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Autore: orphan_account    24/05/2012    44 recensioni
Ero a pezzi, fisicamente e mentalmente. Stavo cercando disperatamente di dire quello che pensavo, ma la mia gola era chiusa e non riuscivo a respirare dal dolore: "A-Avete la minima idea di quello che ho dovuto sopportare? Di quello che ancora sopporto, tutti i giorni?"
Li guardai con sfida. Due di loro era chiaramente confusi, come se non avessero la minima idea di cosa stessi parlando. Liam e Niall, invece, abbassarono lo sguardo.
[...]
"Per favore, Taylor! Lasciati aiutare." Liam mi stava supplicando, ma i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle mie braccia. Niall era così disperato che per poco non si metteva a piangere. Dieci minuti dopo questo teatrino mi abbandonai alle lacrime, lasciandomi scivolare lungo il muro del bagno.
Basta, ora basta.
Srotolai le bende bianche e voltai le braccia verso di loro.
E proprio in quel preciso istante, la porta si aprì, e Zayn entrò nella stanza. No, lui no. Lui non doveva vedere i tagli, non potevo permetterlo.
I suoi occhi saettarono verso le mie braccia scoperte, e la sua espressione cambiò di colpo.
[Gli aggiornamenti sono molto lenti. Siete avvertite.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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N.d.A. Vi rubo solo un secondo per avvertirvi che il capitolo è abbastanza noioso, spero che non vi addormenterete tutte prima della fine ._.

Comunque, buona lettura, ci risentiamo at the end :)

 

POV Taylor

 

11 settembre 3:00

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato nel mio risveglio. Non sapevo con esattezza cos'era che mi stava rendendo così inquieta, ma rimaneva comunque il fatto che avevo la netta sensazione che sarebbe stato meglio continuare a dormire. Cercai di chiudere di nuovo gli occhi, finché non mi accorsi che facevo bene a sentirmi strana, perché non c'era niente che sembrava essere al posto giusto.

Il letto sotto di me era troppo duro, le coperte non avevano l'odore del detersivo di mia madre, ma piuttosto un pungente odore sterile. Cercai di muovere un braccio verso la fronte, con l'intenzione di rimuovere un ciuffo di capelli che era ricaduto davanti al mio occhio, rendendomi praticamente cieca, ma il movimento si bloccò subito, frenato da una serie di tubi e tubicini che erano infilati nel mio braccio.

Cercai di fermare l'impellente voglia di vomitare sul nascere quando vidi quegli agli che bucavano la mia pelle e attraversavano la carne. Tutto questo non poteva essere vero. Ma il mio cervello si rifiutava di collaborare con me, l'unica cosa che mi ricordavo era una massa grigia, come fumo tra i miei ricordi che annebbiava tutto.

Mi girai a guardare meglio la stanza. Quattro mura e un soffitto. Fino a lì tutto normale. Una piccola finestra, da cui però filtrava pochissima luce perché le veneziane erano abbassate. E poi una massa di ombre indistinte, che non riuscivo a capire a cosa appartenessero.

Ma, se dovevo seguire le teoria che si era appena formata nel mio cervello, avrei detto che erano equipaggiamenti medici. Era tutto troppo pulito e silenzioso perché non fossimo in un ospedale.

Anche se, a dirla tutta, non avevo ancora capito esattamente cosa ci facessi qua dentro, visto che mi sentivo bene. Sì, più o meno, in effetti avevo uno strano prurito allo stomaco, ma niente di ingestibile.

Lo sconforto si fece strada in me, e mi mossi a disagio sul lettino stretto. Come mai non stava venendo nessuno a controllarmi, perché la stanza era vuota eccetto per me?

Rilassati, va tutto bene.” dissi a voce alta, cercando di convincermi che fosse tutto nella norma. Cercai di controllare i miei respiri, cercando di non mandarmi in iperventilazione da sola.

