Fifteen Days.
Chapter 4: Paparazzi.
Forse aveva esagerato con
l’ampiezza della finestra. Il rettangolo che dava sulla Baia prendeva
praticamente tutta la parete.
Certo, il suggestivo tramonto sul
mare era di quanto più romantico poteva trovare per la camera da letto. Ma
forse aveva dato ai Brainbots troppa indipendenza, e
quelli avevano smembrato la parete di mattoni troppo voracemente.
Sospirando, Megamind appoggiò la
schiena contro una colonna alle sue spalle scivolando sul pavimento coperto di
polvere e calcinacci.
Incrociò le braccia, appoggiando
i gomiti sulle ginocchia per sorreggersi la testa. Di questo passo non avrebbe
finito in tempo. Mancavano solo Tredici giorni.
Però dovevano fare tutti una
pausa.
Giusto un quarto d’ora prima
aveva dato l’entusiasmante ordine ai Brainbots di
maciullare la colonna a cui era appoggiato in quel momento, e solo l’intervento
di Minion aveva evitato la demolizione di una delle colonne portanti
dell’edificio: se non fosse stato per il suo assistente, a quell’ora sarebbero
stati in guai seri.
Così aveva mandato tutti a farsi
una bella pausa.
Ed era intenzionato a farla lui
stesso. Solo che si era ritrovato nella stanza, a contemplare l’esagerata
finestra aperta su Metro City Bay e a cercare di immaginarsi la reazione di Roxanne.
Le
piacerà.
Il sole illuminava la stanza,
tinteggiando i muri ancora grezzi di tinte calde. A Roxanne
piacevano i colori caldi del sole.
Oltre che al blu, certo.
Però non le piaceva svegliarsi
con la stanza troppo illuminata. Forse quella parete era davvero esagerata.
Le
piacerà?
Avrebbe installato delle tende
oscuranti elettroniche. Magari a comando vocale.
Si, ottima idea. L’annotò a
matita sul progetto della camera.
E poi alle sue spalle il camino.
Bene. Si posizionò nel modo in cui doveva essere sistemato il letto. Da un lato
la finestra e il tramonto e dall’altro il camino. Spostò di qualche millimetro di disegno del
camino sul progetto. Decisamente meglio.
Si sfregò gli occhi. Oh,
decisamente aveva bisogno di riposarsi. Si riappoggiò alla colonna: Com’è che si faceva a dormire? Ah, si:
Rilassandosi, innanzitutto.
Era sempre stato difficile per
lui farlo. Con la mente sempre intenta a progettare, a realizzare e a
calcolare, gli risultava difficile trovare il momento giusto per staccare la
spina e dormire.
Da quando Roxanne
era diventata la sua ragazza, però, era cambiato tutto.
Roxanne lo distraeva dai suoi calcoli
solo passandogli vicino. Se non otteneva subito una reazione, sfiorava le sue
spalle con la mano.
Un brivido saliva al solo
pensarci. Poteva sentire il suo respiro sulla nuca, sulle orecchie, scendere
sul collo e lì appoggiare le labbra per un bacio.
Non era capace di pensare a
nient’altro quando Roxanne faceva così. Quando si era
assicurata la sua attenzione, gli si sedeva in grembo, facendo domande sul
lavoro su cui era chino: La carta della giornalista ficcanaso.
Giocava. Flirtava. Lo stuzzicava
con la vicinanza delle sue curve e della sua voce.
Megamind non resisteva mai troppo
a lungo. La sollevava di peso – mentre lei fingeva sorpresa- e la portava in un
posto tranquillo, lontano dai teleobbiettivi famelici dei Brainbots.
D’ora in avanti il loro ‘posto tranquillo’ sarebbe stata quell’alcova che stava
costruendo. Solo al pensiero i suoi battiti cardiaci aumentavano.
Gli mancava. Gli mancava guardare
l’orologio per scoprire che mancavano poche
ore prima di poterla stringere ancora. Gli mancava la sua risata e i suoi
sospiri, la sua voce che lo chiamava in tutti quei modi diversi. La sua pelle
calda e morbida tra le dita.
Avrebbe dato una gamba per averla
li in quel momento. Per fare in modo che comparisse dal nulla, magari da
quell’esagerato buco nel muro che era la finestra, che si materializzasse
davanti ai suoi occhi stanchi e semichiusi, stagliandogli addosso l’ombra che…
…aspetta.
Un’ombra c’era.
