Le
porte aperte
dell'Istituto furono la conferma del suo sospetto.
Stava succedendo qualcosa di serio, se Hodge l'aveva contattato, e
soprattutto
se i Cacciatori avevano lasciato le porte della loro preziosa
roccaforte
spalancate in quel modo.
Magnus inspirò leggermente, serrando le labbra.
L'hai giurato, ricordi? Niente più interferenze nel
loro mondo.
Hai già visto abbastanza di come va a finire, per i mortali.
Non è il caso di replicare.
E non è te che dovrebbero chiamare, per risolvere i loro
guai.
Oh si, se lo era ripetuto più volte. Hodge aveva chiesto
aiuto per uno dei suoi
giovani allievi, rimasto ferito durante una lotta contro uno dei demoni
superiori.
Perchè lui? Perchè non chiedere aiuto ai Fratelli
Silenti?
Non lasciarti coinvolgere, come secoli fa.
Diamine, in ottocento anni, qualcosa dovresti averla imparata.
E ciò nonostante, i piedi si mossero autonomamente per farlo
entrare
nell'Istituto, silenzioso come un felino, un ciuffo di capelli corvini
che,
diversamente dagli altri, gli ricadeva penzoloni sulla fronte. Non
aveva avuto
il tempo di curarsi, come faceva ogni mattina. Non era neppure l'alba.
E Hodge
non aveva mentito riguardo al demone, perchè l'intenso odore
di sangue
demoniaco non poteva sfuggire alle sue narici.
Non lasciarti coinvolgere.
E' una storia già vissuta.
Quanto può sopravvivere un mortale al veleno di un demone
superiore?
Sei venuto ad assistere alla morte di un ragazzino, questo hai fatto.
Ottocento anni, e non hai imparato niente.
Non si accorse di star stringendo leggermente i pugni, mentre saliva le
scale
dell'Istituto, avvolto in uno spettrale quanto strano silenzio. Non che
si
fosse aspettato un comitato di benvenuto, o Hodge sulla soglia della
porta, ma
sembrava che quell'edificio a lui fin troppo familiare fosse vuoto.
Potresti sempre voltarti e andartene adesso. Non è
troppo tardi.
“Hodge,
dove diavolo
sei!! Jace! Clary!”
La voce della ragazza che aveva urlato era intrisa di terrore, oltre
che di una
certa isteria. Magus era appena arrivato sul ballatoio, quando la vide
scendere
di corsa dalle scale del piano superiore, i lunghi capelli lisci
sconvolti e
insanguinati, il viso teso in una smorfia di angoscia. Così
tanto diversa dalla
bellissima e sensuale gatta che si era presentata alla sua festa.
Così tanto simile
alla ragazzina terrorizzata che doveva essere al momento.
Una storia che conosci, no?
“...Magnus
Bane?”
Isabelle aveva messo d'istinto la mano sul pugnale nella cintola, in un
primo
momento pronta a scattare per difendersi, poi geuinamente basita. Sava
succedendo troppo, e troppo in fretta.
“L'unico e inimitabile.” Magnus avanzò
verso di lei, le mani in tasca e il
passo sicuro. “Dov'è Hodge?”
“E' quello che vorrei sapere anche io," replicò
frettoosamente Isabelle,
guardandosi in giro. Sembrava frenetica e sgraziata nei gesti.
“Non trovo nè
lui, nè Jace-nemmeno Clary, e i maledettissimi Fratelli
Silenti dovrebbero
essere già qui! Quanto tempo credono che abbia
Alec?”
Magnus
la osservò per
un momento, e gli occhi di giada si posarono sul brutto taglio che le
sfigurava
uno zigomo. Il sangue si era già incrostato, e a giudicare
dal modo in cui le
parole le uscivano cariche di angoscia, probabilmente nemmeno si
accorgeva del
dolore al viso. Gli venne del tutto spontaneo sfiorarle la guancia con
le dita,
e in pochi istanti il taglio si richiuse, pulito.
Isabelle
allargò gli
occhi, toccandosi lo zigomo. Non appena realizzò che cosa le
aveva fatto, si
avvinghiò agli avambracci di Magnus, che per riflesso
inarcò le sopracciglia.
“Devi
aiutarlo! Magnus,
per favore-”
“Devo
essermi perso il
contratto in cui è esplicitato questo mio dovere…”
Isabelle
ringhiò
qualcosa in una lingua incomprensibile, al limite della frustrazione.
