Capitolo undici
“You can get addicted to a certain kind of sadness”
Kurt si pentì di essere scappato nell’esatto istante in
cui diede le spalle a Blaine per confondersi tra la folla. Sentiva le lacrime
premere per uscire e la gola dolergli nel tentativo di trattenersi, ma strinse
i denti e continuò a camminare in fretta, a testa bassa, come se mettere un
piede davanti all’altro non gli costasse alcuna fatica.
Stronzate.
Ogni passo in avanti era un passo più lontano da Blaine.
Perfino il suo maledetto orgoglio si era arreso all’evidenza: voleva tornare
indietro.
Allora perché continuo a camminare?
Non si girò per guardarsi indietro, come di solito
succede nei film.
Girarsi avrebbe significato arrendersi, e lui non poteva
permetterselo. Evidentemente l’orgoglio non era così facile da domare come
aveva inizialmente pensato.
Una volta fuori dalla stazione fu facile chiamare un
taxi. Alzò una mano ed un’automobile gialla si accostò al marciapiede nel giro
di un istante. In condizioni normali si sarebbe emozionato per essere riuscito
a fermare il suo primo taxi, ma tutto quello che sentì fu il pungente desiderio
di girarsi e scherzarci su con Blaine.
Ma Blaine non c’era.
In quel momento, mentre il tassista – un uomo di circa
cinquant’anni con dei ridicoli baffi e la maglia macchiata di burro d’arachidi
– caricava la sua valigia nel portabagagli, Kurt esitò.
Si voltò indietro e, prima che potesse impedirlo, la
speranza si fece pericolosamente strada in lui come un fiume in piena. E se
Blaine lo avesse rincorso?
Ma Blaine non comparve dalla porta per corrergli
incontro, gettare le valigie a terra e baciarlo, dimostrazione evidente del più
grande cliché dell’umanità: la vita non è un film. La gola di Kurt, già chiusa
in quella morsa dolorosa, bruciava dallo sforzo di trattenersi.
“Allora? Possiamo andare?” domandò il tassista con aria
annoiata, appoggiato allo sportello del guidatore con i gomiti.
Kurt si costrinse a distogliere lo sguardo dall’entrata
della Stazione Centrale e sentì l’improvvisa e dolorosa necessità di andarsene
di lì, scappare a gambe levate, nonostante stesse maledicendo l’insensibilità
del genere umano, nello specifico i guidatori di taxi sudaticci.
Aveva bisogno di andarsene, di mettere un po’ di distanza
tra lui e Blaine, tra se stesso e gli avvenimenti degli ultimi due giorni.
Era troppo da sopportare, aveva bisogno di stare un po’
da solo e riflettere.
Salì nel taxi con il cuore a pezzi e il viso tirato ma ancora
miracolosamente asciutto, nonostante gli occhi fossero già rossi.
Ma non stava piangendo. Non poteva, non di nuovo.
Il tassista lo scrutò dallo specchietto con le folte
sopracciglia inarcate. “Dove la porto?”
Kurt abbassò gli occhi e controllò le note sul telefono,
prima di dire: “Quarantacinquesima strada, Rockabilly” con voce stanca.
Il tassista annuì senza parlare e mise in moto, facendo
partire anche il tachimetro, che iniziò a picchiettare piano vicino al
contachilometri.
La Stazione Centrale scomparve dietro l’angolo
lentamente, e New York si sarebbe rivelata un po’ alla volta ai suoi occhi, se
solo Kurt non li avesse tenuti puntati in basso, sulle sue mani
intrecciate in grembo.
Probabilmente fu per questo che non vide Blaine uscire
dalla stazione e scrutare il marciapiede con uno sguardo talmente disperato da
spezzare il cuore.
Poco male: il suo, di cuore, sembrava pieno di schegge.
*
Arrivarono alla New York Academy of Dramatic Arts in
mezz’ora, un po’ più rispetto al tempo preventivato, a causa del traffico e un
incidente tra un camion e una moto all’angolo tra la quarantesima e la
trentanovesima strada. Kurt immaginò che fosse la routine tipica della Grande
Mela: incidenti ad ogni angolo e automobili ferme ovunque. Eppure, di quel poco
che aveva guardato dal finestrino, New York gli era sembrata spaventosamente
estranea. Magica, sì, ma era come se fosse troppo lontana per essere raggiunta.
