Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: RMSG    20/05/2012    5 recensioni
[Seconda classificata al 'You And I Contest' di Luna Ginny Jackson]
[...] München, 21 März 1925.
Quattro anni erano passati.
Il giorno in cui sarebbe tornato a casa era arrivato.
E quel giorno era oggi. [...]

Pairings: RoyEd; Alter!RoyEd; WinryEd.
NO BROTHERHOOD. E' una what if? basata sul finale della prima serie.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Edward Elric, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Grazie a tutti coloro che mi hanno lasciato tanti bei commenti, in particolare a Child Of Bodom, che è sempre dolcissimo con me. :)
___________________________________________________________________________________________________


Too Much Love Will Kill You
Capitolo 3: You Waited Long Enough

“Fratellone, sei sicuro di volerci andare da solo?”. Disse Al, seduto di fronte a Edward, che tornato in una mise di pelle nera più consona alla sua persona, lucidava i nuovi auto-mail d’assetto invernale comprati e montati da poco a Rush Valley. Sul treno di ritorno a East City, Ed sembrava più essersi preparato per la guerra che per andare a recuperare Roy. Certo, se solo Al avesse saputo, avrebbe capito che per suo fratello andare in guerra sarebbe stata una passeggiata in confronto, ma questa era un’altra storia.
“No, Al, te l’ho detto. E’ una cosa che riguarda solo me. E poi ci metterò poco, te lo prometto, dovesse anche chiedermi in ginocchio di lasciarlo marcire lì, me lo trascinerò dietro!”. Mise via la stoffa con cui stava pulendo il braccio e osservò la mano scintillante, sorridendo. Si aggiustò poi la coda di cavallo e con lo sguardo brillante fissò il fratello. “Tu devi solo pensare a riunire tutta la squadra, capito?” e guardò fuori dal finestrino. “Bene, stiamo per arrivare… Al, non tornerò in albergo, prenderò direttamente il primo treno disponibile” avvisò. Entrambi si alzarono, raccogliendo i bagagli e quando il treno si fermò definitivamente, scesero, per poi separarsi con qualche raccomandazione. “Mi raccomando, Nii-san! Sta’ attento!”, ma Ed era già in cammino verso l’altro binario.
Doveva ammetterlo, distrarsi non sembrava essere così difficile. Bastava tenere la mente occupata e fissare il vuoto il più possibile. Facile, no? Però – e c’era sempre un però –, non aveva ancora fatto i conti con la sua coscienza notturna e né con il rivedere l’amore di una vita.
Senza pensieri, Edward prese il secondo treno dopo circa un’ora. Stravaccato nella cabina prenotata, le palpebre gli si chiusero contro la sua volontà e finì nel mondo dei sogni.

