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Autore: Amy Dickinson    13/05/2012    2 recensioni
Ciao a tutti,
questa è la prima volta che scrivo una storia su Twilight e non ho la più pallida idea di cosa ne verrà fuori, comunque... spero che vi piaccia!
Non c'è moltissimo da dire, la fanfiction è ambientata in Inghilterra, nella città di Manchester e la protagonista è il mio personaggio femminile preferito sia nei film che nei libri della Meyer: Alice. La nostra piccola Cullen è una ragazza inglese di appena 20 anni, è una studentessa universitaria che vive insieme all'amica Bella, conducendo una vita normale, tranquilla e forse anche un po' monotona. C'è effettivamente qualcosa che manca nella sua vita, lei finge che la cosa non le pesi e che tutto sia regolare ma in effetti... - può andare come anticipo?
Leggete! :) Magari se vi è piaciuta lasciatemi qualche recensione... d'accordo, vale anche se non vi piace! Fatemi sapere comunque e per favore non siate troppo severi con me, un abbraccio.
Amy
P.S. Mi scuso sin da ora per eventuali errori di svariato genere, appena possibile correggerò le sviste e posterò la conclusione. Spero che possiate comunque godervi il contenuto. Grazie dell'attenzione ^^
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Living in Manchester - Saga'
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Ritrovarsi 


“Porca miseria!” commentò Bella portandosi le mani alla bocca, non appena Jasper ebbe finito di raccontarle per filo e per segno quel che era accaduto. 

“Scusate se non vi ho avvertiti prima ma sono stato interrogato dalla polizia e non mi hanno dato modo e tempo di fare nulla, sono tornato meno di mezz’ora fa” spiegò, provato. 

“Non preoccuparti di questo. Piuttosto, i medici ti hanno fatto sapere qualcosa?”

“No. Ancora non mi hanno permesso di vederla”

“Accidenti…”

Jasper camminava su e giù per il corridoio dell’ospedale, non riusciva a stare fermo né a darsi pace. “Se solo quel maledetto treno fosse arrivato in orario…” sibilò, angosciato. 

“Jasper, adesso smettila di tormentarti, okay?” intervenne subito dopo Edward, seduto accanto a Bella. “Siamo tutti in pena per lei. Purtroppo è successo quel che è successo e nessuno può farci niente. È inutile fare congetture, ormai”

Il giovane Hale si limitò a sospirare. Era vero, erano tutti preoccupati per Alice eppure cercavano di mantenere la calma e i nervi saldi. Ma lui non ci riusciva, anche se non era affatto colpa sua, si sentiva responsabile. 

“Ragazzi! Ho fatto prima che ho potuto. Che cos’è successo a Alice?” sopraggiunse qualche minuto dopo Emmett. 

“È una situazione delicata, Emmett. Siediti” lo invitò il fratello. 

“E lui che ci fa qui?” domandò il maggiore dei Cullen non appena ebbe notato Jasper.

“Senti, adesso non ricominciare. Metti da parte il risentimento e ascolta quello che ha da dire” intervenne prontamente il rosso. “Devi farlo, perché è l’unico che era presente”

“D’accordo” sbuffò. “Ma sii chiaro e conciso”

Emmett ascoltò in silenzio il racconto di Jasper, non lo interruppe né gli si rivoltò contro quando seppe che sua sorella era stata accoltellata per essersi messa in mezzo – cosa che, invece, era temuta sia da Bella che da Edward. 

“Se solo avessi quel bastardo qui, davanti a me, non so cosa non gli farei!” esclamò furibondo, stringendo i pugni.

“Ti capisco perfettamente, se non fosse arrivata la polizia e avessi continuato a colpirlo, non credo che sarei riuscito a fermarmi” commentò Jasper con amarezza, tutt’altro che orgoglioso di sé.

“Avete parlato con i dottori?” domandò subito dopo Emmett, rivolgendosi al fratello minore. 

“No” rispose Edward. 

“Ma non avete chiesto nemmeno alle infermiere?” 

“Ci ho provato ma mi hanno detto di aspettare” gli disse Jasper. 

Emmett sbuffò ancora, terribilmente in ansia. “Dovremmo dirlo a mamma e papà”  

“A dire il vero l’ho già fatto” spiegò Edward. “Li ho chiamati subito dopo averti avvisato”

“E l’hai fatto senza sapere nulla sulle sue condizioni?”

“Senti, ero in preda al panico appena ho saputo che Alice era stata portata d’urgenza qui in ospedale, non sapevo cosa fare e ho pensato che sarebbe stato giusto così”

“Sarebbe stato meglio se mi avessi interpellato prima”

“E da quando non sono padrone di parlare con i miei genitori e metterli al corrente di quanto succede?”

“Ehi, calmatevi! Non è proprio né il momento né il luogo per discutere. Emmett, secondo me Edward ha fatto benissimo ad avvertire i vostri genitori, non vedo per quale motivo avrebbe dovuto aspettare, data la gravità dell’accaduto. Edward, cerca di capire tuo fratello, è anche lui molto preoccupato per Alice” intervenne prontamente Bella, cercando di calmare gli animi. 

Nessuno dei due rispose, si limitarono a tacere e a guardare altrove.

Jasper se ne stava in piedi, appoggiato alla parete opposta. Aveva qualche cerotto qua e là e gli era stato somministrato un antidolorifico da una delle infermiere di turno. Si sentiva a pezzi ma non gliene importava niente, era troppo in ansia per la sua Alice per preoccuparsi anche minimamente di se stesso.

“Signorina, non corra in ospedale!”

“Chiedo scusa”

Anche Rosalie fece la sua comparsa.

“Ho preso un permesso, scusate se sono arrivata solo ora. Come sta Alice?” chiese subito, avvicinandosi al fratello e scrutando i cerotti con aria preoccupata.

“Ancora non sappiamo nulla” ripose Bella, scalando di una sedia per darle modo di sedersi.

Per un attimo lo sguardo di Rosalie incrociò quello di Emmett, solo un istante, poi ognuno lo spostò altrove.   

“Ma cosa è successo esattamente?” chiese poi, rivolgendosi a Jasper. Dopo che le ebbe dato spiegazioni, nel corridoio calò un silenzio intriso di tensione che si protrasse per una buona mezz’ora, finché sopraggiunse un’ infermiera. “Siete parenti di Alice Cullen?” chiese, squadrandoli uno ad uno. 

“Sono il fratello” si affrettò a rispondere Emmett. 

“Anch’io” fece eco Edward. 

“Noi siamo i genitori” si aggregò una voce maschile un po’ trafelata. I presenti si voltarono nella direzione da cui proveniva. All’inizio del corridoio erano appena apparsi un uomo e una donna, Carlisle ed Esme Cullen. 

“Seguitemi, prego” disse loro l’infermiera, facendo strada. 

“Ragazzi, aspettate qui. Torneremo presto” fece Carlisle, fermando con un gesto della mano i figli che si erano appena alzati in piedi con l’intento di seguirli. 

“Loro sono il signore e la signora Cullen?” domandò Jasper.

“Esattamente” rispose Bella. 

Diverso tempo dopo Esme e Carlisle tornarono in corridoio. 

“Scusate, non vi abbiamo nemmeno salutati” disse la signora Cullen. 

“Non preoccuparti, Esme, data la situazione è l’ultimo dei problemi” la rassicurò subito Rosalie che, ormai, aveva raggiunto un certo grado di confidenza con la donna. 