Duecentosettantadue respiri dopo, quando praticamente ero così confusa e spaventata che non capivo più niente, sentii la porta aprirsi. Mi girai di scatto verso l'entrata, ma la porta era sempre chiusa, non si era mossa di un millimetro. Per un secondo pensai di essermelo immaginato, ma i battiti del mio cuore sembravano essere impazziti. Magari mi avevano messo in un ospedale psichiatrico, perché sentivo delle cose. Insomma, questa ne sarebbe stata un po' la prova, no? Avevo sentito la porta aprirsi ma non era vero. Questo poteva significare che ero pazza? Il mio respiro accelerò assieme al mio cuore.

Una mano si appoggiò sulla mia spalla. Il mio urlò risultò più forte e decisamente più acuto di quanto avrei desiderato. La mano si tirò velocemente indietro, e la mia testa si girò per vedere una minuta donna, chiaramente presa in contropiede dal mio urlo di paura.

Aprii la bocca per scusarmi, ma l'unica cosa che uscì dalla mia voce fu un corto gracchiare. Spalancai gli occhi quando il suono si ripeté ai miei tentativi di parlare. Ogni volta che ci provavo sentivo la strana sensazione che mi avessero conficcato delle schegge di vetro in gola. Era completamente secca, e avevo l'impressione che la voce fosse andata a farsi benedire. Mi portai una mano alla gola. Non mi piaceva quella sensazione, mi faceva sentire vulnerabile, anche più del solito.

La faccia della donna si calmò, e mi si avvicinò di nuovo: “No, non così tesoro: non sforzare la voce. Tieni bevi questo.” disse con dolcezza, porgendomi una tazza tiepida.

Ancora nell'ombra, non riuscii ad identificare la sostanza. Ne bevvi un piccolissimo sorso, pronta a sputarlo se avesse avuto un cattivo sapore. Ma alla fine capii che non era altro che tè con molto miele, con un particolare retrogusto amarognolo. Il liquido caldo mi scivolò dentro, bagnando le pareti della mia gola e scaldandomi lo stomaco. Entrambi sembravano più che felici di ricevere da bere, e del calore.

Stavolta, quando cercai di parlare, la mia voce uscì più forte, ma ancora raschiante: “Dove sono?” domandai, ancora intenta a guardarmi attorno e capire per quale ragione mi avessero ricoverata.

La mano della donna, intenta a rimboccare un lembo di coperta, si fermò: “Nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale.” disse lei lentamente, cercando qualcosa sul mio volto.

Per un momento rimasi spaesata, ma poi le sue parole mi arrivarono finalmente al cervello. Terapia intensiva.

E cosa ci faccio qua?” chiesi ancora, la mia voce un sussurro rotto.

La donna mi mise una mano sulla fronte, cercando un qualche segno che avessi la febbre: “Non ti ricordi cos'è successo?” mi domandò, la sua voce tra il perplessa e il preoccupata.

Accese una piccola lampada sul comodino di fianco al letto. La luce improvvisa mi fece lacrimare gli occhi , così li chiusi di scatto, tornando al buio.

Molto lentamente li riaprii, guardando meglio la donna. Era sulla cinquantina, con radi capelli grigi tra la vaporosa massa bruna. Ma la cosa che più mi colpì furono le occhiaie. Erano così marcate che avrei potuto pensare che fossero state dipinte sul suo viso. Le davano un'espressione stanca e assente.

Ricordandomi improvvisamente della domanda che aveva posto, scossi la testa. Il movimento mi procurò una fitta di dolore alla testa.

La donna, ora più di fretta, cominciò a controllare vari macchinari, che facevano strani suoni acuti che mi penetrarono fastidiosamente nel cervello. Dopo qualche minuto di interminabile silenzio si staccò, tornando da me: “Non ti preoccupare se non ti ricordi, è colpa della morfina.”

Mi avevano dato della morfina? E allora ci credevo che non sentivo niente, mi avevano drogata!

Un guizzo di rabbia mi attraversò, ma fu solo una questione di un istante prima che scomparisse tra la confusione.

Sto così male da essere sotto antidolorifici?” chiesi di nuovo, sempre più spaesata dalla situazione strana in cui mi trovavo. Non sapevo cosa mi fosse successo, e se cercavo di ricordarmi alcunché del passato recente vedevo solo la fitta nebbia grigia che offuscava tutto. Per quanto ne sapevo magari stavo anche morendo. Morendo... Perché avevo l'impressione che dovessi davvero morire?

