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Autore: GirlWithTheGun    17/05/2012    1 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 4

Galvanometer/Letters

 

 

I pensieri di Sirius erano martellanti, si innescavano come bombe a orologeria. Non che portassero a conclusioni vere e proprie: più che altro lo facevano sentire sul punto di esplodere.

Perché Bella piangeva?, la domanda continuava a rimbalzargli di tempia in tempia.

 “Io so che vorrebbe essere felice, e che si odia, per questo”.

“Sono morta”.

Dromeda entrò nel suo campo visivo ciabattando. La guardò deambulare oltre la lunga scrivania.

“Il colorito è circa quello”.

La risposta fu un grugnito. Sua cugina si lasciò cadere mollemente nel divano dello studio.

“Mentre eri in coma è arrivata una lettera per te. Il mittente è… mh! Tale tremolante Ted Tonks. Conosci?”.

“Dammela” disse perentoria Dromeda, facendo comparire la bacchetta da chissà dove. La busta schizzò nelle sue mani.

“Per essere morta hai dei riflessi invidiabili” replicò Sirius, tornando alla sua pergamena.

Stava cercando di scrivere qualcosa di sensato a James, con scarsissimi risultati. Intinse nuovamente la piuma nell’inchiostro. Qui a Bellatrixlandia tutto fila liscio, per or

“PER MERLINO!”.

Sirius sussultò e la ‘a’ di ‘ora’ si trasformò in uno sgorbio a punta.

Dromeda era risalita fino in cima allo schienale e teneva tra le mani la lettera.

“Sì?”.

Perdonami se non sono mai riuscito a dirtelo guardandoti negli occhi ma io… ti amo” lesse ad alta voce sua cugina “PER MERLINO! TI AMO!”.

“La pianti di strillare?” le chiese Sirius, il più cortesemente possibile.

“Ma mi ha scritto ti amo!”.

“E quindi?”.

“Mi ha scritto ti amo!”.

“Credo di aver capito, grazie”.

“Ti amo!”.

“L’anno scorso Georgiana Ronson di Corvonero si è fatta tatuare ‘Ti amo James Potter’ sui seni con l’Inchiostro Ineliminabile. Hanno promosso una petizione per cacciarla dalla sua Casa”.

Dromeda tacque, lo sguardo fisso sul pavimento e una mano sulla bocca.

Sirius tossì un paio di volte nel tentativo di riportarla alla realtà, senza ottenere nessuna reazione. Solo quando andò a sedersi accanto a lei Dromeda diede segni di vita.

“E adesso?” mormorò.

 “E adesso dovresti rispondergli, o dovreste vedervi, incontrarvi a quattr’occhi… credo”.

“Ma io non so se lo amo”.

Gli occhi di sua cugina si fecero grandi e smarriti come quelli di un cucciolo.

“Odio le donne. Come si fa a non sapere una cosa del genere? O lo ami o no!” sbottò Sirius, irritato.

“Odio gli uomini! Sono inutili, per le mutande di Merlino!” esclamò Dromeda, stizzita “Ho sbavato dietro a Tonks per degli anni e non mi ha mai neanche guardata”.

“Aspetta, aspetta… ma lui non è il ‘tipo simpatico’ che hai conosciuto in un pub Babbano?”.

“Beh, certo” rispose lei, colta in fallo “è anche questo. Ma prima di essere questo era quello più grande e ribelle e vagamente vichingo che aveva fatto breccia nel mio cuore di preadolescente senza tette. Quello che mi ignorava felicemente. Si è accorto di me solo a Tinworth, in effetti. E credo che le tette siano il fulcro di tutta questa storia”.

“Un giorno mi spiegherai questa tua insana passione per i vichinghi” disse Sirius, cercando di ripescare il filo conduttore della conversazione “Comunque, tirando le somme… il ragazzo dei tuoi sogni di giovane matricola si è accorto che sei cresciuta e ti ha confessato il suo amore. Solo che ora tu sei confusa”.

“A grandi linee…”.

Sirius si concesse ancora qualche istante di meditazione.

“La posizione di Tonks mi è chiara” concluse “Resta un solo dilemma. Perché ieri sera credo di averti vista infilare le tue mutandine nella sua tasca?”.

 

“Non sto sindacando le tue abitudini da riccastra libertina, voglio solo aiutarti a fare chiarezza!”.

Dromeda  prese le scale scuotendo i capelli lunghi.

“Ma io non voglio fare chiarezza!”.

“Senti, lo guardavi come se volessi mangiartelo, ti sei lanciata su di lui a pesce. E poi tutte quelle frasettine… ti prego! Anche senza l’episodio delle mutandine avrei capito da un miglio che ti interessa”.