“Buonasera” salutò Bella.

“Ciao, cara” le risposero i coniugi. 

“Ah, questo è mio fratello Jasper” fece Rosalie, presentandolo.

“Signor Cullen, signora Cullen” disse rispettosamente, stringendo loro la mano ma riuscendo a guardarli negli occhi solo per un momento. 

“Allora, che cosa ha detto il medico?” domandò Emmett, infastidito da tutti quei convenevoli.  

“Il dottor Laurent ci ha detto cosa è successo ad Alice” spiegò Carlisle. “La coltellata ha provocato una ferita piuttosto profonda ma, fortunatamente, dalle analisi fatte risulta che nessun organo vitale è stato toccato. A quanto pare non è stato facile fermare l’emorragia, ha perso molto sangue e quindi il suo fisico è debilitato. Hanno dovuto farle subito una trasfusione e iniettarle adrenalina per aumentarle perfusione e pressione e…”

“In parole povere è debole, ha bisogno di riposo, ma è fuori pericolo” disse la moglie, semplificando la sua spiegazione da medico.

“Conosco Laurent, abbiamo frequentato un paio di corsi insieme mentre studiavamo a Cambridge, è un bravo medico e mi fido di lui”

“Se lo dici tu lo sarà senz’altro, caro” 

La notizia rasserenò i presenti, tanto che poterono tirare un sospiro di sollievo.

“Ma adesso come sta? Non ci hanno permesso di entrare” fece Edward. 

“Sappiamo solo che non ha ancora ripreso conoscenza” rispose Carlisle.

“L’orario di visita è terminato” intervenne l’infermiera che, chiaramente, aveva ascoltato l’ultima parte del discorso. “Tuttavia il dottore mi ha chiesto di fare un’eccezione concedendo cinque minuti ai signori Cullen”

“Lo ringrazi da parte nostra” si affrettò a dire Carlisle. 

“Cosa? Ma…” stava per dire Jasper ma Rosalie gli appoggiò una mano sulla spalla. Lui non proseguì ma mise il broncio. 

Esme e Carlisle entrarono nella stanza accompagnati dall’infermiera che aveva in mano una sacca per la fleboclisi. La donna comunque uscì quasi subito, lasciandoli soli con la loro figlia. 

Trascorse qualche minuto e Carlisle tornò in corridoio. 

“Allora?” chiese Emmett.

“È ancora priva di sensi” rispose. 

“Quando credi che si riprenderà?” domandò Edward. 

“Onestamente non so fare una previsione”

Bella accarezzò il braccio a Edward per fargli sentire la propria vicinanza, Rosalie tenne lo sguardo fisso su Emmett ma lui, intento a guardare il pavimento con aria pensierosa, non se ne accorse.

“Ragazzi” fece poco dopo Carlisle, richiamando l’attenzione dei presenti. “Ora che Esme e io siamo qui non c’è alcun bisogno che rimaniate, ci occuperemo noi di Alice”

“Io rimango” sentenziò il figlio maggiore, quasi interrompendolo. 

“Non è il caso, vi stanchereste soltanto”

“Papà, non capisci che siamo preoccupati?” intervenne anche l’altro. 

“Certo che lo capisco, so quanto le volete bene. Tuttavia, sia io che la mamma crediamo che sarebbe meglio se restassimo solo io e lei”

“Ma papà, siamo adulti ormai, credi davvero che non riusciamo a reggere una notte in bianco?”

“Non si tratta di questo”

“E di cosa allora?”

“Semplicemente, pensa un po’ a te stesso: so bene quanto tu sia in ansia per le condizioni di tua sorella ma, innanzitutto, ci è già stato assicurato che non corre alcun pericolo, poi non credi che sarebbe meglio se mangiassi un boccone e andassi a riposare? Devi essere in forze per affrontare i tuoi impegni”

“Cosa vuoi che me ne importi adesso?”

“Dovrebbe importarti, invece. Non hai motivo di preoccuparti, Alice si riprenderà, è solo questione di tempo. Non puoi stare qui, ci siamo già noi, e non dovresti perdere tempo e saltare le lezioni, è fondamentale che tu sia sempre presente e che studi sodo se vuoi diventare un bravo medico. E non dimenticarti che, per vivere, devi anche andare a lavorare. E la cosa, naturalmente, vale per tutti” 

Il ragazzo stava per ribattere ma Bella lo anticipò. “Edward, quello che tuo padre sta cercando di dirci è che è del tutto inutile stare qui, non c’è niente che possiamo fare, non saremmo d’aiuto ma solo di intralcio” spiegò. 

“Vedi? Bella ha capito cosa intendevo dire”

“Inoltre solo adesso siamo in cinque e stiamo occupando molti posti qui in corridoio, dovremmo lasciarli liberi nel caso in cui arrivasse un paziente in condizioni più gravi accompagnato dai propri parenti. Ci sono loro, chi meglio dei genitori può prendersi cura di una figlia? A maggior ragione se Carlisle è un medico”

“Non potrebbe essere in mani migliori” aggiunse Rosalie, rafforzando le parole dell’amica. 

Edward sbuffò. “D’accordo” convenne. 

“Non vi sto cacciando ma, davvero, non serve stare qui” 

“Allora andiamo” disse Bella, alzandosi in piedi e stringendo la mano a Carlisle. Edward la seguì, poi fu il turno di Emmett. “Papà” fece quest’ultimo. “Per qualsiasi cosa – e intendo qualsiasi – non esitare a chiamarmi, a prescindere dall’orario”

Carlisle gli sorrise, appoggiandogli entrambe le mani sulle poderose spalle. “Non dubitarne, figlio mio”

Infine toccò a Rosalie salutare il dottor Cullen. 

“Non era necessario che ti disturbassi ma grazie per essere venuta anche tu” disse l’uomo, stringendole le mani con fare paterno.

“Non dirlo nemmeno per scherzo, Alice è tra le persone a me più care, non poteva essere altrimenti” rispose.

“Sei sempre molto cara. Emmett è davvero fortunato ad avere una donna come te al suo fianco”

Rosalie sorrise, mal celando però un po’ di nervosismo. Né i suoi genitori né i Cullen sapevano del suo recente litigio con Emmett ed era solo grazie alla preoccupazione per Alice che i futuri suoceri non si erano accorti della freddezza che regnava tra loro.

“E lo stesso vale per Edward. Bella è una ragazza sveglia e giudiziosa, non mi sorprende che sia riuscita a conquistarlo” 

“È vero” convenne anche lei, felice che avesse spostato il discorso su un altro argomento.

“A proposito, dov’è tuo fratello?”

“Credo sia sceso al piano di sotto” 

“Allora portagli i nostri saluti, buonanotte”

“Non mancherò, buonanotte”

 

 

“È stato meglio così, caro” disse Esme poco dopo. 

“Già” rispose il marito. 

Alice era sdraiata supina, dalle coperte usciva solo un braccio dove era stata attaccata la flebo. Esme sedeva su una sedia posta accanto al letto e accarezzava piano il braccio della figlia. Carlisle se ne stava in piedi, una mano sulla spalla dell’adorata moglie. “Povera piccola” disse l’uomo, con un’espressione tesa in volto. 

