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Autore: Evilcassy    30/05/2012    2 recensioni
“Uhn, no, non credo.” La fissò incuriosito. “La mia idea è questa. Io mi impegnerò a trovarti un regalo per te, a Parigi. Qualcosa che ti stupisca. E tu… tu farai lo stesso con me. Hai tempo quindici giorni per farmi una sorpresa. Qualcosa che da te non mi aspetto e che sfati il mito della tua prevedibilità.”
...è una sfida. E quando mai Megamind non ha accettato una sfida? [/SOSPESA - INCOMPLETA]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Megamind, MetroMan, Minion, Roxanne Ritchi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fifteen Days.

 

Chapter 4: Paparazzi.

 

Forse aveva esagerato con l’ampiezza della finestra. Il rettangolo che dava sulla Baia prendeva praticamente tutta la parete.

Certo, il suggestivo tramonto sul mare era di quanto più romantico poteva trovare per la camera da letto. Ma forse aveva dato ai Brainbots troppa indipendenza, e quelli avevano smembrato la parete di mattoni troppo voracemente.

Sospirando, Megamind appoggiò la schiena contro una colonna alle sue spalle scivolando sul pavimento coperto di polvere e calcinacci.

Incrociò le braccia, appoggiando i gomiti sulle ginocchia per sorreggersi la testa. Di questo passo non avrebbe finito in tempo. Mancavano solo Tredici giorni.

Però dovevano fare tutti una pausa.

Giusto un quarto d’ora prima aveva dato l’entusiasmante ordine ai Brainbots di maciullare la colonna a cui era appoggiato in quel momento, e solo l’intervento di Minion aveva evitato la demolizione di una delle colonne portanti dell’edificio: se non fosse stato per il suo assistente, a quell’ora sarebbero stati in guai seri.

Così aveva mandato tutti a farsi una bella pausa.

Ed era intenzionato a farla lui stesso. Solo che si era ritrovato nella stanza, a contemplare l’esagerata finestra aperta su Metro City Bay e a cercare di immaginarsi la reazione di Roxanne.

Le piacerà.

Il sole illuminava la stanza, tinteggiando i muri ancora grezzi di tinte calde. A Roxanne piacevano i colori caldi del sole.

Oltre che al blu, certo.

Però non le piaceva svegliarsi con la stanza troppo illuminata. Forse quella parete era davvero esagerata.

Le piacerà?

Avrebbe installato delle tende oscuranti elettroniche. Magari a comando vocale.

Si, ottima idea. L’annotò a matita sul progetto della camera.

E poi alle sue spalle il camino. Bene. Si posizionò nel modo in cui doveva essere sistemato il letto. Da un lato la finestra e il tramonto e dall’altro il camino.  Spostò di qualche millimetro di disegno del camino sul progetto. Decisamente meglio.

Si sfregò gli occhi. Oh, decisamente aveva bisogno di riposarsi. Si riappoggiò alla colonna:  Com’è che si faceva a dormire? Ah, si: Rilassandosi, innanzitutto.

Era sempre stato difficile per lui farlo. Con la mente sempre intenta a progettare, a realizzare e a calcolare, gli risultava difficile trovare il momento giusto per staccare la spina e dormire.

Da quando Roxanne era diventata la sua ragazza, però, era cambiato tutto.

Roxanne lo distraeva dai suoi calcoli solo passandogli vicino. Se non otteneva subito una reazione, sfiorava le sue spalle con la mano.

Un brivido saliva al solo pensarci. Poteva sentire il suo respiro sulla nuca, sulle orecchie, scendere sul collo e lì appoggiare le labbra per un bacio.

Non era capace di pensare a nient’altro quando Roxanne faceva così. Quando si era assicurata la sua attenzione, gli si sedeva in grembo, facendo domande sul lavoro su cui era chino: La carta della giornalista ficcanaso.

Giocava. Flirtava. Lo stuzzicava con la vicinanza delle sue curve e della sua voce.

Megamind non resisteva mai troppo a lungo. La sollevava di peso – mentre lei fingeva sorpresa- e la portava in un posto tranquillo, lontano dai teleobbiettivi famelici dei Brainbots.

D’ora in avanti il loro ‘posto tranquillo’ sarebbe stata quell’alcova che stava costruendo. Solo al pensiero i suoi  battiti cardiaci aumentavano.

