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Autore: Raksha3    21/05/2012    5 recensioni
“C'è coraggio ma anche tanta paura. Sei leale e sei paziente ma... Vedo molto altro. Vedo una grande intelligenza che ha paura di saltar fuori. Allora noi tutti sappiamo quale deve essere la tua casa per far sì che il tuo talento sbocci.” Fa una pausa in cui sento tutti gli occhi puntati verso di me. Sento il sorriso della McGranitt e gli occhi riempirsi di lacrime al grido della mia tavolata. “Corvonero!”
Incontro gli occhi di Fred, seduto alla tavolata dei Grifondoro al lato di suo fratello gemello e vicino ad Hermione. Burloni, malandrini. Si alza appena e viene verso di me affiancandomi.
“Così, dovrò rinunciare a metterti un ragno nel dormitorio.” Assume un tono di scherno ma poi lo osservo meglio e capisco che non ha cattive intenzioni.
Sorrido amara: “Già, dovrai fare a meno di me.”
“Questo non toglie che non potrò farteli in giro per i corridoi.”
Il sudore mi si ghiaccia sulla schiena quando mi prende una mano e improvvisa un inchino, seguito da un bacio che, come avevo programmato, riesce a darmi la scossa. Scappa colpevole della sua bravata che mi è costata una leggera scossa. Maledetto Fred, è una sfida ma presto gli farò pagare..
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George e Fred Weasley, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lì, tra le spighe dorate dei campi di grano.'
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 Lì, tra le spighe dorate dei campi di grano.




Fu la cosa più terrificante che vidi. Quel corpo bianco e steso a terra, senza vita, con gli occhi spalancati in un espressione di dolore e morte. La bocca aperta che non assimilava aria, il cuore che non batteva, le lacrime che scendevano. Harry era piegato a terra, ansimante, le lacrime che gli rigavano il viso sconvolto.
“HARRY!” Esclamai impaurita. Gli occhi del ragazzo non si mossero dalla postazione verso il basso che avevano. Cosa stava succedendo? Tentai di avvicinarmi insieme all'onda di studenti di Tassorosso che correvano verso i due ragazzi. Già, con Harry c'era Cedric.
Mi sporsi leggermente dalla struttura della tribuna, tanto per vedere meglio e la visione fu agghiacciante. Le mani che mi coprirono gli occhi furono un balsamo, un toccasana per la mia mente flagellata dall'immagine che volevo non aver visto. Sentivo bruciare le cornee, le sentivo grattare contro le palpebre.
Le braccia magre ma forti di Fred mi coprirono il viso e mi strattonarono via, lontano dal fiume in piena di alunni che si gettavano sul prato.
“Andiamo, forza, andiamo!” Fece resistenza alle mie spinte per avvicinarmi, per capire cosa stava succedendo e magari vedere che era tutto uno scherzo. Mi sbagliavo. Non  c'erano scherzi negli occhi bianchi e rivoltati di quel ragazzo, non c'erano scherzi nei polmoni senz'aria, non c'era vita in quel corpo senz'anima.
“Savannah, ho detto che dobbiamo andare via.” Si spazientì. Solitamente era sempre pieno di pazienza con me, era sempre sorridente pronto ad accordarmi ogni bravata, ed io con lui. Ma quel giorno non c'erano scherzi da poter fare, non c'erano bravate da poter appoggiare, spalleggiare o difendere, c'erano solo le lacrime da ricacciare indietro per non essere schiavi del dolore. Non vidi George, non vidi Hermione, né Ginny, né Harry, né Lisa.
“Harry, dobbiamo andare da Harry!” Esclamai in preda ai singhiozzi. Sapevo che cosa era successo, sapevo che c'era stato un... Non avevo il coraggio di dire quella parola.
Fred mi strattonò di nuovo, stavolta aveva paura anche lui, lo sentivo tremare tra le braccia, lo sentivo contorcersi interiormente e tentare di mantenere un controllo, per tutti e due.
Non potevo leggergli la mente ma sentivo la tensione dentro di lui, i pensieri che si susseguivano frenetici, la paura. Non poteva certamente essere stato Harry a fare una cosa così tremenda e Silente non avrebbe mai permesso che uno studente morisse per mano di qualche creatura magica all'interno dei confini. Lo sapevamo entrambi, lo sapevamo tutti dentro i nostri cuori: Colui-che-non-deve-essere-nominato è tornato.
Fu il grande teschio apparso in cielo, con le fauci spalancate e da cui usciva un serpente strisciante a darci la conferma dei nostri sospetti.
