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Autore: LyraWinter    25/05/2012    6 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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A tutte quelle che ancora sperano che finisca questa storia.

A chi la rileggerà.

A chi comincerà daccapo.

A chi l'ha ispirata.





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All my nightmares escaped my head
Bar the door, please don't let them in
You were never supposed to leave
Now my head's splitting at the seams
And I don't know if I can



(canzone del capitolo)



 

Nel cuore del New England c’è un lenzuolo sgualcito di terra che si protende verso il largo dell’Oceano Atlantico, dove il vento frizzante ed il perpetuo sferzare dell’acqua salmastra hanno plasmato la terra, aprendo mille insenature nella lingua di costa che ne segna l’estremo confine con il mare. Dove la spuma delle onde si confonde con gli stormi di gabbiani e le candide vele delle barche che ogni mattina si allontanano dalla riva alle prime luci dell’ alba.

Questo posto di chiama Cape Cod ed è esattamente come lo si dipinge sulle brochure patinate delle agenzie di viaggio: una cartolina, come quelle che trovi per una manciata di spiccioli nei chioschetti turistici.

Là, d’estate, la sabbia pallida ed i sassi grigio antracite, vengono illuminati dai tiepidi raggi del sole e, sulla spiaggia, il vento solleva piccoli mulinelli che si sperdono fra gli schizzi d’acqua e le rocce sbiancate dalla spuma del mare.

 

 Nelle strade delle sue cittadine si ode un perenne brusio di voci argentine che si sopisce solo a tarda notte, quando tutti si fermano ad ammirare attoniti lo spettacolo della luna che si riflette sui flutti di un nero brillante. D'inverno poi,  il mormorio dei turisti é sostituito da quello delle onde, il cui rumore, libero di risuonare fra le piccole case dai muri bianchi e grigi ed i tetti spioventi, si fa così forte da coprire quello di chi rimane a sfidare gli inverni umidi e rigidi e le tempeste di neve che imbiancano le scure rocce.

 

Nell’estremo più a Nord di questo lembo di terra c’è una cittadina, Province Town, che è esattamente come la gente se la immagina: un luogo dove anche il tempo sembra essersi fermato a contemplare la straordinaria e potente bellezza dell’oceano. Uno di quei posti dove i cittadini frustrati ed innervositi dai ritmi pressanti delle loro frenetiche vite vanno per ritrovare loro stessi, ma dove molti, irrimediabilmente, si perdono.

 

Come Bill, che aveva acquistato il Blue Fish, ma ne era diventato il più assiduo avventore dopo che i suoi risparmi erano svaniti più velocemente del bicchiere di gin con cui apriva la serata. O come Elinor, ricca e spensierata bostoniana che aveva sposato l’affascinante figlio di un albergatore del luogo, credendo di poter sostituire la fragranza talcata delle gocce di Chanel n.5 – con cui sua madre imponeva alle domestiche di mescere al sapone di marsiglia usato per lustrare i lussuosi pavimenti del loro appartamento cittadino - con l’odore del mare, prima di rendersi conto che il pesce le provocava una nausea perenne.

 

Province Town era il tipico posto dove la fisionomia del proprio volto rimaneva  tristemente impressa nella mente di ogni abitante e dove tutti si ritenevano in diritto di associare la tua immagine ad un’etichetta, inquadrandoti in un ruolo che sarai obbligato ad interpretare per tutta la vita.

 

La maggior parte della gente che risiede in quella cittadina si sveglia la mattina, pervasa dal fugace panico dell’ignoto che ti coglie quando, aperti gli occhi, non sei in grado di stabilire esattamente che giorno sia. Solo che lì, quell’attimo, non conosce fine. E così ti scivolano addosso i giorni, i mesi, gli anni e tutto ciò che hai fatto non è altro che alzarti, mangiare, far venire sera, dormire e via da capo, intrappolato in quell’immutabile ed immobile quotidianità.

