PARTE
5
Deglutii
tutto d’un colpo. «Amico?»
Tabita annuì, sicura, continuando a
ingollare dolcetti e offrendone di tanto in tanto al suo amore.
Normalmente le
coppiette felici mi inondano di tenerezza, ma osservare quei due invece
mi
provocava sempre un vago sentore di nausea. Non ricordavo un solo
discorso con
l’orlesiano che non includesse le parole jolie
e absolutement… se quel
damerino
viziato non avesse avuto il fegato di sposare mia sorella, sarei stata
certa al
cento per cento che appartenesse all’altra sponda.
Presa da un’incontenibile curiosità
e dalla voglia di sottrarmi alla presenza frustrante di Tabita e
Florent,
raggiunsi quasi di corsa il soggiorno.
Con un sussulto mi bloccai sullo
stipite della porta, osservando le sneakers firmate calzate dal paio di
piedi
che penzolavano dal bracciolo della poltrona; il loro proprietario non
era però
visibile, perché nascosto dallo schienale e a giudicare dal
suono del suo
respiro regolare si era addirittura bellamente addormentato.
Mossi qualche passo e rimasi di
stucco nel vedere il viso di quell’estraneo, diventatomi
però fin troppo
familiare, ormai. Di primo acchito avrei voluto scrollargli le spalle e
svegliarlo all’istante, ma vedere il suo volto rilassato nel
sonno mi strinse
innegabilmente il cuore in una morsa di tenerezza e cedetti al
lasciarlo
riposare un po’.
Oltrepassai di qualche metro il
ragazzo, andando a sedermi sul bordo del camino e lasciando che le
fiamme mi
scaldassero la schiena nel loro abbraccio.
«Che carino…»
commentò Tabita, sulla
soglia della porta. «Visto, Florent, lui
com’è sciolto? Non è mai stato qui
prima d’ora eppure si comporta esattamente come fosse casa
sua. La plebaglia sa
essere tanto dolce…»
«Sta’ zitta, Tabita»,
bofonchiai a
bassa voce.
«Noi Dubois siamo absolument
beneducati, ma jolie», si
giustificò lo zombie,
aggiustandosi il nodo della cravatta a pois neri.
Le voci dei due intrusi sortirono
l’effetto di un colpo di cannone, a giudicare dal modo brusco
con cui Eric – il
ragazzo che centinaia d’anni prima mi aveva salvato la vita,
allontanandomi dal
campo di battaglia – si tirò su a sedere.
«Che ci fai tu
nel mio tempo?» chiesi
semplicemente.
Lui si guardò per un attimo intorno,
spaesato, poi poco galantemente si asciugò il rivolo di bava
che gli era calato
lungo il mento durante il sonno.
«Horrible»,
osservò Florent, rabbrividendo.
Gettai un’occhiata torva a mio
cognato, visto che continuava a borbottare commenti schifati riguardo
al
comportamento disdicevole dell’ospite.
«Beh, non è mica solo tuo»,
rispose
Eric, scocciato. «Chi è il damerino? Uno dei tuoi
ragazzi?» aggiunse, pulendosi
la mano contro la canottiera pulita – e chiaramente del mio
secolo.
Incassai a testa alta il commento
velenoso, facendogli notare che non era molto educato inveire contro i
padroni
dell’abitazione in cui si ritrova, per poi ricordargli che il
galateo di norma
non permette agli sconosciuti di appisolarsi sotto il tetto altrui.
«E comunque non me la farei mai con
la sorella cattiva della “principessa
buona”», ci tenne a precisare Florent,
scoccando un bacio alla consorte e guardandomi in cagnesco.
Già: in mia presenza lo zombie amava
denominarmi così, poiché era sempre stato certo
che le mie “capacità” fossero
frutto di un qualche patto con un demone dell’Oblio. Di
frequente l’avevo pizzicato
a parlare di me a Madre Jocelyn, la Sorella più importante
della nostra Chiesa,
nonostante più volte nonna gli avesse spiegato chiaramente
che possedevo soltanto
una dote che la mia famiglia deteneva da sempre, ma lui si ostinava
ugualmente
a considerarmi un Abominio. Indubbiamente, riflettendoci, il fatto che
gli
remassi costantemente contro non aiutava certo a sollevare la bassa
opinione
che aveva di me.
Eric sghignazzò. «Principessa?
Non hai nemmeno
lontanamente idea di cosa si cela dietro quella
parola…» disse più a se stesso,
che all’altro.
Affranta da ciò che aveva appena accennato
mi cinsi i fianchi con entrambe le braccia, impedendomi assolutamente
di
rievocare alla mente l’immagine della povera Anita Theirin
priva di vita fra le
mani del suo stesso carnefice.
«D’accordo, uomo-del-mistero, tu e
io dovremmo fare proprio quattro chiacchiere», affermai
trascinando il giovane
per un braccio e sorpassando senza una parola Tabita e il marito che
schifato
borbottò di sentire nell’altro la stessa identica
aura negativa che percepiva
in me.
