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Autore: wxyz    01/06/2012    4 recensioni
Dal prologo: "Era arrivato il momento di tornare e di lasciare che questi tre anni andassero all'inferno con la sua sofferenza.
Durante tutto questo tempo la paura di essere odiato dalle persone alle quali aveva scoperto di tenere non l'aveva mai abbandonato. Ma la vita di John valeva più di tutto ciò che avrebbe potuto perdere."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: chiedo umilmente perdono, questo ritardo è stato imbarazzante. Ringrazio già chi vorrà cimentarsi nella lettura. Altre note in fondo alla pagina.

 

 

Capitolo 3

Gelosia e sangue freddo.

 

 

 

 

 

 

 

Credeva di essere incapace di provare quello che aveva provato negli ultimi cinque anni. O per lo meno, non aveva mai dato peso a quelli che la gente comune e noiosa chiama sentimenti. 

 

Quando l'aveva appena conosciuto fece una cosa che non gli capitava da quando aveva circa tre anni: agì di istinto. D'istinto lo invitò a prendere parte alle sue indagini, e di conseguenza a una gran parte della sua vita. A tutta, se voleva essere sincero. Di certo non aveva bisogno di un medico per le sue brillanti deduzioni, ma sentiva che doveva essere li. Quella cosa lo disturbò parecchio. Provava una sensazione che avrebbe definito piacevole quando era in sua compagnia.

 E poi quando arrivò Sarah successe un'altra cosa strana, che non si spiegava. Provava fastidio in fondo allo stomaco, più o meno la stessa sensazione che provava quando Anderson era nei paraggi. Cercò di sabotare la relazione di John, così come le altre future. Capì presto che si trattava di gelosia; aveva risolto molti casi in cui il movente dell'omicidio era quel sentimento che ti brucia nella vene, e aveva capito a sue spese di cosa si trattasse. 

Quando vide John ricoperto di esplosivo capì forse per la prima volta quanto davvero tenesse a lui. E purtroppo Moriarty ci era arrivato ancor prima di lui. 

Non poteva essere possibile, non poteva succedere, non a Sherlock Holmes. 

La soddisfazione che provò quando scoprì che John contava i messaggi che la Donna gli inviava lo spaventò; si poteva essere tanto lusiganti per una cosa così stupida futile e osava dire "infantile"? E bene, si. 

Quella mattina in cui la sua unica preoccupazione non era risolvere solo il caso del mastino ma trovare le parole per chiedere scusa si sentì il prima tra gli idioti. 

Ma quando capì che per salvarlo avrebbe dato la sua vita, allora trovò il pezzo mancante del puzzle che stava componendo da circa due anni. (*)

E le lacrime sul cornicione non facevano parte della messa in scena, certo che no. Vedeva il terrore nei suoi occhi e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di alleviare le sue sofferenze. Ma il cecchino era pronto a sparare e lui era pronto a regalare chissà quanti anni della sua vita a John Watson. 

E in quegli anni provò quello che mai aveva provato in vita sua: sofferenza e solitudine. E soprattutto ne sentiva la mancanza e si sentiva perso senza il suo blogger. 

 

Perso lo era ancora; quella mattina le prime luci dell'alba e il freddo pungente entravano dalla finestra della sua camera, che aveva lasciato aperta per fumarsi almeno una ventina di sigarette. Il fratello era rimasto sveglio tutta la notte con lui in una silenziosa veglia. Lestrade era tornato a casa, scombussolato da quella serie di eventi, mentre Harry si era appoggiata sul divano, cadendo in sonno profondo, stanca e sfiancata. 

Si era riempito la testa di domande a cui non aveva trovato risposta: era sempre stato schietto, anche con John, aveva sempre detto la prima geniale e tagliente cosa che gli passava per testa; in compenso aveva sempre avuto il tatto di un gigantesco ippopotamo che balla la samba e i continui rimproveri del dottore l'avevo reso consapevole proprio di questo. E ora non sapeva davvero come ripresentarsi a John. E doveva aspettarsi cosa? Di certo non avrebbe avuto la reazione di Mrs Hudson, né quella di Lestrade. 