Forse era perché aveva sempre immaginato di affrontarla con Rachel e Finn al
suo fianco – e, negli ultimi due giorni, anche con Blaine, fin troppe volte –
ed ora che era solo gli sembrava quasi…irraggiungibile.
Qualcuno tossicchiò alle sue spalle, così pagò il
tassista senza dire una parola e quello scaricò la sua valigia sul marciapiede
e si allontanò altrettanto silenziosamente.
Beh, eccoci qui.
L’enorme edificio che aveva di fronte era in stile
liberty, con la facciata bianca e imponente tenuta in perfette condizioni ed
una breve scalinata che conduceva ad un portone di legno ed una porta a vetri
più interna.
Vista in foto faceva molto meno paura.
Kurt strinse gli occhi, prese la sua valigia per il
manico e, facendosi coraggio, percorse la scalinata per entrare.
L’interno del palazzo era caldo ed accogliente, con le
pareti in velluto bordeaux e un ampio bancone in fondo ad una sala molto
luminosa, eppure Kurt non riuscì a godere appieno del brivido di eccitazione
che gli corse lungo la spina dorsale. Anzi, svanì in fretta così com’era
arrivato, lasciandolo solo più stanco e triste che mai. Poche volte, nella sua
vita, si era sentito così solo.
Raggiunse la reception pallido in volto, inciampando nel
tappeto persiano e stringendo la valigia fino a farsi male.
Dietro al bancone in mogano scuro c’era una ragazza che
poteva avere sì e no la sua età, con degli enormi occhi azzurri e capelli neri
liscissimi stretti in una coda alta. Indossava una camicia nera piuttosto
semplice, ma Kurt riconobbe subito la firma: Alexander McQueen. Un altro
dettaglio che avrebbe dovuto scatenare il gay entusiasta e modaiolo in lui, ma
che non ebbe nessun effetto. Registrò l’informazione e passò oltre.
La ragazza gli lanciò una lunga occhiata, studiandolo, e
quando gli sorrise cordialmente Kurt immaginò di aver appena superato il primo
dei tanti esami ai quali sarebbe stato sottoposto nei quattro anni a venire.
“Posso aiutarti? Sono Amy, la nuova segretaria.”
Il sorriso a trentadue denti della ragazza era aperto e
sincero e Kurt non voleva davvero pensare chi gli ricordava, perciò
ricambiò con meno entusiasmo di quanto avrebbe voluto.
“Kurt Hummel” si presentò, allungando la mano verso di
lei.
La ragazza – Amy, si corresse – glie la
strinse con allegria.
“Sono uno dei nuovi studenti” aggiunse Kurt a mo’ di
spiegazione, anche se doveva sembrare piuttosto ovvio.
Il volto di Amy si illuminò.
“Quello di Lima, vero? Ho sbirciato sulla lista candidati
che mi ha passato mia zia” esclamò con entusiasmo. “Ti ho visto su You Tube,
speravo che ti prendessero. Sei davvero eccezionale!”
Kurt arrossì e abbassò gli occhi. “E tua zia sarebbe…?”
“Carmen Tibideaux” disse Amy stringendosi nelle spalle
timidamente. “Sono la figlia adottiva di sua sorella.”
Kurt sorrise stancamente alla ragazza. Per quanto amasse
le lodi, quello non era il momento giusto.
Amy però parve notare la sua stanchezza, perché si batté
una mano in fronte e spalancò gli occhioni azzurri.
“Oddio, scusa, starai morendo di stanchezza! Ecco, la tua
stanza è la numero quattordici, questa è la chiave”
Il ragazzo si ritrovò l’oggetto di pesante ottone tra le
mani e prima che potesse muoversi o aprire bocca per ringraziarla Amy era
sgusciata fuori dal bancone, posizionando vicino al campanello un cartello con
su scritto ‘Torno subito’.
“Tanto sono arrivate solo due ragazze dal Nord Carolina
giusto ieri e sono nell’altro edificio dove c’è il dormitorio femminile. Non è
che mi stanno molto simpatiche” spiegò con una scrollata di spalle. “Vieni, ti
accompagno e ti faccio fare un giro del dormitorio.”
Kurt la seguì docilmente lungo un corridoio non troppo
largo. Ad un certo punto svoltarono a sinistra e finirono in una stanza molto
ampia e luminosa, con una libreria piena di riviste e libri, una televisione e
diversi divani.
“Questa è una specie di sala comune” spiegò Amy indicando
la stanza con un gesto. “Ci ritroviamo tutti qui per chiacchierare o litigare e
tirarci addosso gli spartiti, di solito”
“Anche tu frequenti la NYADA?” domandò Kurt stupito.
