I giorni stavano passando sempre con molta
lentezza. Rick si stava riprendendo, stava guarendo, ma non stava bene lo
stesso. Sentiva che gli mancava qualcosa. E sapeva anche benissimo cos’era
quella cosa della quale sentiva la mancanza.
Non aveva avuto il coraggio di intraprendere il
discorso con la madre. Non voleva sapere se lei c’era stata, mentre lui era in
coma oppure se se ne fosse fregata e avesse continuato a vivere la sua vita,
percorrendo una strada diversa da quella che avevano, fino a qualche giorno
prima, fatto insieme.
Non solo sentiva, però, la mancanza della sua anima
gemella, ma anche quella di sua figlia. Al contrario del primo argomento, il
quale era diventato una specie di taboo tra lui e sua madre, di Alexis, ne
avevano parlato tantissimo.
Avevano ricordato ogni singolo momento di quella
vita finita troppo precocemente. Avevano imparato, insieme, a ridere nel
ricordare certi momenti, ma inevitabilmente le lacrime spuntavano.
Rick ogni giorno, chiedeva scusa a sua madre. Si scusava sempre del gesto che
aveva compiuto. Era stato preso da un momento di tristezza, di depressione, di
stress. Voleva farla finita e in quel momento il silenzio che vi era dentro
alla stanza gli era sembrato una previsione della sua futura vita. Non era
riuscito a sostenere questo pensiero e compì quel gesto del tutto
inscientemente.
A Martha venivano i lacrimoni ogni qual volta Rick le chiedesse scusa.
Ripensare a tutto quello che lei aveva dovuto sopportare, le faceva male. Non
poteva però appesantire di più, il dolore che suo figlio provava; cosi gli
rispondeva sempre che l’importante era che non fosse passato oltre, e che ce
l’avesse fatta.
Poi però la domanda su Kate si faceva sempre più
grossa e diventava sempre più, un peso enorme che ogni giorno Rick cercava di
sopportare dentro di lui.
Martha aveva visto questo cambiamento e con
coraggio l’ultimo pomeriggio che Rick aveva passato in ospedale, gli aveva
detto, guardandolo negli occhi, se avesse bisogno di qualche altra risposta.
Rick sorrise, ancora disteso in quel letto dalle lenzuola bianche. Fece forza
sugli avambracci e poi sulle mani e si mise seduto.
La guardò e le domandò:
“Kate?”
“C’è stata. Sempre.”
Lui la guardò stupito e ripetè:
“ Sempre?”
Martha annuì e poi gli diede la risposta che Rick
attendeva con impazienza:
“ Ha passato giorno e notte al tuo capezzale e ha
fatto un gesto dolcissimo che le avevo chiesto io: ti ha parlato. Ti ha
raccontato quello che avete passato, ti ha raccontato della morte di Alexis, ti
ha supplicato di tornare indietro.”
Rick era ancora più stupito.
“ Perché non è qui allora?”
Martha aprì gli occhi tutto ad un tratto come se
avesse visto un topo alla ricerca di formaggio, che corricchiava su e giù, per
quella stanza.
“ Figlio mio, non ti ho insegnato proprio nulla
sulle donne a quanto pare! Sai, anche noi abbiamo un certo orgoglio! Essendo
che la vostra situazione non era delle migliori e che comunque tu l’hai ferita
con il tuo comportamento, non se l’è sentita di stare qui, anche durante il tuo
risveglio. Avrei fatto la stessa identica cosa, oggettivamente. Devi scusarti
al più presto con lei, anche perché non ha aiutato solo te, ma anche me. E io
voglio che Kate faccia parte della nostra famiglia. So che è quella giusta per
te, per me, per noi.”
Anche quel pomeriggio passò e madre e figlio non
intrapresero più il discorso su Kate. In quelle ore, prima della sua uscita
dall’ospedale, Rick si era fatto più taciturno. Martha sapeva che stava
pensando a cosa fare con Kate, in che modo scusarsi, che gesto compiere, affinché
questa potesse cancellare dalla memoria ciò che lui le aveva inflitto e
iniziare a creare dei nuovi ricordi, più positivi certamente, insieme.
La notte passò lentamente. Rick non riusciva a
prendere sonno. Aveva troppi pensieri che gironzolavano e si sa che quando arriva
la notte e siamo soli con noi, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi
perché.
Non avrebbe mai descritto quella notte come un puro inferno, aveva passato
sicuramente giorni peggiori, ma non fu facile arrivare all’alba del giorno dopo.
Il dottor Benson, prima di firmare ufficialmente le
carte per la sua dimissione, si fece promettere da Rick che sarebbe andato da
uno psicologo.