Gli mancava. Gli mancava guardare l’orologio per scoprire che mancavano poche ore prima di poterla stringere ancora. Gli mancava la sua risata e i suoi sospiri, la sua voce che lo chiamava in tutti quei modi diversi. La sua pelle calda e morbida tra le dita.

Avrebbe dato una gamba per averla li in quel momento. Per fare in modo che comparisse dal nulla, magari da quell’esagerato buco nel muro che era la finestra, che si materializzasse davanti ai suoi occhi stanchi e semichiusi, stagliandogli addosso l’ombra che…

…aspetta.

Un’ombra c’era.

Megamind aprì gli occhi di scatto senza trattenere uno strillo acuto di sorpresa.

No. Decisamente non l’ombra di Roxanne. A meno che Parigi non l’avesse fatta diventare alta due metri e con una larghezza di spalle esagerata.

L’ombra avanzò di un paio di passi. “Scusa, piccoletto… è che dovevo parlarne con qualcuno.”

Megamind si sfregò gli occhi. “Metro Mahn?”

Music Man, semmai” Ridacchiò nervosamente l’altro, spostandosi dal raggio della luce. Vestito di un paio di jeans e di una felpa della Metro University, la barba e i capelli incolti, aveva più l’aspetto di un ex alcolista che di un ex supereroe.

Megamind doveva aver assunto una smorfia terribile, a giudicare dall’espressione imbarazzata del nuovo arrivato:  “Ma va bene anche se mi chiami Wayne, ecco.” Soffocò un’altra risatina imbarazzata. “Ecco… ti chiedo solo di smettere di fissarmi così, mi stai facendo venire i brividi.”

“Che diavolo ci fai qui? Come diavolo hai fatto a trovare il mio covo?”

Wayne Scott sbattè le palpebre, indicando il soffitto. 

“Ah, già, il finto osservatorio.”

“Volevo suonare ma… non trovavo il campanello. C’era solo uno zerbino per terra, con scritto Entrata vicino ad un muro, ma pensavo fosse una trappola, insomma… a chi verrebbe in mente di mettere di mettere uno zerbino che segnala l’entrata vicino ad un passaggio segreto?”

“A Minion. Non trovava mai la porta.”

“Oh.”

Megamind si rialzò da terra, scrollandosi stancamente di dosso la polvere. “Immagino che debba entrare in azione, vero? Sei venuto a chiamarmi perché è successo qualcosa in città?”  Sospirò, piegando la schiena all’indietro per farsela scrocchiare. “Aveva ragione Minion, avrei dovuto dormire prima… Dimmi, di cosa si tratta?”

Wayne piegò la testa di lato, grattandosi il collo. “Non hai guardato il telegiornale?”

Megamind fece spallucce. Trovava inutile guardare la televisione se non aveva la possibilità di veder comparire sul teleschermo la sua reporter preferita.

“Beh, ecco…Wayne sospirò, grattandosi il collo. Poi si accarezzò la barba e sospirò di nuovo. Megamind incrociò le braccia e gli rivolse uno sguardo scocciato. “Ecco… piccoletto…io sono vivo.”

Megamind sbatté le palpebre. Due volte. “Capitan Ovvio porta anche qualche altra notizia di cui il sottoscritto ne era all’oscuro?”

“Mi sono spiegato male.”

“No, sei solo stato banale.”

“Lo sanno tutti, che sono vivo. O, per lo meno, che lo scheletro non è il mio.”

“Fammi capire.” Le braccia di Megamind caddero lungo i fianchi. “Mi stai dicendo che, dopo quasi 9 mesi, qualche medico legale si è preso la briga di controllare che quello scheletro fosse di plastica o meno?”

Wayne sospirò, di nuovo. “Precisamente.”

“Non ho parole.”

“Neppure io, non pensavo lo scoprissero!”

Megamind stava prendendo la via della porta, ma si fermò giusto per rifilargli il più sentito sguardo di compatimento che poteva elargire: “Dopo questo tuo commento, evito di palesare la mia perplessità in merito alla capacità intellettiva degli addetti dell’ubitorio cittadino. Significa che il tuo pseudo cadavere è rimasto in un freezer per così tanto tempo?”

Wayne alzò le spalle. “A quanto pare, si.”

L’alieno scosse la testa: “Stento a credere che il grande, il fantasmagorico Metro Man non abbia avuto nessuno che reclamasse le sue portentose ossa. Men che meno riesco a capacitarmi i resti del miliardario Wayne Scott non riposino nella marmorea cripta di famiglia.”