 

- Io vado. - prese il cappotto che aveva tirato sul letto, lo infilò e a passo svelto uscì dalla sua stanza.

Mycroft non provò nemmeno a fargli notare che era l'alba e che puzzava come un posacenere. Non sarebbe servito a nulla, era partito a velocità supersonica, neanche la collisione con un meteorite l'avrebbe fermato. Anche se sembrava che il meteorite l'avesse preso in pieno dato che non dormiva da due giorni e quindi aveva una faccia da fare pietà alla "sua" rete di senzatetto.  

 

 

 

 

 

 

John Watson era rientrato a casa dopo la discussione avuta con sua sorella. Decise di dormire sul divano, o meglio di passare quel poco che restava della notte sul divano. Decise che forse avrebbe potuto accontentare quello squilibrato del padre di Mary, tanto non aveva niente da perdere. Non aveva nulla da perdere da tre anni e questo pensiero gli fece sprofondare la mente in mille orrendi pensieri. 

Si dice che anche dopo la notte più buia sorge l'alba, ma per lui non ce ne sarebbero state più. La sua notte nera come la pece era illuminata da un lumicino in un angolo; Mary era questo. Una piccola flebile luce che gli permetteva a mala pena di vedersi le dita della mani e che lo teneva sveglio e vigile, e non lo faceva cadere nella disperazione più totale. 

Un rumore lo destò dal turbinio di pensieri. Si mise seduto sul divano e rimase in ascolto. 

Forse se l'era immaginato.

No, ecco che lo sentì di nuovo. Sembrava come se…. qualcuno stesse bussando alla porta?

Si ora era più nitido e insistente. 

Forse Harry era tornata a chiedergli di ospitarla. Alla buon ora. E se sua sorella stava bussando direttamente alla porta, voleva dire che si era dimenticato di chiudere il portone principale.

Si alzò svogliatamente, sbuffando e maledicendo la sorella a mente.

Trascinava le gambe e sentiva il freddo del pavimento gelargli i piedi nudi. Quel rumore continuo e fastidioso gli faceva venir voglia di far dormire la sorella sullo zerbino. Improvvisamente il ticchettio fastidioso di nocche sul legno svanì e quando aprì la porta non si trovò davanti nessuno.

Provò a chiamarla ma non ebbe risposta. Allora corse alle finestra. Non sapeva bene il perché di tutta questa frenesia, ma lo fece lo stesso. Di certo non c'era stata nessuna Harry fuori la sua porta.  

Scansò le tende e aprì i vetri, e si affacciò con l'aria gelida che gli sferzò il viso.

Si affacciò appena in tempo per vedere un' esile figura con un cappotto nero allontanarsi nella nebbia mattutina e svoltare al primo angolo. 

No, non poteva di certo essere Lui, certo che no. 

No, doveva essere talmente ubriaco e provato da essersi immaginato tutto. 

Si, doveva essere così, doveva per forza essere così; questo continuava a ripetersi John Watson rimanendo impalato davanti la finestra prendendosela con se stesso e con il suo inconscio. E con Sherlock Holmes che se ne era andato e l'aveva lasciato solo come l'aveva trovato.

 

 

 

- Sherlock Holmes, chiudi quella maledetta finestra. Fa freddo, è gennaio, vorrei ricordartelo. -

- Sto pensando. -

- E io sto congelando. Suona il violino, tagliuzza cadaveri, spara al muro, ma chiudi quella stramaledetta finestra. - 

John Watson si raggomitolò ancora di più nella sua poltrona, posando il laptop sul pavimento e tirando su le gambe abbracciandole con le braccia. Era una posizione molto alla Sherlock si trovò ad ammettere. 