A lungo rimasero in silenzio, fissando la ragazza, sperando che potesse riprendersi da un momento all’atro. Ma non accadde nulla. Poi qualcuno aprì la porta.

“Scusate, mi sembra che siano passati più di cinque minuti” disse l’infermiera di poco prima, entrando e dirigendosi vicino al letto per controllare la velocità di discesa del liquido nel braccio di Alice. “Capisco che siate preoccupati ma devo chiedervi di uscire”

“Certo, certo. Ci scusi” si affrettò a dire Carlisle, prendendo la mano di Esme affinché liberasse la sedia. Uscirono dalla stanza e presero posto in corridoio dove, ormai, non c’era più nessuno. 

“Sono le nove passate. Vado a prendere qualcosa da mangiare?” chiese Carlisle, fissando l’orologio che aveva al polso. 

“Va bene” rispose la moglie.

“Cosa ti porto, cara?”

“A dire la verità non ho molta fame, mi si è chiuso lo stomaco”

“Neanch’io ho un grande appetito ma, dovendo stare qui, è meglio che ci sforziamo di mangiare o non avremmo forze sufficienti per assistere Alice”

“Pensandoci bene, hai ragione” 

“Faccio io?”

“Sì, caro, qualsiasi cosa andrà bene”

“D’accordo, torno presto” 

Le diede un rapido bacio sulla fronte, si infilò il cappotto e si avviò all’inizio del corridoio, svoltò e scese le scale. Non molto lontano dall’uscita c’era un distributore automatico e un ragazzo sostava davanti ad esso. Alla sua vista, Carlisle cambiò direzione e, anziché uscire dall’ospedale, gli si avvicinò. 

“Jasper?” 

Il ragazzo, sentendosi chiamare, si voltò. Non appena riconobbe il padre di Alice sussultò impercettibilmente. “Ah, è lei, signore” riuscì a rispondere. 

“Avevi sete?”

“Sì, ho la gola secca”  disse e mostrò una bottiglietta d’acqua. 

“Rosalie non ti ha detto che andavano tutti a casa?”

“Sì, ma non me la sentivo di seguirli”

“Avresti dovuto”

“Probabilmente ha ragione, so bene di non poter fare nulla ma le assicuro che non arrecherò alcun fastidio. Sono certo che lei e sua moglie resterete qui per la notte, mi permetta di restare con voi, la prego”

Il suo sguardo diceva molte cose: dolore, stanchezza, angoscia, impazienza, frustrazione… 

“Sto andando a comprare qualcosa da mangiare” spiegò Carlisle. “Cosa posso prendere per te?”

Jasper sorrise a quella domanda, francamente si aspettava più un no che un sì ma, evidentemente, il padre di Alice aveva capito come si sentiva e aveva scelto di non negargli la possibilità di restare a vegliarla, anche se ancora non sapeva il perché di tanta premura. 

“La ringrazio, è molto gentile da parte sua. Temo, però, di dover rifiutare: non ho appetito”

“Ma dovrai pur mangiare qualcosa”

“Davvero, mi conosco, non ci riuscirei. Prenderò un caffè più tardi”

“Sei sicuro? Mi auguro tu non stia facendo complimenti”

“Nossignore, sono a posto così. La ringrazio comunque”

“D’accordo, come vuoi. Allora vado”

Carlisle proseguì verso l’uscita, Jasper, invece, salì le scale e tornò al piano di sopra.

Esme era seduta fuori dalla stanza dove avevano ricoverato Alice, aveva la testa china e si fissava la punta delle scarpe con aria assente. Non si aspettava di veder arrivare nessuno così, non appena incrociò lo sguardo di Jasper, si mostrò sorpresa. “Credevo foste andati via tutti” osservò. 

“Sapevo che lei e il signor Cullen sareste rimasti qui ma non me la sentivo di andarmene” rispose, non senza un lieve imbarazzo. 

“Comunque non stare in piedi, siediti pure”

Jasper acconsentì, prendendo posto su una sedia lungo la parete opposta. Si schiarì la gola, bevve un sorso d’acqua. Per un po’ nel corridoio deserto risuonarono soltanto i rumori provenienti dagli altri piani. Poi però Esme prese nuovamente la parola. “È molto carino da parte tua restare qui” disse. “Però credo che non sia necessario, ti stancherai”

“Oh, non si preoccupi per quello, sono abituato a dormire poco. Voglio rimanere qui, tanto non riuscirei a riposare a casa”

“Tu e Alice dovete essere molto amici se ti preoccupi così per lei”

“Beh, sì… Più o meno”

La donna lo guardò di sottecchi ma lui non aggiunse altro.

“Comunque, immagino saprai dirmi meglio che cosa è successo. Edward mi ha detto che sei stato tu a informarlo dell’accaduto”

“Sì. Temo che non ci sia persona che possa dare spiegazioni meglio di me a riguardo, dato che ero presente” 

Esme si raddrizzò e sembrò concentrarsi.

“Le racconto dal principio” inspirò a fondo. “Vede, io vivo e studio a Birmingham ed avevo detto a Alice che sarei tornato qui non appena avessi dato un importante esame universitario, è per questo che mi trovo a Manchester. L’arrivo del mio treno era previsto per le sei di oggi pomeriggio, così Alice è venuta ad aspettarmi alla stazione. Il treno, però, ha ritardato di un quarto d’ora e, quando sono sceso…”

Fece una pausa che durò per alcuni, lunghi secondi. 

“Quando sono sceso ho sentito qualcuno gridare il mio nome. Era Alice. Così sono corso nella direzione da cui proveniva la voce e ho visto un ragazzo… Era stesa su una panchina e lui le stava sopra, trattenendola con la forza contro la sua volontà. L’ho spinto via immediatamente, mi sono gettato su di lui e abbiamo fatto a botte. So che non avrei dovuto farlo, è da irresponsabili, da ragazzini… Ma ero fuori di me, lui… Quel bastardovoleva stuprarla!” sibilò. Dirlo non fu affatto facile, fremeva per la rabbia, gli tremavano forte le mani. “Mentre ci picchiavamo non sono riuscito a vederlo estrarre un coltello dalla tasca. Il colpo era destinato a me, era me che voleva ferire. Ma Alice si è messa in mezzo all’ultimo secondo e, per proteggermi, si è fatta colpire al posto mio…”

“Oh, mio Dio” riuscì a malapena a dire Esme, sconvolta.  

“Poi è arrivata la polizia e ha chiamato un’ambulanza. Io e quell’altro siamo stati portati in centrale dagli agenti insieme ad alcuni passeggeri del treno che hanno testimoniato in mio favore” continuò, il tono della voce sempre più basso e roco. “Mi sento così in colpa… A quanto pare era una cosa inevitabile dato che lui è un tossico dipendete e un tipo pericoloso già noto alle forze dell’ordine” deglutì. “Ma dovevo essere accoltellato io. Non Alice, capisce? Io! Dovevo essere io a proteggerla e a finire in ospedale, non lei!” 

