per lei rappresenta solo un modo per fuggire dalla sua immobilità, tant’è vero che alla fine Eveline non scappa di casa, rifugiandosi nella paralisi del suo mondo e lasciando che a partire sia solo lui. L’ho riletta di recente, e c’è qualcosa nell’atmosfera di quella storia che mi ha fatto venire in mente l’ambiente in cui dev’essere vissuta Riza da ragazzina. Mi sembrava la storia più indicata, così l’ho inserita qui... e nel farlo mi sono accorta che le parole sottolineate da Edward nella versione inglese sono davvero in quella storia O.O (se siete scettici andate a controllare). Forse esiste davvero un ponte tra questo mondo e Amestris...







NOTE di FINE CAPITOLO: La formattazione è venuta fuori pessima ma ancora una volta non ho il mio computer e sto usando Open Office. Si fa quel che si può XD
Come promesso a Silvery Lugia, adesso racconterò che fine hanno fatto i baffi di Roy, o meglio dove sono iniziati. Per spiegarlo devo tornare un po'indietro all'interno della mia storia, precisamente al momento in cui Winri ha chiuso la porta alle spalle di Roy e Riza che si allontanavano da casa sua...

*Winri si avvicinò alla bacheca delle foto, dove un Generale in uniforme da parata sfoggiava un paio di baffetti alla Erast Petrovic (chi ha orecchie per intendere...). A prima vista sembravano veri, ma ad uno sguardo più attento era evidente che a farli era stato un pennarello appartenente ad un certo Edward Elric.
Winri sospirò; fortuna che il Generale non aveva visto la foto...


 
 

   
 
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