 

O perlomeno, questo è che vi avrebbe risposto Annie Morgan, se le aveste chiesto uno dei mille motivi per cui era fuggita prima che quel posto la inghiottisse, esattamente come le onde del mare avevano fatto, nell’inverno del 2003, con il suo angolo di spiaggia preferito, trascinandolo per sempre alla deriva.

 

 

 

***

 

 

-Dannazione!

 

Annie fissò attonita lo schermo del suo cellulare, prima di arrendersi alla triste realtà di trovarsi, nel cuore della notte, a 50 miglia da Province Town senza connessione telefonica, visto che sua cugina aveva avuto la brillante idea di esaurire le batterie di entrambe per appuntarsi in agenda le ultime novità circa gli eventi mondani programmati per quell’estate a Cape Cod. Evidentemente, però, il fatto di trovarsi nel mezzo di una delle improvvise burrasche estive tipiche del luogo non sembrava toccare particolarmente Nicole, dal momento che la sua preoccupazione principale in quel momento sembrava piuttosto trovare il modo di tenere viva la fiamma dell’accendino per fumarsi l’ennesima sigaretta della nottata.

 

-Dovevamo prendere il traghetto a Boston! Perché io continuo a darti ascolto?

 

Annie cominciò a rovistare nella borsa alla ricerca di qualche moneta, in paziente attesa che la cugina si degnasse di concederle il privilegio della sua attenzione.

 

-Trovate!- Esclamò rivolgendole uno sguardo di trionfo. Questa però, pigramente stravaccata sulle valigie messe al riparo dalla pioggia torrenziale sotto la microscopica pensilina della stazione dei pullman, continuava imperturbabile a giocherellare con il ciuffo di capelli che le ricadeva scomposto sulla fronte lentigginosa, emettendo eleganti sbuffi di fumo.

 

-Ma che ci parlo a fare con te?- Aggiunse sconsolata, scrollando le spalle ed avvicinandosi ad uno dei rari telefoni pubblici rimasti, fortunatamente, ancora in circolazione. Sollevò la cornetta, constatando però, che anche quella linea di comunicazione, era fuori uso.

 

-Maledette linee telefoniche!

 

-Bentornata a Cape Cod, a 70 miglia da Boston e da ogni preoccupazione. E da ogni forma di innovazione tecnologica!- Nicole rise soddisfatta, mentre la cugina issava bandiera bianca, abbandonandosi sconsolata sull’unico centimetro quadrato di valigia lasciato libero dalle sue gambe e tirandosi sulla testa, con aria accigliata, il cappuccio della giacca a vento che aveva avuto l’accortezza di infilare nella borsa all’ultimo minuto.

 

-Ricordami perché lo faccio, al momento mi sfugge il nocciolo della questione,- protestò Annie.

 

-Vediamo... Forse perché la depressione dell'estate londinese ti stava facendo somigliare più a un morto che cammina che a un essere vivente? O forse perché rimanere in città dopo che quel coso che chiamavi fidanzato ti ha mollato su due piedi e se n'è andato in Giappone a folleggiare?

 

-Ethan non è andato in Giappone a folleggiare, e non mi ha nemmeno mollata su due piedi, se vogliamo essere onesti.

 

Nicole interruppe le sue parole con un gesto annoiato. -Non importa quale sia la ragione del vostro tragico distacco, la terapia post-rottura prevede obbligatoriamente che tu trovi qualcuno con cui prendertela e, siccome Ethan è troppo perfettino persino per tradirti e fornirti un capro espiatorio, allora te la devi prendere direttamente con lui. Sono le regole del gioco, mi dispiace.

 

Annie provò ad aprire la bocca per obiettare, ma la cugina la interruppe con un tono che non ammetteva repliche. -Inoltre, mi vuoi troppo bene per lasciarmi un'estate intera, sola, in pasto ai lupi.

 

Annie sorrise con sarcasmo, pensando che un branco di lupi non sarebbe uscito vivo da quel covo di serpenti che era la sua famiglia materna.

 

-E tu, perché lo fai?