Lo portai in camera mia, chiudendomi
la porta alle spalle e facendolo accomodare sul letto appena fatto. In
silenzio
gli osservai i capelli legati da un elastico rosa che mi accorsi
appartenere a
me con dubbio alcuno.
Che
sia
trasmigrato nel mio stesso istante e la nonna l’abbia aiutato
a darsi una
ripulita mentre io ero priva di conoscenza?
«Perché non me l’hai mai
detto?»
interloquii, provando a mantenere un tono pacato da sorella-non-cattiva.
«La domanda corretta è:
perché avrei
dovuto?» ribatté, così serio che
iniziai a sospettare fosse in qualche modo
imparentato con mio cognato.
«Sei a casa mia, indossi una mia
canottiera e perfino il mio elastico, una spiegazione me la devi, ti
pare?»
«E tanti cari saluti ai
ringraziamenti per averti portata qui sana e
salva…»
«Me la sarei cavata in qualche modo…
come sempre, d’altronde.»
«Sì, trasmigrando priva di sensi in
mezzo al binario Denerim-Kirkwall… ce l’avresti
fatta sicuramente, hai ragione.»
«Quindi sei un Viaggiatore»,
attestai, spezzando il suo umorismo pungente.
«Tu che dici?»
«Secondo mio cognato Florent, io
avrei fatto un patto coi demoni: tu, invece
«Sicuro! E nelle
notti di luna piena ululo nudo
assieme ai miei amici maleficarum…»
replicò, massaggiandosi il collo e la
schiena indolenziti dalla battaglia.
Di regola sono un tipo allegro che
ama lasciarsi andare all’ironia, ma in quel particolare
frangente non ero
proprio dell’umore adatto.
«Ti invidio, sai?» dissi tutto
d’un
fiato e lui rispose con aria interrogativa. «Riesci a fare
del sarcasmo subito
dopo aver visto i tuoi amici stessi e un migliaio di persone trucidate
brutalmente come bestie… Ti invidio davvero»,
mormorai infine, trattenendomi
dal piangere nuovamente.
Lui si improvvisò serio, dandomi
tacitamente ragione, per poi giustificarsi con l’assurda
scusa che comunque nel
presente tutte quella gente sarebbe solo un mucchio di cenere.
A quelle parole il muro di fredda
razionalità che avevo tanto faticato a costruire intorno a
me, crollò
crudelmente, lasciando libero sfogo alle lacrime e alla disperazione, e
in un attimo
mi ritrovai a martellare i pugni contro il petto di Eric. Non avevo
intenzione
di fargli male, ma covavo dentro così tanta rabbia e
malinconia da avere un
terribile bisogno di sfogarmi in qualche maniera.
Per un po’ fu comprensivo e lasciò
che manifestassi la mia ira contro di lui, senza emettere una parola,
poi
lentamente strinse le dita attorno ai miei polsi, fermandomi e
intimandomi con
quel suo limpido sguardo azzurro cielo di smetterla di continuare a
torturare
entrambi.
«Scusa…» sussurrai con un
filo di
voce.
«No, è meglio buttare fuori
tutto.»
«Lo dice sempre anche mia nonna»,
ammisi voltando il capo verso la porta chiusa.
«Saggia donna. Senti, sono tutti
morti in modo tremendo, non lo nego, ma quel che è stato
è stato, è
completamente inutile continuare a pensare di cambiare gli
eventi», affermò con
tono duro, poi senza lasciare che replicassi, continuò:
«Odio tutto questo. Non
l’ho mai chiesto, eppure ogni giorno sono costretto a
trasmigrare alla data che
tu inserisci nel
cronografo!».
Lo guardai confusa. «Che c’entri te
col mio cronografo?»
«Tuo nonno offrì una cifra
esorbitante per averlo e la mia famiglia all’epoca non
poté rifiutare tanto
denaro; ma il cronografo in origine venne fabbricato appositamente per
me, al
suo interno infatti c’è il mio sangue, e ogni
volta che lo usi, sono
ineluttabilmente strappato dal mio Tempo, a prescindere da dove o quando
mi trovi.»
Andai alla finestra, facendo
scorrere l’indice lungo il vetro appannato. «Dici
che mio nonno ha dato ai tuoi
parecchi soldi… perché non hai un altro
cronografo?»
«Ce l’ho, infatti; ma per qualche
motivo gli effetti dell’originale annullano quelli del
mio.»
«Non ti ho mai sentito parlare
tanto…» notai con un sorriso sbieco.
Dunque, se lui possedeva a sua volta
il gene dei Viaggi allora avremmo sicuramente potuto unire le nostre
forze per
far sì che Orlais venisse smascherata prima di commettere il
tradimento.
Insieme saremmo stati in grado di rendere vincitore il Ferelden e
salvare i
nostri cari da morte certa. Ero così felice di aver trovato
qualcuno simile a
me, che il dolore per ciò che avevo vissuto era perfino
passato in secondo
piano e non potei trattenermi dal fare un enorme, sentito e sincero
sorriso, e
lui sembrò quasi avermi letto nel pensiero.
