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Autore: TuttaColpaDelCielo    23/05/2012    1 recensioni
Sono giorni allucinati. Giorni lisergici.
«Ohi, ma che hai fatto al braccio?»
«Ho sbattuto contro l’armadio.»
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorni lisergici



Sono giorni allucinati. Giorni lisergici.
Problemi di memoria, e credevo di averlo fatto, e me ne sono davvero dimenticata?, e devo averlo perso da qualche parte. Pelle fragile e ossa di cristallo che cedono anche sotto le carezze, sotto una frase un po’ più brusca delle altre, sotto il peso di rapporti ossessivi che non hanno proprio senso.
Terrore dei giudizi altrui. Del tuo. Chiudermi a riccio e difendermi da attacchi che esistono solo nella mia testa e che però fanno male davvero. Malintesi. Rabbia repressa che implode.
E giustificarmi e scusarmi ogni secondo, perché è sempre colpa mia.
Scusa se respiro. Scusa se esisto. Scusa se sono umana e non la bambola perfetta che vorresti.
Magari insieme al latte da te ho succhiato anche l’insania. I sensi di colpa. I pensieri neri, vischiosi, soffocanti. Mi sto sfaldando.
Come quel raccoglitore che mi hai regalato in prima media, e lo uso ancora adesso, dopo anni, tenuto insieme con il nastro adesivo perché altrimenti il cartone si sfascia – tipo i fazzoletti di carta che vengono via uno strato alla volta, presente? E poi finisce sempre che in mano non ti rimane niente, niente, perché l’ultimo velo te lo strappa il vento dalle mani, o lo laceri con le unghie nel tirarlo fuori dalla tasca.
Ma non mi arrendo e aggiungo nastro, ancora e ancora e ancora, perché fino a quando non mi cadrà a pezzi tra le dita io quel raccoglitore non lo abbandonerò.
Mi chiudo le dita dentro gli anelli sono per gustare il dolore. Una volta mi ci sono anche rotta l’unghia.
Tanto me le spezzo comunque, quando mi arrampico sugli alberi per sfuggire alla terra, per avvicinarmi al cielo – cielo mutevole quanto il viso di un bambino, perché siamo in montagna e la montagna ha correnti d’aria che cambiano sempre tutto.
Quando ancora lavoravi – quando il tuo corpo ancora non ti si ribellava e la tua mente stava tornando pulita, luminosa – ti lamentavi tutti i giorni che non potevi stendere i panni, perché non sapevi se avrebbe piovuto o no, anche se alle sei del mattino c’era un sole che sembravano le undici. Quelle volte che ha nevicato a fine aprile te le ricordi? E quando ha piovuto per tre settimane, che il torrente da cinquanta centimetri sembrava quasi un fiume?
Ponti pericolanti spazzati via dall’acqua.
E frane devastanti, pezzi interi di montagna venuti giù. Ma se non ci fosse stata la pioggia, c’avrebbero pensato le scosse. Sotto di noi c’è una faglia sai? Viviamo sul vuoto.
Che razza di posto per costruire, poi. Inondazioni, frane, terremoti. E in certi paesi, d’inverno, c’è il sole due ore al giorno e il resto ombra, ombra nera che si appiccica alla pelle e alla mente e non va più via.
Sarà per questo poi che eri sempre depressa? C’era quel muro di fronte a casa nostra e la luce non arrivava mai mai mai. L’aria soffiava troppo forte in quel vicolo, sibilava e ruggiva e strappava sempre i panni.
Depressione.
Anni, anni interi. Anni di urla, pianti, problemi di memoria. Mi sa che li hai attaccati anche a me, te l’ho già detto vero? Ma forse non hai sentito. Dormi sempre. Dormivi anche allora.
Poi un giorno ti sei svegliata e hai scoperto che ero cresciuta così tanto che per abbracciarti dovevo chinarmi. Ti sembrava passato solo un giorno, dicevi, da quando avevi iniziato a dormire e dormire e dormire, e invece il tempo non si era fermato proprio per niente. Li porto dentro come ferite in cancrena, quegli anni. Se io sono ridotta così, chissà come stai tu, mi dico.
Depressione.
Ma se n’è mai davvero andata?
Non ne ho idea – non è che io ricordi molto, sai. Una volta ho anche fatto una prova, segnare su un quadernino tutto quello che succedeva con te, perché dopo un po’ me ne scordavo. Me ne scordo ancora adesso.
Scordare. Allontanare dal cuore.
E rileggendo dopo qualche giorno quel che avevo scritto, capivo come mi fossi procurata quei lividi.
Ma adesso va meglio, sai? Posso andare in giro con la pelle scoperta – quasi sempre. Sbatto un po’ spesso contro gli spigoli, sì, però... insomma, lo sanno tutti che sono imbranata. Distratta. Sempre persa tra i miei pensieri.
Nessuno che mi chieda quali siano, questi pensieri che mi occupano sempre tutta la concentrazione. Forse è meglio così. Chissà cosa penserebbe la gente se potesse leggermi nella testa, chissà quali alfabeti distorti troverebbe.
E sono giorni allucinati, giorni lisergici, ma sempre meglio di quei giorni.
Rischio di annegare nei sensi di colpa, non nel mio sangue, nelle mie lacrime, nel fiume in piena della tua rabbia, del tuo odio, delle tue urla – o forse sto solo imparando a nuotare.
A volte penso quasi di farmi, per poter dire che sono effettivamente allucinata, ma per questo basta guardare in su. A fissare troppo il sole, finisce che la retina ti rimane sconvolta.
Dopo anni a non alzare gli occhi al cielo – perché il cielo è ricordo di quel giorno in cui potevo solo piangere e supplicare e guardare quell’azzurro freddo e insensibile, schiacciata sotto il peso di qualcosa qualcuno che non volevo, e tu nemmeno te n’eri accorta quella volta che ero tornata a casa coi vestiti laceri e il sangue dappertutto – avevo quasi dimenticato quanto male potesse fare la luce.
Quanto male potessi fare tu, invece, l’avevo dimenticato sul serio.
Vuoti di memoria. La mente che sembra cancellare tutto e invece ogni cosa resta lì, sottopelle, anche dopo che gli aloni sono scomparsi e hanno smesso di dolere. Mi corrode.
Ma tu stai male e non posso, non posso davvero odiarti per quello che fai, per i tuoi sorrisi mentre mi fai a pezzi, per i lividi, per gli insulti. Non è che c’entri questa compravendita di affetto – i libri, i cd, i regali, tutto quello con cui ripaghi il dolore. Non posso odiarti e basta.
Sarà che da te ho succhiato anche la tendenza a perdonare tutto – puoi perdonarmi anche di non essere perfetta, per favore?
Sono sempre tutta sbagliata.
Un po’ come gli aborti di storie che scrivo e poi cancello, perché sono senza senso, senza scopo, senza niente che non sia tutta questa nausea, tutto questo male che viene da dentro.
Lo sono loro o lo sono io?

Sono giorni allucinati. Giorni lisergici.
M’intossico del tuo odio e del tuo amore.
...ho paura di morire di overdose.


«Ohi, ma che hai fatto al braccio?»
«Ho sbattuto contro l’armadio.»
   
 
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