 

Niente al mondo avrebbe convinto la mondana Nicole, brillante studentessa della Columbia, ad allontanarsi dall’alta società newyorkese, dai succulenti ristoranti pluripremiati, dall’eleganza dei vernissage e dallo splendore delle feste, gremite di giovani rampolli delle famiglie più in vista della città vestiti come modelli di Vogue.Niente, tranne qualcuno incarnasse tutti gli aspetti appena citati.

 

-David, naturalmente.

 

Come volevasi dimostrare. Annie scosse la testa in segno di disapprovazione, mordendosi la lingua per non esternare a sua cugina i suoi pensieri a riguardo: David Campbell era ormai da un anno il perfetto fidanzato della cugina. Figlio di uno dei più importanti avvocati di New York, il giovane era entrato a Wall Street dopo una brillante carriera universitaria e ne aveva immediatamente raggiunto la vetta. Annie si domandava come, un giorno, Nicole sarebbe riuscita a chiamare marito qualcuno che era già sposato al suo lavoro e ai doveri mondani che questo comportava. Tuttavia, si disse, non era quello il momento per discuterne.

 

-Che c’é adesso?- le domandò questa, squadrandola con aria interrogativa. Lei tacque eloquentemente, osservandola accendersi un’altra sigaretta.

 

-Tu fumi troppo Nicky.

 

-E tu mangi troppo.

 

Annie squadrò con attenzione il cracker che aveva distrattamente iniziato a sbocconcellare, per sedare il nervosismo crescente. Non girava mai senza cibo nella borsa; a chi, malignamente, l’additava come golosa, propinava la scusa della prevenzione contro i cali di pressione che spesso la coglievano, ma la realtà era che aveva, davvero, sempre fame.

 

Stava congelando: non aveva previsto di dover passare la notte sotto uno di quei diluvi torrenziali che coglievano d’improvviso Cape Cod e, alla partenza, aveva ingenuamente indossato un leggero vestitino, un giubbottino di jeans ed un paio di sandali che avevano miseramente capitolato dinnanzi alla superiorità della natura, palesatasi in una tempesta da fare invidia ai rovesci monsonici.

 

-Vado a cercare aiuto, tieni d’occhio le valigie. Qui si muore dal freddo, faresti meglio a coprirti.- Annie imboccò l’uscita a testa bassa, per proteggersi dalla pioggia che aveva cominciato a cadere in diagonale, appiccicandole i capelli sulla testa e rimbalzandole sulle gambe nude.

 

Sapeva che avrebbero dovuto prendere il traghetto a Boston: tre ore comodamente sedute sui divanetti a prua e sarebbero state direttamente a Province Town. Ma, a Nicole, evidentemente, le cose semplici non piacevano: terrorizzata dalla nave, l’aveva forzata a salire sul primo pullman per Barnstable, assicurandole che lì avrebbero preso immediatamente la coincidenza per arrivare a casa. Peccato che fosse l’una di notte ed il primo pullman partisse non prima alle sette del mattino seguente. Annie si domandava da venticinque anni come sua cugina potesse essere cresciuta in una cittadina di velisti e pescatori, visto il terrore irrazionale che provava nel salire su una qualsiasi imbarcazione. In realtà, aveva sempre sospettato che se mai qualcuno le avesse domandato di prendere il largo su uno yacht di lusso, Nicole avrebbe dimenticato in una manciata di secondi il giuramento che aveva fatto da bambina, quando erano quasi naufragate a bordo della piccola barca a vela su cui prendevano lezione durante la bella stagione, di non mette mai più piede su qualcosa che galleggiasse a più di tre metri dalla riva. Ma questo, ovviamente, non gliel’aveva mai detto.

 

Stava disperatamente tentando di orientarsi per ricordare se vi fosse un pub o un qualsiasi locale a cui chiedere di telefonare nei dintorni, quando un tuono improvviso e violento la fece sussultare dalla paura, tanto che cominciò a correre, verso le prime luci che poté adocchiare, fino a che qualcosa non interruppe la sua fuga. Qualcosa con un paio di All stars scolorite, dei jeans sdruciti a coprire due gambe lunghe e fin troppo snelle. Qualcosa che rispondeva al nome di…

 

-Scotty!- esclamò, riconoscendo l’ostacolo che si era messo fra lei e la corsa verso un mezzo di comunicazione.