L’uomo si grattò di nuovo nervosamente il collo: “Beh, sai com’è… i miei genitori non sono più in vita. E… diciamo che il resto della cittadinanza era sotto il tuo controllo, per pensare di organizzarmi un funerale. Si, diciamo così.” Deglutì, tormentandosi le dita delle grosse mani.

“Mi dispiace.” Sussurrò Megamind, capendo. Se a lui fosse capitato qualcosa, almeno ci sarebbe stato Minion a reclamare il suo corpo, a dargli degna sepoltura. Non sarebbe di certo rimasto mezzo ibernato in una cella frigorifera della morgue. Davvero non aveva mai intuito quanto l’unicità di Wayne Scott lo rendesse più schiavo della solitudine di quanto lui stesso fosse stato in passato?

Lui aveva Minion. L’aveva sempre avuto.  Aveva sempre avuto un amico fedele su cui contare. Qualcuno che si preoccupasse che mangiasse a sufficienza o che dormisse abbastanza, con cui condividere tutto: dalla gioia al dolore, dall’ebbrezza della vittoria alla frustrazione della sconfitta.

Metro Man era un eroe solitario. Troppo. Se ne rendeva conto solo adesso. Come poteva non esserci arrivato prima, quando Roxanne gli aveva confidato che non era mai stata la sua ragazza, per esempio?

Quanto può essere tremendo sentirsi soli in mezzo ad una folla?

“Guardando il lato positivo, questo scagiona me da ogni accusa di assassinio.”

“Dovrai parlare con un bel po’ di persone.”  Wayne si appoggiò contro una parete. “E forse sarai costretto a dire che sapevi benissimo che quello scheletro era di plastica.”

Megamind scrollò le spalle: “Mentirò.” Rispose semplicemente, causando una smorfia di disaccordo dell’altro.

“Mentire? La giustizia non è menzogna. Gli eroi non mentono!”

“Disse il difensore di Metrocity che finse di crepare nel laser della morte. Mentirò a fin di bene. Il Male per il bene. Ho già fatto una cosa simile, una volta. Non è andata esattamente come volevo, ma in fin dei conti posso dirmi soddisfatto del risultato finale. Ora sono un Eroe, questo è vero. Ma non sono la tua fotocopia. Perciò posso sentirmi libero di agire come meglio credo, per perseguire l’obbiettivo finale.”

Un sorrisetto tirato comparve sulle labbra dell’ex difensore di Metro City: “Credo tu abbia ragione. Sarai sicuramente un eroe più saggio del tuo predecessore.”

“Certo, sono più intelligente di te.”

Scoppiarono entrambi a ridere. Poi Wayne si guardò intorno: “Ristrutturazione in atto?”

Megamind si gonfiò d’orgoglio: “Una sorpresa per Roxanne. La casa dove vivremo insieme.”

“Accidenti, un bel passo avanti! Complimenti, piccoletto. Credo che verrà bene. Questa sarebbe…?”

“La camera da letto.”

“Ha l’aria di essere un posto in cui spassarsela alla grande.”

Megamind sorrise di nuovo. Poi si voltò verso la porta. “Ho bisogno di un caffè. Vieni, ti offro qualcosa. Non fare troppo casino o sveglierai Minion. Sono appena riuscito a farlo spegnere. Quel pesce non riesce proprio a staccare dal lavoro…

 

 

Roxanne aveva un paio di scarpe nuove di Christian Louboutin. Si era concessa una gita al negozio di Rue Jean Jacques Russeau a parziale rivincita del paio di Guess finiti della Senna, ed ora si fissava i piedi infilati in quel paio di splendide e costosissime scarpe blu.

Blu elettrico.

Megamind sarebbe impazzito a vedergliele addosso.

Ohh si. Si sarebbe presentata con solo quelle addosso.

Ridacchiò, lasciandosi cadere sul letto, sgambettando come una ragazzina con ai piedi il suo primo paio di scarpe eleganti.

Megs sarebbe decisamente impazzito.

Chissà cosa stava facendo in quel momento. Probabilmente era fuori per pattugliare eroicamente la città, oppure stava inventando qualcosa. Magari stava preparando la sua sorpresa.

Sorpresa che, da parte sua, non era riuscita ancora a formulare.  

Presentarsi indossando solo quelle scarpe poteva valere come sorpresa?

Uhnnn no. Forse era meglio prendersi qualche altro capo di lingerie. Stile Crazy Horse. Un corsetto blu da slacciarsi lentamente e lanciarlo addosso a Megamind.