Amy gli lanciò una lunga occhiata inquisitoria, poi fece
un gran sorriso.
“Mi piaci” dichiarò, lasciando Kurt di stucco. “Non hai
pensato subito che io sia entrata alla NYADA grazie a mia zia.”
Kurt non sapeva che dire, perché in effetti il pensiero
non l’aveva proprio sfiorato, così si limitò ad arrossire. Di nuovo.
“Comunque sì, sono al secondo anno.” chiarì Amy
allegramente, prima di guidarlo verso un altro corridoio sulla destra.
“Ecco, queste sono le stanze. La tua è l’ultima prima
della cucina, che è dietro quella porta in fondo.”
Amy lo guidò fino alla porta segnata con il numero
quattordici in ottone, in tinta con la maniglia.
“Beh, eccoci qui” disse la ragazza mora. “Io devo tornare
al lavoro, però spero di vederti di nuovo in giro, Kurt. Ah, fino all’inizio
dei corsi dobbiamo cucinarci da soli, anche perché molta gente arriva la sera
prima dell’inizio delle lezioni. La cucina è aperta a tutte le ore del giorno e
della notte ed è fornitissima, ma puoi portare qualcosa di tuo, se vuoi.”
Kurt riuscì a tirare fuori un vero sorriso. “Grazie”
disse. Sperò che bastasse.
Amy gli strizzò l’occhio prima di incamminarsi lungo il
corridoio.
“E’ stato un piacere!” esclamò. Poi girò l’angolo e sparì.
Kurt chiuse gli occhi per un attimo, cercando di calmarsi
e non scoppiare a piangere lì davanti alla porta. Quando si sentì nient’altro
che uno stupido, fermo davanti alla porta con la valigia in mano, si decise ad
infilare la chiave nella serratura ed abbassare la maniglia per entrare.
Quella che sarebbe stata la sua stanza per i successivi
quattro anni – quasi tremò al pensiero – era una camera grande e molto
luminosa, con le pareti color verde chiaro, quasi pastello, e due ampie
finestre a davanzale che davano sulla strada.
Sul lato sinistro Kurt intravide, dalla porta di legno
chiaro socchiusa, un bagno piuttosto spazioso, abbastanza da contenere una
doccia enorme. Proprio lì di fianco c’era una lunga scrivania sovrastata da una
libreria completamente vuota.
C’era un letto a castello attaccato alla parete opposta,
e sparsi in giro c’erano anche una lampada piuttosto alta, due poltrone e un
tavolino. Tra le due finestre, infine, c’era una cabina armadio dello stesso
legno chiaro della porta.
La stanza era inequivocabilmente per due persone, ma era
vuota, e questo significava due cose. Uno, Kurt avrebbe avuto un coinquilino;
due, non era ancora arrivato alla NYADA.
In quel momento non aveva davvero la forza di
preoccuparsene, quindi si limitò a sperare che non avesse nessun problema con i
gay e che il suo senso estetico non lasciasse a desiderare.
La testa gli doleva e tutto quello che avrebbe voluto
fare era mettersi a letto e sfogarsi, e piangere fino a consumarsi la faccia,
ma non poteva. Non voleva, dannazione.
Il pensiero di Blaine non l’aveva abbandonato neanche un
istante per tutto il tempo, una costante dolorosa nella sua mente, ma doveva
resistere. Doveva tenersi occupato con qualcosa.
Così appoggiò la valigia a terra – dove c’era una
moquette color verde muschio – e spalancò le finestre.
Diamoci da fare.
Le due ore successive le passò a svuotare completamente
la valigia sopra al letto, ripulire l’armadio da cima a fondo con uno straccio
trovato in bagno, tra i prodotti per la pulizia, e sistemarci dentro tutti i
suoi vestiti, lasciandone metà libera per il suo futuro coinquilino.
Mise in ordine l’intero bagno, che era comunque già
pulito e splendente, e allineò tutte le sue creme per il trattamento di
idratazione della pelle in ordine di utilizzo su una delle mensole libere.
Poi svuotò di nuovo l’armadio, non soddisfatto, e
risistemò tutto dentro una seconda volta, dividendo i capi per colore.
Aveva appena appoggiato il portatile sopra alla scrivania
e sistemato i libri che si era portato dietro nella libreria, non riuscendo a
riempirla nemmeno di un decimo. Fortunatamente suo padre gli avrebbe spedito il
resto della sua roba a breve.