“Non
mi importa se
dovrò costringerti o supplicarti, maledizione! E’ mio fratello quello che sta morendo in
quella dannata stanza, tutti
quelli che dovrebbero aiutarlo gli stanno voltando le spalle! I
Fratelli
Silenti che per un Cacciatore adolescente nemmeno si scomodano, Hodge
che è
sparito-sei l’unica speranza che mi resta, e per
l’Angelo, farò qualsiasi
dannata cosa perché
almeno tu lo aiuti!”
Magnus
rimase in
silenzio, stringendo appena gli occhi da gatto. Aveva già
visto quella
disperazione negli occhi di una donna, e non una sola volta. Aveva
già sentito
quel tono, l’arroganza che la disperazione è in
grado di darti, la prepotenza
di chi non ha più nulla da perdere, perché sta
già perdendo tutto nella persona
più cara che scivola via.
Ci
stai ricadendo.
Ti
sei ripromesso di non interferire mai più nei loro affari.
Non
dopo la rivolta. Non dopo William.
“Dov’è
tuo fratello?”
Ci
sei ufficialmente ricaduto.
Ottocento
anni di idiozia.
Isabelle
si concesse
pochi istanti di sollievo, prima di lanciarsi in una corsa sfrenata
lungo il
corridoio. Arrivò per prima nella stanza, probabilmente
l’infermeria
dell’Istituto, dato che di letti ce n’erano
parecchi, esattamente come la
collezione di vasetti e calici etichettati come pozioni curative.
Magnus la
vide chinarsi sull’unica sagoma sdraiata, e fu allora che lo
riconobbe. Era il
ragazzo dagli occhi blu che aveva visto alla festa, l’unico
del gruppetto che
avesse dimostrato un po’ di umiltà, e non
quell’arroganza tutta giovanile che
aveva letto nello sguardo del suo amico biondo.
A
chi vuoi mentire, quegli occhi ti hanno ricordato lui.
La
genetica è una gran puttana.
Soprattutto
considerando che agisce secondo una logica strana.
“Non
riusciamo a
curarlo, gli iratze non hanno
alcun
effetto, e nemmeno i soliti intrugli di Hodge,”
mormorò frenetica Isabelle,
voltandosi a guardarlo, i grandi occhi scuri velati dal panico.
Magnus
la superò,
avvicinandosi al letto dalla parte libera. Alec, questo quindi era il
nome del
ragazzo con gli occhi blu. Anche lui era irriconoscibile, rispetto alla
sera
della festa. Mortalmente pallido, il viso contratto in una smorfia di
dolore, i
capelli corvini in parte appiccicati alla fronte, in parte sparati in
tutte le
direzioni. Gli appoggiò una mano sulla fronte, per rendersi
conto della
situazione. Era ghiacciata, sotto la patina di sudore.
“Alec?”
mormorò
leggermente. “Puoi sentirmi?”
“Non
ha più ripreso
conoscenza da quando siamo arrivati qui.”
Magnus
non sollevò gli
occhi su Isabelle, non ne aveva bisogno. Poteva intuire che nel suo
sguardo ci
fossero disperazione e speranza insieme, perché
probabilmente in lui vedeva la
soluzione al problema.
Soluzione?
Quale?
Il
veleno è già arrivato al cuore, sta morendo.
E’
il veleno di un demone superiore, la magia curativa non funzionerebbe.
Ed
è debole, ferito gravemente, anche senza il veleno non
potrei scommettere che
si riprenderebbe.
Isabelle
aspettò che lo
stregone scansasse la mano, prima di riprendere la pezzuolina per
asciugare il
viso e il collo del fratello. Era sui carboni ardenti, come se temesse
che
dandogli fretta, Magnus si sarebbe rifiutato di guarirlo.
Dille
la verità. Suo fratello morirà.
Non
può farcela.
Magnus
inspirò a fondo,
serrando le mascelle. L’immagine di Alec alla festa gli era
appena tornata in
mente. I suoi occhi blu onesti, così diversi da quelli di
Gideon e Gabriel.
Così umili, semplici, ripuliti da ogni forma di arroganza a
cui ormai era
abituato. Una qualità di blu così terribilmente
simile a quella di Will, eppure
più pacati. Lo sguardo semplice di un ragazzo che era
arrossito ad un
complimento, e aveva abbassato gli occhi sentendo parlare del male
compiuto dai
suoi predecessori.