A quelle parole le lacrime iniziarono a rigargli copiosamente le guance. Esme non sapeva cosa dire. Il ragazzo che le stava davanti, che fino a poco tempo prima nemmeno conosceva, aveva appena asserito che avrebbe preferito essere al posto di sua figlia come a dire che, se Alice avesse rischiato la vita, avrebbe preferito rischiare lui al posto suo. E l’aveva detto sfogandosi in un pianto disperato. Si alzò dal suo posto e corse ad abbracciarlo, infischiandosene del fatto che era poco più che uno sconosciuto per lei. Jasper s’irrigidì improvvisamente, non se lo aspettava. “Non dire così, non è colpa tua. Anzi, hai cercato di salvarla. Sono certa che hai fatto tutto ciò che potevi” gli sussurrò. “Non essere imbarazzato, sfogati pure, so che ne hai bisogno”

Jasper non poté resistere a quel gesto così materno – considerando, soprattutto, che sua madre era sempre assente – e abbandonò la testa sulla spalla della donna, singhiozzando. 

“Ma dimmi, perché Alice era venuta proprio lì alla stazione? Non potevate incontrarvi in seguito?” gli chiese qualche minuto dopo, non appena tornò calmo. 

“Ha ragione, se solo l’avessimo saputo… Ma come potevamo prevedere accadesse una cosa del genere?”

“Anche questo è vero. La cosa che non capisco, però, è perché Alice sia andata da sola, non poteva farsi accompagnare da qualcuno?”

“Purtroppo la situazione è un po’ complicata”

“Che vuoi dire?”

“Nessuno, a parte sua figlia, sapeva che oggi sarei tornato”

“Neanche tua sorella?”

“No, nemmeno lei ne era a conoscenza” 

“E perché non glielo hai detto?”

“Per non mettere in mezzo né lei né gli altri”

Esme, seduta accanto a lui, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a capire.

“Spiegati meglio”

“Non so se sono la persona più adatta per dirglielo ma non vedo altra soluzione” tossicchiò, nervoso. “Tempo fa c’è stato un litigio con Emmett”

“Non ne sapevo niente. Per quale motivo?”

“Perché Alice e io stiamo insieme e suo figlio non è affatto d’accordo”

La donna reagì con meraviglia ma non replicò, così Jasper proseguì. 

“Lui voleva che ci lasciassimo ma non ne avevamo la minima intenzione, così si è messo contro di noi, litigando anche con Rosalie che ha deciso di sospendere il loro matrimonio. Così, pur di stare insieme, ci siamo visti in segreto, senza che lui lo sapesse. Di certo non potevamo coinvolgere ulteriormente chi ci ha appoggiato, per questo Alice è venuta da sola”

“Insomma, mi stai dicendo che tutto questo sarebbe stato causato dalla gelosia di Emmett?”

“Beh, non do a lui tutta la colpa, naturalmente, ma almeno in parte sì. Mi spiace doverlo dire”

Esme si prese la testa fra le mani, non poteva crederci. Sapeva che sia Emmett che Edward tenevano a Alice ma non credeva che uno di loro fosse arrivato a tanto. Emmett, il più maturo o, almeno, quello che considerava tale fino a poco prima. Quella non era una reazione da Emmett, ne era più che certa, suo figlio non si sarebbe mai comportato così, doveva esserci dell’altro. E, non appena lo avrebbe visto, gli avrebbe sicuramente parlato. 

In quel momento tornò Carlisle. “Ti ho preso un panino, non c’era una grande scelta” disse, porgendo una busta a sua moglie. 

“Grazie” rispose, cercando di non mostrarsi scossa – non era il momento migliore per parlargliele, avrebbe aspettato di trovarsi sola con lui. 

“Jasper, sei sicuro di non voler niente?”

“Certo, signor Cullen”

“Comunque ho preso un panino in più, se dovesse venirti fame non esitare a prenderlo”

“La ringrazio” 

I Cullen uscirono per prendere un po’ d’aria e per non sporcare il corridoio, Jasper, invece, rimase seduto al proprio posto. “Hai bisogno di qualcosa, ragazzo?” gli domandò la solita infermiera, facendo capolino da una stanza lì vicino. 

“Beh, forse potrebbe fare qualcosa per me”

“Dimmi”

“Mi permetta di entrare a vedere Alice Cullen”

“Spiacente, è necessario rispettare l’orario di visita e io ho già fatto uno strappo alla regola”

“Voglio soltanto vederla, sia gentile”

“Niente da fare”

“Soltanto un momento, è la mia ragazza e è da quando è stata portata qui che non la vedo. So che le sue condizioni non sono gravi ma voglio vederla, la prego, me lo permetta!”

La donna lo guardò un momento e scosse il capo con esasperazione. “Un minuto, non di più” 

“Grazie!”

Si alzò in piedi con uno scatto, ignorando il dolore diffuso pressoché in tutto il corpo, e si diresse alla porta. L’aprì ed entrò nella stanza, illuminata dalle lampade al neon. Vederla priva di sensi, in quel letto d’ospedale, fu per lui terribile. Si sedette sulla sedia lasciata lì da Esme e le prese la mano. Era quasi fredda, notò, stringendola delicatamente fra le sue pur di scaldarla. “Mi dispiace, amore mio” sussurrò. “Non doveva succedere, no, non a te. Vorrei solo averlo potuto evitare, perdonami se non ci sono riuscito”

La fissò per un momento, Alice rimase immobile. “Ti prego, riprenditi. Voglio ancora vedere il tuo sorriso, il tuo dolce sorriso da folletto” implorò. A quelle parole le labbra della ragazza si piegarono all’insù, rivelando un debole sorriso. Jasper se ne accorse e si alzò in piedi, facendosi più vicino. “Alice?” chiamò. Ma non ottenne risposta e il sorriso, durato solo per un istante, si affievolì. Le accarezzò la testa, rimboccò le coperte e le depositò un leggero bacio sulle labbra. Un po’ come aveva fatto qualche mese prima, la sera della festa di compleanno. Quell’episodio gli sembrò così lontano, quasi come se non gli appartenesse, come se facesse parte di un’altra vita. 

“Allora?” fu l’eloquente domanda dell’infermiera che aveva appena aperto la porta.

“Stavo per uscire” rispose lui, allontanandosi dal letto. 

“Oh, certo…” replicò, sarcastica.

“Grazie di nuovo” si sforzò di dire.

Tornò a sedersi in corridoio mentre la donna entrò e si chiuse la porta alle spalle. Sbuffò all’idea che delle sciocche regole, apparentemente senza senso, lo costringessero a starsene lì impalato anziché al capezzale della sua ragazza. Quella situazione lo inquietava, rendendolo anche molto nervoso e rischiando di far uscire dalle sue labbra espressioni di una maleducazione che non gli apparteneva. Fortunatamente, la donna uscì dalla stanza e se ne andò subito dopo. Quasi in contemporanea tornarono i Cullen. 

“Sei sicura, cara? Ti vedo molto stanca” 

“Sì, non ho intenzione di andare in albergo”

Furono le ultime battute di un discorso cui Jasper era estraneo, perciò preferì non impicciarsi. Li osservò sedersi di fronte a lui senza dire una parola. 