Sudato e con l’odore della polvere sulla pelle, si
accinse a controllare un’ultima volta la sua valigia prima di farsi una doccia
che cancellasse la stanchezza, la sporcizia e magari anche il dolore sordo che
non era riuscito del tutto ad ignorare. Frugò un’ultima volta nelle tasche
della sua valigia, controllando di aver tirato fuori tutto, e quando
infilò la mano nella tasca davanti, le sue dita sfiorarono della carta
stropicciata.
Kurt tirò fuori il foglio con circospezione, senza
guardare, e si andò a sedere sul letto con un sospiro tremante.
Quando finalmente trovò il coraggio, guardò. Era la
lettera di Dave, ripiegata con cura.
Blaine doveva averla raccolta e messa in valigia al posto
suo, incredibilmente consapevole del fatto che Kurt non avrebbe voluto
rivederla, ma nemmeno lasciarla lì a terra.
Fu in quel momento che, finalmente, scoppiò a piangere.
*
La porta dell’appartamento di Nick e Jeff si aprì
cigolando e Blaine li seguì dentro, trascinandosi dietro borsone e chitarra.
Nick accese la luce, e tutti e tre scrutarono la casa per un istante.
Il loro bilocale non era grande o spazioso, ma era
l’ideale per due studenti ricchi che vivono insieme a New York: aveva una
cucina, due camere da letto, due bagni e un soggiorno piuttosto grande con un
angolo libreria davvero invidiabile.
“Beh” fece Jeff, accompagnando le parole con un gesto
della mano. “Casa.”
Blaine non riuscì a trovare nulla da commentare di
diverso da ‘è carina’, che gli sembrava una cosa orribile da dire, perché
figuriamoci se a Nick e Jeff importava dell’arredamento, così diede la colpa
alla gola secca e si limitò a tacere e tentare un sorriso.
Nick – che non lo aveva perso di vista nemmeno per un
secondo da quando l’aveva trovato in stazione – gli appoggiò una mano sulla
spalla con fare fraterno.
“Ti abbiamo preparato il divano, ti toccherà dormire lì.”
gli disse con un sorriso di incoraggiamento.
“Grazie” rispose Blaine con voce roca, trovando un
po’ di energia per rispondergli, cercando di trasmettergli tutta la gratitudine
di cui fosse capace. “Per ospitarmi e tutto. Voglio dire, se è un problema
posso andare a–“
Ma Nick non gli fece nemmeno concludere la frase,
colpendolo sul braccio e strappandogli un lamento. Proprio come ai vecchi tempi,
solo che lui non si sentiva affatto il vecchio Blaine.
“Non ci pensare nemmeno, Anderson.” lo minacciò
scherzosamente. “Non ci vediamo dal tuo compleanno! Tu fino al provino non ti
muovi di qui, a costo di inchiodarti al termosifone”
Blaine, suo malgrado, stirò le labbra nel più minuscolo
dei sorrisi.
Nick e Jeff si erano trasferiti nella Grande Mela non
appena era finita la scuola, ed erano tornati a Lima solo per festeggiare il
suo compleanno: il primo aveva fretta di iniziare l’apprendistato all’ Hospital
Trade Center di New York, mentre l’altro lavorava alla caffetteria all’angolo
in attesa che iniziassero i corsi della facoltà di Economia.
Lanciò ad entrambi un’occhiata riconoscente, sperando che
bastasse. Era importante che capissero quanto significasse per lui la loro
presenza nella sua vita.
Nick gli fece strada fino al soggiorno per mostrargli il
divano e lo stomaco di Blaine fu scosso da una fitta quando si rese conto che,
per quanto Nick e Jeff sapessero di casa, famiglia e calore, era
nel posto sbagliato. L’aveva saputo fin da quando aveva varcato la soglia.
*
Kurt aveva saltato la cena – aveva la nausea e nessuna
voglia di mettersi a cucinare – e aveva ripetuto il trattamento post-doccia di
idratazione della pelle due volte. Ora se ne stava lì, con gli occhi ancora
rossi di pianto, seduto su una delle poltrone.
Il cellulare era appoggiato al suo ginocchio e Kurt
continuava a far vagare lo sguardo dallo schermo buio alla finestra, incapace
di fissarsi su una sola cosa. Certo, guardare il telefono come se potesse
improvvisamente prendere vita e dirti quanto zuccone tu sia stato rispecchiava
particolarmente il suo stato d’animo, ma era un po’ improbabile che accadesse
davvero.