Così poteva essere un valido piano di riserva, forse.

Si aggiustò il cuscino dietro la testa, prima di sfilarsi le scarpe e appoggiarle sul comodino. Però. Stavano bene anche così, come complemento d’arredo.

Guardò l’orologio: aveva appuntamento tra un’ora con Max: aveva un paio di interviste da fare, quel giorno.

Lottò contro la tentazione di connettersi a Skype e chiamare Megamind. Abbracciò invece un cuscino e chiuse gli occhi, cercando di immaginarselo lì.

Sorrise, pensando come quell’ora sarebbe passata molto velocemente. Si sarebbe gustata uno dei suoi MegaMassaggi al collo e alle spalle.

Quasi poteva sentire le sue lunghe dita scivolare lungo la pelle del suo collo, sulla sua schiena. Le labbra che sostituivano le dita.  Il suo respiro che la stuzzicava. Il suo corpo minuto e sodo che premeva sul suo e…

DRIIIIIIIIIIN.

DRIIIIIIIIIN.

DRIIIIIIINN!

MA CHE CAVOLO…!  Roxanne sbarrò gli occhi con un ringhio adirato. Afferrò il cellulare. Il Capo Redazione.

Ma che cavolo voleva? Il ‘PRONTO’ che aveva sibilato suonava piuttosto minaccioso.

Roxie, tutto bene? Tu non hai idea di cosa sta succedendo qui!”

Cielo… Megs?

“Hanno appena scoperto che lo scheletro di MetroMan è di PLASTICA! E’ finto, capisci? Uno scoop sensazionale!”

Cosa? Come? L’avevano scoperto solo ora? Cioè, ora che lei non era li a documentare questa incredibile notizia.

“Già, Roxanne! Non sai come mi dispiace che tu non sia qui! Al tuo ritorno voglio as-so-lu-ta-men-te un’intervista con te e Megamind. Servizio in TV, capisci? Prima serata. Il Triangolo di Metro City: tutta la verità.”

Bene, benissimo. Aveva già in mente quasi tutto. Un momento. E il servizio del TG serale, quindi a chi era andato?

 

Megamind dimostrava una certa impassibilità davanti alle telecamere. Voleva dimostrarsi sollevato, fare qualche battuta magari, in mezzo a quella schiera di microfoni puntati su di lui, davanti alla Metro City Hall, quello del KMCP era retto da una ragazza bionda con un trucco esagerato che incalzava domande idiote che lo indisponevano.

Certo, che si era tolto un peso dallo stomaco.

Il primo pensiero che ho avuto è che ce ne hanno messo di tempo per capire che era plastica, quella.

No, non lo sapevo.

E che diamine ne so io di cosa possa aver provato Metro Man?

No, non credo che questo minerà il rapporto tra me e Roxanne Ritchi.

No, Roxanne Ritchi ed io non ci stiamo sposando, non ancora.

No, Roxanne Ritchi non è incinta. Io nemmeno.

No, Minion non è in vendita. Né a Noleggio. Minion, diamine, chiariscile tu queste cose!

Per lo meno il sindaco aveva voluto tagliare corto con quella conferenza stampa. Era troppo scosso dall’apprendere che Metro Man era ancora vivo per poter sopportare a lungo i giornalisti.

Finalmente smetterà di piangere di notte sul peluche di Metro Man. Aveva commentato Minion, a bassa voce, strappando a Megamind un ghigno divertito.

Il Sindaco si era solo lasciato andare in un appello accorato: “Metro Man, se ci stai ascoltando, sappi che la città non ti ha dimenticato!

Megamind storse il naso. Certo, come no. Infatti lo pseudo cadavere del suo ex arci nemico non era stato in un obitorio per nove mesi.

“Sindaco, sono certo che Metro Man sia più che convinto di aver lasciato la città in buone mani. Altrimenti, non se ne sarebbe andato, vero?”

Il Sindaco annuì con vigore. “Oh, non voglio asssssssolutamente dimostrare ingratitudine verso di te Megamind, che anzi stai facendo un lavoro sublime per la sicurezza dei cittadini della città.  Solo vorrei… vorrei che Metro Man sapesse quanto ancora è nei nostri cuori.”

Minion e Megamind si scambiarono uno sguardo scettico. Poi fecero buon viso a cattivo gioco.

La sostituta di Roxanne fece notare che, a discapito della sua precedente affermazione, Roxanne Ritchi aveva un pancino piuttosto sospetto.