“Roy, ti ho mai detto che insegni delle lingue inutili?”. Il tedesco lo guardò piccato.
“Il fatto che tu non riesca a capirle non significa che siano inutili, solo che tu sei stupido. Tsk”.
“Eppure il tedesco l’ho imparato come niente!”.
“Pffff, è più facile di quanto si creda! E poi il latino e il greco non sono lingue per tutti, mi dispiace” affermò, imboccandolo con la torta di mele.
“E meno male!” bofonchiò, sputacchiando un po’ di cibo e facendo alzare gli occhi al cielo all’altro. Inghiottì il boccone e tornò a sproloquiare parlare
: “Pensa se tutti parlassero come quei matti dei greci! Bah!”. Roy scosse il capo, scandalizzato. Era incredibile quanto quel ragazzo fosse testardo… e pure ignorante.
“Comunque… continuo a non capire come, da dove vieni tu, nessuno conosca questi popoli. Avete mica una storia diversa?” scherzò, imboccando ancora Ed, che masticò energico, rimanendo in una calma inquietante, carica di parole mai dette.
“Roy?”
“Sì?”
“Se io ti dicessi che vengo da un altro mondo mi crederesti?”. Roy lasciò il cucchiaino nel piatto e lo fissò serio.
“Ed, non esistono i mondi paralleli. Credo tu abbia passato troppo tempo con quel Fritz Lang, sai? Secondo me quello non ci sta con la testa, dai”. Ed sospirò.
“Sì, ma se io… se io ti dicessi che invece un  mondo parallelo esiste, dove c’è un Roy Mustang tale e quale a te, ma con peculiarità sottilmente diverse… mi crederesti?”. Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, sino a quando Ed non smosse la situazione.
“Non mi rispondi?”. Roy riprese il cucchiaino e lo imboccò, come per farlo star zitto.
“Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo: è una lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli, Edward” e guardò fuori dalla finestra, per evitare gli occhi del suo amato e pazzo compagno.
“Roy?”
“Sì?”
“Io vengo da un altro mondo che è parallelo a questo. Si chiama Amestris e lì esiste qualcosa che per voi è pura magia, ma che noi conosciamo come alchimia. Sfrutta vari principi, fra cui lo Scambio Equivalente, ed è a causa di quest’ultimo, che dopo una serie di folli peripezie, ho dovuto sacrificare il mio corpo per salvare la vita a mio fratello. Sarei dovuto morire, ma invece sono passato oltre il Portale e sono finito qui” spiegò, sicuro di sé. Roy si alzò dal bordo del letto e lasciò il piattino e la forchetta sullo scrittoio, mentre Edward riprendeva. “Contro la mia volontà, ho conosciuto gli alter ego di coloro che erano i miei amici, compreso te, ovviamente, che lì eri il mio superiore”. Roy si tolse le scarpe e si slacciò la camicia, facendo finta che Ed non stesse nemmeno parlando. “Alfons, il ragazzo con cui vivevo prima, era l’alterego di mio fratello e anche se ormai sono passati quattro anni da quando sono qui, sto ancora disperatamente cercando il modo di tornare a casa!” esclamò, sempre grondante di un’immensa speranza. “Io… Roy, dannazione, mi vuoi ascoltare?!”. Il moro smise di vestirsi e si girò a guardarlo.
“Cosa dovrei fare Edward? Tu mi stai parlando di una cosa totalmente assurda… mi stai dicendo che sei praticamente… non lo so, un essere sconosciuto, che non appartiene alla mia dimensione! Che cosa vuoi che ti dica? Bravo?!” sbottò, scocciato. “Io… non ne voglio sapere niente” ammise. “Voglio rimanerne all’oscuro. Io sono un uomo del mio tempo, Ed, non posso andare più in là di così. Ho dovuto accettare i tuoi pazzeschi arti meccanici, ho dovuto accettare di non comprendere i tuoi strani studi, Ed, ora fa’ tu per me una cosa: promettimi che non tornerai indietro e che non me ne parlerai mai più”.

Tutum.
Edward si svegliò di soprassalto per uno scossone del treno e guardandosi sperduto intorno alla ricerca di Roy, trovò solo una vecchietta che lo osservava incuriosita. Si pulì col dorso della mano sinistra la piccola scia di bava e appoggiò la fronte al finestrino, guardando il paesaggio. Si trovavano già in un territorio innevato… chissà quanto aveva dormito. Cercò di trovare il sole e di vedere quanto fosse alto, ma i nuvoloni glielo impedirono. Comunque, era certo che dovevano essere già nel primo pomeriggio data la fame che sentiva e decise così di andare nel vagone ristorante a mangiare qualcosa.
Poco dopo aver finito il pranzo, si rese conto che erano quasi arrivati e si sbrigò a tornare in cabina a indossare il pesante cappotto imbottito, i guanti e una sciarpa calda, per avviarsi così armato di bagaglio all’uscita.

Una volta sceso dal treno, i primi fiocchi di neve cominciarono a scendere e s’affrettò non poco, allora, ad andare a lasciare la valigia nell’albergo prenotato. Sbrigate le pratiche per la consegna della stanza, Ed sembrò intenzionato a incamminarsi subito sulla montagna per raggiungere la baita del Colonnello, ma l’albergatore glielo sconsigliò.
“Ragazzo, è una follia! Sta arrivando una tempesta! Rimani qui e non uscire o potresti anche non tornare più!”. Per un istante l’ex alchimista sembrò pensarci sul serio, poi fece no con la testa. Era sopravvissuto per anni al clima freddissimo della Germania e aveva passato anche due settimane nella gelida Mosca: non solo poteva, ma doveva andare alla baita.