Dromeda si voltò prima di imboccare la rampa successiva.

“Avevo solo voglia di divertirmi un po’, ok?” disse, guardandolo dritto in faccia, la voce ferma.

A Sirius venne in mente che tutti i Black mentivano così, con la stessa sicurezza. Dei loro occhi non ci si poteva fidare.

“Questo può funzionare per un uomo, non per una donna. E non per te. Tu sei attratta da Tonks”.

“L’attrazione non è amore”.

“È il trampolino di lancio, e oserei dire che stavolta ha funzionato”.

A quel punto accadde qualcosa che Sirius non aveva preventivato. Lo sguardo di Dromeda divenne liquido. Senza preavviso, lo afferrò per un braccio e Smaterializzò entrambi. Quando si Materializzarono, erano nella sua camera.

Sirius” sussurrò, scuotendo la testa “Quanto sei ingenuo? La tolleranza della nostra famiglia può passare sopra a un poster, sopra ai miei vestiti, ma non potrebbe mai fare un salto così grande. Io sono legata a loro, capisci? Sono mia madre e mio padre, sono le mie sorelle. Non credo di essere pronta a lasciarli”.

“Nemmeno se amassi Ted Tonks?”.

“Non lo so. Adesso non so nulla”.

E Sirius ebbe, improvvisamente, paura.

 

Alla fine, il risultato era stato qualcosa di patetico del genere: ‘Caro James, odio la mia famiglia’. Aveva spedito il gufo di malavoglia, prima di abbandonarsi all’angoscia.

Andromeda era libera, Andromeda poteva cambiare le cose. Continuava a ripeterselo, ma già non ci credeva più. Erano tutti dietro alle stesse sbarre e la gabbia andava restringendosi. Prima o poi, sarebbero rimasti schiacciati.

Bella piangeva.  

‘Io sono legata a loro’.

Cuciti uno all’altro.

‘Io so che vorrebbe essere felice’.

Forse anche Bella aveva creduto di poter decidere. Forse aveva sperato di poter scegliere. Pensò ai suoi occhi. In quel baratro c’era di tutto, ma non aveva mai visto gioia, lì dentro. Non ricordava di averla mai vista felice. Eppure doveva esserlo stata, un tempo… tutti lo erano stati. Vero?

Gli venne una gran voglia di non pensare.

 

*

 

 

Sentì l’Incantesimo penetrare nel fianco e la pelle strapparsi come pergamena. Fece lo stesso rumore. Sentì bruciare.

“Rosier!” l’urlo arrivò da lontano, qualcuno degli altri doveva aver visto, ma Bella non riuscì a riconoscere la voce.

Evan rise, trionfante, piegando la testa all’indietro. Il collo perlaceo teso, la giugulare esposta. Poi l’odore del suo stesso sangue che le inquinava il respiro. Qualcosa, nel sentire così male, le piacque. E un solo pensiero, fisso, galoppante.

Non si fermò. Era una regola, negli scontri. Il primo colpito era sconfitto, morto, il vincitore  ricominciava con qualcun altro e il perdente si leccava le ferite. Il che permetteva che non si ammazzassero tra di loro prima del tempo.

Ma Evan, Evan… con i suoi bei capelli da ragazza, e il suo volto perfetto, e la sua primogenitura perfetta. Suo padre si sarebbe fatto fare lo scalpo, pur di avere un primogenito maschio come Evan. Invece era nata lei, che tutto avrebbe potuto essere e non sarebbe importato: non era un uomo.

Gli si scagliò addosso senza prendere fiato.

Uccidere. Rosier dovette leggergliela negli occhi, quella parola, perché la sua risata si ghiacciò in una smorfia sorpresa. L’Incantesimo fendette l’aria come una scudisciata e tracciò una linea rossa sulla sua guancia candida. Quando Bella vide il furore infiammargli lo sguardo sentì il cuore esplodere nel petto, l’adrenalina schizzare nelle gambe, nelle orbite.

Evan era bravo, terribilmente bravo, ma non gli sarebbe bastato. Schivò il fuoco che le aveva lanciato contro e lo colpì dal basso, nascondendosi nella scia luminosa dell’Incantesimo. Lo vide schivarlo per un soffio e la rabbia le fece affondare le unghie mano libera. Il desiderio di fargli del male era così intenso da accecarla.

Prima che potesse attaccare, un secondo strappo le si aprì nel braccio destro. Vide il sangue sgorgare dai lembi lacerati della carne, bagnare la manica, strappata anche quella.

“Non preoccuparti, cugina, ti faremo dei bei ricami” gracchiò Rosier, di nuovo sorridente.

Bella affondò lo sguardo nella terra bruna, mentre abbassava la bacchetta in atto di resa.