Si
può morire a diciott’anni? Con il mondo intero che
non aspetta che te?
E’
la loro legge, la venerano tanto. Sacrificano i loro figli a queste
stronzate.
Non
c’è niente che tu possa fare per cambiare questa
follia.
“Magnus?”
“Esci
dalla stanza, e
chiudi la porta.”
Nota
personale: niente più inutili giuramenti che tanto
infrangerai comunque.
Sobrio
o ubriaco che sia.
Isabelle
esitò, come se
le risultasse difficile anche solo l’idea di lasciare il
fratello, ma non osò
replicare. Girò sui tacchi e obbedì, chiudendosi
la porta alle spalle con un
rumore netto.
“Mi
devi un favore,
Alec Lightwood…” mormorò piano Magnus,
mentre si liberava dalla giacca viola
acceso, lasciandola cadere sulla sedia poco distante. Guardò
ancora una volta
il ragazzo, scansandogli i capelli dalla fronte, accarezzandogliela.
“…e io non
sono uno che dimentica i propri crediti. Quindi, vedi di sopravvivere
abbastanza da ripagarmi.”
Alec
non replicò né si
mosse, il respiro ridotto ad un rantolo terribilmente lento e appena
percepibile. Era questione di minuti. Magnus inspirò a fondo
e chiuse gli
occhi, posando entrambe le mani sul suo petto. Sussurrò
alcune parole che i
mortali non avrebbero saputo distinguere, perché non era una
lingua del loro
mondo, e percepì l’energia fluirgli attraverso le
vene fino alle dita. Ma non
era abbastanza, non per Alec, che stava per essere sconfitto dal veleno
del
demone. Le parole mutarono ritmo e intensità, e la lingua
divenne quella ancora
meno nota, una lingua che lui per primo avrebbe pagato pur di non
conoscere. La
lingua dei demoni. La lingua di suo padre. Magnus Bane stava per
intingere il piede nel lago maledetto della magia nera, per un
Cacciatore
adolescente che neppure conosceva.
A
dopo l’ironia della cosa, eh.
Quella
specie di mantra
che continuava a ripetere era diverso dalle solite magie curatrici a
cui era
abituato. Sentì nettamente l’energia triplicarsi,
scorrere insieme al sangue
come fosse una linfa maledettamente vitale, quasi avesse una voce
suadente
tutta sua che gli ricordava quanto le sue origini gli avrebbero
concesso, se
solo lui si fosse concesso a loro. Magnus restò concentrato,
cercando di
focalizzare solo su Alec. Sul modo in cui lo aveva guardato mentre si
parlava
della rivolta. Sul rossore tenero che gli aveva colorato le guance
pallide,
quando gli aveva lanciato l’invito a fine festa. Un ragazzo,
era solo un ragazzo. Non poteva
morire. Non doveva morire. Il
mantra divenne più
frenetico, le parole pronunciate più in fretta, e Magnus
avvertì distintamente
la sensazione di poter sfiorare il veleno quasi fosse una sorta di
corda, un
serpente che stava iniziando a danzare ai suoi ordini. Perse la
cognizione del
tempo, perché non seppe mai realmente quanto ci
impiegò, ma alla fine il
serpente scuro si piegò al suo volere, dissolvendosi in una
nuvola nera in
mezzo a scintille rosse come il fuoco.
Magnus
socchiuse gli
occhi, sbattendoli un paio di volte prima di riaprirli del tutto. Si
scansò un
velo di sudore dalla fronte, sbuffando fuori l’aria, e per un
momento
sentì le
forze vacillare.
Era
un po’ che non mettevi mano a questa magia, mh?
Un po’ fuori esercizio.
Alec
era ancora
immobile, sul letto. Ad eccezione di un debole singulto, non sembrava
fosse
cambiato nulla. Ora il suo corpo era tornato libero dal veleno del
demone, ma
le ferite gravi erano ancora tutte lì. Magnus si
chinò su di lui, prendendogli
il viso fra le mani, portandogli le dita alle tempie.