Bene, non era così facile come credeva. Il vento era fortissimo, tagliente e nonostante gli automail ora fossero più leggeri, erano comunque un grande intralcio. Incrociò le braccia, per stringersi di più il cappotto. Il freddo era tremendo, ma quando alzò per un istante la testa, quel che vide nello scorcio di un istante, quella specie di macchia marrone, lo inondò di un estemporaneo e improvviso calore. Legno. Avanzò verso ciò che gli era parso di vedere ed ebbe conferma dell’apparizione: aveva raggiunto Mustang. Accelerò il passo, saltando sulla neve e si precipitò alla porta, prendendola a pugni. Nessuno gli rispose. Provò ad aprire e notò che non era chiusa a chiave, così entrò, chiudendo la porta. Fu investito dal leggero tepore di un fuoco mezzo spento e togliendosi la giacca, scosse il capo per liberarsi dalla neve. Avanzò nel minuscolo ingresso e chiamò, piano, per istinto più che altro, il Colonnello per nome.
“Roy?” se ne pentì molto, ma poi continuò, optando per qualcosa di più neutro. “C’è nessuno?”. Si guardò in giro cautamente, osservando l’ambiente. Non c’era arredamento. Qualche sedia, un tavolo, un letto oltre il caminetto e due piccoli stanzini, probabilmente cucina e bagno. Fu da uno di questi due che Mustang apparve.
“Acciaio!” lo stupore era tale che sembrò quasi rimbalzare fra le pareti. Edward lo fissò, altrettanto scioccato, mentre il suo sguardo era inchiodato sulla grossa benda nera che gli copriva parte del viso.
“Colonnello” lo salutò, sulla difensiva. Era spaventoso e terrificante guardare la fotocopia dell’uomo che aveva tanto amato senza un occhio e senza la possibilità di poterlo anche solo chiamare per nome.
“Non sono più un Colonnello, Acciaio” corresse, visibilmente amareggiato.
“E io non sono più Acciaio, Colonnello Mustang” ribatté, più orgoglioso. Rimasero in silenzio a fissarsi e l’unico occhio di Roy, brillante di pura e semplice felicità, sembrava illuminare la stanza come le languide fiamme del camino non riuscivano a fare. Come se fosse, dopo tanti tentativi, ripartita quella macchina il cui motore lo aveva abbandonato lungo la strada.
“Non sei cambiato. A parte il fatto che sei diventato più alto…” e gli si avvicinò, per rapportare la sua nuova statura alla propria. La differenza non era più molta, ormai.
“Vorrei dire la stessa cosa di lei, ma vedo che invece ha deciso di darsi alla pirateria” lo prese in giro e con un cenno del capo indicò la sua benda. Roy sbuffò – come faceva sempre anche un altro stupido.
“Fullmetal, chiudi il becco e dimmi che razza di fine hai fatto per tutto questo tempo!” abbaiò e gli offrì un posto vicino al fuoco.
“E’ una storia lunga” rifiutò la sedia e si piazzò davanti a lui “che verrà dopo”.
“E prima che succede?” domandò, curioso.
“Succede che mi deve spiegare per quale motivo ha abbassato la testa ed è scappato qui, come un coniglio, come il più viscido degli homunculus!” lo afferrò per il colletto, irruento come fosse ancora il sedicenne di un tempo. “Ha lasciato tutto, mandando all’aria anni e anni di sacrifici! E per cosa? Per paura di uno stupido giudizio della Corte Marziale?! Non ha mai pensato che il suo sogno potesse essere anche quello di qualcun altro?!”. Roy si beò di quegli scintillanti occhi dorati per cui tanto aveva sofferto.
“Mi avrebbero accusato di omicidio… stavo rischiando la pena di morte, Edward”.
“E allora?! Da quando Roy Mustang ha paura della morte? Da quando ha paura di qualche vecchio bacucco capace di star solo seduto dietro a un tribun-…” non parlò più, Ed. Fu Roy a prender parola, a cambiare le carte in tavola – o forse a mettercele –, perché lo baciò. Il maggiore degli Elric aveva pensato a tutto, davvero, a ogni cosa, ogni evenienza, era preparato anche a combatterci, con Mustang. Ma non era preparato a dover ricevere il suo amore. Di nuovo.
“Ed, perdonami. Non avrei dovuto, è stato uno stupido cedimento, fingi che non sia successo nulla, ti prego” agitava le mani, preoccupato d’aver rovinato tutto con quello stupido, stupido bacio! Forse un po’ meno sconsiderato di quello che però ora era Ed a dargli.
L’intero universo, allora, sembrò piegarsi nel suo punto più accecante, ovvero su quei due corpi avvinghiati, simbolo di un’apocalisse che diventa mistica redenzione e di un processo d’autodistruzione che significa libertà.