«Frena, Maya, se pensi che ti
aiuterò nella follia di Tornare là, ti sbagli di
grosso.»
«Ma, ma…»
«Ti ho già detto che odio
trasmigrare o Viaggiare e non intendo affatto mettermi in mezzo a una
causa che
non mi appartiene. E tutto ciò, solo perché tu
non riesci ad accettare che il
tuo ragazzo sia schiattato. Ricorda che lui non è il primo
né sarà l’ultimo a
fare quella fine.»
Punta sul vivo non mi sentii di
replicare alcunché. Che differenza avrebbe potuto fare se
gli avessi detto che,
sì tra me e Jimmy intercorreva un rapporto particolare, ma
che non
appartenevamo assolutamente l’uno all’altra. Eric
si stava dimostrando
solamente un egoista egocentrico e senza cuore per cui non valeva la
pena star
lì a perdere tempo a parlare della mia vita privata.
Capii finalmente perché da che
ricordavo lui era sempre stato l’eterno imbronciato e
taciturno, era
semplicemente costantemente di cattivo umore poiché
trascinato assieme a me in
un’epoca diversa dalla sua. Ma allora come mai non
l’avevo mai trovato con
abiti diversi da quelli indossati dalle genti dell’era di
Jimmy e gli altri?
«Credevo volessi bene a quei
ragazzi…» bisbigliai, andandogli vicino e provando
a tenere a bada l’umore
altalenante.
«Non stiamo parlando di sentimenti,
qui c’è in gioco ben altro.»
«Per esempio cosa?»
«Maya, non si può cambiare il corso
degli eventi senza che ne derivino delle conseguenze, te ne rendi
conto?» dichiarò,
alzando la voce e cambiando rapidamente colorito.
Avevo sentito dire che toccare la
pelle di chi è paonazzo dà la sensazione di avere
sottomano un calorifero, mi
chiesi quanto ciò potesse essere vero, dato che io in vita
mia non ero mai
arrossita. Forse ero difettosa, chissà… Beh, ora
il problema fondamentale non
era certo l’epidermide altrui.
Sospirai, sconfitta. Non mi ero mai
resa conto di vivere il tradimento di Orlais come una faccenda
personale, ma a
voler essere obiettivi si trattava di un fatto storico avvenuto secoli
prima e
che in un modo o nell’altro aveva plasmato e influenzato
– seppur
indirettamente – il mondo moderno.
«Perché non possiamo almeno fare un
tentativo?» domandai infine, andando perfino contro le mie
stesse conclusioni.
Si passò una mano sul viso stanco e
sbuffando mugugnò che le cose non erano semplici come
credevo. «E che vorresti
fare? Non puoi presentarti davanti al re e dire “Salute,
Vostra Maestà,
provengo dal futuro e so per certo che se non vi guardate dallo
stringerci
amicizia, l’Imperatore vi pugnalerà alle spalle.
Oh, sì e sapete vostra figlia?
Ecco, sarebbe meglio non lasciarla sguazzare allegramente con vostro
genero,
altrimenti sarà assassinata. Grazie di avermi
ascoltata.”» mi scimmiottò, inchinandosi
addirittura.
«Per te è tutto un gioco,
vero?»
sbottai, affranta, sentendomi ferita.
«E per te, Maya?» ribatté,
crucciato, con la solita espressione che aveva assunto negli ultimi due
anni.
«Credi di poter salvare il Ferelden? Hai letto troppe fiabe,
è ora di
svegliarsi e dire buongiorno alla vita reale.»
«Io… io non posso lasciare che una
simile barbarie resti impunita.»
«Ma è già successo! Il
mondo è
andato avanti con o senza il tuo aiuto», grugnì.
«Pensi davvero che io sia
fatto di pietra? Oh, Creatore, se tutto fosse facile come credi, non
esiterei
un solo istante a salvarli tutti», confessò e
riuscii a cogliere della
sincerità nella sua voce.
«Ma ugualmente non alzerai un dito
per far sì che degli innocenti non cadano per colpa di uno
sporco inganno», terminai
per lui.
«Esatto», confermò, poi
senza
aggiungere nient’altro uscì dalla stanza e poco
dopo lo sentii sbattere dietro
di se la porta di casa.
Dopo un secolo, eccomi
di ritorno. Pian piano sto
cercando di mandare avanti tutte le mie storie =) Che dire? So che sono
un clichè,
ma io adoro i ragazzi incazzosi, quindi perdonatemi se ce ne sono a
bizzeffe in
ciò che scrivo. Personalmente preferisco un uomo con le
balls, pronto a difendere
i suoi ideali con le unghie, con i denti e un pizzico di bastardaggine,
piuttosto che quelli mollicci che ti lasciano fare tutto quel che vuoi
con aria
ebete e vagamente sdolcinata.
Non succede
moltissimo, ma spero non sia stato un
totale disastro il capitolo, ciaoo!
Vi ringrazio
anticipatamente per il vostro
passaggio J