Megamind aprì gli occhi di scatto
senza trattenere uno strillo acuto di sorpresa.
No. Decisamente non l’ombra di Roxanne. A meno che Parigi non l’avesse fatta diventare
alta due metri e con una larghezza di spalle esagerata.
L’ombra avanzò di un paio di
passi. “Scusa, piccoletto…
è che dovevo parlarne con qualcuno.”
Megamind si sfregò gli occhi.
“Metro Mahn?”
“…Music Man, semmai” Ridacchiò nervosamente l’altro, spostandosi dal
raggio della luce. Vestito di un paio di jeans e di una felpa della Metro University, la barba e i capelli incolti, aveva più l’aspetto
di un ex alcolista che di un ex supereroe.
Megamind doveva aver assunto una
smorfia terribile, a giudicare dall’espressione imbarazzata del nuovo arrivato:
“Ma va bene anche se mi chiami Wayne, ecco.” Soffocò un’altra risatina imbarazzata. “Ecco… ti chiedo solo di smettere di fissarmi così, mi stai
facendo venire i brividi.”
“Che diavolo ci fai qui? Come
diavolo hai fatto a trovare il mio covo?”
Wayne Scott sbattè
le palpebre, indicando il soffitto.
“Ah, già, il finto osservatorio.”
“Volevo suonare ma… non trovavo il campanello. C’era solo uno zerbino per
terra, con scritto Entrata vicino ad un muro, ma pensavo fosse una trappola, insomma… a chi verrebbe in mente di mettere di mettere uno
zerbino che segnala l’entrata vicino ad un passaggio segreto?”
“A Minion. Non trovava mai la
porta.”
“Oh.”
Megamind si rialzò da terra,
scrollandosi stancamente di dosso la polvere. “Immagino che debba entrare in
azione, vero? Sei venuto a chiamarmi perché è successo qualcosa in città?” Sospirò, piegando la schiena all’indietro per
farsela scrocchiare. “Aveva ragione Minion, avrei dovuto dormire prima… Dimmi, di cosa si tratta?”
Wayne piegò la testa di lato,
grattandosi il collo. “Non hai guardato il telegiornale?”
Megamind fece spallucce. Trovava inutile
guardare la televisione se non aveva la possibilità di veder comparire sul
teleschermo la sua reporter preferita.
“Beh, ecco…”
Wayne sospirò, grattandosi il collo. Poi si accarezzò
la barba e sospirò di nuovo. Megamind incrociò le braccia e gli rivolse uno
sguardo scocciato. “Ecco… piccoletto…io sono vivo.”
Megamind sbatté le palpebre. Due
volte. “Capitan Ovvio porta anche qualche altra notizia di cui il sottoscritto
ne era all’oscuro?”
“Mi sono spiegato male.”
“No, sei solo stato banale.”
“Lo sanno tutti, che sono vivo.
O, per lo meno, che lo scheletro non è il mio.”
“Fammi capire.” Le braccia di
Megamind caddero lungo i fianchi. “Mi stai dicendo che, dopo quasi 9 mesi,
qualche medico legale si è preso la briga di controllare che quello scheletro
fosse di plastica o meno?”
Wayne sospirò, di nuovo.
“Precisamente.”
“Non ho parole.”
“Neppure io, non pensavo lo
scoprissero!”
Megamind stava prendendo la via
della porta, ma si fermò giusto per rifilargli il più sentito sguardo di
compatimento che poteva elargire: “Dopo questo tuo commento, evito di palesare
la mia perplessità in merito alla capacità intellettiva degli addetti dell’ubitorio
cittadino. Significa che il tuo pseudo cadavere è rimasto in un freezer per
così tanto tempo?”
Wayne alzò le spalle. “A quanto pare,
si.”
L’alieno scosse la testa: “Stento
a credere che il grande, il fantasmagorico Metro Man non abbia avuto nessuno
che reclamasse le sue portentose ossa. Men che meno
riesco a capacitarmi i resti del miliardario Wayne
Scott non riposino nella marmorea cripta di famiglia.”
L’uomo si grattò di nuovo nervosamente
il collo: “Beh, sai com’è… i miei genitori non sono
più in vita. E… diciamo che il resto della cittadinanza
era sotto il tuo controllo, per pensare di organizzarmi un funerale. Si,
diciamo così.” Deglutì, tormentandosi le dita delle grosse mani.