La donna mi fece un sorriso tirato: “Non era proprio obbligatorio, ma abbiamo preferito per buona misura. Sai, abbiamo dovuto farti una lavanda gastrica e i dottori hanno anche dati un'occhiata a... alle tue braccia.” finì debolmente la frase, guardando da un'altra parte.

Le sue parole mi diedero una botta di adrenalina. Il mio cuore prese a battere più forte, e le mie mani tremavano per la tensione.

Una lavanda gastrica?” il mio sussurro uscì come un rantolo spezzato.

Sì, significa che ti abbiamo dovuto svuotare lo stomaco.” spiegò l'infermiera, forse credendo che la mia domanda fosse una richiesta di altre informazioni. Che non era, visto che sapevo già cosa significava. Ma non aveva il minimo senso logico. Perché mi stava succedendo tutto questo? Perché?

La donna sospirò di nuovo, passandosi una mano lungo la fronte: “Bene, ora che le tue condizioni si sono stabilizzate ti spostiamo nel reparto tredici.”
E, senza aspettare una mia risposta, cominciò a sganciare i freni del letto su cui ero distesa. Trascinò il letto, assieme ad una flebo e una serie di macchinari a me sconosciuti, fino all'altro lato della stanza. Mi trascinò attraverso una piccola porticina che non avevo notato in precedenza. Ecco da dove era entrata...

Lo sguardo mi si posò inavvertitamente sulla serie di tubicini attaccati all'incavo del mio gomito, che riuscivo a vedere distintamente attraverso il buio. No, un momento. Il mio gomito? Persi un paio di battiti cardiaci quando mi accorsi che i miei avambracci erano scoperti, lasciando le cicatrici e i tagli freschi in chiara mostra. Non avevo più addosso la mia felpa, mettendo in mostra la maglietta a maniche corte che portavo sotto.

Guardai meglio, notando che quelli più recenti erano stati disinfettati e i più profondi anche cuciti assieme.

Sapevo che ormai era inutile cercare di nasconderle, visto che le aveva già viste, ma infilai comunque le braccia sotto la leggera coperta, tirando un sospiro di sollievo mentale quando passarono senza che nessuno dei tubicini si spostasse. Mi sentivo più a mio agio così, anche se non era come se la mia situazione fosse molto allegra in quel momento.

Cosa c'è nel reparto tredici?” domandai, ricordandomi della sua frase precedente. Non ero davvero sicura di volere una risposta, però.

È il reparto psichiatrico.” disse, scoccandomi una frecciatina che era impossibile da mancare, “A proposito di questo, ti hanno fissato un appuntamento con uno psicologo domani mattina, e possibilmente qualche sessione di terapia di gruppo quando uscirai.”

All'improvviso mi sentivo un nodo in gola. Non volevo un strizzacervelli, era davvero l'ultima cosa che desideravo in quel momento.

Il silenzio tra di noi si prolungò, mentre lei mi scarrozzava velocemente attraverso un corridoio silenzioso. Sbattei le palpebre un paio di volte, infastidita da tutto quel bianco accecante. Era odioso il bianco. Così sterile, freddo e calcolatore. Il colore della morte. Chiusi gli occhi, cullata dallo sferragliare delle ruote che scivolavano quasi senza alcun rumore lungo il pavimento di linoleum dell'ospedale, trascinata dalla dolce ninna nanna del rumore ritmico e ripetitivo. Tutto intorno a me era nero, anche se c'era qualche vampata di bianco di tanto in tanto. Il nero era caldo e avvolgente, come un abbraccio di un amico a lungo perso. Stavo per scivolare in quel tanto agognato sonno, l'unica cosa che riusciva a portarmi via da tutta la confusione e questo strano senso di stordimento. Le ruote si fermarono di colpo, e sentii il tlock dei freni che scattavano.

Lentamente, con tutta la dovuta cautela, aprii gli occhi e mi guardai attorno. Le mura erano intonacate di un azzurro molto leggero, quasi etereo. C'era un televisore attaccato in cima al soffitto e un armadio con i bordi smussati in un angolo lontano della stanza. Ma, a parte per quei due oggetti, la stanza era completamente vuota, c'eravamo solo io e il letto. E la luce veniva tutta da un paio di luci al neon, l'unica finestrella nella stanza era un piccolo sportellino, troppo in alto perché lo potessi raggiungere e troppo piccolo per fare abbastanza luce.