 

Lui la fissò con gli occhi sgranati per qualche istante sorreggendole i gomiti per paura che cadesse per l’impatto.

 

-Annie?!

 

Erano cresciuti insieme, lei e Scott Anderson. I due bambini più ossuti e piccolini di tutta Province Town, così erano conosciuti. Con l’unica differenza che, durante l’adolescenza, lui aveva raggiunto ed abbondantemente superato i suoi coetanei, mentre lei si era arresa alla desolante realtà che, nemmeno se l’avessero sottoposta ad una tortura medievale, avrebbe raggiunto un’altezza degna di essere chiamata tale.

 

-Cosa ci fai da queste parti? Ormai ti credevo in un pub londinese, con la pancetta alcolica e la canotta da muratore macchiata di sugo, a bere birra e a tifare Chelsea!

 

Annie si ricordò immediatamente cos’era che amava in lui: la sua spontaneità. Ed il sorriso compiaciuto che gli si stampava in volto ogni qualvolta era consapevole di aver detto qualcosa di estremamente divertente per gli altri. Il che avveniva più o meno una volta ogni cinque minuti, vista la frequenza con cui esordiva con frasi davvero imbecilli.

 

Avrebbe riso di gusto se non fosse stato che la prontezza di spirito con cui l’aveva accolta, come se lei non se ne fosse mai andata, l’aveva spiazzava.

 

 -Scotty io…

 

-Brady non lo sa, vero?

 

La seconda cosa che amava ed odiava al contempo di Scott era l’estrema sagacia. Gli bastava un’occhiata per inquadrare le persone e, disgraziatamente per lei, difficilmente si sbagliava.

 

-Cos’è che non so?

 

Eccolo lì, in piedi davanti a lei: Brady Sanders, l’incarnazione di quanto di più vero c’era nel detto –i più grandi mali vengono dai più grandi beni-. Centonovantacinque centimetri di beni, per l’esattezza.

 

Annie poté avvertire distintamente l’istantanea interruzione del respiro di Scott, rimasto senza parole forse per la prima volta nella sua vita, e vedere la vena sulla tempia sinistra di Brady cominciare a pulsare, mentre stringeva il bicchiere di birra che reggeva in mano, come se volesse infrangerlo in mille pezzi.

 

Non riusciva a muoversi e continuava a fissare gli occhi turchesi di lui, incapace di trovare in sé le parole più adatte per spezzare quell’atmosfera opprimente che era calata fra di loro. Cosa dire alla persona con cui si aveva condiviso una vita di esperienze, emozioni e pensieri, dopo essere sparita nel nulla per sette, lunghissimi anni? Cosa poteva passare per la sua mente, ora che lei gli stava davanti, dopo che senza una spiegazione se n’era andata, senza fargli avere sue notizie, senza cercarlo, chiamarlo o fargli anche solo sapere che era viva? C’era stato un tempo in cui lui la guardava e, senza che parlasse, sapeva già tutto ciò che aveva da dirgli, ma ora? Era ancora il suo Brady, dopo tutto quel tempo?

 

Improvvisamente, mentre si chiedeva se sarebbe mai stato possibile tornare all’ultima volta in cui si erano salutati, da dietro il finestrino di un pullman in un giorno piovoso di fine agosto, lui sembrò destarsi dal suo torpore, sgranò gli occhi blu ed esclamò, lanciandole uno sguardo in tralice:

 

-Chi ti ha violentato i capelli?

 

Un guizzo divertito percorse gli occhi di Annie, mentre sentiva sciogliersi lentamente il nodo alla gola che le impediva di parlare; deglutì sonoramente, poi, portandosi una mano nel caschetto castano che le lasciava libera la nuca,  gli rispose: – probabilmente la stessa persona che si è portata via i tuoi bei boccoli biondi, riccioli d’oro!

 

Da qualche parte accanto a loro, Scott tornò a respirare. Annie era ricomparsa inaspettatamente, come il primo tuono di quella giornata soleggiata fino al tramonto, ma tutto sembrava andare per il verso giusto.