“Lieber*, hai mai pensato a quanto incredibilmente importanti siano le parole? Solo a seconda di come le si usa si possono creare infinite combinazioni e possibilità. Se poi si aggiunge la variabile del quando e con chi, diventa impossibile calcolarne l’effettiva potenza” mormorò un affascinante professore di Letteratura Anticaria vicino a un giovane scienziato mentre erano intenti a guardare le stelle. “Le parole sono di chi ha il coraggio di prendersene la responsabilità”.
“Non c’è bisogno di pensarci. Tutti lo sanno” biascicò distratto l’altro.
“Ma dare per scontato qualcosa è il modo migliore per perderla di vista. In questo caso, perderne di vista l’importanza”. Ed lo guardò annoiato.
“Ma devi sempre fare di ogni cosa un trattato filosofico?”
“Ed, insomma! Io sono qui, faccio parte di questo mondo! E’ mio dovere partecipare, anche solo con la mia testa, a questo grande, enorme flusso che è l’intera terrena umanità! Non voglio essere un dannato ignavo!”. Edward lo guardò e decise che forse era pronto. Prese un gran respiro, pronto a dire la più grande di tutte le eterne verità.
“Uno è tutto, tutto è uno, Roy”. Il moro si girò, perplesso.
“Cosa?”
“Tu sei tu, ma sei anche il tutto. Senza di te, il tutto non esiste. E senza quello che tu chiami grande flusso, non esisti tu”.
“Meraviglioso… dove hai sentito questa frase? Di chi è quest’aforisma? O è di tua impronta? Sembra riassumere il mio dilemma!” l’anima da insegnante si ravvivò, pronta a investigare ogni cosa. Edward ne rise, un po’ divertito.
“E’ solo un detto popolare molto famoso dalle mie parti”.

Dopo la tempesta, e si parla sia di quell’esterna che di quell’interna alla piccola casa, su quello stesso letto adesso c’era qualcosa di peccaminoso quanto celeste nei fiati e nei sudori mescolati.
“Ed…” ansimò, stringendo il compagno tremante. “Io ti…”
“Non dirlo, ti prego! Ti prego, non dirlo…” si staccò da lui, mentre gli occhi felini terrorizzati e i capelli disordinati e bagnati dal sudore gli davano un’aria quasi folle. “Tu non sai la verità ancora, perciò non dirlo! Le parole hanno un peso troppo, troppo grande”. L’ex Colonnello era senza fiato.
“Ed, ti ascolto. Ti ho aspettato quattro anni, ti aspetterò per altri quattro minuti”.
Hai aspettato abbastanza, Roy.  Devi sapere” e gli argini del fiume si ruppero. Gli raccontò ogni cosa, dai viaggi in Francia alla convivenza con Alfons, dalla sua morte all’incontro col suo alterego. Roy rimase sobriamente in silenzio, rispettoso di qualcosa che scindeva da lui e da chiunque esistesse qui ad Amestris. Mai sforare in questioni che non ci riguardano.
La lunga serie di aneddoti non finì tanto presto, a dire il vero, ma quando Ed finì fiato, parole e forze, Roy gli fece una carezza, in cui rinchiuse tutto quello che Acciaio voleva sentirsi dire. Poi il peso delle parole fece il resto.
“Ti amo, Ed.
In qualunque dimensione tu possa scappare”.



Note:

*Lieber: caro. Ha più o meno lo stesso significato di 'Dear' in inglese, ma lo si trova anche nella nostra accezione di 'Amore mio'.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: RMSG