Un sospiro alla mia sinistra mi fece girare la testa: “Ci sono dei ragazzi che aspettano fuori, li faccio entrare?” domandò, la sua voce sempre affaticata.

Sentivo gli ingranaggi nel mio cervello fare uno sforzo enorme, cercando di mettere a fuoco dei volti che vedevo vagamente nella mia memoria. Ma erano solo silhouette in mezzo alla nebbia persistente.

Che fossero amici? No, ero quasi certa di non averne, ma in effetti quella parola aveva scatenato una vaga sensazione di stordimento alla periferia del mio cervello.

Chi sono?” mi morsi la lingua quando la domanda mi sfuggì di bocca.

La donna mi guardò, dovendosi girare dalla posizione in cui si era messa, cioè pronta ad andare verso la porta.

Schioccò la lingua, facendo il primo sorriso che le avessi visto fare: “Sono tre ragazzi molto carini, si chiamano, mi sembra, Styles, Tomlinson e Malik. Ma non ne sono sicura.” disse, aggrottando le sopracciglia per la concentrazione.

Quell'ultimo nome mi fece scattare un campanello d'allarme in testa. I miei ricordi cominciarono a farsi gradualmente più limpidi, come il cielo dopo la pioggia.

Occhi scuri, in cui si poteva cadere e perdersi. Occhi cinici, profondi e duri, occhi che la guardavano. Occhi bellissimi, incantanti, misteriosi e... attraenti, in una certa misura.

Una sensazione di dolore improvviso allo stomaco, un bruciore quasi secco, i muscoli tesi fino allo sfinimento, l'umiliazione, l'orgoglio calpestato.

Un sorriso sarcastico, degli occhi azzurri come il cielo pieni di rimorso, un paio di gemiti sommessi, il sapore salato delle lacrime, una scatola di bende, un piccolo oggetto rotondo delle dimensioni di una monetina, la sensazione delle coperte soffici che avvolgevano il mio corpo, il buio dietro le palpebre chiuse.

Tanti piccoli e brevissimi flash della mia vita, come istantanee della sua prima settimana di scuola. Ma quegli occhi scuri si fecero prepotentemente strada davanti alla mia vista, obliterando tutto il resto.

Sentivo una stretta al cuore, un dolore quasi intollerabile, al pensiero di Zayn Malik.

La stanza era improvvisamente molto più fredda.

E qualche meccanismo mi scattò nella testa. Perché non ero morta? Io mi ero suicidata, allora perché ero qua? Dov'era il Paradiso? O forse era meglio dire l'Inferno, nel mio caso. Perché il suicidio era un peccato mortale, no? Magari questo era davvero l'Inferno, e Lucifero mi stava torturando con i suoi astuti giochetti, facendo leva sui sensi di colpa e... I miei genitori. Come avevo potuto dimenticarmi di loro? Oddio, cosa avevo fatto, ora i miei erano senza la loro unica figlia, perché io mi ero tolta la vita. Mi immaginai il volto di mio nonno, sconvolto per il dolore. Come avrebbe fatto il suo cuore debole a reggere la perdita?

E Hannah? La persona che ci teneva più a me in tutto l'universo. Come si sarebbe sentita lei, sapendo che avevo gettato la spugna, che mi ero arresa?

Io ero morta.

Ma nonostante tutti quei sensi di colpa, perché sì, di sensi di colpa ne avevo fin troppi, non c'era nemmeno una traccia di rimorso nel mio corpo. Non rimpiangevo la mia scelta.

In fondo, non avevo deciso io di nascere, e di certo nessuno aveva chiesto il mio permesso. Quindi perché avrei dovuto trascorrere tutti gli anni della mia vita sulla Terra, quando avevo la possibilità di andarmene quando volevo?