Così si risolse con l’insultarsi da solo per la sua
profonda inettitudine.
Perché diavolo era scappato in quel modo, lasciando lì
Blaine? Solo pensare il suo nome gli faceva stringere lo stomaco.
Perché sei così stupido, Kurt?, si domandò. Stupido
stupido stupido.
Il cellulare sul suo ginocchio si illuminò di colpo e
vibrò, facendogli perdere almeno dieci anni di vita tutti in un solo colpo, e
Kurt, sentendosi improvvisamente più vecchio – e di dieci anni più vicino alla
morte - sobbalzò sulla poltrona. Afferrò l’oggetto con le mani che tremavano,
ma non poté evitare di farsi scappare un gemito deluso quando vide che non era
un messaggio da parte di Blaine, come aveva spudoratamente sperato, ma di
Rachel.
Si fece coraggio e si decise ad aprirlo.
(20:27 p.m.)
Skype?
In effetti moriva dalla voglia di distrarsi un po’, e
parlare con la sua migliore amica era qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo
anche a fare chiarezza, così accese velocemente il portatile e attese il login di
Skype, sedendosi sul letto di sopra a gambe incrociate e accendendo la lampada
per farsi più luce. Nemmeno un minuto dopo il viso sorridente di Rachel
comparve sullo schermo.
“Ehi” fece lei salutandolo con la mano. Ci fu un
po’ di trambusto e Kurt notò che ora era stesa a pancia in giù sul suo letto.
“Ehi” rispose debolmente, cercando di tirar fuori un
sorriso e pregando silenziosamente che lei non si accorgesse dei suoi occhi
gonfi e rossi di pianto.
Ma a Rachel Berry non sfuggiva mai niente.
“Sono appena tornata da casa tua e – Kurt, stai bene?”
A che serviva mentire?
Kurt abbassò gli occhi prima di rispondere: “Non lo so.
No.” talmente piano che pensò che Rachel non l’avesse nemmeno sentito.
“Cos’è successo?” chiese lei preoccupata. L’aveva
sentito eccome. “Ti trovi male? Gli altri studenti sono stronzi? Hai
dimenticato le creme a casa?”
Kurt scosse lentamente la testa e il viso di Rachel si
illuminò di comprensione.
“E’ per quel ragazzo, quel Blaine che hai conosciuto
sul treno, non è vero? Che cos’è successo, Kurt?”
E Kurt non ce la fece più a resistere, così raccontò
tutto quanto a Rachel, che lo osservava sempre più basita attraverso lo schermo
del portatile. Le raccontò di come aveva conosciuto Blaine, di cosa avevano
parlato e cosa avevano fatto; le disse del sogno, arrossendo violentemente, e
del quasi bacio quando il treno si era fermato. La parte più dura fu
raccontarle di Dave e della notte passata tra le braccia di Blaine. Rachel lo
interruppe solo per inveire per cinque minuti buoni contro Finn, inconsapevole
complice. Quando arrivò all’arrivo in stazione, era distrutto ed erano già le
dieci di sera.
“Kurt dimmi che non ti sei fatto prendere dal panico, come tuo solito, e sei
corso via. O, se l’hai fatto davvero, dimmi che ti ha rincorso.” mormorò
Rachel massaggiandosi le tempie.
“C’era il suo ex – o quello che è – in stazione, quel
Sebastian Smythe, e io – non so cosa mi sia preso, ma dovevi vederlo, Rach.
Blaine era praticamente paralizzato e quel tipo è…non lo so, non mi piace
affatto. Mi sono fatto prendere dal panico, sì, e sono scappato a gambe levate,
dicendogli qualcosa tipo ‘ci sentiamo’. Blaine è rimasto lì, comunque. Non ha
detto niente.” concluse con un sospiro tremante. Aveva di nuovo le lacrime agli
occhi.
“Probabilmente l’hai spiazzato” disse Rachel con
un tono di voce che evidentemente lei reputava saggio. Kurt mugugnò qualcosa di
indefinito.
“Kurt, io…devo proprio chiedertelo, o tu non te lo
chiederai mai. Quanto…quanto ti piace questo Blaine?”
“Non è una questione di quanto mi piace” esclamò Kurt
diventando rosso in zona orecchie. “ma di quanto io sia stato infinitamente
stupido e immaturo e-“
“Invece sì, è proprio una questione di quanto ti
piace.” lo interruppe Rachel.