Non glielo obbligò, ma gli disse che secondo la sua esperienza era più facile
parlare liberamente, senza vergognarsi, con una persona che non si conosce. (*)
Castle aveva troppa voglia di uscire da quell’ospedale, che gli disse di si
talmente frettolosamente che Benson lo prese per un braccio, lo fissò negli
occhi e gli scrisse, su un pezzo di carta, il nome di un suo amico psicologo.
Gli ficcò il bigliettino in una mano e gli disse che avrebbe chiesto in
seguito, al dottore, se Rick andasse da lui a fare delle sedute.
Benson firmò il foglio e gli disse che non avrebbe voluto vedere mai più in
quell’ospedale, poi sorridendo, aggiunse: “ Almeno per qualche mese!”
Rick strinse fortemente la mano dell’omone nero e gli venne in mente ciò che
aveva pensato di quell’anima buona, la prima volta che lo aveva visto.
“Quel
dottore non si poteva definire semplicemente uomo, era un gigante. Aveva la
pelle nera, era pelato e aveva delle mani mostruosamente grosse. A prima vista,
si chiese cosa mai avrebbe potuto fare in quel piccolo corpicino di sua figlia.”
Sorrise al ricordo e pensò che
non avrebbe potuto incontrare un dottore migliore. Lo ringraziò e gli disse che
anche lui, avrebbe preferito non vederlo per qualche tempo.
Il vento lo colpì in pieno viso. Era soltanto da
poco più di una settimana che non vedeva il mondo. Lo aveva guardato andare
avanti, senza di lui, soltanto da una finestra di una camera di ospedale,
nell’ultima settimana.
Nulla gli sembrava cambiato, ma sentiva una strana sensazione dentro di sé.
Forse, non il mondo era cambiato, ma lui stesso.
Per un secondo sentì una stretta interna, si rese conto che l’ambiente
ospedaliero gli sarebbe mancato. Lo avevano viziato per bene. Li tutti si
prendevano cura di lui, non doveva chiedere nulla. Se solo non fosse stato in
coma, se solo sua figlia non fosse deceduta dentro quell’ospedale, avrebbe
paragonato la sua permanenza in quella struttura, una vacanza.
Ora doveva riaffacciarsi completamente nel mondo reale, però. La voglia di
vivere gli era ritornata. Si era reso conto che non poteva buttare la sua vita
all’aria. Doveva continuare a vivere, doveva vivere per se stesso e per Alexis.
Aveva deciso che avrebbe ricominciato a scrivere e in quella settimana,
moltissime trame di libri che avrebbe potuto scrivere, gli passarono per la
testa.
Il primo libro però, che avrebbe scritto, sarebbe stato quello che Alexis aveva
sempre voluto e che lui, non aveva mai avuto il tempo per scriverlo. Il libro
dedicato al fiore che aveva illuminato le sue giornate, quello stesso fiore che
ora era appassito, ma che avrebbe continuato a svolazzare allegro al vento,
dentro di lui.
Aveva deciso che avrebbe chiesto scusa a Kate, finché questa non lo avrebbe
perdonato. Aveva deciso di riprendersela in tutti i modi. E ce l’avrebbe fatta.
Entrò nel suo loft e inspirò l’aria che vi era. Poteva ancora sentire il
profumo di sua figlia. Cercò di fissarselo nella mente, cosi che questo
diventasse uno di quei profumi che ti entrano dentro e non riesci più a
dimenticare.
Martha era andata a fare un po’ di spesa, perché negli ultimi giorni, aveva
preferito stare sempre al capezzale del figlio e cibarsi dei panini e bevande
che vendevano in un bar di fianco l’ospedale.
Lui le aveva detto che se non l’avesse trovato a casa, al suo ritorno, sapeva
che andava a parlare con Kate. Lei sorridendo, gli rispose che sperava sul
serio di non vederlo poltrire nel divano.
Appoggiò lo zainetto che Martha gli aveva portato
per trasportare con più facilità i cambi e le sue cose che aveva in ospedale.
Si andò a fare una doccia rinfrescante, si fece la barba e si tirò a lucido in
tutto e per tutto. Si mise il profumo che sapeva, faceva impazzire Kate,
pensando cosi di avere già in partenza qualche punto a suo vantaggio.
Indossò un paio di pantaloni beige e una camicia celeste chiara che infilò,
accuratamente dentro i pantaloni. Sopra la camicia, decise di mettere una
giacca sportiva di colore nero. Si guardò allo specchio e pensò che quello che
vedeva riflesso, non sembrava affatto un uomo che aveva appena perso la figlia
e che era appena uscito da un coma farmacologico. Si complimentò con se stesso,
era riuscito ad ottenere ciò che desiderava. Sembrava un uomo determinato ad
ottenere ciò che voleva. E lui era proprio quello.
Chiamò un taxi. Questo si fermò, frenando
bruscamente, probabilmente perché lo aveva visto all’ultimo momento.
Salì, ringraziando l’autista e gli diede l’indirizzo di Kate.