“Sono
abbastanza sicuro
che tu possa sentirmi, perciò ascoltami
bene…” gli sussurrò. “Adesso
dobbiamo
lottare insieme, d’accordo? Non puoi pretendere che faccia
tutto io. Sto anche
lavorando gratis, per cui sei doppiamente tenuto a fare la tua parte.
Sono stato
chiaro, Alec Lightwood?”
Non
ti arrendere.
Non
adesso.
Hai
tutta la vita davanti, maledizione.
~
* ~*~
Isabelle
si stava
torcendo le dita, seduta per terra come quando era piccola, le
ginocchia
strette al petto e la schiena appoggiata al muro, davanti a quella
porta che
continuava ad essere chiusa da ore. Jace non era tornato, e neppure
Hodge.
Nessuno dei Fratelli Silenti si era scomodato, e Magnus Bane era chiuso
nell’infermeria da oltre due ore. Aveva provato a contattare
il Circolo, ma non
era servito a nulla. Avrebbe dato metà della sua vita
perché su quel letto ci
fosse stata lei, e non suo fratello. Alec avrebbe saputo cosa fare,
come
comportarsi, a chi rivolgersi. Lei al momento si sentiva
così maledettamente
insicura, fragile, travolta dal terrore. Non era pronta a perdere suo
fratello.
E non riusciva a capire come Jace e Hodge li avessero lasciati in
quelle
condizioni, sebbene in quanto Cacciatrice, il sospetto che fosse
successo
qualcosa di grave si stava insinuando prepotente nel fiume di pensieri
rivolti
a suo fratello. Si scansò i capelli dal viso, asciugandosi
una lacrima tardiva
con nervosismo, tirando su col naso. Non riusciva neppure a sentire il
dolore
fisico dei colpi presi da Abbandon, o meglio, era grata ad ogni livido
che con
quella fitta la faceva sentire ancora viva, ancora con i piedi per
terra.
Doveva riprendersi la lucidità, rialzarsi, riprovare con il
Circolo. Doveva
semplicemente rimettersi in piedi, da guerriera, come sempre. Ma da
sola,
questa volta. Senza i suoi fratelli. Si stava alzando lentamente, come
se le
pesasse, ma quando vide la porta socchiudersi scattò in
piedi, il respiro mozzo
in gola.
Magnus
aveva lo stesso
aspetto di quando era arrivato, apparentemente distaccato, tranquillo,
sebbene
il colorito olivastro fosse un po’ più pallido di
prima. Lasciò la porta
socchiusa alle sue spalle, incrociando le braccia al petto.
“Siete
abituati così,
voi?” le domandò, placido. “Sono quasi
le sette, e non c’è l’ombra di un
caffè.
Dopo la sveglia che mi avete dato, ce ne vorrebbe un pentolone, non
credi?”
“Alec?”
“E’
vivo,” rispose
Magnus, e il tono scherzoso scemò in uno più
serio. Rimase appoggiato con la
spalla alla soglia della porta, le braccia incrociate al petto,
l’aria almeno
in apparenza tranquilla. “Ma se vuoi che ti dica che
è fuori pericolo, mi
dispiace ma non ne ho la certezza. Non ancora. Le sue ferite erano
molto gravi,
è già un miracolo che abbia resistito
tanto.”
Isabelle
si morse le
labbra, cercando di trattenersi.
“Voglio
andare da lui.”
Magnus
la osservò per
un interminabile momento. Isabelle Lightwood era una ragazzina.
Probabilmente
un’ottima Cacciatrice, ma anche e soprattutto una ragazzina
spaventata. E sola,
al momento. Perché Hodge, almeno all’apparenza, si
era volatilizzato con uno
dei suoi allievi in fin di vita, e non era rimasto nessuno a tenerle la
mano
durante quelle ore di attesa.
In
poche parole, stai avendo pena di lei.
Andiamo
bene.
“A
questo punto,
madamigella, procederei per ordine di priorità. Per cui
partiamo dal mio
ettolitro di caffè. Poi torni qui, ti lasci sistemare, dal
momento che non
sarebbe molto utile che tuo fratello ti vedesse ridotta
così, e poi forse
sarebbe il caso di capire che fine ha fatto Hodge.”
“Devo-devo
ricontattare
il Circolo. Non riesco a raggiungere né lui né
Jace, se riesco a dare
l’allarme, o almeno a raggiungere i miei genitori- ”
“Vedi,
ce ne sono di
cose da fare,” Magnus le rivolse un sorrisetto sghembo.