Il detective lo guardò con la coda dell'occhio e scosse la testa tornando a pensare a come l'assassino sia riuscito a nascondere così bene l'arma del delitto. Cioè, non così bene da nasconderla anche a lui, ovvio. 

John si alzò e si avvicinò alla finestra chiudendo i vetri con uno scatto repentino. 

Sherlock ignorò totalmente il gesto spazientito del suo amico e si portò le mani al mento unendo i polpastrelli. 

- C'è una cosa che proprio non capisco, John.  -

John scoppiò in una fragorosa risata ironica. - Tu? - e poi tornò serio, vedendo che l'altro non scherzava affatto. 

- Ho risolto questo caso in circa 20 minuti. Marito geloso uccide l'amante di sua moglie. Ora vorrei sapere: cosa spinge un essere umano a uccidere per gelosia? - 

Il dottore rimase interdetto. La risposta era semplice, concisa. Bastava una parola, ma sapeva perfettamente che Sherlock non avrebbe capito. Non che John approvasse l'omicidio in caso di tradimento, certo che no, quella è pazzia. Ma quella parola serviva a capire perché esistesse la gelosia. 

- Perché me lo chiedi? Sai benissimo che niente giustifica l'omicidio. -

- Tu hai ucciso un uomo, davanti i miei occhi. - 

- Io ne ho uccisi tanti Sherlock. Sono stato in guerra, ricordi? -

- E questo lo giustifica? - 

John non rispose. La verità era che non lo sapeva neanche lui quanto giusto o sbagliato fosse quello che un tempo faceva. 

- Su questo ci torneremo, ma non hai risposto alla domanda di prima. -

Il dottore lo guardò come si guarda un bambino che chiede perché il sole brilla. Solo che Sherlock non era un bambino, era un adulto ignorante in astronomia e in sentimenti. 

- Sherlock, ti ho risposto. -

Il detective sbuffò e lo guardò annoiato. 

- Non è una risposta soddisfacente. Allora modifico un po' la domanda. Perché esiste la gelosia, John? E perché porta a compiere gesti di cui poi ci si pente? -

John capì che Sherlock non si sarebbe arreso finché non avesse avuto una risposta che avrebbe soddisfatto la sua curiosità. Fece un respiro profondo e cominciò a parlare senza guardarlo negli occhi. 

- Esiste la gelosia perché esiste l'amore. Punto. Questa è l'unica spiegazione che ti so dare. -

Il detective si passò le mani nei capelli in un gesto di nervosismo. La gelosia era un tasto dolente per entrambi, perché entrambi avevano degli scheletri nell'armadio da tener ben nascosti. 

Sherlock conobbe la gelosia appena John conobbe Sarah. Era subdolo e meschino con lei, e dopo di lei diventò ancora peggio con le povere ragazze del dottore. Si intrometteva ogni qual volta potesse, si rendeva insopportabile più di quanto già non lo fosse e teneva a sottolineare in presenza della sventurata di turno quante ragazze avesse avuto John prima di lei. Era il suo unico amico e non voleva perderlo. Egoismo, puro egoismo. Questa era la spiegazione che gli piaceva darsi; la spiegazione di John era troppo per lui, non l'accettava e forse non l'avrebbe accettata mai. 

John dal canto suo non aveva avuto modo di scoprire quanto fosse geloso di Sherlock finché non arrivò lei, La Donna. Si sentiva un adolescente alla prese con la sua prima cottarella, con la notevole differenza che Sherlock non era la sua prima cottarella era Solo il suo più caro amico. Però si rese conto, nel momento in cui chiese poco cortesemente alla Adler che cose si scrivessero nei messaggi, di aver superato il limiti della decenza. Si vergognava di se stesso per aver in parte gioito della sua dipartita. Ma Sherlock era solo un amico. Punto. 

- Che spiegazione da cioccolatino, John. - 

- L'ho trovata nel biscotto della fortuna, in realtà. - 

E entrambi scoppiarono a ridere stemperando tutta la tensione accumulata per colpa di una sola semplice risposta. 