Arrivarono prima di quanto aveva immaginato Rick. Forse perché il suo cervello
aveva iniziato a lavorare da solo, senza che lo scrittore lo controllasse.
Non aveva preparato nessun discorso, non si era ricordato di prenderle una
mazzo di fiori. Scese da taxi e pensò che forse, solo all’apparenza era un uomo
sicuro di ciò che voleva. Se Kate lo avesse rifiutato?
Scrollò la testa e decise di entrare lo stesso al portone dell’edificio in cui
risiedeva la sua amata.
Il panico si era impossessato di lui.
Non aveva molto tempo per pensare ciò che voleva fare, ciò che voleva dire.
Certo sarebbe stato ancora in tempo per scappare, andare a casa sua, scrivere
un discorso che avesse un senso logico, comprare un mazzo di fiori e
presentarsi alla sua porta.
E se non fosse stata a casa?
Poi un altro pensiero passò rapidamente nella sua testa. E prima di averlo realmente
compreso, lo disse: “ Quanta voglia hai di rivederla?”
Solo in un secondo momento, si rese conto di aver parlato ad alta voce.
Si osservò intorno, con quell’aria che assume un ragazzino di dieci anni che ha
appena fatto una bravata. Non vi era nessuno.
Basta, non poteva più attendere oltre. Schiacciò il bottone per chiamare
l’ascensore.
Arrivò velocemente davanti alla sua porta.
Trasse un bel sospiro e suonò il campanello.
Un rumore di passi che si avvicinavano, gli fecero capire che Kate era in casa.
Questa aprì piano la porta. Aveva spiato furtivamente dallo spioncino e appena
si era capacitata del fatto che dall’altro lato della porta c’era Rick, ebbe un
tuffo al cuore.
Sporse piano la testa da quello spiraglio che aveva aperto. Voleva essere
sicura che fosse lui.
Rick quando vide che la porta si era aperta per qualche centimetro, si avvicinò
anche lui alla piccola apertura e i loro occhi, inevitabilmente si incontrarono
e si fissarono per diversi secondi.
Se una persona fosse passata in quel momento, per quel corridoio, avrebbe
trovato molto buffa la scena a cui avrebbe assistito. Rick era piegato e
sembrava guardare dentro la porta che era semichiusa. Nessuno però passò per
quel corridoio e nessuno, per una volta, interruppe quel loro unico, momento
magico.
Nessuno dei due batteva ciglio. Erano completamente
incantati l’uno dall’altro. Kate aveva pensato più volte che non avrebbe mai
più rivisto quei splendidi occhi che adesso erano a trenta centimetri dal suo
viso. Rick dal canto suo, sentiva un’agitazione tremenda addosso. Non sapeva
che mossa fare. Avrebbe dovuto parlare e interrompere quel momento? Avrebbe
dovuto sfondare la porta, con il timore di farle del male, entrare in casa,
prenderla e baciarla? Il suo cervello era partito per la tangente e non
collegava più nulla.
Kate sentiva che dal cuore le uscivano lacrime di
gioia e non seppe trattenere un sorriso, che non sfuggì a Rick.
Lei aprì la bocca e, sempre tenendo il suo sguardo fisso su quello di lui,
disse:
“Chi è?”
Rick non seppe non sorridere. Sentiva il suo cuore
che andava da destra a sinistra, avanti e indietro, su e giù.
“ Scusa. Scusami. Sono stato un coglione.” Furono
le uniche parole che uscirono dalla sua bocca.
Lei aprì totalmente la porta di casa. Si mise una
mano sul fianco e guardandolo con L’occhiata che Rick temeva, disse: “ Sai vero
che queste tre parole non basteranno?!”
Lui sorridendole, rispose: “ Lo temevo. Cercherò di
impegnarmi di più.”
Stava per iniziare un discorso, che probabilmente
sarebbe stato infinito. Appena Kate vide che stava per aprire bocca, mormorò un
“ al diavolo! ”, e si catapultò tra le sue braccia.
Commento: End of the game, girls! Avrei voluto non pubblicare mai questo capitolo
perchè cliccare la casella “completa” è triste, ogni volta. L’asterisco l’ho
messo perché credo sia assolutamente vero e per un altro motivo che TU sai.
Vi ringrazio tutte. Vi ho un po’ fatto soffrire con questa FF, ma alla fine
sono stata dolcina anche io. XD
Come vi avevo anticipato, fino alla fine della maturità non pubblicherò e non
scriverò nulla. Mi scuso se non sto recensendo più tanto, ma sempre causa
scuola, non ho tanto tempo. Leggo comunque tutto e siete bravissime.
Queste sviolinate non sono da me, quindi ora la smetto, anche se qualcuno mi ha
detto che qualche neurone in me, sta prendendo altre vie.
Speriamo di rileggerci tra qualche tempo.
Bacioni e BOOOOOOOOOMBE.
Madeitpossible.