Era una cosa strana, in fondo. Io avevo passato tre anni della mia vita a ripetermi che avrei potuto farla finita quando volevo, e quel pensiero mi aveva tenuto in vita, mi aveva fatta continuare ad andare avanti nonostante fossero tutti contro di me. E poi erano arrivati loro. E avevano sconvolto tutto quello in cui credevo in soli due giorni.

Liam e Niall erano stati uno scoglio quando sembrava che la corrente mi avrebbe trascinata via.

Louis mi aveva mostrato come anche le azioni peggiori potessero essere perdonate. Aveva fatto più di chiunque altro prima per riabilitarsi ai miei occhi. E per me già il fatto che ci avesse provato significava il mondo per me.

Harry mi aveva rallegrato con i suoi giochetti da bambino e quella felicità intaccabile. O quasi, comunque.

E proprio nel momento in cui era arrivato uno spiraglio di luce, era anche arrivato il colpo mortale, sferrato dalle persone che speravo mi avrebbero aiutata a rialzarmi.

Ironico, davvero. Una luce puntata contro i miei occhi mi fece sobbalzare, socchiudendo gli occhi contro il raggio luminoso e facendo una piccola smorfia per essere stata portata via dalle mie fantasie. Ma anche questo rientrava nei piani di Lucifero. Lucifero... Era un nome più bello di Satana. Più aggraziato. E decisamente più adatto ad un angelo, anche se malvagio.

Tutto a posto.” dissi con quella voce ancora simile ad un sussurro, prima che la donna potesse chiedermi se stavo bene.

Allora, li posso far entrare?” domandò l'infermiera, questa volta leggermente spazientita.

La mia mente era spezzata un due direzioni, ma dovevo fare velocemente una scelta. Non avevo tutto il giorno, e mi stavo già approfittando della gentilezza di quella donna.
La mia voce uscì stremata, come un limone che era stato spremuto di tutto il succo: “Tutti tranne Malik e Styles possono entrare.”

Se era stata presa alla sprovvista dalla mia richiesta, non lo mostrò. Aprii di nuovo la bocca, pronta a fare delle richieste di cui ero sicura che mi sarei pentita. All'ultimo momento la richiusi, arrossendo sotto il sorriso comprensivo dell'infermiera.

Tesoro, io sono qua per te. Dimmi pure tutto quello che vuoi.”

Annuii debolmente, rispondendo al suo sorriso con uno mio: “Posso avere qualcosa con cui fasciarmi le braccia?”

Se dovevo incontrare i ragazzi era meglio essere pronte a tutto.

 

POV Liam

 

11 settembre 3:10

Mi sentivo come una corda di violino, tesa fino a che non si stava per spezzare in due. Delle cattive notizie. Non sapevo se potevo reggerle. Mentalmente ringraziai chiunque ci fosse lassù che Niall si fosse assentato, andato a fare Dio solo sa cosa. Non me ne ero nemmeno accorto, all'inizio, poi, quando mi ero girato per vedere come stavano reagendo tutti gli altri, non avevo più visto Niall. Probabilmente era andato a mangiare, anche se non sapevo come avrebbe fatto a tenere giù il cibo. Io non ce l'avrei mai fatta, tanto avevo lo stomaco in subbuglio.

In quel momento pendevo dalle labbra di quella donna taciturna, anche se lei era ostinatamente in silenzio.

La signorina Austen non è in pericolo di vita, e le sue condizioni sono stabili.” tutta la tensione che si era accumulata negli ultimi minuti sparì improvvisamente. Sul mio volto si dipinse un sorriso sollevato.

Stava bene, non era morta, e nemmeno sarebbe morta sotto i nostri occhi. O perlomeno, non sotto i miei, di occhi. Non avrei permesso che ci provasse di nuovo, con o senza l'aiuto degli altri quattro. Ero abbastanza certo che Niall sarebbe stato d'accordo con me, visto che in fondo ci era successa una cosa simile, anche se non proprio tremenda come questa.

Taylor vivrà.

Era un pensiero assurdo, effimero come le ali di una farfalla. Avevo paura che da un momento all'altro non ci sarebbe stata più. Non sapevo come avrei fatto senza quella specie di piccolo uccellino. Sì, Taylor era come un uccellino: piccola, fragile e indifesa, ma un giorno avrebbe aperto le ali e sarebbe volata lontano, felice e senza preoccupazioni.