“Dopo il mio caffè,
naturalmente.”
Isabelle
serrò le
labbra, mordendosele con forza. Avrebbe voluto mandare al diavolo lui,
il suo
caffè e la sua gelatina glitterante, ma quell’uomo
aveva probabilmente salvato
la vita di Alec. E ora come ora, era l’unico riferimento in
un momento in cui
sarebbe stata completamente sola. Inghiottì la risposta,
dunque, e con un
sospiro stizzito si diresse verso le scale.
Magnus
aspettò che si
fosse allontanata, prima di staccarsi dal muro e tornare verso
nell’infermeria.
Era molto meno buia, ora che la luce filtrava dal finestrone al lato
della
stanza. Era ancora immersa in un silenzio irreale, sebbene ora fosse
spezzato
dal respiro ansante di Alec. Magnus si sedette sul bordo del letto
accanto a
lui, osservandolo per un momento. Per quanto ancora sofferente, ora
sembrava
molto più vivo di quando aveva iniziato a curarlo. Il viso
mortalmente pallido adesso
era più colorito, il battito era più regolare, il
respiro meno debole. Gli
aveva saldato le ossa e richiuso ogni ferita, sebbene quelle alla gamba
e i
morsi al petto avessero avuto bisogno di un bendaggio, esattamente come
la
tempia, ancora livida per il colpo preso. La magia curativa aveva fatto
il suo
dovere, ora toccava a lui resistere e riprendersi. E il suo corpo stava
lottando, a giudicare dalla febbre alta che non sembrava dargli tregua.
Continuava ad agitarsi nel letto, mugugnando qualcosa di poco chiaro,
stringendo la coperta con forza nel pugno. Magnus avrebbe voluto
alleviargli
quella pena, pronunciare un incantesimo che gli riportasse la
temperatura ai
livelli normali, ma quel ragazzo non era più in condizioni
di reggere altri
incantesimi, non dopo aver sopportato magia oscura, veleno di un demone
superiore e ferite mortali, tutto insieme in poche ore.
Non
posso aiutarti di più, Alec.
Devi
farcela da te.
“Shh…”
Alec biascicò
qualcosa di poco chiaro, e Magnus si sporse ad accarezzargli la tempia
sana con
il dorso delle dita. “Ti manca davvero poco, sai. Devi solo
resistere ancora un
po’. Presto starai meglio.”
Alec
singultò
bruscamente, socchiudendo gli occhi. Li spostò su Magnus,
senza veramente
vederlo, ma guardando nella sua direzione. La mano che stringeva il
lenzuolo si
serrò disperatamente attorno al suo polso, mentre
inghiottiva un singulto,
sforzandosi di parlare.
“Is-Isabelle…
e Jace…
in p-pericolo…”
“Stanno
bene, tutti e
due” replicò pacato Magnus, continuando ad
accarezzargli la tempia e la guancia
madide di sudore.
Tu
stai facendo a cazzotti con la morte, e ti preoccupi per loro.
“…d-demone…”
“Spedito
in vacanza da
un Cacciatore con un gran bel sedere,” gli rispose Magnus,
sorridendo appena. Scrollò
leggermente le dita, e la pezzuolina con cui gli aveva ripulito le
ferite tornò
completamente linda, umida di acqua fresca. La usò per
rinfrescargli la fronte,
accarezzandogli con insolita dolcezza il viso.
“Andrà tutto bene, Alec. Puoi
fidarti.”
Alec
sbattè leggermente
gli occhi, guardandolo. Mormorò qualcosa, ma aveva la voce
impastata e forse
non aveva neppure pronunciato qualcosa di sensato. Richiuse gli occhi,
cercando
col viso quella sensazione di fresco che avvertiva grazie alle carezze,
e inspirò
più a fondo, senza lasciare la presa sul polso dello
stregone. Magnus non osò
scrollarsi quella mano di dosso, né ammettere a se stesso
quanto quella
situazione lo stesse coinvolgendo. Alec Lightwood non poteva morire,
doveva
poter riaprire quegli occhi incredibilmente blu e godersi la vita.
Doveva
semplicemente farcela, perché lo meritava molto
più di tanta gente che in
ottocento anni gli era capitata davanti. Perché sarebbe
diventato un grande
Cacciatore, e non nel senso guerriero del termine. Aveva dimostrato di
avere il
cuore al posto giusto, cosa tutto fuorchè scontata in uno
della sua razza.