Kurt fissò lo schermo del portatile per un lungo istante.
“Io – tanto. Ok, tanto. Contenta?”
Rachel aprì la bocca per rimproverarlo, quando il
cellulare di Kurt, appoggiato sulla mensola, prese a vibrare e illuminarsi,
mentre la suoneria – Single Ladies, messa appositamente per il contatto di
Blaine in un attacco di follia – invadeva la stanza.
Rachel esclamò “Oh mamma, è lui?!” sporgendosi
verso la telecamera come se potesse uscire fuori dallo schermo e assalire Kurt,
che nel frattempo si era lanciato sopra al telefono con uno scatto felino.
Quando lesse il nome sullo schermo il cuore iniziò a
battergli all’impazzata nel petto, quasi volesse schizzargli fuori.
Chiamata in arrivo da:
Blaine.
Merda.
“E’ Blaine” sussurrò con voce tremante e più alta del normale,
fissando il telefono senza avere il coraggio di rispondere alla chiamata. Cosa
avrebbe dovuto dirgli? Oddio, come faceva a spiegargli che non sarebbe voluto
scappare e che era solo panico e – Oh, dio.
“No, no, no. Non posso farlo!” strillò Kurt, stringendo
il telefono tra le mani mentre quello continuava a squillare. Se non fosse
stato sull’orlo di una crisi di nervi, la scena gli sarebbe sembrata perfino
comica.
“Kurt Elizabeth Hummel, non ci provare!” esclamò
irata Rachel dal computer. “Rispondi a quel maledetto telefono!”
Kurt chiuse gli occhi e scosse freneticamente la testa a
destra e sinistra.
“Non posso” gemette. “Come faccio? Che gli dico?”
“Porca Barbra, Kurt, non costringermi a volare a New
York seduta stante!”
Il viso di Rachel ormai occupava interamente lo schermo
del portatile.
Con un ultimo squillo, il telefono di Kurt smise di
suonare e la nuvoletta di chiamata persa: Blaine comparve
sullo schermo.
Quando le prime lacrime si affacciarono sui suoi occhi e
strinse il telefono al petto sentì Rachel sospirare e mormorare: “Oh, Kurt.”
*
Non ha risposto.
Blaine rimase a fissare lo schermo vuoto con un turbine
di domande in testa e nessuna risposta. Di certo il suo telefono non poteva
dargliele.
Perché Kurt non aveva risposto? Perché era scappato, in
stazione?
Il cellulare rimase silenzioso tra le sue mani.
Forse Kurt non aveva sentito squillare il suo telefono.
Magari era sotto la doccia.
Forse non ha voluto rispondere, si intromise una
vocina maligna nella sua testa.
Chi voleva prendere in giro?
Quello che era successo alla Stazione Centrale doveva
aver spaventato Kurt, e lui non l’aveva nemmeno rincorso. Idiota,
Blaine, idiota.
Blaine appoggiò il cellulare sopra agli spartiti che
teneva sulle ginocchia e si passò una mano sul viso.
La tazza di caffè che teneva nell’altra mano si inclinò
pericolosamente e un paio di gocce caddero sui fogli pieni di note e musica con
i quali aveva cercato di distrarsi prima di chiamare Kurt. Aveva passato tutto
il pomeriggio con la musica a tutto volume nelle orecchie, fingendo di
esercitarsi per il provino nel tentativo di evitare di dover raccontare tutto a
Nick e Jeff; o meglio, ad aspettare una telefonata o un messaggio. Poi aveva
speso tutta la sera davanti al telefono a cercare il coraggio di chiamare Kurt.
Maledizione, sapeva che avrebbe dovuto mandargli un
messaggio per scusarsi e magari iniziare una conversazione, ma sul momento
chiamare era sembrata la cosa più intelligente da fare, e anche la più giusta.
Ma ora…
“Blaine?”
Nick era fermo sulla porta del soggiorno, appoggiato allo
stipite a braccia conserte, con un sorriso sereno in viso.
Blaine si sentì un po’ meglio per via della familiarità
della situazione: aveva condiviso la stanza con Nick per tre anni, alla Dalton.
“A che ora hai il provino, domani?” chiese il ragazzo,
avvicinandosi al divano dov’era rannicchiato Blaine.
“Alle tre di pomeriggio” mormorò indicando inutilmente
gli spartiti macchiati e tentando un sorriso.