“E' tornato...” Sussurrai. Chiusi gli occhi e mi lasciai cadere a terra. Fred mi strinse al suo petto e lo sentii singhiozzare appena. Con la testa immersa nel suo profumo avrei potuto sentirmi a casa e invece avevo solo voglia di scappare il più lontano possibile. Avrei voluto morire con Cedric per non vedere il Marchio Nero brillare oltre le nubi e non sentire il terrore che aleggiava intorno a noi. I tempi tranquilli erano finiti. Voldemort era di nuovo in vita e non ci sarebbe stato posto per nessun Mezzosangue, per nessun mago che avesse voluto aiutare Harry a distruggerlo per sempre.
“E' tornato...” Ancora il mio sussurro, come un eco incontrollabile tra le valli delle montagne. Sentii il rosso stringere la presa su di me, allacciare più forte le braccia alle mie spalle, aggrapparsi, per la prima volta.
Ricordai il viso di Cedric, avrebbe costellato le mie notti rendendo i miei sogni incubi. Rividi la pelle bianca e fredda, innaturale sotto la tunica dei Tassorosso.
Sarebbe stata una lunga notte. Volevo solo scappare.
Nei giorni successivi alla tragedia pochi avevano voglia di seguire le lezioni, nessuno voleva scherzare, ridere o comportarsi normalmente. Il ricordo di Cedric non sbiadiva e mi chiedevo spesso quando quell'alone di dolore avrebbe lasciato i nostri cuori.
Non conoscevo Cedric come lo conosceva la mia compagna Cho, come lo conoscevano i suoi amici di Tassorosso, non lo conoscevo affatto, ma era sempre una vita tirata via dal Signore Oscuro, da Colui che aveva distrutto famiglie per il puro desiderio di potere. Ogni giorno versavo lacrime per i ricordi, per le risate che quel demonio aveva portato via ad un ragazzo innocente, per un puro sbaglio. Cedric era nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ricordai quando l'anno precedente, mentre tornavo dalla lezione di Piton, qualche ragazzino borioso mi spintonò e mi fece cadere tutti i libri a terra. Cedric era lì, ammonì i ragazzi e mi aiutò a raccogliere la borsa e tutto quello che ne era uscito. Si scusò per la maleducazione di certe persone e mi scortò fino alla Sala Grande. Era gentile, era forte e resterà sempre nel cuore di ognuno di noi.
Sulla banchina, mentre aspettavamo tutti insieme in un silenzio carico di parole, Fred e George mi sorrisero ma non parlarono. Tutti volevano tornare a casa, per la prima volta negli anni passati ad Hogwarts.
“Verrà tua madre a prenderti?” Chiese Lisa al mio fianco. Gli occhi pieni di tristezza. Lei era amica di Cedric, lei era corsa nel mezzo del prato quando Fred mi aveva portato via, lei aveva urlato così forte che il mio cuore si era lacerato. Annuii silenziosamente facendomi cullare dalla brezza che odorava d'estate. Nessuno avrebbe dimenticato niente di quell'anno, nessuno.
Pensai molte volte al Torneo durante il viaggio di ritorno. Avevo esplicitamente detto alle mie amiche che era stata una pessima idea provare anche solo lontanamente a partecipare. Nessuno mi aveva ascoltato e avevano sempre risposto che Silente avrebbe tenuto tutto sotto controllo. Dov'era Silente quando Cedric era stato assassinato? Dov'era quando Harry rischiava di non uscire vivo dalle acque del Lago Nero? Dov'era quando Fleur stava per essere azzannata dal drago?
Una dopo l'altra le prove erano sempre più folli e l'idea che ci potevano essere Fred o George al posto di Cedric richiamò le lacrime agli occhi dopo giorni di silenzio, dopo giorni in cui il mio cuore era stato rivestito da un velo di tristezza e dolore. Mamma non mi avrebbe lasciata sola un momento l'anno successivo, mi avrebbe mandato Caligola ogni giorno con qualche lettera, inutile che fosse. Carezzai il dorso del gufo quando scesi dal treno, facendolo gioire. Non mi perdevo mai a guardare Caligola, i suoi occhietti vispi mi facevano cadere in uno stato d'assenza continuo e mi provocavano brividi. Non era un cattivo gufo, era solo sbadato.
La vidi poggiata alla colonna di forte a me. Era alta e ancora giovane nei suoi trentasette anni. I capelli castani chiari, quasi biondi, le ricadevano lunghi e ricci sulle spalle, il viso a forma di cuore e gli occhi verdi la facevano sembrare più giovane di dieci anni. Era bellissima.
Si avvicinò con il suo vestito bianco a manica corta.
“Quanto sei cresciuta.” Mi sussurrò. Probabilmente vide tutti gli sguardi tristi e addolorati e si limitò ad abbracciarmi.
