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Autore: Aelle Amazon    22/05/2012    16 recensioni
Evangeline Smith ha diciassette anni e pensa che la sua vita sia una vera merda. Odia tutti, odia anche se stessa.
Quando scoppia un improvviso temporale le cose cominciano a cambiare. Scopre che gli dèi Olimpi esistono e che sono stati imprigionati dai terribili Titani. Gettati in gabbie sporche, gli dèi hanno deciso di privarsi dei loro poteri per darli ad un mortale prescelto. I Discendenti- così sono chiamati i mortali prescelti- devono risvegliarsi e salvare gli dèi, altrimenti per il mondo sarà la fine.
Ed Evangeline è una di loro.
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volcano 1
Volcano
 
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Evangeline Smith si fece strada nella folla a passo di marcia. Il lunedì mattina era sempre uguale: c’erano studenti che si ammassavano davanti ai cancelli della scuola e che non si muovevano di un millimetro, c’erano insegnanti che scendevano dalle loro utilitarie con valanghe di libri e c’erano le immancabili bidelle con la scopa sempre tra mani. E purtroppo c’era anche quel fastidioso chiacchiericcio che metteva Evangeline di cattivo umore. Odiava quelle stupide ragazzine che si scambiavano gossip come i bambini piccoli facevano con le figurine, ma aveva capito che, anche se le disprezzava, non sarebbero scomparse di punto in bianco.
Manca poco, dai. Pensò. Ancora un anno in questa scuola di merda e te ne vai.
Strinse i pochi libri che aveva al petto e si fece coraggio. Varcò la soglia della St. Mitchell High School con la faccia di un condannato a morte. La sua voglia di studiare si era rintanata chissà dove ed Evangeline non aveva tempo da perdere a cercarla.
-Ah, eccoti, Smith- la voce della professoressa Ferner le piombò sulle spalle come un macigno. Tuttavia si voltò con un sorriso, uno dei più falsi che avesse mai indossato.
-Buongiorno, Mrs. Ferner. Mi cercava?-
La Ferner annuì con vigore. –Sì, alla prima ora devo fare un compito a sorpresa nell’altra sezione. Andresti a fare le fotocopie al posto mio?-
Ma anche no. Questo era quello che avrebbe voluto risponderle, ma non lo fece. Si limitò ad assentire e a tendere una mano, in attesa che la prof le passasse i fogli da fotocopiare. Magari per rimediare avrebbe potuto fare un salto nell’altra classe e avvertirli del compito, ma poi rifletté bene sulla sua idea. Che senso aveva? Che andassero tutti al diavolo.
-Grazie mille, Smith. Sei sempre molto gentile, terrò conto di questo- le disse la Ferner.
Evangeline sorrise fino a quando la professoressa non le voltò le spalle, poi alzò il medio nella sua direzione. Si affrettò verso la fotocopiatrice per evitare di arrivare in ritardo alla prima ora –aveva quello strazio di donna della Johel, l’insegnante di letteratura- e si rese conto che la Ferner non le aveva detto il numero dei compiti che doveva fare. Nell’indecisione, preferì abbondare e stampò trenta fogli, pensando a quanto la Ferner fosse una donna con la testa tra le nuvole.
Raccattò la sua roba e filò dritta verso la sala professori, dove lasciò le fotocopie sulla scrivania della Ferner. Dopodiché si recò quasi correndo nella classe della Johel, che fortunatamente per lei non era ancora arrivata. E non erano arrivati nemmeno i suoi compagni rompicoglioni, ma quello non poteva che essere un bene. Aveva ancora- guardò l’orologio al polso- cinque minuti prima che la campana suonasse e le voci stridule di quegli illetterati le trapanassero i timpani.
Quel giorno evidentemente doveva andare tutto storto, perché la campanella suonò nel momento esatto in cui appoggiò la testa sul banco, pronta per godersi i suoi ultimi istanti di tranquillità. Fu così che Evangeline imprecò in tutte le lingue che conosceva.
Ed eccoli: come una mandria di bufali inferociti della peggior specie i suoi compagni entrarono in classe. Dal suo angolo in ultima fila, Evangeline distinse Marcus Lewis e la sua ragazza Abigail Nelson che entravano a braccetto. Poi Adrianna Collins che intenta com’era a sistemarsi uno sbavo invisibile del rossetto cremisi non si curava della coda di ammiratori idioti che sostava alle sue spalle. Poi ancora Caesar Sanchez e il suo fastidioso odore di sudore e molti altri. Evangeline non li aveva mai considerati tanto né loro avevano provato ad avvicinarla. Solo la sua presenza pareva metterli a disagio.
Una volta che furono tutti al proprio posto, entrò la professoressa Johel. A prima vista era una persona carina. Con quei capelli biondi e quegli occhi azzurri pareva un angelo sceso in terra, ma non appena apriva bocca ci si accorgeva che non poteva essere che un diavolo emerso dai gironi più profondi dell’Inferno.
La Johel –che di nome faceva Cassandra- posò la borsa sulla cattedra e si sedette con una calma inaudita. Compilò il registro, verificando con una sola occhiata i presenti e gli assenti, quindi puntò i suoi gelidi occhi su Sanchez, che sedeva ad un banco di distanza da Evangeline.
-Sanchez, la lezione scorsa abbiamo spiegato il concetto di Sublime- esordì facendo sobbalzare il povero Caesar –Spiegamelo, magari arricchendo il tuo discorso con validi esempi-.
Scena muta. Il ragazzo si torceva le mani sudate, ma non parlava. Poi, non sopportando più lo sguardo che la Johel gli aveva piantato addosso, scosse la testa, a conferma del fatto che non sapeva la risposta.
La Johel non commentò, limitandosi a cambiare il suo bersaglio. –Magari ce lo sai dire tu, Smith?-
Evangeline se lo aspettava, per questo aveva passato tutto il pomeriggio precedente a ripassare. Con un respiro profondo si accinse a incominciare, sapendo in cuor suo di conoscere ciò che le era stato chiesto. Non poteva sbagliare.
-Teorizzato da Edmund Burke nel trattato “Indagine sull’origine delle nostre idee di sublime e di bello”, il Sublime è tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore. Può essere anche definito come l’orrendo che affascina. Infatti, si prendono in considerazione gli aspetti più violenti della natura, come i mari burrascosi o le eruzioni vulcaniche, con la consapevolezza che questi saranno la fonte del Sublime perché esso produce la più forte sensazione che l’animo sia in grado di sentire e … -
-Va bene. Ho capito che hai studiato- la interruppe la Johel –Passiamo al prossimo argomento-
Evangeline si concesse un sorriso di pura soddisfazione. Era riuscita a rispondere bene ad una domanda della Johel. Forse la giornata non era poi così brutta come sembrava.
 