Tutto quello che riusciva a pensare, però, era ‘non
ha risposto’.
“Hai intenzione di mangiare qualcosa?” mormorò Nick di
rimando, facendosi spazio tra i fogli pieni di annotazioni e note e sedendosi
sul bracciolo del divano. “Abbiamo dei biscotti.”
Blaine gli lanciò un’occhiata riconoscente, ma scosse la
testa.
“Ho ancora lo stomaco chiuso.”
Nick lo osservò per un lungo istante, poi sospirò e
indicò con un cenno della testa il telefono di Blaine.
“C’entra quello?”
Blaine esitò, poi annuì.
Nick si voltò verso di lui e lo costrinse a guardarlo
negli occhi scuri.
“Ne vuoi parlare?” propose con calma.
Blaine sentì gli occhi pizzicargli, e non aveva nessuna
intenzione di piangere di nuovo davanti a Nick, se non altro per non farlo
preoccupare. In stazione aveva avuto un piccolo momento di debolezza, tutto qui.
Sapeva fin dall’inizio che le cose sarebbero potute andare in quella direzione,
e sapeva anche che c’era una sola soluzione a tutto quello. Forse era quella
consapevolezza, che lo spaventava tanto.
Nick stava ancora aspettando speranzoso una risposta, perciò
scosse debolmente la testa.
“Possiamo…domani? Oppure – non adesso, ti prego. Io – Io
– ho bisogno di riflettere un po’”.
L’amico sospirò, ma gli batté una mano sulla spalla e
sorrise mestamente.
“Quando vuoi, lo sai.”
Si alzò dal divano, stiracchiandosi, e Blaine chiese con
tono noncurante: “Jeff?”
Nick si irrigidì leggermente, ma cercò di non darlo a
vedere. “In camera sua. Credo stia già dormendo.”
Blaine non disse niente, perché ovviamente era l’ultima
persona che potesse dare quel genere di consigli, ma sapeva che Nick stava
reprimendo i suoi sentimenti da tanto, tantissimo tempo.
L’ex Warbler fece per andare verso la sua camera, ma a
metà strada si fermò, voltandosi di nuovo.
“Blaine?” lo chiamò con voce soffice.
Blaine alzò gli occhi dorati e tristi su di lui.
“Andrà tutto bene” gli disse sorridendo. Lui si ritrovò
ad annuire, suo malgrado.
Nick era ormai arrivato alla porta quando lo richiamò
sottovoce.
“Nick?”
“Sì?”
“Grazie.” sussurrò Blaine con le lacrime che premevano
per uscire.
Il sorriso rassicurante di Nick lo fece sentire un po’
meno un relitto, nonostante il telefono nella sua mano non squillò mai.
*
La sveglia luminosa che aveva appoggiato alla mensola del
letto di sopra segnava l’una e mezza di notte e Kurt era ancora sveglio a
fissare il soffitto verde chiaro senza riuscire a chiudere occhio.
La stanchezza sembrava scomparsa nel nulla, risucchiata
dall’ansia, dallo sconforto e da una buona dose di sottile fastidio verso se
stesso.
Forse un po’ più di sottile, ok. Diciamo che
era furioso per essere stato così stupido.
Aveva chiuso la conversazione con Rachel poco dopo la
chiamata di Blaine – solo a pensare al fatto che non aveva risposto avrebbe
voluto prendere una rivoltella e spararsi un colpo in fronte – e l’amica gli
aveva raccomandato di riposarsi e pensarci bene una volta fatta una bella
dormita, prima di fare cavolate. Eppure non riusciva a dormire.
Decise di alzarsi e andare in cucina a farsi qualcosa di
caldo da bere – latte o qualcosa del genere – e riflettere un po’.
La cucina era deserta, così accese la luce e frugò un po’
tra le mensole e i cassetti fino a trovare qualcosa di suo gradimento, e mise
su l’acqua.
Di fronte ad una tazza di tisana fumante - emolliente, ai
frutti di bosco - Kurt riuscì a recuperare un po' di energie. Così, mentre
sfiorava con il pollice lo schermo del telefono, dal quale faceva capolino la
chiamata persa di Blaine, iniziò a riflettere.
*
Il treno ad alta velocità sfrecciava silenziosamente
attraverso la campagna dell’Ohio occidentale sotto gli occhi stanchi di
Sebastian.
Il blackberry di ultima generazione che teneva tra le
mani segnava le tre di mattina. Si rigirò tra le mani l’oggetto con fare
pensieroso.