“Non vedevo l'ora di vederti, mamma.” Esclamai nascondendo il viso nel suo seno. Lo facevo sempre anche da bambina, quando papà mi sgridava e non volevo vedere i suoi occhi scuri arrabbiati. Fred interruppe quel fantastico abbraccio con una risatina.
“Mi spiace interrompervi ma volevo salutarti, Sav.” Disse con un leggero sorriso. Mia madre mi guardò con uno sguardo complice e si staccò da me.
“Intanto prendo i bagagli e Caligola, li carico sull'auto. Ti aspetto lì!” Esclamò facendomi l'occhiolino. Mia madre era un caso disperato, vedeva cose che non c'erano ovunque: da quando avevo l'età per innamorarmi anche i passanti erano futuri sposi o amanti, o fiamme.
Fred mi guardò e scoccò un'ultima occhiata anche alla mamma. “Vi somigliate moltissimo, lei però è molto femmina!” Disse prendendomi in giro, come sempre.
Il gomito mi partì come conseguenza, finendo nel suo costato. “E' questo di cui parlo!” Sospirò piegato e carezzandosi la parte "ferita".
“Salutami, stupido.” Dissi con lo sguardo più dolce che potei.
“Vieni qui, prima che arrivi George.” Mi cinse le spalle con le braccia, stringendomi. Mi aggrappai alla sua maglia accogliendola tra le dita. Il suo profumo invase il mio organismo, credendo che fosse qualcosa come una medicina, un balsamo, una cura. “Mi mancherai.” Sussurrai lievemente. Quando mi accorsi di cosa avevo detto, sperai che non avesse sentito.
“Ti mancherò? Geooooooooooorge!” Gridò staccandosi dall'abbraccio. “Hai sentito anche tu?” Domandò al fratello spuntato alle mie spalle.
“Certo che ho sentito, la piccola Savannah ha una cotta per te!”
“Ma cosa stai blaterando, stupido!” Esclamai, ero certa che il viso mi era diventato rosso e che il sangue non circolava più nella giusta direzione.
“Georgy, questa non gliela faremo dimenticare tanto facilmente, vero?”
“Assolutamente!” Sentenziò il gemello abbracciandomi. “Adesso, abbraccio di gruppo!”
Mi stritolarono, ma quella mattina non la dimenticherò mai, mi ricordo ancora lo sguardo di Lisa alle loro spalle e l'occhiolino che mi fece. Era quello ciò che dicevano? Secondo loro, quello era amore? Non avrei mai pensato a Fred come ad un ragazzo, come al mio ragazzo, e nemmeno quella volta lo feci.
Entrai in macchina ancora stordita dai due gemelli, era sempre così con loro. Mamma sorrise.
“Quello era il tuo fidanzatino?”
Gelai alla sua asserizione: “Non ti ci mettere anche tu!”

La Tana non era mai stata così affascinante per me. Dopo settimane passate a casa con mia madre che mi chiedeva ogni giorno come volevo la colazione e poi la bruciava perché si perdeva nei meandri della sua mente, un po' di compagnia da parte di maghi non poteva che farmi bene. Arrivai al mattino con il sole che mi bruciava la pelle chiara. Dietro di me, la Passaporta ancora pulsava e i campi si stendevano da ogni lato. Mi avvicinai con la gola secca, Molly mi avrebbe sicuramente dato dell'acqua fresca o della limonata quando fossi arrivata. Sentii il silenzio della mattina presto che si inculcava nella testa di chi pensava troppo, come me. La macchina di Arthur non c'era, il che doveva significare che l'uomo era già andato a lavoro. La grande casa un po' storta troneggiava in quella pianura campagnola. Avevo il terrore che tutti stessero dormendo e che il mio gufo con segnalato l'orario dell'arrivo si fosse smarrito prima di consegnare la lettera.
Probabilmente stavano tutti dormendo alle nove del mattino.
Stavo per bussare quando il grido di Molly mi fece capire che non disturbavo affatto.
“George! Non toccare quella pagnotta!”, esclamò la donna. “Fred! Non coprire tuo fratello, ridatemi le pagnotte, Savannah sarà qui a momenti!”
Era sempre la solita Molly che si preoccupava della mia dieta alimentare, che sospirava quando vedeva che ero dimagrita ancora per la scarsità dei pasti cucinati da mia madre. La solita donna in carne che amava la sua famiglia e che spesso scambiava i suoi stessi gemelli. Sorrisi al pensiero che forse, un giorno, anche io avrei avuto una famiglia piena di vita come la loro, piena di sorrisi e di carezze.