Ma...?” la voce urgentemente spaventata di Zayn mi fece tornare con i piedi per terra, ricordandomi che per quanto la notizia potesse essere bella, dovevamo sentire ancora le brutte notizie.

Ma cosa poteva esserci di sbagliato in lei, visto che era viva?

La donna sospirò di nuovo, un suono tremulo e stanco: “Ma è abbastanza confusa al momento, la dose di morfina che le abbiamo somministrato ha avuto un effetto più forte del previsto. E il suo livello di concentrazione è ai minimi termini, temo. Ci vorrà qualche giorno prima che lo shock si dissolva completamente, se mai lo farà. Poi, vediamo, le abbiamo dovuto mettere in tutto undici punti.” la mia schiena si irrigidì compulsivamente. C'era qualcosa che non mi tornava in quell'ultima parte del discorso. Perché dei punti? Strano, ero sotto l'impressione che non si fosse fatta male sbattendo da nessuna parte.

E apparentemente anche Zayn, che oggi sembrava stranamente sull'attenti, aveva avuto il mio stesso momento di confusione: “Mi scusi, ma dov'è che si è tagliata?” domandò con quella sua malcelata punta d'ironia. Sempre uguale il nostro Zayn, non sarebbe mai cambiato.

La donna aprì la bocca per rispondere, ma sembrò rimangiarsi le parole all'ultimo momento: “Mi dispiace, ma queste sono informazioni riservate tra il paziente e i dottori. Se la paziente non ha rilasciato l'informazione volontariamente, noi non siamo autorizzati a farlo.”

Inghiottii le mie ultime preoccupazioni: “C'è altro?” chiesi, sperando che la lista di problemi fosse finita. Anche se il fatto che Taylor fosse viva superava qualsiasi risvolto negativo della faccenda.

Sì, un'ultima cosa: la paziente ho posto un veto sulle visite. Ha chiaramente specificato che non sono ammesse visite da parte di un certo signor Styles, e un certo signor Malik.” disse con voce atona, soffocando chiaramente uno sbadiglio.

Per un millisecondo mi domandai da quanto tempo doveva essere sveglia quell'infermiera per essere così stanca. E poi le sue parole si fecero larga nel mio cervello. Erano quasi irreali. Sembrava una cosa abbastanza stupida da chiedere, da parte di Taylor. Perché non avrebbero dovuto entrare?

La richiesta non aveva davvero il minimo senso logico, a meno che non mi fossi perso qualcosa di molto grosso, mi dissi, ma i miei pensieri furono deviati dalla voce accusatrice di Hazza.

Com'è che tu puoi entrare?” sibilò, puntando un dito contro Louis. Non avevo mai visto Harry così arrabbiato, tranne forse in un paio di occasioni, ma certamente mai contro il suo migliore amico.

Louis sollevò le mani in segno di resa, confuso quanto me dall'improvviso scatto di Harry.

Beh, io mi sono scusato.” disse debolmente, ma sembrava decisamente insicuro.

Mi avvicinai alle spalle di Harry, tenendolo fermo per le spalle prima che commettesse qualche imprudenza.

Hazza era davvero avventato, ma era una delle ragioni per cui lui e Louis erano migliori amici.

Tentò di divincolarsi dalla mia presa, ma lo tenni stretto, pregando perché riuscissi a capirci qualcosa di quello che stava succedendo. E Zayn non era di nessun aiuto, stava lì fermo a guardare il vuoto con occhi vacui. Ecco che tutta la responsabilità ricadeva di nuovo su di me. Sospirai, chiedendomi per l'ennesima volta cosa sarebbe successo all'amicizia di quei quattro se non ci fossi stato io a riattaccare insieme i pezzi tutte le volte che andavano a sbattere contro qualche ostacolo. Ogni tanto era quasi divertente assistere ai loro giocosi litigi su chi dovesse andare per primo in bagno o su chi si fosse mangiato tutta la nutella. Ecco, questa non era una di quelle volte.

Perché ti sei scusato, Louis?” domandai, cercando di mantenere un tono pacato e responsabile.