Aveva sbollito la rabbia dell’incontro con Blaine e
quegli altri due da un pezzo, e tutto quello che era rimasto era una profonda
sensazione di disagio che non aveva fatto altro che innervosirlo. Cos’è, si era
trasformato in una mammoletta? Solo perché aveva capito un paio di cose – tipo
cosa significava prendersi un’enorme sbandata per l’ultima persona che pensavi
ti sarebbe interessata sulla faccia della terra – non significava certo che non
era più Sebastian Smythe.
Il vecchio Sebastian avrebbe mandato al diavolo Blaine
Anderson e le sue paranoie da verginella, avrebbe rimesso il telefono in tasca
e avrebbe lasciato perdere l’intera situazione per farla marcire da qualche
parte in un cassetto del suo straordinario cervello.
Allora perché non riusciva a scacciare l’idea di mandare
un messaggio a Blaine per dirgli che non avevano fatto sesso perché era troppo
ubriaco per rimanere sveglio, ma che erano comunque arrivati, come si suol
dire, un bel pezzo avanti?
In fondo poteva risparmiarselo, visto che avrebbe
significato ammettere di aver fatto cilecca. E quel cretino di Blaine non era
mai venuto a chiederlo, quindi era giustificato se aveva pensato che non gli
importasse un accidenti.
Certo, ora aveva un vago sospetto sul perché Blaine non
era piombato davanti a lui domandando ‘allora, l’abbiamo fatto, Sebastian?
Perché non mi ricordo un cazzo’; oltre al fatto che fosse stupido, ovviamente.
Doveva dirgli la verità, nonostante il modo in cui
l’aveva trattato? Ma ormai non importava più, faceva parte del passato, no?
Eppure sentiva di volerlo fare.
Il treno rallentò con uno stridio di freni e la stazione
di Lima-sono-un-buco-nel-nulla, Ohio, comparve davanti a lui, deserta.
Fatta eccezione per una figura un po’ in penombra, appoggiata
ad una delle colonne nel bel mezzo della stazione.
Sebastian sorrise lievemente a quella vista.
Dio mio, quando sono diventato così patetico?
Eppure, quando il ragazzo uscì dalla penombra e sorrise
timidamente, Sebastian non riuscì a trattenersi e colmò la distanza che li
separava a grandi passi, prendendogli il viso tra le mani e catturando la sua
bocca in un bacio.
Quand’è che si era innamorato senza accorgersene? E
quando, esattamente, avrebbe smesso di farsi questa domanda?
Quando si separarono Sebastian ricordò improvvisamente
una cosa molto, molto importante.
“Ho incontrato Blaine alla stazione di New York” disse
sottovoce. L’altro ragazzo lo osservò per un istante, poi chiese: “Quel
Blaine?”
Preparati, sto per lanciarti la bomba a mano.
“Quel Blaine. Con un certo Kurt Hummel.”
Note dell’Autrice
Vi prego non fatemi del male, io voglio tanto bene! Ho anche aggiornato prima, come promesso! J
Ok, ancora non si sono rincontrati, ma dovete avere pazienza. E’ rimasto pochino pochino pochino :D
So che questo è un capitolo un po’ di passaggio, ma fa da base a tutto quello che verrà e introduciamo un nuovo personaggio, Amy, che...boh, in pratica si è scritta da sola, e presto fangirlizzerà per Kurt e Blaine quanto noi :)
Per quanto riguarda il fatto che Kurt non risponde al telefono a Blaine...io avrei fatto la stessa identica cosa; anzi, mi è successo un paio di volte, quindi mi sono basata su quello.
Ora, non prendeteva con Sebastian, visto che non è poi così tanto cattivo?
Saprete tutto, saprete tutto. Presto, giuro :)
Ah, io direi di far partire le scommesse: chi sarà questo misterioso ragazzo che è riuscito a rabbonire Sebastian Smythe? E perché? E come? *-* Mi state odiando, lo so.
Ci si vede martedì, ragazze :)
Ecco, forse martedì mi odierete un po’ di più! :D
Ah, so che non ho risposto a molte recensioni ultimamente – faccio schifo, lo so! – ma le leggo e rileggo in continuazione, e presto mi metterò in pari! Che ci volete fare, gli esami di maturità cominciano tra venti giorni xD
Spoilerino del prossimo capitolo? Kurt visita New York. Che non è poi così grande come pensa. Solo che ancora non lo sa.
A martedì, gente!
Baci,
Selene