Quella stessa sera mentre mangiavano cibo cinese seduti sul divano Sherlock posò sulla scrivania il piatto in cui aveva messo i suoi ravioli e si rimise al suo posto. 

- John. -

- Perché ho paura di ascoltare la tua domanda? - rise, non troppo divertito, il dottore. Il suo coinquilino aveva continuato ad adottare un comportamento strano, più del solito, durante tutto il pomeriggio e John era più che convinto che non avesse dimenticato il loro dialogo, uno dei dialoghi più imbarazzanti della storia. Mai come quello nel ristorante di Angelo il loro primo giorno di convivenza, sia chiaro, ma ci andava molto vicino. 

- Ricordi oggi quando abbiamo affrontato il discorso sull'omicidio? -

John poggiò a sua volta il piatto in terra e guardò Sherlock dritto negli occhi. - Del fatto che io abbia ucciso in Afganistan? Ero in guerra Sherlock. -

- Io non intendevo esattamente questo. -

L'ex soldato si rilassò quando capì dove in realtà volesse andare a parare il suo amico. Anche se poi ripensandoci bene, non era poi così bello come argomento di conversazione. 

- Intendevi il tassista. -

- Ti sei mai pentito di aver ucciso un uomo a sangue freddo? -

John si alzò e cominciò a passeggiare per la stanza. Non era nervoso per la domanda che gli era stata posta, dato che non aveva dubitato neanche per un attimo della risposta; ma chi gliel'aveva posta aveva il potere di innervosirlo oltre il dovuto. 

- No. -

- Se capitasse di nuovo l'occasione, lo rifaresti? -

- Cosa stai tramando? Cos'hai combinato questa volta? -

John aveva la tentazione di prenderlo per il colletto di quella sua camicia bianca così ordinata e di sbatterlo contro il muro. 

- Nulla John, non c'è bisogno di agitarsi tanto. -

- Oh si certo. Come no. -

- Allora? -

John decise che era arrivato il momento di ribaltare la situazione. Era stufo di tutti questi giochini alla Sherlock, e tra l'altro non aveva capito neanche dove volesse andare a parare. 

- E tu? -

Sherlock lo guardò dritto negli occhi come se avesse voluto leggergli l'anima. L'altro si trovò quegli occhi color del ghiaccio puntati così in profondità che si sentì quasi violato. E ovviamente quella fu una risposta più che soddisfacente. Ma voleva sentirglielo dire, chissà perché ne aveva un profondo bisogno. 

Improvvisamente la sua tasca vibrò e interruppe mal volentieri quel contatto visivo. Tirò fuori il suo cellulare e si schiarì la voce. - Sherlock, è Lestrade. -

 

 

 

 

 

 

 

La vibrazione del cellulare sul comodino interruppe il sonno e il sogno di Molly Hooper. Chissà perché, stava sognando di nuovo John Watson. Lo sognava spesso da tre anni a questa parte, e pensò che era perché si sentiva terribilmente in colpa. Sapeva ma non poteva dire. Si vedevano spesso, e un giorno il dottore le disse che lei era l'unica che gli trasmetteva un minimo di serenità tutte le volte che si parlava di Sherlock Holmes. E lei questo non poteva sopportarlo, si sentiva una bugiarda. 

Ogni giorno pregava per il suo ritorno e quella mattina sembrava che qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere.

Sono di nuovo a Londra. Sto venendo a casa tua. SH

Per poco non si mise a urlare di gioia se non avesse squillato il campanello. Dio solo sapeva perché avesse scelto le…. 6 e 47 del mattino per quella visita, ma in fondo era Sherlock Holmes, e da lui ci si aspettava ogni stranezza, e la sua assenza non l'aveva di certo cambiato. 

Si mise la vestaglia e corse alla porta. 