Louis puntò i suoi occhi azzurri contro di me, improvvisamente molto spaventato. Poi scambiò un'occhiata con Harry, che sembrava aver momentaneamente dimenticato la discussione.

N-niente, è stato solo... solo...” Harry sembrava davvero a corto di parole.

Se stessi avendo questa discussione con Niall, avrei detto che i suoi balbettii erano dovuti a qualche problema con le ragazze. Se fosse stato Louis avrei detto che aveva combinato l'ennesimo casino.

Zayn non lo contavo nemmeno, perché se lui era a corto di parole allora eravamo tutti e cinque in guai seri.

Ma con Harry... Beh, Harry era non solo spudorato fino al limite massimo, ma anche fiero di raccontare dei casini che combinava. Ed era anche bravo a mentire, a meno che non si trattasse di una cosa molto grossa.

Quindi l'unica possibilità che mi veniva in mente era che avesse fatto qualcosa di molto, molto brutto. Qualcosa che avevo la netta sensazione di non voler sapere.

Cos'è successo?” la mia voce uscì più tagliente del previsto, ma solo perché ero preoccupato per Taylor. Conoscevo fin troppo bene Harry e Zayn, e sapevo che quando volevano potevano essere fin troppo zelanti, nel caso di Harry, o aggressivi, nel caso di Zayn. Quanto a Louis... beh, non sapevo che ruolo avesse giocato in tutta questa faccenda, ma sembrava che si fosse scusato. E tanto mi bastava.

Li guardai tutti e tre, cercando una risposta che dai loro volti non traspariva. Alzai gli occhi al cielo, cercando di contenere tutta la mia esasperazione. Ma sembrava una battaglia persa ormai.

Senti, Liam, perché non ne parliamo dopo? Insomma, suppongo che tu e Louis vogliate andare a trovarla. E anche Niall, appena scopriamo che fine ha fatto.” cercò di convincermi Zayn, infondendo una sicurezza che non aveva nella sua voce.

E, non sapevo proprio come, io mi ero lasciato convincere.

Qualche minuto dopo stavo camminando fianco a fianco con Lou, senza che nessuno dei due avesse abbastanza coraggio per cercare di smorzare la tensione con inutile chiacchiericcio. Niall era ancora per disperso, mi stavo davvero domandando dove si fosse nascosto; Zayn lo stava cercando, affiancato da un Harry molto abbattuto.

I nostri passi rimbombavano nei corridoi vuoti, c'era solo qualche raro paziente con quelle orrende vestaglie bianche. Mi metteva la pelle d'oca stare lì, era a dir poco inquietante.

Appena individuai la camera che ci aveva indicato l'infermiera, mi ci fermai davanti, bussando piano.

Aspettai qualche istante di sentire la sua voce, disperato per un qualsiasi segno che mi dicesse che c'era ancora, che non se ne era andata. Ma non la sentii, e improvvisamente ebbi una bruttissima sensazione.
Avevo paura, una paura stupida e irrazionale, che quando avrei aperto la porta Taylor non ci sarebbe stata. Ma lei non stava morendo, era questo l'importante, no?

Facendomi forza, abbassai la maniglia e aprii la porta, facendo entrare prima Louis.

Taylor era distesa su un piccolo letto d'ospedale, e sembrava ancora più fragile di prima. Aveva gli occhi chiusi, magari cercando di fermare le lacrime che le scorrevano silenziosamente lungo la faccia. Mi si strinse il cuore a vederla così. Era troppo per me, per oggi avevo superato la mia dose di pacatezza.

Mi appoggiai contro il muro, cercando di fare dei respiri tranquilli. Ma niente, i miei occhi si erano riempiti di lacrime e non avevano nessuna intenzione di andarsene. Tutto questo era a dir poco assurdo. Non avevo ragione per piangere, per non dire che sarebbe stato decisamente imbarazzante farlo davanti a Louis.

Mi girai verso di lui, che si era avvicinato a Taylor. Anche lui stava per perdere il controllo sui suoi sentimenti.

Taylor...” sussurrò Louis, e gli occhi di Taylor scattarono verso di lui.

Sussultando, lei si asciugò velocemente le lacrime, guardandoci. Erano occhi spenti, senza espressione. E la cosa più spaventosa che avessi visto quel giorno.