Non finii di pensare a quanto bello fosse appartenere ad una famiglia così, che Fred e George corsero fuori di casa quasi salendomi in braccio.
“Buongiorno, Sav!”, esclamarono in coro mentre si nascondevano dietro le mie spalle. Era difficile non notarli, due ragazzotti non troppo alti (forse per le persone di altezza normale) dietro una ragazzina che misurava sì e no un metro e cinquantasei. Molly apparve con indosso un grembiule e con i capelli rossi legati in una crocchia imperfetta.
“Oh, Savannah cara, guardali! Hanno rubato metà della colazione.”, disse la donna con le mani sui fianchi. “Ma bando alle ciance, guarda come sei magra! Entra cara, entra.”.
Mi fece segno di passare dalla piccola porticina per entrare nella cucina disordinata.
“Con voi due faccio i conti dopo.”, disse puntando in faccia ai due gemelli un dito cicciottello. Fred e George risero e si sedettero vicino a me.
“Dove sono tutti?”, domandai ai due gemelli. Loro sorrisero solari e raggianti e con un bercio istigarono Ginny, Hermione e Ron a scendere. Fu una colazione allegra e simpatica tra le battute dei due gemelli, Ron che tentava di mangiare e non riusciva nemmeno ad addentare una pagnotta perché Ginevra, subito, gliela rubava. Hermione e io ci scambiavamo spesso degli sguardi dolci e sorridenti, eravamo tutte e due figlie uniche e ci piaceva esser circondate da una banda di fratelli che si facevano scherzi a vicenda. Molly, dal canto suo, poteva rimproverarli continuamente ma non smettevano mai di rallegrarle la giornata.
Finita la colazione aiutai la donna a sparecchiare insieme alle altre due ragazze.
“Sav, quest'anno abbiamo i G.U.F.O.”, disse Hermione sorridendo e ricordandomi degli esami; non avrei avuto la forza di studiare sapendo che era l'utimo anno in cui avrei potuto godere della compagnia dei gemelli. Avrei passato molto tempo con loro e poco con i libri della biblioteca.
“E tutti sappiamo che tu sarai la migliore, Hermione.”, sorrisi guardando l'amica. Lei piegò dolcemente le labbra e mi diede una leggera pacca sulla spalla. Ginny sorrise a sua volta.
“Fratello, anche noi abbiamo gli esami!”, esclamò George che già sentiva la strizza. I M.A.G.O. erano alle porte per gli studenti del settimo anno, una volta iniziata la scuola, ovviamente.
“Vi consiglio vivamente di passare, potrei arrabbiarmi moltissimo.”
“Oh, mamma, ma non ti servono degli stupidi esami per sapere che siamo perfetti!”, disse Fred sfidando sua madre.
“Fred, io non lo farei.”, consigliò Ginny.
“I vostri G.U.F.O. furono deprimenti, credo proprio che anche Ron passi meglio di voi due messi insieme, e se volete restare in questa casa, vi consiglio di mettervi a STUDIARE.”, esclamò la donna adirata. Fred fece un giro del tavolo per evitare che sua madre lo tirasse per la maglia e con uno scatto mi prese per un braccio. Rimasi allibita quando mi posizionò di fronte a lui e cominciò ad indietreggiare.
“Mamma, non puoi schiantarmi, ho un ostaggio!”, disse con un sorriso uscendo in giardino. Molly ancora con le mani sui fianchi cercò di afferrare George, che non aveva avuto la prontezza del fratello nell'agguantare un ostaggio. Velocemente Fred cominciò a correre con il mio polso ancora tra le sue dita.
Si inoltrò tra i campi di grano che con le spighe simulavano un rifugio ben costruito. Sentivo la sua presa salda e non potevo fare a meno di provare caldo, diverso da quello che il tempo estivo provocava, un calore interiore. Si sedette sotto il tronco dell'unico albero presente per chilometri, all'ombra per evitare di prenderci un'insolazione.
Mi guardai intorno e notai che avevamo fatto un po' di strada ma che la Tana si vedeva comunque, lontana, ma si vedeva. Il silenzio e la pace di quel posto era un toccasana, un balsamo per la mia mentre sempre pregna di pensieri e parole non dette. Non mi piaceva esternare tutto quello che pensavo e quindi finivo per avere un continuo mal di testa.
“Ci vengo per pensare, quaggiù.”, disse Fred stendendosi a guardare i rami pieni di foglie verdi.
“Perché tu pensi?”, domandai sorridendo.
“Spiritosa. Siamo in vena di battute, eh?”. Si rimise seduto vicino a me, sentivo le mie ginocchia sfiorare le sue gambe, nascoste sotto i jeans leggeri e chiari. “Ammettilo, ti mancavo.”