Forza
e coraggio, Alec.
Sei
arrivato. Ti manca solo lo sprint finale.
Scommetto
su di te.
~*~*~
Isabelle
non riusciva a
contenere il sorriso, seduta sul letto del fratello, mentre gli
accarezzava il
viso umido con la pezzuolina. Dopo ore di ansia e angoscia, finalmente
poteva
tirare un sospiro di sollievo. Alec riposava tranquillo, il respiro
regolare,
il battito più stabile, il viso ancora pallido ma non
più arrossato dalla
febbre violenta, che era andata via da sola. Le sembrava quasi irreale
ammetterlo ad alta voce, ma finalmente suo fratello era fuori pericolo.
Non osò
dire nulla, mentre Magnus posava la mano sulla sua fronte, controllando
probabilmente per l’ultima volta le sue condizioni.
“Direi
che è come nuovo.
Più o meno.” Magnus piegò le labbra in
un sorriso sghembo, senza nascondere una
certa fierezza. Spostò la mano dalla fronte di Alec,
accarezzandogli la tempia
un’ultima volta, prima di infilare entrambe le mani nelle
tasche. “Le
fasciature che gli ho lasciato, sarà meglio che le tenga
fino alla fine della
settimana. Cambiale una volta al giorno, vedrai che le ferite
cicatrizzeranno
abbastanza in fretta, nonostante tutto.”
“Ricevuto,”
Isabelle
annuì, mettendo via la pezzuolina. “Non so come
avrei fatto se non ci fossi
stato tu.”
Magnus
scrollò le
spalle. “Avresti preparato un caffè meno
forte.”
Isabelle
alzò gli occhi
al cielo, senza impedirsi un mezzo sorriso. C’era ancora da
capire dove fossero
Jace e Hodge, ma era riuscita a sentire sua madre ed avvertirla. Alec
era fuori
pericolo. Sentiva di essere tornata in sé, nel pieno delle
sue capacità di
Cacciatrice, lucida e razionale. E pronta a fare il sedere di Jace a
stelle e
strisce per essere scomparso senza avvertirla.
Magnus
inclinò il capo,
accarezzando con lo sguardo Alec. Il suo sonno era finalmente
tranquillo, e gli
faceva venire una gran voglia di sdraiarsi accanto a lui, e aspettare
il suo
risveglio giocherellando con quei capelli tanto spettinati, o
sfiorandogli con
le dita le labbra piene, per il solo gusto di vederlo arrossire
nell’istante in
cui avesse riaperto gli occhi.
Forse
è arrivato il momento di andare, mh?
Decisamente.
Con
aria del tutto
tranquilla e naturale, raccolse la giacca viola dalla sedia su cui
l’aveva
lanciata, infilandosela. “Bene, se non ci sono altri fuori
programma…” si
sistemò meglio il colletto, infilando le mani nelle tasche
dei jeans. “…posso
tornare ai miei affari.”
Isabelle
si alzò in
piedi, umettandosi le labbra. “Magnus… grazie.
Grazie davvero.”
“A
buon rendere,
Isabelle.” Lo stregone scrollò una spalla,
pizzicandole il mento, prima di
dirigersi verso l’uscita.
“Magnus,
aspetta!”
“Devo
curare anche il
gatto, o posso andare?”
“Come
facevi a sapere…
chi ti ha detto di venire?” Isabelle inclinò il
capo, accigliandosi. “Alec ti
deve la vita, e non sappiamo nemmeno perché tu fossi
qui.”
Magnus
schioccò le
labbra, con un mezzo sorriso. Quella si che era una buona domanda.
Hodge lo
aveva chiamato, ma l’aveva deciso lui di venire. Oh si. Di
restare, di lottare
assieme a quel ragazzo, di aspettare che fosse fuori pericolo, tutte
scelte
sue.
Già,
perché eri qui?
Per farti di nuovo trascinare nei loro casini?
Non
le rispose, se non
con un cenno di saluto, prima di uscire dalla stanza e in pochi passi,
dall’Istituto.
Almeno
lo sai, si, di aver fatto una cazzata?
Forse.
O forse no.
Come
si dice… il tempo è galantuomo, e
svelerà quel che c’è da svelare.
Qualsiasi
cosa sia.