“Mi dispiace.” Sussurrò Megamind,
capendo. Se a lui fosse capitato qualcosa, almeno ci sarebbe stato Minion a
reclamare il suo corpo, a dargli degna sepoltura. Non sarebbe di certo rimasto
mezzo ibernato in una cella frigorifera della morgue. Davvero non aveva mai
intuito quanto l’unicità di Wayne Scott lo rendesse
più schiavo della solitudine di quanto lui stesso fosse stato in passato?
Lui aveva Minion. L’aveva sempre
avuto. Aveva sempre avuto un amico
fedele su cui contare. Qualcuno che si preoccupasse che mangiasse a sufficienza
o che dormisse abbastanza, con cui condividere tutto: dalla gioia al dolore,
dall’ebbrezza della vittoria alla frustrazione della sconfitta.
Metro Man era un eroe solitario.
Troppo. Se ne rendeva conto solo adesso. Come poteva non esserci arrivato
prima, quando Roxanne gli aveva confidato che non era
mai stata la sua ragazza, per esempio?
Quanto
può essere tremendo sentirsi soli in mezzo ad una folla?
“Guardando il lato positivo,
questo scagiona me da ogni accusa di assassinio.”
“Dovrai parlare con un bel po’ di
persone.” Wayne
si appoggiò contro una parete. “E forse sarai costretto a dire che sapevi
benissimo che quello scheletro era di plastica.”
Megamind scrollò le spalle:
“Mentirò.” Rispose semplicemente, causando una smorfia di disaccordo
dell’altro.
“Mentire? La giustizia non è
menzogna. Gli eroi non mentono!”
“Disse il difensore di Metrocity che finse di crepare nel laser della morte.
Mentirò a fin di bene. Il Male per il bene. Ho già fatto una cosa simile, una
volta. Non è andata esattamente come volevo, ma in fin dei conti posso dirmi
soddisfatto del risultato finale. Ora sono un Eroe, questo è vero. Ma non sono
la tua fotocopia. Perciò posso sentirmi libero di agire come meglio credo, per
perseguire l’obbiettivo finale.”
Un sorrisetto tirato comparve
sulle labbra dell’ex difensore di Metro City: “Credo tu abbia ragione. Sarai
sicuramente un eroe più saggio del tuo predecessore.”
“Certo, sono più intelligente di
te.”
Scoppiarono entrambi a ridere.
Poi Wayne si guardò intorno: “Ristrutturazione in
atto?”
Megamind si gonfiò d’orgoglio:
“Una sorpresa per Roxanne. La casa dove vivremo
insieme.”
“Accidenti, un bel passo avanti!
Complimenti, piccoletto. Credo che verrà bene. Questa sarebbe…?”
“La camera da letto.”
“Ha l’aria di essere un posto in
cui spassarsela alla grande.”
Megamind sorrise di nuovo. Poi si
voltò verso la porta. “Ho bisogno di un caffè. Vieni, ti offro qualcosa. Non
fare troppo casino o sveglierai Minion. Sono appena riuscito a farlo spegnere.
Quel pesce non riesce proprio a staccare dal lavoro…”
Roxanne aveva un paio di scarpe nuove di
Christian Louboutin. Si era concessa una gita al
negozio di Rue Jean Jacques Russeau a parziale
rivincita del paio di Guess finiti della Senna, ed
ora si fissava i piedi infilati in quel paio di splendide e costosissime scarpe
blu.
Blu elettrico.
Megamind sarebbe impazzito a
vedergliele addosso.
Ohh si. Si sarebbe presentata con solo quelle addosso.
Ridacchiò, lasciandosi cadere sul
letto, sgambettando come una ragazzina con ai piedi il suo primo paio di scarpe
eleganti.
Megs sarebbe decisamente impazzito.
Chissà cosa stava facendo in quel
momento. Probabilmente era fuori per pattugliare eroicamente la città, oppure stava inventando qualcosa. Magari
stava preparando la sua sorpresa.
Sorpresa che, da parte sua, non
era riuscita ancora a formulare.
Presentarsi indossando solo
quelle scarpe poteva valere come sorpresa?
Uhnnn no. Forse era meglio prendersi
qualche altro capo di lingerie. Stile Crazy Horse. Un corsetto blu da slacciarsi lentamente e lanciarlo
addosso a Megamind.
Così poteva essere un valido piano
di riserva, forse.
Si aggiustò il cuscino dietro la
testa, prima di sfilarsi le scarpe e appoggiarle sul comodino. Però. Stavano
bene anche così, come complemento d’arredo.