Quell'asserizione mi fece salire il sangue sulle gote, arrossandole per l'imbarazzo. “Certo che no.”, dissi alzando il sopracciglio e posando gli occhi sulla treccia che mi pendeva dalla spalla, così da coprire il lieve rossore.
“Vorrei ricordarti cosa hai detto alla stazione quando ci siamo separati? "Mi mancherai."”, sussurrò facendo la mia imitazione. Dovevo ammettere che mi era mancato. Mi erano mancate le sue espressioni, la sua voce piena di allegria e i suoi scherzi di dubbio gusto. Tutte le sere prima di dormire nel mio letto, nella mia camera vuota, sentivo il bisogno di raccontargli la mia giornata, di ridere al ricordo del pessimo Ballo del Ceppo che avevamo passato, e poi mi ritrovavo a pensare a Cedric; tutto si faceva buio e pieno di tristezza. Indubbiamente mi era mancato.
“Sei sleale!”, esclamai stizzita.
“Colpita e affondata!”
“Te lo faccio vedere io chi è colpita ed affondata!”, dissi ridendo e dandogli piccoli pugni sulle spalle. Fred sorrise e stette al gioco. Sapeva che il mio punto debole era il solletico, sapeva che per quanto facessi la dura, ero sempre una bambina cresciuta velocemente. Fermò i miei pugni con le mani, stringendomi i polsi per non farmi muovere. Era vicino a me, sentivo il suo calore attraversare l'aria ed insediarsi nella mia testa. Forse era quello che intendeva mia madre quando parlava di "infatuazioni". Con un leggero strattone mi attirò a sé. La guancia poggiata sulla mia fronte e le braccia strette sulle mie spalle. Arrossi nascosta tra le pieghe della sua maglia rossa. Forse era questo ciò di cui non mi ero mai accorta; era la sensazione di protezione, di casa, di tranquillità che lui mi infondeva. La capacità di farmi perdere la concezione del tempo e di farmi sentire meno sola.
Il cuore batteva all'impazzata, ormai avevo capito che non erano tutte fandonie quelle che uscivano dalla bocca di George, la cotta che aveva insinuato, non era del tutto falsa. Mi chiesi se avrei rovinato l'amicizia di anni se lo avessi fatto entrare nei miei pensieri per un attimo, se avessi esternato tutto quello che pensavo in quel momento.
Non ce ne fu bisogno. La sua mano fresca si posò sul mio collo, strisciando lentamente sotto al mento.
Qualche secondo bastò per farmi diventare del colore dei capelli di Ginny, fuoco. Si piegò leggermente verso di me sfiorando il mio naso con il suo. Ci giocò quel tanto che bastò per farmi avvampare, le mie mani si strinsero sulla sua maglia e fu chiaro a tutti e due il motivo per cui le palpebre si chiusero.
Le labbra calde e non troppo carnose si poggiarono sulle mie. Rimasi un po' sorpresa di quel contatto strano, che non avevo mai sentito in vita mia.
Sentii le sue dita giocare con il fondo della treccia e rilassarmi con il solo sfiorare la mia pelle accaldata. Avevo paura di staccarmi da quell'abbraccio, da quel bacio che sembrava durare un'eternità. Non volevo che succedesse.
Fu lui ad interrompere quel contatto. “Guardami.”, sussurrò.
Non so dove trovai la forza di aprire gli occhi, di schiudere le palpebre per rivelare le iridi verdi che ormai lasciavano spazio al suo riflesso. Con il pollice mi sfiorò le guance, visibilemente rosse. “George aveva ragione.”, disse sorridendo in quel modo che sapevo significava una cosa sola: presa in giro. “George aveva ragione!!”, esclamò più forte.
Ci misi pochi secondi per liberarmi da quell'abbraccio che poco prima non avrei mai abbandonato. Mi alzai furibonda inoltrandomi nei campi.
“Sei veramente... Non trovo le parole per definirti!”, urlai seriamente arrabbiata. Adesso le guance erano rosse ma non di imbarazzo, non di conseguenza al cuore che batteva all'impazzata.
“Savannah, andiamo!”, disse con una voce lagnosa. Lo sentii alzarsi e cominciare a correre nella mia direzione. Non sapevo se piangere o se schiantarlo.
“Non ti avvicinare o ti Crucio prima che qualcuno possa vedermi!”