Perché in quel momento avevo capito una cosa che mi ero rifiutato di vedere prima: Taylor voleva morire. Non era stato un errore, un gesto sconsiderato fatto perché era triste o arrabbiata. Probabilmente ci pensava da tempo, e oggi era successo qualcosa che aveva fatto traboccare il vaso.

Avevo un'improvvisa voglia di prendere a pugni Harry e Zayn, e dire che di solito quello pacifista ero io.

La conversazione tra noi tre si era interrotta subito, dopo i convenevoli del caso. Era una situazione imbarazzante, ma nessuno di noi sapeva come spezzare il ghiaccio.

Anche se dubitavo che ci fosse un qualche copione da seguire in quei casi.

Alle fine, quando il silenzio si fu protratto per qualche minuto, mi decisi ad aprire la bocca, pensando a qualcosa da dire.

Però, prima che potessi dire nulla, la porta si aprì silenziosamente, mostrando la faccia di Niall e i suoi capelli davvero molto arruffati.

Posso entrare?” domandò gentilmente a Taylor, una cosa che io e Lou non ci eravamo presi il disturbo di fare.

Niall... vieni pure.” disse, la sua voce sempre più debole.

Il biondo fece un sorriso tremolante, e potevo vedere lo sforzo che stava facendo per non scoppiare a piangere. Tra di noi, Niall era sempre stato il più sensibile, e non potevo nemmeno immaginare come si stesse sentendo in questo momento.

Fece un timido passo avanti, reggendo un oggetto bianco nelle mani. Inarcai un sopracciglio, cercando di identificare l'oggetto.

Senza incontrare i nostri sguardi, andò direttamente verso di lei, che lo guardava con un velo di confusione chiaro nei suoi occhi. Niall le si inginocchiò affianco, allungando il coso bianco verso di lei con un sorriso impacciato. Ora che era nella luce, riuscii a capire cos'era: un orsetto di peluche bianco.

Mi si scaldò il cuore al pensiero di avere un amico così altruista. E dolce, e sensibile, e tenero. Certo, non erano certo gli aggettivi che gli avrei affibbiato io, ma le ragazze sembravano pensarla così.

La reazione di Taylor fu quella che meno mi aspettavo. Distolse lo sguardo dal peluche che le veniva offerto, e fissò Niall con uno sguardo carico di sorpresa, Davvero non capivo cosa ci fosse di così strano nel ricevere un regalo.

P-per me?” domandò, aggrottando delicatamente le sopracciglia.

Niall annuì, appoggiando l'orsetto sul suo cuscino senza una parola. E così, senza bisogno di nessun'altra spinta, si ritrovarono abbracciati l'un all'altra.

Mi ritrovai a sorridere a quella scena. Io e Louis ci scambiammo uno sguardo carico d'intesa, uscendo entrambi dalla stanza.

Richiusi la porta non appena fummo usciti tutte e due, scoppiando in una risata sollevata.

Sai, ce li vedo bene insieme.” mi disse Louis con un sorriso ebete.

Sì, anche io. Non mi meraviglierei affatto se Niall mi dicesse che gli piace Taylor.”

 

Rieccoci alla fine di un altro capitolo, e complimenti a chiunque sia riuscito a leggere fino a qua XD

Personalmente ho odiato scrivere questo capitolo, per ragioni che non mi sono ben note... Uhm...

Comunque, forse sarebbe opportuno scusarmi per il ritardo improponibile, ma, essendo che sto passando un periodo a dir poco infernale, il mio tempo per scrivere è andato gentilmente a farsi friggere. Diciamocelo, questo capitolo non ha il minimo senso logico, è quasi illeggibile. Non ho nemmeno avuto il coraggio di rileggerlo, quindi dovrete perdonarmi anche tutti gli errori che ci sono.

POI, oggi non ho davvero il tempo di rispondere alle recensioni (altra cosa di cui di dispiaccio di cuore) e spero di poterlo fare al più presto. Ma sappiate che le ho apprezzate tutte tantissimo, siete stupende :)

Bene, ora potete lanciarmi addosso tutti i pomodori che volete.

Ele 

   
 
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