La conversazione con Esme era stata utile, aveva infatti avuto modo di spiegarsi e, nel contempo, di confidarsi con qualcuno e anche di potersi sfogare un po’. Quando le aveva stretto la mano, la donna gli era sembrata subito buona e gentile, ma era stato quando lo aveva abbracciato senza remore, in modo così dolce e comprensivo, come una vera madre, che si era reso conto di quanto fosse sensibile e umana. Era bastato così poco perché tra loro cadesse l’imbarazzo, aveva vuotato il sacco, aveva pianto davanti a lei, cosa che non aveva mai fatto con nessuno prima. Aveva capito di poter parlare liberamente con lei, un po’ come se fosse stata una sorta di Alice del futuro. Non gli aveva detto molto ma sentiva che la donna lo comprendeva e, soprattutto, non lo considerava colpevole per quanto era accaduto alla figlia, anzi, in quell’abbraccio aveva captato un impercettibile senso di gratitudine perché, anche se non aveva potuto evitare che Alice finisse in ospedale, l’aveva salvata dalle grinfie di Jacob, scongiurando il pericolo della violenza. Non sapeva come un abbraccio fosse in grado di comunicare tanto ma, quella volta, era stato così, lo aveva sentito chiaramente nelle sue deboli parole di madre in apprensione e nel suo tocco forte e insieme amorevole. Era la madre della ragazza che amava, non poteva essere altrimenti e, anche se non malignamente, la invidiò un pochino per avere una genitrice così presente. 

Ciò che lo preoccupava, invece, era Carlisle. Non conosceva bene Esme ma almeno aveva capito che tipo di persona fosse, il marito, invece, non era ancora riuscito a inquadrarlo. Appariva molto posato e cordiale, con lui era stato comprensivo e solidale, ma era davvero così? In vita sua aveva conosciuto diverse persone che sembravano in un modo ma che poi, nel tempo, si dimostravano essere differenti. Un chiaro esempio era stato Emmett che si era trasformato da una creatura ibrida a metà tra il perfetto cognato e il migliore amico a una versione del tutto inedita di Otello. Ed essendo Emmett suo figlio, temeva che potesse trattarsi di un ereditario cambio di personalità e che, se avesse saputo del suo legame con Alice, avrebbe reagito anche lui a quel modo. Ma poi si diede dello sciocco anche solo per averlo pensato: non era da lui generalizzare così le persone, forse Carlisle Cullen era diverso e i suoi sospetti del tutto infondati. Attribuì la colpa di certe considerazioni alla sua stanchezza mentale e fisica dovuta, non solo alle emozioni della terribile giornata trascorsa, ma anche a tutto il periodo precedente all’esame. Erano più di due giorni che non dormiva abbastanza ed era del tutto normale che la sua mente fosse poco lucida, sapeva di dover dormire e di non poter pretendere l’impossibile da se stesso – come, invece, stava facendo – ma non riusciva a pensare di dormire mentre Alice era lì in ospedale, l’amore per lei era l’unica cosa che riusciva a tenere a bada la stanchezza. 

Il tempo passò ma con una lentezza quasi irreale. A tarda ora Esme si era appoggiata un momento su una spalla di Carlisle e aveva finito con l’addormentarsi, nel frattempo l’uomo stava sfogliando il Daily Mirror e Jasper si era alzato in piedi e guardava un punto indistinto fuori da una finestra. Il silenzio rimase intatto fino alle quattro passate, quando Carlisle, messo via il giornale, inaspettatamente, prese la parola. “Com’è il tempo là fuori?” chiese.

“Poco fa ha incominciato a piovigginare ma tra un po’ ci sarà un temporale” rispose, senza però voltarsi. 

“Anche il tempo è dispiaciuto per questa situazione” commentò. 

“Già” convenne Jasper, non avendo di meglio da dire. 

“Sai, mia moglie mi ha detto che avete parlato”

‘Come temevo…’ pensò. 

“Immagino le avrà raccontato tutto”

“Esattamente” affermò. “Ma vorrei comunque scambiare due parole con te, se non ti spiace”

“D’accordo”

Jasper si voltò lentamente e tornò a sedersi di fronte a lui, aspettando in silenzio e preparandosi al peggio. Come aveva previsto la pioggia si fece più fitta ed il suo ticchettare sui vetri delle finestre accentuò la preoccupazione del ragazzo. 

“Esme ha detto che Alice ti stava aspettando in stazione” 

“Sì”

“E il treno è arrivato in ritardo, dico bene?”

“Sì, ma perché me lo domanda? Dubita di sua moglie?”

L’uomo alzò un sopracciglio, alquanto perplesso. “Affatto”

“Allora, dubita delle mie parole”

“Ma no, perché dovrei? Volevo soltanto delle conferme”

Jasper si dispiacque subito di aver avanzato certe supposizioni, Carlisle non sembrava avere intenzione di volerlo incolpare. 

“Se non te la senti potremmo parlarne in un altro momento”

“No, no, va bene. Anzi, mi scusi per quello che ho detto, capirà che sono provato”

“Certamente”

“Cos’altro vuol sapere?”

“Mi ha detto che hai picchiato quel ragazzo perché stava importunando Alice”

“Temo proprio che ‘importunando’ non sia il termine più appropriato. Quel… Ragazzo” si sforzò di dire. “Beh, ecco, avrebbe usato violenza a sua figlia se non l’avessi spinto via”

“Mia moglie ha preferito non soffermarsi sull’argomento, evidentemente non voleva farmi inquietare più del dovuto. Comunque ero sicuro che avessi un motivo più che valido per scatenare una rissa, sei un ragazzo giudizioso, si capisce”

“L’incolumità di sua figlia è più di una motivazione per me. Io l’amo, signor Cullen”

Si meravigliò della facilità con cui quelle parole gli fossero uscite di bocca. Chiare, decise, come se il fatto di aver rivelato i propri sentimenti davanti al padre di lei non gli provocasse imbarazzo.  

Carlisle non rispose subito, si limitò a guardarlo e a sorridere. “Sì, lo immaginavo” fece poi. “Sai, Esme è molto intuitiva, le basta uno sguardo e qualche frase per capire al volo chi le sta davanti ed è difficile che sbagli. Dice che non è facile conoscere persone come te, soprattutto tra i tuoi coetanei, e dice anche che Alice è una ragazza fortunata”

Jasper sorrise a sua volta. “Oh, lo sono anch’io, molto di più”

“La proteggerai?” gli domandò a bruciapelo poco dopo. 

“Sempre”

“Benissimo, era proprio quello che volevo sentirti dire” 

“Quindi lei non si oppone a…?”

“Al fatto che vi volete bene? Non ne vedo il motivo. Mi fido ciecamente del giudizio di mia moglie e mi trovo d’accordo con lei”

“Signore, io…”

“Ti chiedo solo di farla felice, di non mancarle mai di rispetto e di non farla soffrire. Puoi garantirmi queste cose? So bene che siete molto giovani ma vorrei che la trattassi come merita”

“Non c’è pericolo, farei qualunque cosa per lei”

“Ne hai dato prova. Non capisco ancora perché mio figlio ce l’abbia con te ma sappi che a me ed Esme piaci, hai il nostro appoggio”

“Grazie, mi fa davvero piacere, non ci avrei sperato”

“Beh, se c’è qualcuno che deve dire grazie, quello sono io” disse. “Grazie per essere corso in aiuto di Alice”

“Non deve ringraziarmi, purtroppo non sono riuscito a impedire che finisse qui”

“Le sue condizioni non sono gravi, si riprenderà e la ferita si cicatrizzerà ma, se quel ragazzo fosse riuscito nel suo intento, le sarebbe rimasta una ferita impossibile da curare e difficile da rimarginare. Perciò non sentirti in colpa, solo una persona innamorata si sarebbe battuta a quel modo, questo la dice lunga su di te” 

“Non so cosa dire”

“Non devi dire niente. Grazie, Jasper, davvero”

Il ragazzo sorrise, ancora un po’ imbarazzato ma comunque notevolmente sollevato. Si era sbagliato sul conto di Carlisle, era davvero la persona che sembrava.  