 

Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, con un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.

 

Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.

 

 

 

***

 

 

 

Se tutto ad Annie sembrava inevitabilmente cambiato una volta rimesso piede a Cape Cod, quando Scotty, dopo avere gentilmente offerto a lei e a Nicole un passaggio, la scaricò davanti al Brass Key, ebbe la subitanea impressione che il tempo, almeno lì, non fosse mai trascorso.

 

Le stesse luci basse rischiaravano ancora l’entrata del B&B che suo padre gestiva da quando si era trasferito in Massachusetts trent’anni prima. Al primo piano, dalla stanza di sua sorella Sam, le tremolanti luci della televisione rimasta accesa filtravano dalla finestra socchiusa, rimandandole immagini di Audrey Hepburn che rincorreva il suo gatto sotto la pioggia. Le scarpe da basket sul davanzale di Jamie erano le stesse di quando era partita sei anni prima per l’Inghilterra, solo più grandi di qualche numero. Nel patio antistante l’entrata, il dondolo su cui spesso aveva passato le notti in attesa che suo padre fosse sufficientemente addormentato per rientrare in casa dopo una serata in spiaggia con gli amici senza subire le sue ramanzine, ondeggiava lentamente, mosso dal vento sferzante di quella notte burrascosa, esattamente come il giorno in cui aveva creduto di aver detto addio per sempre a quel posto.

 

Infilò il vialetto di casa maledicendosi per avere scelto di usare quel trolley grande quasi quanto lei, al posto dell’enorme zaino da campeggio che si era comprata in Europa. Sua cugina approvava in pieno quella scelta, più raffinata ma decisamente meno pratica per intrufolarsi di soppiatto in casa, attraverso il percorso sterrato che attraversava il giardino perfettamente curato di suo padre. Una pessima decisione dunque, specialmente perché le gambe, appesantite dal viaggio e dalla stanchezza del jet lag, non volevano saperne di sollevarsi quel tanto che bastava per evitare il fastidioso scalpiccio della suola di cuoio dei sandali.

 

Annie, ormai inzuppata, scivolò all’interno della casa dalla porta sul retro, di cui aveva recuperato la chiave da sotto il vaso antistante la porta. Lasciò la valigia in cucina, dove ancora si sentiva il profumo dei muffins ai mirtilli che la cuoca aveva lasciato pronti per essere gustati dai primi clienti della stagione, quelli che amavano godersi il primo sole evitando la ressa dei giorni di agosto, e si mosse verso l’ingresso, stupendosi di come, anche lì, fosse rimasto tutto come lo ricordava. Sulla destra, il vaso alla cui incolumità aveva mille volte attentato da bambina, quando la palla era l’appendice mobile del suo braccio destro. La fotografia dei quattro piccoli Morgan sul tavolino con le rose gialle su cui suo padre lasciava sempre qualche libro per i clienti che decidevano di passare la serata, il giradischi con il vinile di Across the Universe pronto per essere ascoltato; era come se in quel luogo tutto si fosse congelato, in paziente attesa del suo ritorno. Aveva persino l’impressione che i granelli di polvere che le rimanevano attaccati alle dita con le quali sfiorava oggetti e mobili a lei familiari fossero gli stessi di allora, così come il bicchiere d’acqua macchiato di rossetto sul tavolino, o il maglioncino di cotone blu di Sam abbandonato sul divanetto di velluto rosso.

 

Infine, nell’ingresso, suo padre che copriva il turno di notte, immerso nella lettura di un quotidiano, con gli stessi occhiali di tartaruga che portava da quando aveva vent’anni, sempre storti sul naso e qualche sporadico filo argentato che illuminava i riccioli castani. Persino lui sembrava lo stesso Kenneth Morgan che l’aveva accompagnata al traghetto per Boston, consapevole che probabilmente non vi sarebbe mai stato il giorno in cui l’avrebbe vista scendere nuovamente da quell’ imbarcazione.

 

-Papà?- sospirò con voce flebile.