“Hai vinto” mormorò.

“Lo so. Per la seconda volta” disse Evan, rilassandosi.

Intorno a loro si era formato un gruppo di spettatori. Nessuno urlava più, ora?

“Niente di personale, cugina” lo guardò avvicinarsi, tronfio, lo accolse con un sorriso remissivo.

Quando fu abbastanza vicino, lo colpì puntandogli la bacchetta contro l’addome. La scossa elettrica fu così forte che per un lungo istante poté vedere l’azzurro degli occhi di Evan scomparire in un mare di bianco. Poi lui crollò ai suoi piedi con un tonfo.

Il silenzio avvolse tutti come un manto. Avvertì vagamente la rabbia scivolare via, il vuoto ritornare a invaderle la mente. Evan se ne stava lì, accartocciato, con il sangue che gli grondava dal naso alla bocca. E se ci fosse stata lei, al suo posto, avrebbe fatto la differenza? Ormai tutti stavano a guardare, e nessuno muoveva un muscolo. Ma Bella sapeva che non era orrore. Non stavano guardando Evan: stavano guardando lei, e stavano pensando a quanto avrebbero dovuto temerla. Quasi li poteva sentire, distruggersi il cervello e calcolare… calcolare…

Evan rantolò. Le sovvennero tutt’un tratto ricordi d’infanzia, pomeriggi in cui lo aveva ascoltato spiegare come funzionava Hogwarts, dove sarebbe stata smistata, e le sembrò di vedersi, piena di adorazione. Poi ricordò che erano venuti i tempi in cui suo padre si era sincerato di farle capire che il sangue delle donne Black era puro come quello degli uomini, ma che non sarebbe bastato a risparmiarle un matrimonio, a risparmiarle il dovere di farsi ingravidare.

Sollevò la bacchetta.

“CRUCIO”.

“PROTEGO HORRIBILIS”.

Gli occhi verdi di Mulciber parvero ingrandirsi come lune piene nella luce dell’Incantesimo. Bella si vide riflessa nelle sue pupille e, ancora una volta, seppe di non aver visto se stessa.

Quando lo scudo si dissolse, Lucius venne avanti, pacato.

“Non permettere che accada. Mai più” disse.

“Stai attento a chi dai ordini, Lucius” ridacchiò Crouch.

Lucius finse di non aver sentito.

“Lui non gradirebbe”.

Bella non rispose. Voltò loro le spalle e camminò fino a quando non fu libera di sparire.

 

Il suo strillo rimbalzò contro le pareti di pietra e fece rimpicciolire l’Elfo Domestico. Accecata dal dolore, Bella afferrò la bacchetta e lo colpì sul muso con il manico.

“Sparisci!” sibilò, strattonandolo “Ora!”.

Quando l’Elfo obbedì, il bagno del terzo piano ripiombò in una quiete spettrale. Finì di slacciare il corsetto da sola, mordendosi le guance nel tentativo di non emettere un gemito. Fallì più volte, la bocca impastata di sapore metallico. Poi fu la volta della camicia: dove non si era squarciata, il cotone aveva aderito alla carne cruda. Nel toglierla, gemette ancora. Una volta alla luce le ferite brillarono, madide, e lei restò a guardarle a lungo. Le guardò da vicino, nello specchio, provò a toccarle. Non erano tagli normali: era un tipo di Incantesimo che aveva già visto fare a Evan sui gatti selvatici. Mormorò una formula curativa per entrambe, ma il dolore non si attenuò. Bella sapeva che la lacerazione avrebbe continuato a far male per settimane dopo essersi rimarginata. Coprì le ferite con dei panni imbevuti nell’Essenza di Dittamo e si rimise addosso la camicia. Per un momento, pensò di lasciarsi cadere e rimanere distesa sul pavimento fino al giorno seguente, o fino a quando avrebbe avuto di nuovo voglia di alzarsi, di sopravvivere.

Sopravvivere. Gliene mancò il desiderio tutt’un tratto, quando riaprì la porta e vide Sirius. Sembrava la stesse aspettando e nello stesso tempo sembrava proprio di no. Come se avesse immaginato di veder uscire da lì chiunque, tranne lei. Restarono a guardarsi negli occhi per un lungo minuto.

“Scusa, pensavo che Dromeda…” disse lui, poi.

Pensava che fosse stata Dromeda, a urlare come un cane?

La sua voce era strana, fu l’unica cosa che Bella ebbe la forza di realizzare, prima di sentirsi in pericolo.

Il pericolo si trasformò in minaccia concreta quando Sirius, nel tentativo di sfuggire a quella situazione, a lei, fece vagare lo sguardo e incontrò le sue mani. Le mani che Bella non aveva pulito. Chiuse sulla camicia che Bella non aveva cambiato. Sul sangue.