“Ma dimmi” interruppe il flusso dei suoi pensieri. “Che cosa ne è stato dell’altro?”

“Non lo so. Siamo stati portati in centrale ma poi ci hanno interrogati separatamente e alla fine mi hanno riportato in ospedale dopo che li ho pregati insistentemente di farmi vedere Alice”

“Meglio così, da una parte”

“Sì, mi auguro di non rivedere più quella sua faccia di…” si interruppe appena in tempo. 

“Puoi dirlo, non farti problemi, dopotutto sarebbe il minimo”

“Già” convenne, ma non proseguì. Detto ciò gli scappò uno sbadiglio. 

“Hai sonno, eh?”

“Non così tanto, è gestibile” mentì, rimettendosi in piedi. “Vado a prendere un caffè. Cosa le porto, signor Cullen?”

“Prenderei volentieri un caffè anch’io”

“Okay” 

“Ah, Jasper”

“Sì?”

“Basta con questo ‘signor Cullen’, sei molto educato ma per te sono solo Carlisle”

“Ma signore, non credo di…”

Carlisle” ribadì. 

Il ragazzo si arrese, sorrise e annuì con la testa, quindi scese al piano inferiore. Quando fece ritorno notò che Esme dormiva ancora abbracciata a suo marito e che Carlisle era tornato a sfogliare il suo quotidiano. Insisté affinché l’uomo non pagasse il caffè, sostenendo che glielo stava offrendo lui, ma Carlisle non volle sentire ragioni e lo costrinse a riprendersi i soldi. Passarono almeno un paio d’ore a chiacchierare, trattando diversi argomenti, tra i più disparati, passando dallo studio al lavoro, dalla vita di tutti i giorni agli interessi personali, dalla politica alle statistiche e altro ancora. E così Carlisle scoprì come quel ragazzo avesse fatto breccia nel cuore di sua figlia: era un tipo interessante, intelligente, brillante, maturo ma anche molto simpatico e spontaneo – tutte qualità che sia lui che la sua amata moglie apprezzavano.   

Alle sette e trenta Emmett raggiunse i genitori in corridoio e fu alquanto sorpreso di trovare lì anche Jasper. Dall’aria che aveva doveva aver passato la nottata in ospedale insieme a loro. “Papà, mamma” salutò, avvicinandosi a gran passi.

“Buongiorno, caro” fece sua madre di rimando. 

“Ciao, Emmett” salutò Carlisle, subito imitato da Jasper.

“Allora, ci sono novità?” chiese. 

Carlisle scosse il capo. 

“Speravo si fosse svegliata”

“Ogni caso è a sé e quindi non è prevedibile in quanto tempo un paziente potrebbe riprendere i sensi, dipende dalla gravità delle sue condizioni. Il dottor Laurent dice che potrebbero volerci ore, nel migliore dei casi, oppure giorni” 

Emmett annuì, si tolse il giubbotto e prese posto accanto ai genitori.

“Oggi non devi lavorare?” chiese Esme poi. 

“Sì. Non sono riuscito ad ottenere un giorno di permesso ma un collega mi ha fatto il favore di scambiarci i turni, così oggi pomeriggio andrò a lavorare al suo posto mentre lui attaccherà tra una mezz’oretta” rispose. 

“Carlisle, credevo di averti rassicurato sulle condizioni di tua figlia” sopraggiunse un medico di colore. 

“Laurent!” esclamò.

“L’infermiera mi ha riferito che siete rimasti qui in corridoio per tutta la notte. Capisco la preoccupazione, ma non occorreva, Alice è tenuta sotto controllo e se ci fossero state novità ti avrei fatto chiamare immediatamente”

“Non dubito certo di te, amico mio, ma sono un medico anch’io e capisci che odio starmene con le mani in mano. Non potendo fare nulla, perché ci siete già tu e la tua equipe che ve ne occupate egregiamente, restare qui era il minimo che potessi fare”

“Capisco, capisco. Vi andrebbe di prendere un caffè?”

“Perché no?”

“Viene anche lei, signora Cullen?”

“Grazie, volentieri”

“E voi, ragazzi?”

“Sì” fece Emmett, alzandosi in piedi. 

“No, grazie” disse Jasper. 

Il quartetto si allontanò mentre i due dottori seguitarono a chiacchierare amabilmente, il ragazzo preferì restare solo, invece. Era davvero molto stanco e assonnato ma sapeva che prendere un altro caffè non gli avrebbe fatto bene, quindi – benché ne sentisse il bisogno – preferì rinunciare. Chiuse gli occhi e si passò le mani fra i capelli, scompigliandoli un po’ e facendosi un massaggio alle tempie con i polpastrelli. ‘Resisti, devi esserci quando si riprenderà, e potrebbe farlo in qualsiasi momento. Devi restare sveglio’ cominciò a ripetersi mentalmente, come un mantra. Sapeva che tutto ciò non era salutare bensì un’autentica tortura ma sentiva di doverlo fare per Alice, non gli era andato proprio giù il fatto che quella coltellata, destinata a lui, l’avesse subita lei, credeva fosse il minimo che potesse fare.  

“Jazz, sei già qui?” giunse Edward, ponendogli quella domanda senza nemmeno salutarlo.

“Ehi” sussultò, rendendosi conto della sua presenza solo quando gli rivolse la parola. “Beh, veramente…”

“Non ti sei mosso da qui, vero?” terminò la frase Bella.

“Ciao. Sì, è così” rispose.

“Perché non sei andato a dormire da Rose?” domandò Edward.

“Sapevo già che non ci sarei riuscito”

“Avresti dovuto. Scusa ma devo proprio dirtelo, hai un aspetto orribile”

“No problem, lo so già, amico”    

“Ma dove sono Esme e Carlisle?”

“Al piano di sotto, Bella. Poco fa è arrivato Emmett e il dottor Laurent ha voluto prendere un caffè con loro. Sono scesi pochi minuti fa”

“Allora li raggiungiamo, tu non vieni?”

“No, passo” 

Trascorsero dieci minuti prima che tornassero al piano superiore e, notò Jasper, tra loro c’era anche Rosalie. “Come stai?” domandò, sedendosi accanto al fratello. 

“Bene” rispose subito, anche se poco convinto. 

“Jasper hai gli occhi arrossati…”

“Ho detto che sto bene, non devi preoccuparti, mammina” 

Rosalie scosse la testa e incrociò le braccia al petto, contrariata, ma non disse altro.

“Il mio esimio collega ci ha concesso – nonostante sia contrario al regolamento dell’ospedale – di poter entrare a vedere Alice, a patto che lo facciamo a turno” spiegò un momento dopo Carlisle. “Io aspetterò che torni Esme, quindi se volete entrare, andate prima voi”

Jasper non se ne era accorto prima ma effettivamente mancavano sia Esme che Emmett. Cercando di non chiedersi il perché della loro mancanza, consentì a Edward e Bella di andare per primi dato che lui era già entrato una volta. Poco dopo toccò a Rosalie e in seguito a Esme e Carlisle. 

