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Autore: RaspberryLad    21/05/2012    4 recensioni
Tutte le storie, per essere tali, hanno un inizio. Ci sono inizi dimenticabili, che le persone scordano dopo un po', almeno nei dettagli, mentre ci sono inizi che restano stampati nella memoria. L'inizio tra Massimo, Alessio e Antonio è uno di questi ultimi.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We all have our flaws that can make us obscene'
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Parasol

 

 

 

Since the call I haven’t moved

I stare at the wall knowing at the other side

The storm that waits for me.

– Parasol, Tori Amos –

 

 

 

Correva un caldo giorno dell’ottobre del 2009. Alessio e Massimo si erano trasferiti da circa un mese, un mese e mezzo a Roma da Modena. Erano ancora un po’ spaesati dopo il trasferimento: di fondo, si trattava di abituarsi a una città che non era proprio a misura d’uomo. Cioè, lo era, ma non era una città come Modena, che si poteva girare in poche ore, era la Capitale. Con pochi minuti di ritardo, durante l’orario di punta, con tutta probabilità Alessio non sarebbe nemmeno riuscito ad andare in università. Era una vita più complessa, caotica, ma senza dubbio la stava apprezzando. In quel momento non aveva nemmeno particolari impegni studenteschi. Appena due settimane prima, infatti, aveva fatto il test d’ingresso e aveva iniziato da pochissimo i corsi. Era sceso in anticipo, ma solamente perché Massimo aveva avuto il test un mese prima di lui: aveva approfittato in quel periodo della possibilità di girare un po’ per Roma. Lo faceva spesso, da solo o accompagnato. Aveva conosciuto, in quel palazzo, solamente alcuni dei coinquilini più anziani, tra cui l’attempata signora Bellegra del piano di sotto, una vecchina ottantenne, un po’ sorda, che aveva invitato qualche volta Alessio a prendere un the, raccontandogli di essere cresciuta in quel quartiere, all’epoca ancora di periferia. Era particolarmente legata a un parasole bianco che le aveva regalato il marito prima di morire, tre anni prima. Quando l’aveva vista girare per i parchi nella zona, in quel periodo, si era accorto che la donna raramente si separava da esso. In ogni caso, a parte lei, aveva conosciuto una coppia con una bellissima bambina di quattro anni che abitava al primo piano, mentre non era mai riuscito a beccare l’abitante dell’appartamento di fronte. Dai rumori che sentiva la sera, quando si metteva a guardare le serie TV la sera, sembrava essere un ragazzo solo, probabilmente anche lui trasferitosi a Roma per studiare. Ogni volta che collegava le parole “Roma” e “studiare”, pensava sempre alla terribile litigata che aveva provocato quando aveva deciso di andarsene a Roma a studiare Scienze Politiche. Più che altro, il trauma era per Scienze Politiche: nell’ambito di un’intera famiglia di avvocati giurisprudentini, studiare in una facoltà succursale di Giurisprudenza, che in più era anche notoriamente la facoltà dei fancazzisti… no, grazie.

Il nonno e il padre non avevano apprezzato la nuova “stranezza” del figliol e nipote prodigo e, alla faccia delle parabole cristiane, non credevano che si sarebbe redento e sarebbe tornato a implorare perdono con la coda tra le gambe. Alessio non avrebbe mai detto di aver commesso un errore perché non stava sbagliando. Diventare avvocato non gli interessava minimamente, preferiva senza dubbio studiare qualcosa che gli interessasse di più, e intimamente desiderava iniziare a insegnare. Non gli interessava che le possibilità fossero poche, o che si sarebbe dovuto fare un mazzo tanto: era partito per Roma con tante speranze e molti sogni, nonché con il debole appoggio di Eva che, senza dubbio non si riteneva soddisfatta, ma d’altro canto continuava a sostenerlo. La convinzione del ragazzo era dura da scalfire, e raramente la donna l’aveva visto, testuali parole, “così determinato”. Lo sprone era stato anche dovuto al fatto di non partire da solo, ma con Massimo, tanto che la questa non era sembrata un trasferimento, ma più una gita fuoriporta un po’ lunghetta. In realtà, però, il trasferimento aveva comportato una fine. Non soffriva più come quando si erano lasciati, ma senza dubbio felice non era. Era stato molto pesante sopportare l’assenza di Davide, almeno i primi giorni, ancora prima che fosse partito per Roma. A Roma non ci aveva pensato, troppo occupato a sistemare tutto secondo il suo gusto e a iniziare a sbrigare le questioni, ma c’erano mattine in cui svegliarsi e non trovare la foto sul comodino, oppure un messaggio di buongiorno, era stato pesante. Non avrebbe cercato per un po’ nessun ragazzo con cui uscire, perché l’amore era ancora troppo – chi mai avrebbe detto che avrebbe continuato a lasciare persone che stesse amando? – per cercare di distrarsi. Poi, non pensava che Massimo avrebbe apprezzato di trovarsi qualche maschione a scopare per casa. Che poi, a dirla tutta, non è che avesse tutta questa voglia di sesso, anzi. Sarà stata la nefasta influenza etero di Massimo, ma non pensava a nessun uomo in quel momento, come l’altro, per l’altrettanto nefasta influenza sua, non pensava ad alcuna donna.