Guardò l’orologio: aveva
appuntamento tra un’ora con Max: aveva un paio di interviste da fare, quel
giorno.
Lottò contro la tentazione di
connettersi a Skype e chiamare Megamind. Abbracciò
invece un cuscino e chiuse gli occhi, cercando di immaginarselo lì.
Sorrise, pensando come quell’ora
sarebbe passata molto velocemente. Si sarebbe gustata uno dei suoi MegaMassaggi al collo e alle spalle.
Quasi poteva sentire le sue
lunghe dita scivolare lungo la pelle del suo collo, sulla sua schiena. Le
labbra che sostituivano le dita. Il suo
respiro che la stuzzicava. Il suo corpo minuto e sodo che premeva sul suo e…
…DRIIIIIIIIIIN.
DRIIIIIIIIIN.
DRIIIIIIINN!
MA
CHE CAVOLO…! Roxanne sbarrò gli occhi con un ringhio adirato. Afferrò il
cellulare. Il Capo Redazione.
Ma che cavolo voleva? Il ‘PRONTO’
che aveva sibilato suonava piuttosto minaccioso.
“Roxie, tutto bene? Tu non hai idea di cosa sta succedendo
qui!”
Cielo… Megs?
“Hanno
appena scoperto che lo scheletro di MetroMan è di
PLASTICA! E’ finto, capisci? Uno scoop sensazionale!”
Cosa? Come? L’avevano scoperto solo ora? Cioè, ora che lei non era li a
documentare questa incredibile notizia.
“Già,
Roxanne! Non sai come mi dispiace che tu non sia qui!
Al tuo ritorno voglio as-so-lu-ta-men-te un’intervista
con te e Megamind. Servizio in TV, capisci? Prima serata. Il Triangolo di Metro
City: tutta la verità.”
Bene, benissimo. Aveva già in
mente quasi tutto. Un momento. E il servizio del TG serale, quindi a chi era
andato?
Megamind dimostrava una certa
impassibilità davanti alle telecamere. Voleva dimostrarsi sollevato, fare
qualche battuta magari, in mezzo a quella schiera di microfoni puntati su di
lui, davanti alla Metro City Hall, quello del KMCP era retto da una ragazza
bionda con un trucco esagerato che incalzava domande idiote che lo
indisponevano.
Certo,
che si era tolto un peso dallo stomaco.
Il
primo pensiero che ho avuto è che ce ne hanno messo di tempo per capire che era
plastica, quella.
No,
non lo sapevo.
E
che diamine ne so io di cosa possa aver provato Metro Man?
No,
non credo che questo minerà il rapporto tra me e Roxanne
Ritchi.
No,
Roxanne Ritchi ed io non ci
stiamo sposando, non ancora.
No,
Roxanne Ritchi non è
incinta. Io nemmeno.
No,
Minion non è in vendita. Né a Noleggio. Minion, diamine, chiariscile tu queste
cose!
Per lo meno il sindaco aveva
voluto tagliare corto con quella conferenza stampa. Era troppo scosso dall’apprendere
che Metro Man era ancora vivo per poter sopportare a lungo i giornalisti.
Finalmente
smetterà di piangere di notte sul peluche di Metro Man. Aveva commentato Minion, a
bassa voce, strappando a Megamind un ghigno divertito.
Il Sindaco si era solo lasciato
andare in un appello accorato: “Metro Man, se ci stai ascoltando, sappi che la
città non ti ha dimenticato!”
Megamind storse il naso. Certo,
come no. Infatti lo pseudo cadavere del suo ex arci nemico
non era stato in un obitorio per nove mesi.
“Sindaco, sono certo che Metro
Man sia più che convinto di aver lasciato la città in buone mani. Altrimenti,
non se ne sarebbe andato, vero?”
Il Sindaco annuì con vigore. “Oh,
non voglio asssssssolutamente dimostrare
ingratitudine verso di te Megamind, che anzi stai facendo un lavoro sublime per
la sicurezza dei cittadini della città. Solo vorrei… vorrei
che Metro Man sapesse quanto ancora è nei nostri cuori.”
Minion e Megamind si scambiarono
uno sguardo scettico. Poi fecero buon viso a cattivo gioco.
La sostituta di Roxanne fece notare che, a discapito della sua precedente
affermazione, Roxanne Ritchi
aveva un pancino piuttosto sospetto.
Megamind gemette.