Quando uscì dalla stanza, Rosalie incrociò lo sguardo di Emmett, attese che lui lo distogliesse come aveva fatto la sera precedente ma ciò non avvenne. Tenne gli occhi fissi nei suoi per un lungo istante, poi le si avvicinò e le disse qualcosa che Jasper, concentrato sulla questione calcistica che Edward gli stava esponendo, non riuscì a sentire. Riuscì solo a vederli allontanarsi insieme e la cosa lo meravigliò non poco. 

 

 

Emmett e Rosalie uscirono insieme in cortile. Aveva da poco smesso di piovere, le nuvole si stavano diradando rapidamente per lasciare spazio al sole e l’aria era limpida e fresca. Distanti pochi passi l’uno dall’altra, rimasero in silenzio per un minuto buono. Si avvertiva un certo imbarazzo da parte di entrambi – ma anche una certa impazienza. Rosalie fissò la sua schiena, stringendosi nella giacca color avorio per ripararsi dall’umidità. Emmett le voltava le spalle, le dita tamburellavano nervosamente sulle tasche dei jeans. “Si può sapere perché hai voluto che scendessimo?” sbottò improvvisamente la ragazza. “Se non hai niente da dire è inutile stare qui al freddo” 

A quelle parole Emmett si voltò nella sua direzione e la guardò negli occhi. Inspirò profondamente e le si avvicinò, arrestandosi a meno di un passo da lei. Il coraggio sembrò mancargli, soprattutto alla vista di quel bellissimo volto inquieto. 

“Ebbene?” incalzò lei.

“Ho commesso un grave errore” riuscì a dire lui.

Rosalie alzò un sopracciglio. “Ma non mi dire” fu il suo commento sarcastico.

Emmett chiuse gli occhi per un istante, cercando di convincersi, una volta per tutte, a dirle quello che gli passava per la testa. Se non ci fosse riuscito, molto probabilmente, l’avrebbe persa. E non se lo sarebbe mai perdonato. Riaprì gli occhi di scatto mentre una nuova determinazione si faceva strada in lui. “Sì, ho sbagliato su tutta la linea. Jasper è un bravo ragazzo, l’ho sempre pensato. Eppure, quando ho saputo che era interessato a mia sorella, la gelosia si è come impossessata di me, anche se, in realtà, non era davvero gelosia, bensì preoccupazione. L’ho usato come scusa per non ammettere il peso delle mie responsabilità di fratello maggiore, mi ha fatto comodo paragonarlo a uno qualsiasi dei bastardi che si incontrano per strada, quelli che voglio solo divertirsi con le ragazze, che le mettono incinte e poi le scaricano. Sapevo che Jasper non era davvero così ma speravo che quel litigio potesse bastare a separarli, così non avrei dovuto preoccuparmi anche dell’incolumità di Alice” si schiarì la gola. “Ma sono stato un vero idiota. Ho messo i miei interessi davanti a quelli di mia sorella, non vedendo quanto tenesse a Jasper e quanto lui tenesse a lei. Non poteva impedire che finisse in ospedale, certo, ma l’ha difesa, se non si fosse messa in mezzo lei, se la sarebbe beccata lui quella coltellata. Avrebbe rischiato la propria vita pur di proteggerla. Questo significa che l’ama. Ma lo stress del periodo mi ha reso praticamente cieco, così tanto da farmi concentrare solo su di me, impedendomi di vedere quello che stavo facendo a tutti. Ho litigato con entrambi i miei fratelli, ho offeso Jasper e… Ho rovinato tutto con te”

Rosalie aveva ascoltato in silenzio, senza interrompere. Quando sentì pronunciargli quell’ultima frase sussultò impercettibilmente ma si trattenne dal rispondere, dandogli la possibilità di continuare. 

“Tu ti sei impegnata al massimo perché tutto fosse perfetto per il giorno del nostro matrimonio, tu hai pensato a ogni cosa, ti ho dato carta bianca perché io sarei stato solo un buono a nulla, non è il mio ramo, dopotutto. Ti ci sei dedicata anima e corpo, nonostante i tuoi impegni, pensando a tutto e curando ogni minimo particolare con una maestria da pochi. Eri così felice ogni volta che mi parlavi dei progressi che il nostro progetto stava compiendo, e vederti così serena rendeva felice anche me. Ma all’improvviso, un giorno, sono diventato così egoista da pensare soltanto a me stesso, vedevo tutto nero e non avevo interesse a guardarmi intorno, c’eravamo solo io e il mio lavoro. Sai, non te l’avevo ancora detto, ma il mio capo aveva annunciato che l’azienda sarebbe stata costretta a fare degli importanti tagli sul personale ed io ero davvero preoccupato a riguardo. Ogni dipendente, proporzionalmente al proprio impiego, avrebbe dovuto superare una prova piuttosto impegnativa e, se l’esito fosse stato negativo, sarebbe stato licenziamento in tronco. Il mio era un compito lungo e difficile e la sola idea di non farcela è stata un’incredibile fonte di stress, ha condizionato ogni aspetto della mia vita e io non me ne sono neanche reso conto”

La ragazza lo guardò con la bocca aperta per lo stupore. “Rischiavi di essere licenziato?” chiese. 

“Sì, se non ce l’ avessi fatta” rispose.

“Com’è andata?”

“Sono riuscito a mantenere il posto” 

“E perché non me l’hai detto subito quando ne hai avuto la possibilità?”

“Eri già totalmente presa dai preparativi del matrimonio e, credimi, mi bastava guardarti per capire quanto potesse essere stressante, non volevo darti altri pensieri” si giustificò. “Soprattutto, non volevo sminuire la tua dedizione né, tanto meno, mandare tutto a rotoli. La situazione mi è sfuggita di mano e ogni volta che tentavo di riparare ai miei errori ci ricascavo, inesorabilmente, accorgendomene solo davanti al fatto compiuto. In questi giorni il mio capo si è complimentato per il lavoro svolto e, inoltre, si è detto così orgoglioso di me da avermi premiato con una promozione e un aumento. Questo ha segnato la fine del mio periodo buio, ho ritrovato la calma e ho pensato a tutto quello che ho combinato e, credimi, sono davvero dispiaciuto”

“Sono passati due mesi, Emmett, non due giorni o due settimane. Due mesi” rimarcò freddamente. “Te ne rendi conto, vero?”

“Lo so, infatti non pretendo nulla da te ma credo che scusarmi sia davvero il minimo che possa fare”

“Ovviamente sì”

“E mi scuserò anche con Jasper”

“Conoscendolo so che ti perdonerà, potrai anche non crederci ma ti vuole bene, nonostante tutto quello che hai detto sul suo conto”

“Mi dispiace, Rose, per te e per lui, dico sul serio e sono pronto a scusarmi anche cento volte, se necessario” 

Rosalie non disse nulla, si morse il labbro e si limitò a guardarlo. Emmett sospirò, il senso di colpa era ormai palese sul suo volto. In un istante coprì la brevissima distanza che li separava, e l’abbracciò. La bionda reagì a quel gesto inaspettato irrigidendosi. 