Aveva già conosciuto due o tre ragazzi gay, lì in facoltà, ma l’avrebbe scoperto più tardi: in fondo, chi poteva essere certo dell’atmosfera, omofoba o meno, che vigesse nel sistema universitario e, in particolare, in quella facoltà?

Fu proprio quel giorno d’ottobre a conoscere seriamente un primo ragazzo, più che gli incontri in università. Tanto più considerando che, delle persone che aveva conosciuto i primi giorni, continuò successivamente ad avere un rapporto più stretto solo con Adolfo.

Insomma, in quel giorno di ottobre, attorno alle due del pomeriggio, Alessio uscì sul pianerottolo, sentendo urlare mostruosamente la signora Bellegra. Si spaventò a morte, considerando che sembrava che stesse soffocando. Uscì di corsa, mentre vide uscire dall’ascensore Massimo che stava rientrando in quel momento dall’università. Anche la faccia di Massimo era abbastanza sconcertata, tanto che si affacciò sulla tromba delle scale per cercare di capire cosa stesse accadendo. Nello stesso momento uscì dalla porta di fronte un ragazzo che lasciò raggelato Alessio. Biondissimo, un po’ come Adolfo, ma alto e slanciato, carnagione chiara se non quasi slavata, e un paio di occhioni marroni.

– Che è successo? – chiese il ragazzo ad Alessio, vedendolo già fuori.

– Non lo so! – rispose, mentre iniziava a scendere gli scalini. Non urlava più, la signora, e si stava spaventando a morte. – Corro a vedere.

– Vengo anch’io! – fecero in coro il ragazzo e Massimo.

Scesero tutti e tre le scale, di corsa, e suonarono alla porta. Aspettarono due minuti ed erano ormai pronti a chiamare l’ambulanza e i pompieri. Bussarono furiosamente alla porta, urlando alla signora di aprire, o almeno di dare un cenno per far capire che stesse bene. Finalmente, la signora Bellegra aprì la porta, in lacrime, ma sembrava stare bene.

Il vicino di casa la abbracciò, dicendole di non far prendere mai più questi spaventi.

– Signora, che è successo? – le chiese il ragazzo biondo, di cui Alessio non sapeva ancora il nome.

– Ho perso il parasole. Lei sa che era un regalo del mio defunto marito, per cui l’averlo perso mi manda nel panico. Ho bisogno di trovarlo, assolutamente. La prego, signor Antonio, mi aiuti!

– Non si preoccupi, signora, glielo troverò! – esclamò il ragazzo, che ora, finalmente, aveva un nome.

– Aspetta, ti aiutiamo! – propose Massimo, incredibilmente. Alessio pensò di non aver mai visto Massimo così propositivo. Con il senno del poi, forse, avrebbe capito anche la motivazione.

– Quanto siete gentili, ragazzi. Vi prometto una torta, se me lo troverete – rispose la signora, asciugandosi le lacrime.

– Signora, però ci deve dire che giro ha fatto oggi, così capiamo dove cercarlo – disse Antonio, cercando di non far collassare la signora, sotto il peso dei ricordi.

– Dunque… ho fatto un giro al parco, sono andata al supermercato e anche all’edicola, dopo essere stata in edicola sono tornata a casa. Pensavo che fosse nel carrellino il parasole, e quando non l’ho trovato… – si fermò, pensando di aver detto abbastanza.

– Che lei si ricordi, ha mai attraversato la strada? – le chiese ancora. Alessio si domandò se quest’Antonio non fosse un investigatore, viste le domande precise e l’accuratezza. Ce lo vedeva bene nel cast di Criminal Minds, oh, sì. Sarà forse che se lo immaginava con quella specie di nerd secchione – a cui due botte le avrebbe date ben volentieri…–  so-tutto-io. Che brutta persona, che sono, pensò.

– No, assolutamente no! Odio attraversare la Nomentana – rispose lei, scuotendo la testa. – Vi prego, ritrovatemelo.

– Stia tranquilla, glielo troveremo – le disse Antonio, prendendole le mani. – Andiamo!