“Non ti ho presa in giro.”. Le sue parole mi colpirono come un temporale estivo colpisce il cielo sereno tipico della stagione. Le parole però non bastavano con me, ero una ragazza verba volant. Forse Fred lo sapeva quanto lo sapevo io, e forse fu per questo motivo che mi fermò di nuovo bruscamente posando le labbra, ancora una volta, sulle mie arrabbiate. Non fu dolce, né pieno di passione come ci si aspetta in un libro per ragazzine. Fu... Da Fred. Le mani giunte a coppa sul mio viso non volevano lasciarmi e la bocca avida ne voleva ancora. Mi aggrappai di nuovo alla speranza che non fosse solo un sogno. Nascosti dalle spighe lunghe e dorate, sapevo che quei momenti li avrei portati sempre nel cuore.
“Non ti ho presa in giro. Io...”
“FRED!”, la voce di George ci distrasse per un momento e sentii le sue dita stringere le mie, chiuse sulla mia mano. Ne volevo ancora, volevo un altro bacio come i due precedenti che non mi facessero pensare ad uno scherzo o ad una scommessa persa contro il gemello. Volevo rilassarmi tra le braccia della persona... Di cui mi ero innamorata. Avevano avuto sempre ragione, tutti quanti.
Passò una settimana in cui ci fu poco tempo per stare sola con Fred, ma il ricordo delle sue labbra che sorridevano attaccate alle mie mi faceva sempre arrossire. Ginny sembrò presto accorgersi del mio umore alle stelle e cominciava a fare domande insistenti non ricevendo risposte. Sembrava un sogno. Non potevamo vederci nemmeno di notte perché la ragazza dai capelli di fuoco aveva piazzato trappole qua e là per la stanza, in modo che se mi fossi alzata nel cuore della serata mi avrebbe sentito gridare. Fred, dal canto suo, non poteva sempre allontanare il fratello con una scusa perché George non era stupido, capiva sempre quando c'era qualcosa sotto e non si staccava da lui nemmeno un momento, seguendolo come un segugio.
Una sera, a metà settimana, uscii dalla finestra della camera di Ginny e mi sedetti sul tetto con il naso all'insù. Era bellissimo il cielo campagnolo la notte, senza tutte quelle luci che oscuravano il blu scuro e le stelle che rilucevano. Mi sentivo in pace lontana dal caos londinese. Pensavo spesso a quello che era successo tra i campi di grano e ancora più saltuariamente posavo il mio sguardo verso l'albero in fondo alla collina ricordando la sensazione della mano fredda del ragazzo sulla mia pelle. Mi fu subito chiaro che Dragan non era stato niente, nemmeno una misera cotta verso l'amore stesso, niente di niente. Non aveva la stessa potenza che Fred rilasciava con un solo sorriso.
In quei giorni spesso mi ero trovata a fantasticare come una ragazzina dei libri che mi regalava mia madre quando ero più piccola.
Non sapevo come aveva fatto a crescere nel mio petto quella sensazione di benessere che sentivo quando stavo al suo fianco, ma ero certamente sicura che fosse radicata da tempo, fin da quando anni prima mi aveva promesso che avrebbe continuato a farmi scherzi nonostante non fossi in Grifondoro.
Il ragazzino che conoscevo, quello con i capelli lunghi e rossi spettinati, era diventato uno splendido adolescente pieno di speranze di scherzi da fare. Ero sempre stata una persona molto cupa, durante tutto l'arco della mia vita: rispondevo male, spesso in modo vago, analizzavo tutti i pro e i contro delle azioni prima di farle, fin quando non si presentò lui. Quando non davo risposte certe faceva di tutto per far uscire dalla mia testa quello che pensavo, mi aveva fatta diventare una persona impulsiva fin tanto da darmi un bacio per farmi capire che mi voleva bene, più di quanto immaginassi. Sì, gli volevo bene da una vita e avevo sempre tenuto gli occhi chiusi, forse per il terrore di non essere il tipo giusto.
Quando mi disse per la prima volta che non sembravo una ragazza ma il mio carattere era più simile a quello di un maschio, qualcosa si mosse dentro di me, facendomi impermalosire. Adesso più che mai credevo al detto "chi disprezza, compra".
“Posso?”, domandò una testolina rossa sbucando dalla finestra semi-aperta.
Annuii facendo spazio al ragazzo che si sedette vicino a me.
“Serata tranquilla, non trovi?”, chiese guardandomi intensamente. Gli occhi chiari rilucevano anche di notte.
“Tranquilla è un eufemismo, Fred.”, dissi sorridendo.