“Quella troia!” Escalmò Roxanne,
sbattendo il pugno sul tavolo. Max la guardò scandalizzato. “Pancino sospetto? Il MIO? Sono dimagrita
di tre chili! Max, ti pare che io abbia un pancino
sospetto?”
“Certo che no, Roxanne. Sei in splendida forma. Con quelle scarpe, poi…!”
Roxanne si allontanò dal tavolo, da dove
avevano appoggiato il laptop per seguire la diretta televisiva, inveendo contro
la collega e la sua incapacità di
fare la reporter seria. “Sono quelle oche
come lei che rovinano la categoria! Pancino sospetto. TSK! Pancino Sospetto!!!!”
“Già. Si è appena scoperto che
Metro Man è vivo e lei fa domande di gossip. In effetti è un’oca. Però…”
Il Cameraman si voltò verso la
collega, studiandola con sguardo indagatore: “Però tu non ti sei scomposta granchè a questa notizia. E’ come se non ti avesse
sorpreso. Roxanne, non è che….”
Roxanne deglutì. Poi fece un gesto con
la mano, come per cancellare qualcosa. “Cosa stai insinuando?”
“Nulla. Solo che la tua reazione
mi pare… troppo tranquilla.”
“Ho un buon sangue freddo, io.”
“Hai appena saputo che il tuo ex
ragazzo è vivo. Non morto, ma vivo. Già mi è sempre sembrato strano che tu ti
fossi messa con chi ha causato la sua morte… eppure accidentalmente,
come avete sempre sostenuto.”
La donna scrollò le spalle. “Hey, qui le domande e le intuizioni le faccio io, se
permetti. Comunque io e Metro Man, se proprio lo vuoi sapere, non siamo mai
stati una coppia.”
“Oh. Cavoli. Mia moglie aveva
ragione, allora.”
“Pranto?”
“Megs,sono io. Come stai?”
“Roxanne! Alla grande tesoro. Immagino tu abbia saputo tutto…”
“Certo.
Mi ha chiamato il mio capo. Mi dispiace non essere li, adesso. Volevo rientrare
subito, ma mi hanno detto che al momento non era necessario. Quando tornerò da
Parigi ci aspetterà una mega intervista per cercare di dare un senso a tutta
questa situazione.”
“Non ci sono
problemi, tesoro. Davvero. Riesco a gestire il tutto al momento. E comunque… Wayne è stato qui. Me l’ha
detto lui.”
“Ed
immagino che non gli sia passato neppure per l’anticamera del cervello di
andare sensatamente a ‘consegnarsi’ alle autorità e spiegare di persona cosa
sia successo.”
“Mi è nuova la
notizia che Wayne possegga un cervello. Figurati un’anticamera.”
Ridacchiò. “E comunque vorrei fare un esposto alla KMCP per quell’ochetta che
mi ha rifilato come reporter. Non si può passare dalle stelle alle stalle in un
lasso di tempo così breve.”
Roxanne scoppiò a ridere di gusto. “Hai perfettamente ragione. Mi lamenterò di
persona per questo trattamento iniquo nei tuoi confronti. Non è professionale.”
“Mi manchi, Roxanne.”
La donna sorrise. “Anche tu, Megs.
Non faccio altro che pensarti.”
“Oh, anche io. Continuo
a pensare a tutto… tutto quello che ti farò al
ritorno. Vuoi un esempio?”
Rifilando il suo
miglior sguardo malizioso alla webcam, Roxanne
abbassò la voce di un tono. “Non chiedo
altro, Megs.”
Bon.
A
regola ci ho messo pure poco a scrivere questo capitolo.
Siamo
sotto battuta con le scosse, sappiate. Si, sono Emiliana (di Parma) e
fortunatamente da noi le scosse hanno solo causato…
un po’ di paturnie e una crisi isterica di una mia collega.
A
pochi chilometri da noi c’è il finimondo, e questo mi fa davvero riflettere
sulla caducità delle cose e delle nostre vite. Insomma, non è un periodo Light.
Cerco di sforzarmi di tirare fuori qualcosa di pseudo divertente e leggero per
stemperare la situazione. E per non lasciare le cose incompiute, che il povero Megs non si merita questo.
Vi
ringrazio da svenire per i commenti nei precedenti capitoli.
Un
trilione di esagerati grazie.
A
presto. Spero.
EC
PS:
si, il titolo del capitolo è la canzone di Lady GaGa.
Non sono nelle condizioni di trovare di meglio, evidentemente.