 

 

 

 

 

Antonio, Massimo e Alessio scesero in cortile e iniziarono a setacciarlo, pensando che magari la signora avesse inavvertitamente poggiato il parasole accanto all’entrata. Purtroppo non riuscirono a trovarlo, per cui iniziarono ad andare in giro a cercare.

– Penso che l’abbia perso nei dintorni dell’edicola. Se era certa che fosse nel carrello della spesa, allora dovrebbe averlo perso dopo aver fatto la spesa. Altrimenti, come avrebbe fatto a non accorgersene al supermercato? – continuò a pensare Antonio, mentre s’incamminavano verso l’edicola.

– Ma sei un detective, Antonio? Hai proprio il fare da investigatore, sai? – gli disse Alessio, ridacchiando. – Comunque piacere, Alessio. E lui è Massimo, il mio coinquilino.

– Piacere mio – rispose, stringendo la mano ad ambedue. – Comunque, no, per niente. Sono fissato con i polizieschi, per quello lo faccio. In realtà studio al CTF, Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.

– Oh, figo, davvero! – rispose Massimo, con uno sguardo che ad Alessio sembrò d’adorazione. – Io faccio Lettere e Alessio Scienze Politiche.

– Bravi. Adesso muoviamoci, abbiamo una missione da compiere.

Ci volle una mezz’ora per setacciare l’edicola, il supermercato e anche il parco. In fondo si accorsero di conoscere la strada; d’altronde la signora faceva all’incirca sempre lo stesso giro, per cui non fu difficile ricostruire l’itinerario preciso. Si sedettero su una panchina davanti al gelataio lì, sotto casa, mentre Alessio iniziò a sbuffare.

– Che facciamo? Non penso che lo troveremo, stando così le cose – si rivolse ad Antonio, picchettando le mani sulle ginocchia.

– L’istinto mi dice di aspettare ancora qualche minuto. Nel frattempo, vi va un gelato? – disse il ragazzo biondo, preparando il portafogli. – Offro io!

– Ottimo. Direi che io me lo prendo. Te, Mà? – rispose Alessio, alzandosi dalla panchina.

– Ma sì dai, male non fa – disse l’altro, sistemandosi i pantaloni che si erano abbassati eccessivamente. Alessio iniziò quasi a pensare che Massimo stesse cercando di rimorchiare Antonio con metodi da discoteca gay e la cosa lo sconvolse. Vederlo così… gay lo lasciava di sasso. Da quando stava cambiando sponda? Ma magari, forse, era solo la sua testa da slashista convinto a fargli credere che ci fosse tensione sessuale da parte di Massimo nei confronti di Antonio.

 

 

 

 

Stava mangiando il suo gelato al pistacchio, tiramisù e crema catalana – perché il buon gusto è un’opinione! – quando Antonio gli diede una piccola gomitata per attirare l’attenzione.

– Eccolo là, – sussurrò nell’orecchio del ragazzo – abbiamo ritrovato il parasole.

Alessio alzò gli occhi e osservò la donna che gli stava passeggiando davanti. Era una signora distinta, probabilmente sui cinquanta, con vestiti eleganti che anche da lontano profumavano di soldi e snobismo, con uno spolverino blu e una borsa pitonata dello stesso colore – e  di pessimo gusto.

In mano teneva un parasole bianco, che assomigliava tantissimo a quello della signora Bellegra, ma dopotutto Alessio non ne aveva la certezza.

– Che ne sai che sia quello? – chiese, bisbigliando anche lui per non farsi sentire.

– È vestita troppo bene e alla moda per avere un parasole del genere. Poi c’entra poco con come è vestita. Dobbiamo riuscire a toglierglielo.

Alessio vide la signora attraversare due volte la strada, come se avesse visto o se avesse riconosciuto qualcuno di fastidioso – strano. Antonio saltò in piedi, dicendo: – Ok, so come fare. Corriamo!

– Ma sei sicuro? – chiese Massimo, inseguendolo.

– Certamente, voi fatemi da spalla che parlo io – gli sorrise il biondo, facendogli un occhiolino.

Raggiunsero la signora con calma, per non spaventarla e farla fuggire – anche se, con quelle scarpe col tacco di vernice blu sarebbe andata ben poco lontano, a confronto con tre aitanti giovinastri.

– Signora, mi scusi, mi può dire dove ha trovato questo parasole? È importante – le chiese Antonio, con un po’ di fiatone.

– Sono affari miei! Cosa vuoi, mascalzone? Insinui che l’abbia rubato? – disse arrogantemente la signora. Alessio rischiò di scoppiare a ridere, per il trucco osceno verde fino alla tempia e le sopracciglia alla Moira Orfei. Un bijou.