“George è diventato insistente. Vuole sempre seguirmi ovunque, non ho mai tempo per abbracciarti come si deve con lui intorno.”, si confidò guardando il cielo notturno insieme a me. Pensai che essere gemelli fosse divertente, sapere sempre tutto dell'altro, conoscersi nel corpo e nella mente per una strana connessione che gli studiosi chiamano empatia. Non è solo tipica dei gemelli, ovviamente, ma ho sempre sospettato che si manifesti maggiormente in loro, per il semplice fatto che sono insieme dal primo giorno, ancor prima della nascita. Non doveva però essere facile poter nascondere qualcosa al proprio gemello. Fred lo faceva quando aveva paura delle prese in giro di George. Sapevamo entrambi che se il gemello avesse saputo determinate cose, non gli avrebbe dato tregua.
Le braccia di Fred mi attirarono a sé in un caldo abbraccio.
“Ti ricordi quando mi dicesti di Dragan?”, annuii. “Ero geloso, per questo mi arrabbiai, non pensavo veramente che tu fossi meno importante di una Mandragora.”
Sorrisi nascondendo il viso tra il suo collo e il mento. Mi piaceva l'odore che aveva, era così forte e allo stesso tempo delicato, come quello delle orchidee.
“Mi stai chiedendo scusa, per caso?”, domandai staccandomi di poco per poter vedere i suoi occhi roteare. Spuntò un altro sorriso e pregai che non smettesse mai di riservarlo a me, solamente a Savannah Leah Jackson.
“Non ti bacio solo perché abbiamo mangiato aglio a cena e non mi piace sentire una ragazza con l'alitosi.”, sussurrò provocandomi.
“Chi ti dice che io vorrei un bacio?”
“Tutti vogliono un bacio da Fred Weasley!”. Si alzò in piedi mimando una posa da eroe, somigliava vagamente a quella che aveva Superman nei suoi film un po' troppo fantastici per il mio gusto. Risi alzandomi a mia volta.
“Anche Angelina?”. Fred sbiancò e mi rivolse un'occhiata piena di rancore. “Colpito e affondato!”
“La parola d'ordine!”, disse avvicinandosi velocemente e piegandosi un po'. Le mani si attorcigliarono ai miei capelli, lasciati stranamente sciolti, e girando debolmente il mio viso poggiò le labbra sulle mie. Sorrisi mentre sentivo i denti che mordicchiavano la carne della mia bocca.
“Senza ombra di dubbio hai l'alitosi.”, sussurrò staccandosi e indugiando a strusciare il suo naso contro il mio.
“Smettila!”, ocheggiai. Per la prima volta in vita mia mi sentivo apprezzata.
Un sonoro crac ci fece sobbalzare, qualcuno era arrivato alla Tana Materializzandosi. Fred diventò cupo, le iridi azzurre sfiorarono la tonalità di grigio che avevo visto solo quando si arrabbiava, cosa abbastanza strana da parte sua. Mi prese la mano e la strinse nella sua rientrando in casa.
Quello che ci attese furono Ginny, George, Ron ed Hermione sulle scale con una copia delle Orecchie Oblunghe in mano.
“C'è Sirius.”, disse Ginny con il viso un po' triste. Capii alla svelta che il Sirius di cui parlava era il padrino di Harry, rinchiuso ad Azkaban per svariati anni e che adesso era un ricercato. Non era davvero un assassino, era stato incastrato e noi tutti lo sapevamo. Nessuno si accorse che tenevo ancora la mano nascosta in quella di Fred, presi com'erano nel calare l'orecchio di gomma giù dalle scale.
“Molly, non ci sono ma ne però, la Tana non è più un posto sicuro. Per adesso l'Ordine della Fenice è spostato a Grimmauld Place.”, disse l'uomo con voce roca.
“Harry lo sa?”, domandò la donna apprensiva. Probabilmente Sirius negò perché Molly esclamò un "dovremo dirglielo molto velocemente."
Ci guardammo tutti, ci stavamo sicuramente chiedendo la stessa cosa: cos'era l'Ordine della Fenice? Ma non ci fu il tempo per domandare perché iniziarono a parlare di qualcosa che mi riguardava.
“C'è anche Savannah qui. Che facciamo?”, chiese Molly.
“La ragazza deve tornare a casa, proteggere sua madre. Lo sa perché è morto suo padre, vero?”
Il mio cuore perse un battito. Mio padre? Cosa c'entrava papà in tutto il trambusto che stava arrivando alla Tana in una serata tranquilla? Papà era morto in un incidente d'auto, avevo visto la macchina! Fred mi guardò preoccupato, mi strinse le braccia intorno alle spalle, avendo più cura di farsi sentire vicino che di mantenere il nostro segreto.
“Credo che Margreth avrebbe dovuto dirle la verità su cosa successe a Dimitri, ma non ne ha mai avuto la forza.”, asserì Molly con voce triste. Sirius sospirò.