 

-Sam, è tardi e domani c’è scuola, che ci fai ancora in piedi?- domandò lui senza sollevare lo sguardo dal giornale.

 

-Papà sono io, Annie…

 

L’uomo trasalì, riconoscendo la voce della sua secondogenita e si alzò, avvicinandosi di qualche passo. Ogni giorno di quei sette lunghissimi anni, aveva accettato rispettosamente la scelta della figlia, potendone solo indovinare le motivazioni, ed ogni sera, allo spaccare delle diciotto, aveva alzato la cornetta, per farsi trasportare dai racconti della sua giovane giornalista nella loro terra d’origine. Ma averla di fronte, dopo quasi otto mesi che non vedeva quella che, in fondo, sarebbe sempre stata la bambina con un caschetto di riccioli identici ai suoi e le ginocchia troppo ossute perennemente sbucciate sotto la salopette di jeans, era tutta un’altra questione.

 

-Ti ho chiamato questo pomeriggio, ma non mi hai risposto…- balbettò incredulo, sfilandosi gli occhiali da lettura.

 

-Stavo atterrando papà. Avevo bisogno di tornare a casa, Londra era troppo vuota senza Ethan e...-

 

Fu l'abbraccio di suo padre, a zittirla. Se superare l’imbarazzo di salutare Brady ad Annie era sembrato un’impresa titanica, quello di trovare le parole giuste da dire all'uomo in quel momento le apparve un ostacolo insuperabile. Per cui rimase lì, immobile, lasciando la stringesse a sé ed assaporando il profumo di tabacco e menta piperita della sua pelle e della sua camicia azzurra. Forse tacere non era la scelta migliore, ma era l’unica possibile, dal momento che le stupide lacrime provocate da quel rimestio di gioia, tristezza, rabbia e malinconia che le attorcigliava lo stomaco le avevano fatto morire ogni parola in gola. Avrebbe voluto dirgli quanto le era mancata la sua casa, lui e i suoi fratelli, urlargli la rabbia che provava nei confronti di Ethan, di Brady e di tutto ciò che l’aveva spinta a lasciare Londra, la frustrazione del tornare e rendersi conto che nulla, lì, era come lo ricordava. Ma, probabilmente, lui lo sapeva già.

 

 

***

 

 

Spazio autrice

 

Bu!

Son tornata su questa storia. A chi la legge per la prima volta... Benvenuto!!! 

A chi invece torna qui dopo molto tempo, va il mio ringraziamento: vi giuro che la finirò. 

La decisione di riprenderla in mano e modificarne un po' i contentuti viene alla fine di una serie di buoni propositi che durano ormai da anni, ma viene anche dalla voglia di chiudere questo progetto che mi sta molto più a cuore di quanto si possa credere. Non vorrei stare a tediarvi troppo, ma sappiate che alcune cose sono state modificate, magari anche impercettibilmente, per giustificare la piega che la storia prenderà più in là. Se deciderete di fermarvi a questo capitolo finchè non avrò revisionato il secondo, non vi interesserà, ma se andrete avanti tenete ben presente che Ethan sarà molto più che una semplice citazione, ma occuperà un ruolo ben specifico nel corso della storia. Non cancello il resto della storia, perchè ci sono alcune recensioni a cui sono talmente affezionata che non potrei cancellarle a cuor leggero, ma sappiate che la mia intenzione è revisionare un paio di capitoli a settimana, prima di pubblicare il prossimo, vale a dire il nono.

 

Arrivata a questo punto... che dire? Grazie di aver letto e di essere arrivati fino a qui, spero davvero che questo prologo vi sia piaciuto. Grazie di essere ripassati. 

Se volete rimanere in contatto, per spoiler e tanto tanto tanto disagio, questo è l'indirizzo del mio gruppetto Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, che da qualche tempo ospita anche le mie compagne di cervello (uno e trino) Sam e Veronica SidRevohttps://www.facebook.com/groups/342900242472146/

 

 A me, invece, mi trovate QUI e QUI

 

Un abbraccio, Lyra.

 

 

 


   
 
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