Aveva sognato mille volte negli anni passati che Sherlock venisse a farle visita, aveva tentato mille goffe volte di invitarlo a bere qualcosa in un posto che non fosse l'obitorio, senza successo ovviamente. Era stata umiliata più di una volta dal suo comportamento da sociopatico ma aveva continuato a volergli bene nell'ombra. 

Aprì la porta con un' euforia che non le si addiceva. 

Rimase li a guardarlo con una sorte di timore riverenziale. Gli si riempirono gli occhi di lacrime e continuò a guardarlo senza dire una parola. 

Sherlock si allungò in un abbraccio impacciato cercando di imitare i comuni mortali. Era questo che Molly aspettava, e si disse che in fondo glielo doveva. 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo essersi fatta un bel pianto liberatorio, si fece raccontare del suo ritorno e di come fosse stato accolto da chi lo credeva tre metri sottoterra. Sherlock di certo non aveva tempo da perdere, voleva un caso, si stava annoiando, ma Molly era stata fondamentale per la riuscita del suo piano, e si disse ancora una volta che in fondo glielo doveva. Quindi cercò di mascherare il suo disappunto cominciando a raccontare di come suo fratello fosse diventato la sua palla al piede accompagnandolo persino dalla signora Hudson. Non era proprio da lui intraprendere chiacchiere da salotto, e Molly fece finta di non accorgersi che quella mattina era anche troppo strano e che da quando le aveva chiesto se potesse fumare aveva già acceso 4 sigarette di fila una all'altra.

- Non sai quanto abbia sofferto. Per lei eri il figlio che non aveva mai avuto, l'andavo a trovare sempre, mi sentivo terribilmente in colpa… -

La faccia spazientita del detective fu più che eloquente e Molly si schiarì la voce, chiedendogli di andare avanti. 

- Ieri sera sul tardi, mio fratello è andato a prendere Lestrade a Scotland Yard e devo dire che la cosa mi ha molto sorpreso, se devo essere sincero. -

Molly si schiarì la voce visibilmente imbarazzata. - La tua morte ci ha avvicinato un po' tutti, Sherlock. - e alla parola morte mimò con le dita due virgolette. 

Sherlock scosse la testa, pensando a quanto suo fratello fosse uno stramaledettissimo approfittatore e gli venne quasi da ridere pensando a quanto, in fondo e certe volte, si somigliassero. 

- Bene. Detto questo, ho avuto anche l'onore di conoscere Harriet Watson. Voleva cavarmi gli occhi a mani nude credo. - 

Molly si trattenne dal dirgli che quasi l'intera popolazione britannica avrebbe voluto cavargli gli occhi ogni volta che apriva bocca. O per lo meno era così. Ormai per la maggior parte della popolazione Sherlock Holmes non era altro che il giovane-superscienziato-impostore-suicida che aveva riempito le pagine dei giornali per un bel po'. 

- Sherlock sono contenta che tu sia tornato. -

Il detective fece un tirò più profondo dalla sua sigaretta sperando che Molly non cominciasse a scendere nel sentimentalismo; non era mai in vena di queste cose, ma quelle ultime ore ininterrotte erano state un vero schifo, e si erano concluse con la sua coraggiosa fuga davanti alla porta di John. 

- Non ce la facevo più a fare finta. Mi faceva male vedere gli altri soffrire per te. -

Sherlock decise che era meglio defilarsi. Molly ci stava girando intorno da un po': stava per toccare un tasto dolente. Il tasto dolente. Se ci fosse stato suo fratello gli avrebbe ricordato ancora una volta che era ora che la smettesse di fare il ragazzino e che avrebbe fatto meglio a comportarsi da uomo. 

- Stamattina sono andato da John, ho bussato e sono scappato via. -

Rimase immobile come una statua di sale. Possibile che quelle parole fossero uscite proprio dalla sua bocca? Aveva bisogno di dirlo evidentemente. 

Molly si avvicinò e lo abbracciò come una mamma abbraccia il proprio bambino. In fondo per molto tempo lei era stata invisibile ai suoi occhi e forse era l'unica che era riuscita a vederlo per davvero. L'unica oltre John ovviamente, non era così presuntuosa. 