“Cosa ti sei fatta?”.

Lo vide avvicinarsi d’istinto, e la paura diventò terrore, la fece respirare più forte. Vide le sue dita distendersi sul braccio, percepì il loro peso lieve mentre lo attraversavano, fino alla macchia che già iniziava a odorare di marcio. E si sentì un animale braccato.

“Non mi toccare” ringhiò.

Sirius si fermò. Non tornò indietro, ma si fermò e le sue labbra si strinsero. Diventò più pallido.

“Come vuoi” disse, gelido.

“Stammi lontano” replicò Bellatrix, allontanandosi di un passo.

Restò a guardarlo. Voleva essere sicura. Voleva essere certa che non l’avrebbe fatto mai più.

“Devi starmi lontano”.

Se ne andò lentamente, come chi aspetta di essere colpito a tradimento.

 

La porta si spalancò e andò a schiantarsi contro il muro, che emise un gemito di polvere. I cristalli dormienti, riposti nella lunga credenza, tremarono. Sirius comparve sull’uscio con i capelli scompigliati dal vento e le guance accese da dicembre, dalla corsa fino in salotto, dalle vacanze natalizie. Dall’infinità di cose da raccontare. Bella sentì tutto questo e le venne voglia di lanciare il libro che aveva tra le mani nel fuoco. Alzò lo sguardo, gli occhi inciamparono nella sciarpa rossa e oro che si faceva sempre più vicina, annodata stretta al suo collo. Lui le posò un bacio freddo sulla guancia, premette a lungo, come al solito.

“Ciao” fece, allegro, prendendo a spogliarsi.

Bella lo guardò sorriderle e, improvvisamente, non seppe più cosa fare.

Lanciò ogni cosa sul divano, svuotò le tasche sul tappeto, le porse uno scarafaggio di liquirizia.

“No, grazie” disse lei.

Sirius ritirò la mano e lo mise in bocca. Masticò a lungo, continuando a osservarla. Una volta che l’ebbe ingoiato, si abbandonò sul divano. E aspettò.

Bella ritornò al suo libro. Sirius aspettò ancora, fino a che non venne ora di cena e il gigantesco pendolo della casa degli zii non emise un lungo e lugubre ululato. Quando la vide alzarsi e rassettarsi la gonna, si decise a parlare.

“Non mi chiedi niente?” disse, sorpreso.

Bella si voltò, già a metà strada.

“Cosa dovrei chiederti?”.

Forse fu il tono della voce, forse Sirius era già cresciuto abbastanza per comprendere quando un adulto finge di non capire. Vide il colore delle sue guance farsi un po’ più spento, i suoi occhi un po’ più grandi. Il viso aveva cominciato ad affilarsi, ma conservava ancora qualcosa di bambinesco che la fece sentire immensamente debole.

“Anche tu ce l’hai con me?” chiese lui, andando dritto al punto.

Avrebbe dovuto immaginare che la domanda sarebbe arrivata così. Non rispose subito.

“Papà non mi rivolge la parola da quando l’ha vista”aggiunse, lanciando un’occhiata alla sciarpa.

“Non avresti dovuto indossarla” si lasciò sfuggire Bella.

“Ma è la mia sciarpa! E poi lo avrebbero saputo comunque” esclamò Sirius “Cissy lo ha spifferato a tutti il giorno stesso dello Smistamento, vero? In questi quattro mesi mi ha scritto solo Dromeda. Nessun altro di voi, nemmeno mia madre. Nessuno! Nemmeno tu”.

Ancora una volta, Bella non rispose.

Sirius si alzò e le andò incontro.

“Per favore. Non fare così. E’ solo una Casa! Perché fate così?”.

“Non è solo una casa”.

“Non ho scelto io” mormorò Sirius, cercando il suo sguardo.

“Hanno scelto le tue idee, per te. E quelle idee non sono le nostre”.

Lui parve sgonfiarsi.

“E anche se avessi idee diverse?” disse “Perché non mi hai scritto?”.

Le posò una mano sul braccio, strinse, come se pensasse che così, finalmente, lei avrebbe parlato e sarebbe tornata la Bella di sempre.

“È ora di cena”.

 

Non appena riuscì a mettere a fuoco l’ambiente circostante, vide il gufo. La aspettava appollaiato sullo specchio, la zampa tesa. Prese la lettera e ruppe il sigillo di ceralacca, portandosi più vicina alla finestra. Distendendo la pergamena, tremò e non seppe dire se fosse paura o eccitazione.

“25 agosto. Little Hangleton.

L. M.”.

   
 
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