“Ti amo, Rosalie” sussurrò sui suoi capelli. “So di non meritarti ma sei la donna della mia vita e non potrei sopportare di perderti”

“Emmett…”

“So bene che due mesi non sono pochi e capisco che tu possa averci pensato su e cambiato idea, ma ci tenevo comunque a dirti che i miei sentimenti non sono affatto cambiati”

Tirò indietro la testa per guardarla ancora negli occhi e le accarezzò piano una guancia mentre con l’altra mano le cingeva la vita. “Mi sei mancata come nient’altro in vita mia” continuò. “Sono mortificato per il mio comportamento, sono stato imperdonabile. Ma quello che voglio è stare con te, non solo adesso, ma sempre, fino alla fine. Voglio vivere insieme a te in una casa nostra, essere tuo marito e avere dei bambini. Voglio ancora sposarti, Rosalie, voglio te”  

La disperazione era chiaramente leggibile nei suoi occhi, lucidi come specchi, mentre era difficile capire cosa stesse pensando lei, l’espressione seria, imperscrutabile. Poi chinò il capo, fissando lo sguardo sull’asfalto. “Capisco, non la pensi come me. Okay, rispetto la tua scelta” commentò, lasciandola andare. Nel farlo, tuttavia, avvertì un leggero tremito da parte sua. “Stai bene?” le chiese, prendendole il volto tra le mani e tirandolo su con delicatezza. Rosalie stava piangendo. Istintivamente la strinse ancora una volta tra le sue braccia e le accarezzò i capelli, addolorato dalla cosa. 

“Hai idea di quanto abbia sofferto?” gli chiese, scossa dai singhiozzi. “Sai quanto tu sia mancato a me?”

“Io… Cosa? Davvero?” fece, incredulo. 

“Sì” si allontanò leggermente per poterlo guardare. “Sono stata malissimo senza di te e non voglio ripetere un’esperienza simile, mai più”

“Stai dicendo che…”

“Sto dicendo che ti amo e che anch’io voglio sposarti”

Il sorriso che spuntò su quelle labbra perfette lo fece sentire la persona più fortunata al mondo. Non potendo più aspettare, le prese il volto tra le mani, l’attirò a sé e la baciò. Un bacio appassionato in cui i due futuri sposi riversarono tutti i loro sentimenti: dolore, tristezza, solitudine, risentimento. E amore, soprattutto. 

“Guarda, c’è l’arcobaleno” affermò Emmett poco dopo, ancora abbracciato a lei. 

“Che bello” commentò. “Ma oggi non c’è nulla che mi renda più felice di riaverti con me”

“Già, lo stesso vale per me. La donna che amo è di nuovo tra le mie braccia” annuì, incredulo. “Ora però credo sia meglio rientrare, devo fare una cosa”

Si baciarono di nuovo e poi entrarono nuovamente in ospedale. Il loro ingresso nel corridoio sorprese tutti: Emmett e Rosalie, che fino a poco prima neanche osavano guardarsi in faccia, stavano camminando mano nella mano, sorridenti e radiosi di felicità. 

“Dov’è Jasper?” domandò Rosalie a Bella. 

“Dentro” si limitò a rispondere, guardandola di sottecchi. 

Emmett lasciò la mano della bionda ed entrò nella stanza senza dire una parola. Jasper era seduto sulla sedia vicino al letto e teneva la mano di Alice fra le sue. “Disturbo?” gli domandò.

“No, entra” rispose educatamente Jasper, subito dopo essersi voltato ed averlo notato. 

Riuscì a stento a nascondere la sorpresa. Emmett si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al letto. Guardò sua sorella per pochi istanti, poi si rivolse al futuro cognato. 

“Non si è ancora ripresa, vero?”

“Purtroppo no” 

“Mi sai dire il nome di quel bastardo?”

Jasper alzò gli occhi su di lui e sembrò pensarci su prima di replicare. “Perché vuoi saperlo? A cosa stai pensando? Se ne sta già occupando la polizia” 

“Non ne dubito ma credo tu mi abbia frainteso. Volevo soltanto sapere di chi si tratta, negli anni ho conosciuto molta gentaglia”

“Non è di queste parti, è di Londra” 

“Forse dimentichi che prima di trasferirmi qui vivevo lì”

“Si chiama Jacob Black” disse, disgustato al solo ripensare a lui. 

A quel nome Emmett si adombrò e strinse forte i pugni. 

“Lo conosci?” chiese l’altro, notando la sua reazione. 

“Di vista. Per un anno ha frequentato la stessa classe di Edward e ricordo che mio fratello lo odiava a pelle. A quanto ne so, sparlavano l’uno dell’altro” 

“E perché?”

“Edward odia quelli che per farsi notare prendono in giro le ragazze, non sopportava che avesse fatto lo stesso con due sue amiche dell’epoca”

“E con Alice”

“Già, Edward l’ha scoperto per caso. Credevo che si sarebbe limitato a fare la parte dello stronzo ma, crescendo, è diventato molto peggio. Cercare di approfittare di Alice, soprattutto dopo averla fatta soffrire per mesi…” 

“Non dirlo a me, vorrei solo che il mio treno fosse arrivato in orario. Non sarebbe successo tutto questo, Alice starebbe bene ora e non in ospedale”

“Non tormentarti, la colpa è soltanto mia”

“Come può essere colpa tua? Tu non c’eri nemmeno”

“Se solo non fossi stato così stupido da impuntarmi contro di voi non sareste stati costretti a vedervi in segreto. Alice sarebbe stata accompagnata da qualcuno e quel verme non si sarebbe neanche avvicinato” disse. “Ho affrontato un periodo infelice e ho preferito pensare solo a me stesso, infischiandomene degli altri, non capendo cosa stavo facendo. Mi dispiace per la mia reazione, così insulsa ed esagerata, non meritavate di essere trattati così, nessuno di voi. Scusami, Jasper”

“Prima di scusarti con me, credo che dovresti parlare con mia sorella”

“L’ho appena fatto”

“E cosa ti ha detto?”

“Mi ha perdonato. Il matrimonio ci sarà”

“Siete tornati insieme, quindi?”

“Sì”

Jasper, lasciato da parte lo stupore, si alzò in piedi e sorrise. “Mi fa davvero piacere. In questo caso non posso che accettare le tue scuse”

“Grazie, cognato” fece, abbracciandolo.

“Bentornato” ricambiò, dandogli una pacca sulla spalla.  

Era bello aver ritrovato un caro amico e la donna amata in una sola volta, una vera fortuna. Emmett si sentì molto felice, non ci aveva sperato abbastanza per illudersi che potesse essere perdonato e che le cose potessero tornare al loro posto, invece, era proprio ciò che gli era capitato.

“Voi due abbracciati? Ditemi che non sto sognando” 





I due si volsero contemporaneamente nella stessa direzione. Alice aveva aperto gli occhi e li fissava a bocca aperta, sbattendo ripetutamente le palpebre.

Alice!” esclamarono all’unisono, precipitandosi accanto a lei. 

 

 

__________________________

 

L’angolo di Amy

Ciao gente, 

finalmente ho avuto modo di terminare e postare questo capitolo, che ve ne pare? Siete contente? Io sì, non lo nascondo ^^ Anche se ci ho messo un po’ ad aggiornare spero che il capitolo vi piaccia e spero anche di non metterci un’eternità a postare il prossimo… 

Grazie infinite a Lorelaine86, Orsacchiotta Potta Potta, Alice Joy, alice cullenhales nlgdr per aver recensito e anche a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.   

Prima di salutarvi vi segnalo Good Intent una frizzante e nuova ficcy sempre Alice x Jasper scritta dalla mia Lory, leggete e non ve ne pentirete ^^

Un abbraccio e al prossimo capitolo,

Amy  


  
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