- Mi dispiace. - 

- Non essere dispiaciuta. -

- Allora ti dico come la penso: sei stato un idiota. -

 

 

 

 

 

 

 

- Dove pensi di andare? -

Harriet era stata svegliata dalla poco grazia di Mycroft nello scendere le scale, e di certo non era di buon umore.

Holmes alzò gli occhi al cielo e rientrò sconsolato nel salottino del 221b di Baker Street. Tutta questa storia stava sfociando nel tragicomico, sembrava una sit-com Americana di cattivo gusto e oramai si stava anche abituando all'idea. 

- Sono preoccupato per mio fratello. -

La donna strabuzzò gli occhi. - Perché, non è con te? -

- No. Credo si andato...-

Harriet prese il cellulare e lo accese. 

- da John. Cazzo, ho 7 chiamate perse! - e in quasi in preda ad una crisi isterica gli mostrò il display del cellulare. 

Mycroft si mise seduto sulla poltrona. Da solitario membro del Diogenes Club si era ritrovato a far da balia a suo fratello che sembrava aver perso la ragione, (non che fosse mai stato un tipo nella norma, ma quei giorni stava dando il meglio di sé) e ad Harriet Watson che sembrava sull'orlo di un esaurimento. In più c'era da sistemare la faccenda con John e non voleva nemmeno pensare a tutto il resto. 

- Richiamalo. -

Harry compose il numero e attese la risposta che arrivò dopo appena tre squilli. 

- Harry. -

- John. Come stai? - 

Il silenzio era rotto solo dai loro respiri. 

- Credo di averlo visto.

Harry rimase per un'attimo interdetta. Non era quello che si aspettava le venisse detto. 

- Come, "credi"? -

- Forse mi immagino le cose, ma ho sentito… Non importa. -

La donna rimase con il telefono in mano non riuscendo a darsi delle risposte. Si girò guardando Mycroft con aria interrogativa. 

- Crede di averlo visto. Spiegami tu, perché o mio fratello sta impazzendo o il tuo ne ha fatto una delle sue. -

Mycroft si alzò dalla poltrona. - Se vuoi rimani, io devo andare via un attimo. -

Era più che ovvio che Sherlock fosse arrivato davanti alla porta di casa del dottore e che poi fosse scappato via. Ma non osava dirlo, non aveva voglia di sentire altre cattiverie su suo fratello, per quante veritiere fossero. 

Non aveva mai visto Sherlock scappare davanti a niente, mai. Ma stava evitando il confronto con John come la peste. Prima se lo domandava, ora invece lo sapeva, l'aveva capito e lo ribadiva. Quel dottore era diventato decisamente la salvezza e allo stesso tempo la rovina di Sherlock Holmes. 

 

 

 

 

 

 

- Da Molly Hooper. -

Lestrade gli si parò davanti per non farlo entrare. Aveva dormito nemmeno due ore da quando era tornato a casa e già Mycroft Holmes era tornato a tormentarlo. 

- Cosa? - infastidito era un eufemismo. 

- Ho detto che mio fratello è da Molly Hooper. Ed è passato a casa del dottor Watson. -

L'ispettore a quel punto lo lasciò entrare e lo fece accomodare sulla poltroncina del salottino. Da quando sua moglie se ne era andata di casa, l'appartamento era diventato più freddo e spoglio.  

- Spero non abbia esordito con lo stessa tecnica che ha riservato a me. -

- Non si sono incontrati. Credo che sia scappato prima che John aprisse la porta. -

Greg si appoggiò al muro con aria infastidita. Inoltre stava anche morendo di sonno. - Perché stai raccontando tutto questo a me? Sicuro che possa saperlo? -

Mycroft alzò gli occhi al cielo. Aveva la prova definitiva che era finito in asilo infantile con dei bambini un po' troppo cresciuti. 