– No, non è quello! È che, se è quello che pensiamo, porta una sfiga pazzesca – le disse Antonio, con tono preoccupato. Massimo e Alessio rimasero raggelati: dove voleva andare a parare il ragazzo?

– Ma non mi far ridere! – continuò, con il suo tono supponente, la donna, che iniziò ad allontanarsi, facendo segni con la mano di disprezzo.

– Ha presente il negozio dove vendono questo tipo di cose, all’incrocio con viale Ionio? È stato comprato là, cinque anni fa, quando il negozio stava per fallire. Quando è stato comprato quel parasole, ha ripreso a guadagnare. Lei se lo ricorda, il rischio di fallimento?

La signora si fermò, raggelata. – Cosa stai dicendo, ragazzino?

– Che deve stare attenta. Sappia che la precedente padrona del parasole ha visto morire sia il marito che i figli nel giro di pochi mesi. Lo lasci, che porta sfiga – continuò lui, porgendole la mano.

La signora fece cadere il parasole a terra e Antonio lo raccolse, mentre lei fuggì via di corsa, sembrando più un velociraptor su un paio di tacchi che una donna. Alessio rimase sempre più allibito: – Come hai fatto?

– Hai visto che ha attraversato due volte la strada? – chiese il ragazzo, sorridendo amabilmente. – L’ha attraversata perché ha visto un gatto nero passare e aveva paura che le incrociasse la strada. Da lì ho capito che era superstiziosa e ho giocato un po’ sulla situazione.

– E come sapevi del negozio? – chiese allora Massimo, adorante.

– Me ne aveva parlato la signora Bellegra un po’ di tempo fa. Io non sono di Roma, ma di Torino, per cui non avrei potuto saperlo.

– E come facevi ad essere sicuro che la signora lo sapesse? – chiese allora Alessio, sempre più sconvolto.

– Culo, semplicemente – sorrise ancora il ragazzo, sistemandosi i capelli biondi. – Insomma, le andiamo a riportare sto parasole o no?

I tre ragazzi s’incamminarono verso il palazzo, e si misero a parlare tranquillamente del più e del meno. Massimo e Alessio lo invitarono anche a cena, ma quello fu solo il preludio di un’amicizia – e non solo quella, per Massimo – che sarebbe durata molto a lungo.

 

 

I have my little pleasures

This wall being one of these.

- Parasol, Tori Amos.

 

 

 

Note dell’autore!

Una cagata pucciosa e un po’ sherlockiana (io son preso da Sherlock, l’avevo detto!), ho scritto stavolta. L’idea mi era spuntata fuori anche per mostrare altro di Antonio, che comunque non era mai stato descritto più di tanto, a differenza degli altri. E cosa c’è di meglio che descriverlo se non parlare di com’è iniziata la loro amicizia? Volevo renderla particolare, non una conoscenza così, tanto per, giusto perché si erano visti sul pianerottolo di casa. Cosa c’è di meglio, allora, se non farli lavorare assieme, anche se per un “caso” (prendere molto tra virgolette questo termine) da risolvere? Ammetto che è una shot senza pretese, così, leggerina, calcolando il sangue e il sudore che ci ho messo per scrivere il nuovo capitolo (che sì, è in uscita!), ma non è detto che sia brutta, per questo. Alla fin fine, ci ho messo tanto amore per scriverla. Anche se, ovviamente, sta a voi dirmi cosa ne pensate.

Comunque, anche questo è un regalo di compleanno: nel caso di specie, per il mio adorabile fratellone Anto, che, nonostante dica di essere sugli –anta, è giovine dentro, e mi sembra il regalo minimo. (Anche perché mi è stato inibito qualsiasi altro regalo… >_>).

Spero che ti piaccia, Anto, come spero che piaccia ai lettori. Chissà, magari è meno idiota di quello che sembra! :P Comunque, solito disclaimer: il titolo e le citazioni sono tratte da Parasol, magnifica canzone di Tori Amos (sottovalutata forse quanto una buona parte del CD). Prendete ed ascoltatene tutti.

Vi è, però, un’altra dedica, anche se con qualche… minuto di ritardo sul compleanno. Era il compleanno della carissima Giulia (Unbreakable_Vow), per cui dedico anche a lei questa shot. Anche se obiettivamente è una cagata, ma tant’è. :P

Vabbè, per il resto, ci si riaggiorna nei prossimi giorni, con il capitolo 10. Ci sarà di che leggere… :P E se riuscite, una rece, qua, schifo non mi farebbe, ecco :P

A presto, allora! Ciao!

-RaspberryLad-  

   
 
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