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Autore: chi_lamed    03/06/2012    2 recensioni
Nero è il mio colore, nero come e più del mio abito che mi avvolge, impenetrabile armatura con cui nascondo il mio vero io al mondo intero, ma non a me stesso. Nero come e più di questa notte senza stelle né luna, buia e profonda, grondante d’angoscia e colma di solitudine.
I pensieri di Severus Piton, durante la sua prima notte da Preside Mangiamorte, sulle note della canzone "Notte" tratta dalla Divina Commedia Opera.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Le stelle brillano di più, quanto più fonda è la notte'
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Fanfiction scritta di getto, accompagnata e guidata dalle note di "Notte. Aria di Dante", tratta dalla Divina Commedia Opera e cantata da Vittorio Matteucci. La potete trovare a questo link: http://www.youtube.com/watch?v=MQateHHoOr0&feature=related .


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



 

Notte

 
Il vento quassù, su questa Torre di Astronomia, fischia più forte, insinuandosi fin sotto le vesti e gonfiando il mio nero mantello che svolazza come una banderuola impazzita.
Lo assaporo ad occhi chiusi, lasciando che le sue folate mi sferzino il viso, come tanti schiaffi. Me li merito tutti, uno per uno.
Sempre meglio questi, delle stilettate che ho ricevuto per tutta la serata.
E se questo è solo l’inizio, in futuro potrà solo peggiorare. Sarò in grado di sopportare, senza dare il minimo segno di cedimento?
Assassino, traditore, codardo… non ne ho dimenticato neppure uno, dei nomi che mi sono stati affibbiati, così come ricordo ogni singolo volto e nome di chi mi ha lanciato l’improperio. E come potrei dimenticare, quando il mio cuore ha sanguinato di dolore nel posare il mio piede nella Sala Grande, sotto sguardi carichi d’odio feroce?
Hanno creduto che fremessi d’orgoglio.
Gliel’ho lasciato credere.
Hanno creduto fossi troppo emozionato per fare un lungo discorso d’inizio anno.
Li ho lasciati fare.
Hanno pensato che il nero delle mie vesti non fosse nulla al confronto con la mia anima.
Avevano ragione.
Nero è il mio colore, nero come e più del mio abito che mi avvolge, impenetrabile armatura con cui nascondo il mio vero io al mondo intero, ma non a me stesso. Nero come e più di questa notte senza stelle né luna, buia e profonda, grondante d’angoscia e colma di solitudine.

 

Non ci può essere luce per me, esiste solo la notte orrida e tetra del mio cuore straziato dopo aver ucciso l’unico amico che ho mai avuto.

  

Notte che dilaghi dentro me,
notte che oscuri la mia vita,
notte che avvolgi la mia mente
in un cammino senza strade.
 

 
Fisso gli occhi nel cielo, dove il nulla totale sembra il padrone assoluto, felice di accogliermi come compagno di vita. Egli non è solamente là fuori, è dentro di me, lo sento fin nel profondo e non c’è modo di tirarsi indietro: m’inghiotte senza pietà ed io devo lasciarglielo fare, se voglio che le vite che ora riposano tra queste mura siano protette da un altro Oscuro, bramoso di potere e di folle invincibilità.
Eppure vorrei tanto non sentirmi così solo…


Chiuso in un abisso senza uscita,
in un abbraccio gelido,
in questa angoscia io mi perdo,
in una selva tra le tenebre.

 

Una folata più forte di altre mi costringe ad aggrapparmi al parapetto, mentre rabbrividisco per il freddo.
Gelo e buio, ora sono loro i miei più fidati consiglieri, che avviluppano la mia anima come infidi rovi spinosi che mi stringono da ogni parte.
Uno, due, tre respiri belli profondi e riacquisto la lucidità necessaria per non smarrirmi del tutto. Ho il dovere di lottare, dietro ad una maschera, sì, ma pur sempre con tutte le mie forze, nonostante l’angoscia che ogni istante mi preme sul cuore.


Cerco una speranza che m'illumini,
cerco una strada oltre il buio,
mentre mi perdo in questa notte,
mentre smarrito cerco l'alba
e grido al cielo, grido il dolore di ogni uomo,
la vita che è dolore dentro me.



Rivedo ancora il colore dei tuoi occhi, Albus, mentre mi guardi e m’implori di compiere il pietoso gesto di levarti la vita. Spiccava in quel buio maledetto come faro nella notte.
Il mio faro.
Eri la luce che guidava i miei passi, anche quando mi davi totale fiducia e totale libertà di decisione. Anche con le tue battute comiche e le innumerevoli caramelle offerte con espressione sorniona.
Mi avevi concesso amore e perdono, mi avevi dato il permesso di camminare nella strada sterrata della redenzione, per proteggere l’unica cosa che mi fosse rimasta della mia vita passata.
Ed invece, so che dovrò consegnare alla morte la mia sola speranza di riscatto, l’ultima luce che illuminava i miei passi, per la salvezza di tutti.
Non ho più nemmeno questa illusione, la notte è scesa su di me, definitiva, senza che mi sia concessa alcuna alba in cui trovare ristoro dalle mie fatiche.
Vorrei gridare, lasciar esplodere rabbia e disperazione, comportarmi come qualunque essere umano su questa Terra.
Non mi è concesso nemmeno questo, nemmeno questo…
Mi aggrappo al parapetto con entrambe le mani, stringendolo fino a farmi male, ma più grande è il dolore che sento dentro, il dolore di dover combattere da solo e di dover fingere d’essere quello che non sono.
Il dolore di non poter nemmeno piangere in santa pace.


Tenebrosa selva che mi stringi
in un abbraccio senza amore,
lascia che veda un po' di cielo
al di là di queste tenebre.



Dovere, dovere e sempre dovere. Esso è al contempo via d’uscita e catena che mi stringe, mezzo per raggiungere lo scopo e prigione che non mi lascia intravedere nemmeno uno spiraglio di luce.
Dovere di mentire e di torturare, se necessario.
Dovere di proteggere la sicurezza degli studenti, pur rimanendo nell’ombra.
Dovere che mi opprime il cuore e lo stringe in un abbraccio soffocante, togliendomi il respiro ed il sonno.


Cerco una speranza che m'illumini,
cerco una strada oltre il buio,
mentre mi perdo in questa notte,
mentre smarrito cerco l'alba
e grido al cielo, grido il dolore di ogni uomo,
la vita che è dolore dentro me.

 

Eppure verrà l’alba, lo so, lo sento.
Verrà il momento in cui tutta questa follia finirà ed io sarò finalmente libero di scivolare per sempre nell’abbraccio della nera notte che non avrà mai fine.
Voglio avere questa speranza, poiché è la sola cosa che mi resta e che mi aiuta ad andare avanti, senza tentennamenti e senza ripensamenti.
Mi stacco da questo dannato parapetto, facendo un passo indietro, pronto a mostrarmi altro da me stesso.
E affido alla notte il mio muto grido di dolore.


*****
Nota dell'autrice: questa song-fic è stata scritta praticamente di getto, in un'oretta e si vede, almeno secondo gli standard che mi impongo. Tuttavia ho preferito non lavorarci troppo con la limatura, per non perdere la spontaneità con cui è venuta al mondo.
Se mi lasciate una piccola recensione mi farete un piacere.
Se invece vi ho causato una irrefrenabile voglia di lanciarmi ortaggi, vi ringrazio ugualmente: ne verrà fuori un ottimo pinzimonio.
Chiara






  
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