All’ora di pranzo, quando Evangeline si era tranquillamente sistemata in giardino lontana dalla presenza irritante di tutti, scoppiò il temporale. Il cielo, da terso che era, si fece improvvisamente scuro e il vento cominciò a soffiare violento. I tuoni precedettero la pioggia, che cadde scrosciante e inarrestabile, infradiciando il terreno e rendendolo fangoso in meno di dieci secondi.
Con uno strillo, Evangeline gettò il suo panino a terra. Raccattò la sua borsa e con uno scatto degno del miglior felino si diresse correndo verso il luogo asciutto più vicino, ovvero la palestra. Spalancò la porta dell’edificio credendo di trovarlo occupato dai fighetti che tanto odiava, ma si bloccò quando lo trovò vuoto e stranamente tranquillo. Si riscosse solo nel momento in cui l’acqua le entrò nelle scarpe, gelandole i piedi, e si decise ad entrare.
Lasciandosi alle spalle una scia di impronte bagnate sul parquet e noncurante dei rimproveri che quelli del club di basket avrebbero potuto farle, Evangeline si diresse verso gli spogliatoi femminili. Vi entrò e lanciò su una delle panche la sua borsa, che vi atterrò con un tonfo sordo. Si mise quindi a frugare negli armadietti fino a quando non trovò quello che stava cercando: un asciugamano abbandonato lì da chissà quanto tempo.
Si avvicinò allo specchio e vide la sua immagine riflessa, ma cercò di ignorarla perché Evangeline non odiava solo gli altri, odiava anche lei stessa. Disprezzava i suoi capelli, di un rosso innaturale che riprendeva in sé tutte le sfumature del fuoco vivo. Disprezzava i suoi occhi neri come il carbone perché sembravano non avere pupilla. Disprezzava la linea sottile della sua bocca, quelle labbra strette e pallide che si seccavano sempre. Disprezzava il suo naso perché era troppo piccolo se confrontato con gli zigomi pronunciati che risaltavano sul suo volto come semafori.
Purtroppo ignorare il suo riflesso si dimostrò quanto mai difficile. Come non notare le scie scure che il mascara, sciogliendosi, le aveva lasciato sulle guance? Parevano strani tatuaggi: si attorcigliavano sulla sua pelle come serpenti e si lasciavano cadere nel lavandino quando la goccia aveva raggiunto il limite della mascella.
Presa da un moto d’ira violento, Evangeline tirò l’asciugamano contro lo specchio e centrò con un pugno la parete, facendosi un male cane. Ansimando, si impose di recuperare il controllo della situazione. Con un sospiro si chinò per raccogliere l’asciugamano da terra, quindi provò di nuovo a tamponarsi i capelli, cercando di togliere almeno l’acqua in eccesso, ma qualcosa la fece fermare all’improvviso.
-Oh, porca puttana- disse a bassa voce sgranando gli occhi.
Nello specchio c’era un altro riflesso oltre al suo. Una figura scura, imbacuccata in un mantello bianco imbrattato di quello che non poteva che essere sangue rappreso, si ergeva fiera alle sue spalle. Quando questa persona –poteva essere una donna- allungò un braccio completamente sporco di sangue fin oltre il gomito verso di lei, Evangeline fece un salto di almeno due metri e sperò con tutto il cuore di avere le allucinazioni. Doveva per forza essere così.
-Ti avverto- mormorò in modo malfermo –Un altro passo e chiamo la polizia!-
La donna –dopo aver visto le forme arrotondate spuntare da sotto il mantello aveva avuto conferma della sua teoria- non si fece lontanamente intimidire dalle sue parole, anzi parve non averle nemmeno sentite e avanzò fin quando non riuscì a sfiorarle il braccio con la mano insanguinata. Mentre la mano le risaliva lungo l’arto, Evangeline tremò, sapendo di doversene andare da lì. Eppure, dentro si sé, qualcosa le diceva che non aveva nulla da temere, che non le sarebbe stato fatto del male, perché come se la donna stesse accertandosi della sua presenza. Come se fosse cieca. 
Fu allora che la donna iniziò a parlare. Disse poche parole, ma quelle furono sufficienti a mettere in subbuglio i pensieri di Evangeline.
-Io sono Ker, la dea del destino-
  
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