- E sappi - incalzò l'ispettore - che se ti chiedo informazioni è solo perché mi interesso a John, te e tuo fratello potete anche andare al diavolo. - 

- Ora smettila. Sai benissimo che non potevo dire niente, Greg. - 

- Perché cosa pensi che avrei fatto? Pensi che avrei messo i cartelloni pubblicitari? - 

- Non saresti stato credibile. Così come John. Avevano bisogno di vedere… - e si alzò avvicinandosi all'uomo davanti a sé, che gli poggiò una mano sul petto per tenerlo lontano. - … il vostro vero dolore. - 

- Io capisco perfettamente, ma capisci che sono un po' scosso? vorrei vedere te al mio posto. Ora per favore, vai. - 

L'esponente del governo britannico gli scansò dolcemente la mano dal petto e gli prese i fianchi avvicinandolo ancora di più a sé. L'altro opponeva resistenza senza neanche sforzarsi troppo. - Non faccio sempre ciò che vuoi tu, Holmes. - 

Mycroft alzò un sopracciglio con fare regale e lo strattonò in maniera molto meno aristocratica portando la bocca all'altezza del suo orecchio. - Ah no? - 

Greg si arrese alla volontà dell'altro e prese a sbottonargli velocemente i bottoni della camicia. Levando la parentesi di qualche ora prima, era una settimana che non si vedevano, e già gli era mancato terribilmente. E pensare che prima il loro era un rapporto occasionale durante il quale si vedevano molto raramente, e tale sarebbe dovuto rimanere, se non fosse che la frequenza dei loro incontri era aumentata vertiginosamente. 

- Mi hai raccontato cazzate per tre anni. - disse con un fil di voce mentre l'altro era intento a prenderlo a morsi sul collo, staccandosi poi lentamente per sfilargli la maglia delicatamente. - Ho solo omesso qualche dettaglio. 

- Sei insopportabile. - e poggiò delicatamente le labbra su quelle dell'altro, in uno di quei rari baci che si concedevano. 

 

 

 

 

 

 

 

Mary era appena uscita di casa per andare a lavorare. John invece aveva chiamato l'ambulatorio per dire che non sarebbe andato. I postumi della sbornia si facevano sentire ancora, infondo non era più al college e non poteva più permettersi quelle sbronze colossali. In più cercava di non pensare alla misteriosa figura che quella mattina si era aggirata nei paraggi di casa sua. Ovviamente sforzo inutile, non riusciva a smettere. 

Decise di andare a fare la spesa, o in casa da solo tutti il giorno sarebbe impazzito. Più tardi avrebbe chiamato la sorella, chissà dove era andata a dormire. Forse in un Motel. Si fece una doccia fredda. Aveva una nausea incredibile, dopo il supermercato sarebbe sicuramente passato in farmacia. Si vestì di tutta fretta e decise di prendere anche la busta con tutti gli inviti. Li avrebbe imbucati lui personalmente, tanto per passare del tempo. Erano le 8, sicuramente Tesco era già aperto, quindi si disse che poteva uscire di casa senza problemi. 

Scese le scale e aprì il portone, inspirando l'aria gelida a pieni polmoni. Improvvisamente, sentendosi osservato si girò di scatto e la busta cadde a terra con un tonfo, che nelle sue orecchie risultò assordante, spargendo qualche invito qua e la. 

- Ciao John. -

 

 

 

 

 

 

 

Note di Jude:

 

(*) si lo so, rileggendo mi sono accorta di aver praticamente fatto un mini riassuntino di tutte le puntate. 

 

 

Altre note:

 

Ops, la Mystrade che nel capitolo precedente mi era un pochino scappata, qua ha preso vita propria. 

E poi non potevo non inserire la dolcissima Molly Hooper ^^

Ringrazio come al solito chi legge, chi mette tra i preferiti e tra le seguite. 

Vi ringrazio anche per la pazienza.

Un bacio a tutti.

 

Jude.


   
 
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