Megamind gemette.

 

“Quella troia!Escalmò Roxanne, sbattendo il pugno sul tavolo. Max la guardò scandalizzato. “Pancino sospetto? Il MIO? Sono dimagrita di tre chili! Max, ti pare che io abbia un pancino sospetto?

“Certo che no, Roxanne. Sei in splendida forma. Con quelle scarpe, poi…!”

Roxanne si allontanò dal tavolo, da dove avevano appoggiato il laptop per seguire la diretta televisiva, inveendo contro la collega e la sua incapacità di fare la reporter seria. “Sono quelle oche come lei che rovinano la categoria! Pancino sospetto. TSK! Pancino Sospetto!!!!”

“Già. Si è appena scoperto che Metro Man è vivo e lei fa domande di gossip. In effetti  è un’oca. Però…

Il Cameraman si voltò verso la collega, studiandola con sguardo indagatore:  “Però tu non ti sei scomposta granchè a questa notizia. E’ come se non ti avesse sorpreso. Roxanne, non è che….”

Roxanne deglutì. Poi fece un gesto con la mano, come per cancellare qualcosa. “Cosa stai insinuando?”

“Nulla. Solo che la tua reazione mi pare… troppo tranquilla.”

“Ho un buon sangue freddo, io.”

“Hai appena saputo che il tuo ex ragazzo è vivo. Non morto, ma vivo. Già mi è sempre sembrato strano che tu ti fossi messa con chi ha causato la sua morte… eppure accidentalmente, come avete sempre sostenuto.”

La donna scrollò le spalle. “Hey, qui le domande e le intuizioni le faccio io, se permetti. Comunque io e Metro Man, se proprio lo vuoi sapere, non siamo mai stati una coppia.”

“Oh. Cavoli. Mia moglie aveva ragione, allora.”

 

Pranto?”

Megs,sono io. Come stai?”

Roxanne! Alla grande tesoro. Immagino tu abbia saputo tutto…

“Certo. Mi ha chiamato il mio capo. Mi dispiace non essere li, adesso. Volevo rientrare subito, ma mi hanno detto che al momento non era necessario. Quando tornerò da Parigi ci aspetterà una mega intervista per cercare di dare un senso a tutta questa situazione.”

“Non ci sono problemi, tesoro. Davvero. Riesco a gestire il tutto al momento. E comunque… Wayne è stato qui. Me l’ha detto lui.”

“Ed immagino che non gli sia passato neppure per l’anticamera del cervello di andare sensatamente a ‘consegnarsi’ alle autorità e spiegare di persona cosa sia successo.”

“Mi è nuova la notizia che Wayne possegga un cervello. Figurati un’anticamera.” Ridacchiò. “E comunque vorrei fare un esposto alla KMCP per quell’ochetta che mi ha rifilato come reporter. Non si può passare dalle stelle alle stalle in un lasso di tempo così breve.”

Roxanne scoppiò a ridere di gusto. “Hai perfettamente ragione. Mi lamenterò di persona per questo trattamento iniquo nei tuoi confronti. Non è professionale.”

“Mi manchi, Roxanne.”

La donna sorrise. “Anche tu, Megs. Non faccio altro che pensarti.”

“Oh, anche io. Continuo a pensare a tutto… tutto quello che ti farò al ritorno. Vuoi un esempio?”

Rifilando il suo miglior sguardo malizioso alla webcam, Roxanne abbassò la voce di un tono. “Non chiedo altro, Megs.”

 

 

 

Bon.

A regola ci ho messo pure poco a scrivere questo capitolo.

Siamo sotto battuta con le scosse, sappiate. Si, sono Emiliana (di Parma) e fortunatamente da noi le scosse hanno solo causato… un po’ di paturnie e una crisi isterica di una mia collega.

A pochi chilometri da noi c’è il finimondo, e questo mi fa davvero riflettere sulla caducità delle cose e delle nostre vite. Insomma, non è un periodo Light. Cerco di sforzarmi di tirare fuori qualcosa di pseudo divertente e leggero per stemperare la situazione. E per non lasciare le cose incompiute, che il povero Megs non si merita questo.

Vi ringrazio da svenire per i commenti nei precedenti capitoli.

Un trilione di esagerati grazie.

A presto. Spero.

EC

PS: si, il titolo del capitolo è la canzone di Lady GaGa. Non sono nelle condizioni di trovare di meglio, evidentemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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