“In ogni caso è ora di dirle la verità e Margreth non può tacere ancora a lungo. In questi tempi che si rabbuiano sempre più velocemente dobbiamo avere più alleati possibili.”
“Sirius, è solo una ragazza.”
“Anche noi eravamo solo ragazzi, Molly. Adesso andiamo, prendete qualche cambio e andiamo. A Savannah ci penso io.”
George riavvolse di corsa l'orecchio e si catapultò in camera sua, così come gli altri. Rimanemmo solo Fred ed io. Avevo le lacrime agli occhi. Mi aveva mentito per quattro anni sulla morte di papà e adesso dovevo tornare da lei per chiederle di dirmi la verità?
Fred sentì tutte le domande che mi si accalcavano in testa e mi guardò dolcemente posandomi una mano sulla guancia.
“So che hai sentito, dobbiamo andare.”, disse Sirius sulla punta dell'ultimo scalino.
“No, io non ci torno da lei, mi ha mentito per tutto questo tempo!”, esclamai. Ero delusa, sentivo la testa pulsare e le gambe chiedere il permesso per piegarsi in ginocchio, non avrei mai retto altre bugie. Fred strinse la presa su di me. “Non mi muovo da qui.”, sentenziò.
“Figliolo, è ora di sapere la verità, non intrometterti. Savannah, ti prego, sii ragionevole.”
Le parole di Sirius riuscirono solo a farmi piangere più forte, singhiozzi che si susseguivano l'uno all'altro e che mi lasciavano senza fiato.
“Savannah, tuo padre ti amava e sono certo che voglia anche lui che tu sappia la verità.”
Per un momento mi parve di vedere il viso di mio padre vicino a quello di Sirius. Aveva gli occhi color smeraldo e i capelli di pece che gli scendevano ai lati della fronte in ciuffi spettinati, la barba rada ma comunque presente sul mento e sulle guance, proprio sotto gli zigomi. Perché mi avevano mentito tutti? Perché se ne era andato così? Fu il suo sguardo immaginario, un po' arrabbiato, un po' dolce a infondermi coraggio e a liberarmi dalla presa di Fred. Me lo stava chiedendo lui di sapere tutto, di capire perché mi aveva lasciato sola quando avevo più bisogno di un padre che mi coccolava e mi tranquillizzava.
“Non puoi andare via.”, disse lui con ancora le dita chiuse sulla mia mano.
Mi pulii con il dorso del braccio le lacrime che mi avevano bagnato le gote, poi sorrisi appena poggiando i palmi delle mani sulle guance di Fred. Era imbronciato e con le braccia strette al petto dove poco prima mi ero rifugiata.
“Non starò via per sempre.”, dissi sussurrando. Fred mi abbracciò, sentii il calore della sua pelle sfiorare la mia e la stretta delle sue mani sui miei capelli farsi sempre più forte. Un bacio veloce, un bacio fugace prima di prendere la mano di Sirius e sentire un ultimo scambio di parole.
“Cos'era quello?”, domandò George con la testa a metà dell'uscio di una camera.
“Un arrivederci.”
Crac.


Angolo autrice:
Bhé non è un capitoletto per me, questo. Devo dire che è il mio preferito in quanto si scoprono molte cose tra cui un amore nascosto per molto tempo che nei capitoli successivi vedrà qualche flashback e qualche Spin-off POV Fred, così sicuramente capirete meglio cosa c'è sotto. Sono certa di essere arrivata ad un Fred decisamente troppo dolce, poco IC ma è così *-* mi piace troppo e spero che piaccia a voi quanto piace a me, alla fine la Zia non ha mai menzionato il comportamento del gemello sotto l'effetto dell'amouuuuur.
L'arrivo di Sirius alla Tana è di mia pura invenzione anche se so benissimo che l'uomo non si può muovere moltissimo da Grimmauld Place dato che è un super ricercato dal Ministero, ma non fa molta strada alla fine, Tana e casa di Savannah sono luoghi abbastanza sicuri.
Dimitri è il padre di Savannah e anche un mio OC a cui dedicherò qualcosa, un giorno, l'ho voluto inserire insieme alla mammina di Sav nel primo Ordine per mettere un po' di pepe, sennò era una storiella piattina, non trovate? Vorrei davvero sapere cosa ne pensate, soprattutto della scena sotto l'albero, lì, tra le spighe dorate dei campi di grano.
Ringrazio tutti quanti quelli che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e soprattutto le mie bamboline che recensiscono sempre. Tra poco ci sarà anche la comparsa di un nuovo OC di invenzione di Violet che sarà una nuova piccola amica <3 Vedrete, vedrete.
Adesso, tastiere a voi.
Taiga.
   
 
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