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Autore: dragon_queen    03/06/2012    1 recensioni
"Vi siete mai chiesti cosa si provi a essere amati da Lucifero in persona? O meglio, essere posseduti da quell'angelo così bello e arrogante da essere stato scacciato dal Paradiso da Dio stesso?"
Questa storia parla di Laila, la quale si troverà incappata in qualcosa più grande di lei, ma la quale le farà capire che non sempre le tenebre nascondono qualcosa di malvagio...
Spero di avervi incuriosito e vorrei sapere cosa ne pensate. Buona lettura XD
[Aggiunta copertina nel prologo XD]
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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-Laila, muoviti dannazione!! Stavolta siamo veramente in ritardo-

Non ne avevo voglia, nonostante la mia amica Abigail mi avesse convinto a dare quel dannato esame di simbologia religiosa. Non mi era mai fregato un granchè di religione. Persino quando ero piccola e mia madre mi trascinava di forza alla messa domenicale, ogni volta che varcavo la soglia della chiesa, sentivo come un blocco all'altezza del petto, come se in quel luogo qualcuno potesse giudicarmi.

Quando raggiunsi un'età adatta per ribellarmi alla volontà di mia madre, decisi che in una chiesa non ci avrei più messo piede. Odiavo le persone che invocavano la grazia di un'entità che non esisteva, o che, se fosse esistita, se ne strafotteva di noi poveri mortali, infierendo anzi con malattia, dolore e morte.

Già, in fondo la mia vita si era proprio fermata con una morte: quella di mio padre. Lui si che mi capiva. Mi ricordo che mi sedevo spesso sulle sue ginocchia e lo ascoltavo raccontarmi episodi delle sue splendide avventure. Si, perchè lui era un archeologo ed era ciò che anch'io volevo diventare.

Purtroppo, per sperare anche solo di avvicinarmi alla laurea, dovevo dare quello stramaledetto esame di simbologia. Il professore era un tipo basso e tarchiato, dalla faccia da topo, due occhialini tondi calati sugli occhi e una vera fissa per la religione e tutto ciò che la riguardava. In altre parole...un bigotto!!

-Avanti Abigail, tanto non lo passerò mai- dissi scocciata, mentre camminavo lentamente per il viale che portava al blocco dove si trovava l'aula che dovevamo raggiungere.

-Laila, ne abbiamo già parlato. Senza questo esame non ti avvicinerai mai alla laurea e tua madre ti taglierà i fondi-

A dirla tutta era mia nonna paterna che mi pagava il college, ma oramai era quella fissata di mia madre o, per meglio dire, matrigna, che amministrava ogni cosa.

Sbuffando, in quanto sapevo che la mia amica aveva ragione, entrai al seguito di Abigail nella grande aula magna dove si sarebbe svolto l'esame.

Prendemmo posto il più lontano possibile dalla cattedra e rimanemmo in silenzio. Io fissavo i malcapitati studenti che continuavano ad arrivare, convinta che più della metà erano scocciati di dover affrontare quell'esame quasi quanto me. Abigail invece, un paio di posti distante, stava ripassando le ultime cose con una certa foga.

Mi venne da sorridere. Era sempre stata una ragazza studiosa e brava a scuola, al contrario di me, e forse per questo ci eravamo trovate bene insieme fin da subito. Ci conoscevamo da quando avevamo sei anni e da quel momento non ci siamo più separate. Dalla prima elementare fino al college, inseparabili.

Le volevo bene come ad una sorella, anche se a volte discutevamo e ci tenevamo il muso per giorni, poi facevamo nuovamente pace. Penso che non potrei vivere senza di lei.

Immersa in questi miei pensieri non vidi l'arrivo del professore, seguito da un ragazzo mai visto.

La mia amica mi rivolse uno sguardo e mi indicò lo sconosciuto. Finalmente lo vidi: aveva folti e scuri capelli neri, lunghi sino quasi alle spalle, scalati, i cui ciuffi gli ricadevano su dei brillanti occhi color ambra. I lineamenti erano affilati e bellissimi. Sul naso dei fini occhiali che gli davano un'aria intellettuale.

Mi ritrovai ad arrossire alla vista di quel ragazzo e ben presto mi resi conto che la quasi totalità della popolazione femminile nell'aula aveva avuto la mia stessa reazione.

Il professore si fermò davanti alla cattedra e lo sconosciuto al suo fianco.

-Benvenuti studenti a questa sessione di esame di simbologia religiosa. Questo che vedete è Alec Black, uno dei miei laureandi in questo corso, a cui oggi ho chiesto di accompagnarmi per tenervi d'occhio in modo che non possiate copiare o comunicare. Adesso passeranno i fogli. Al mio via, potrete cominciare-

Lo disse con un tono quasi sadico e ciò mi fece alquanto schifo. Possibile che certe persone si eccitassero solo a far soffrire gli altri?

Ecco, ci siamo. Fissai il retro del foglio, mentre mi legavo i lunghi capelli castani in una coda alta. Avvertii il segnale del professore come ovattato e quasi meccanicamente iniziai a leggere le domande.

Vuoto. Non mi veniva in mente niente. Iniziai a far scorrere lo sguardo per l'aula, notando che quasi tutti i presenti erano ormai piegati sui fogli dell'esame. Stavo iniziando a sudare. Cercai l'appoggio di Abigail, ma anche lei pareva assorta completamente nel compito.

Ad un tratto incontrai lo sguardo color dell'ambra del ragazzo: stava fissando proprio me. Io arrossii, ma lui continuava a non distogliere lo sguardo, come se in qualche modo stesse cercando di sondarmi l'anima. Un blocco mi salì dal petto, molto simile a quello che mi prendeva quando entravo in una chiesa.

Abbassai gli occhi sulla superficie del tavolo, le mani alle tempie, la testa che mi scoppiava. Sembrava che qualcuno me la stesse trapanando.

Il mio respiro si fece pesante. Tornai a guardarlo e lui ancora mi fissava. Per un attimo mi parve di leggere in quello sguardo qualcosa di maligno.

Come una molla, mi alzai in piedi, recuperai le mie cose e me ne andai.

Mentre mi allontanavo dall'aula, la testa smise di far male e il respiro tornò regolare.

 

-Un attacco di panico?!?- esclamò Abigail quando mi trovò nella nostra stanza, seduta sul letto, il cuscino stretto al petto e lo sguardo vuoto. Fuori il sole era tramontato.

-Si, è così-

-Laila, non ti è mai successo, anche quando non avevi studiato niente-

-Abigail, è inutile che ti arrabbi con me. È successo e basta. Mi presenterò alla prossima sessione- risposi seccata, cercando di troncare là quel discorso.

Ma la mia amica non demorse:

-Non puoi sempre cavartela con “la prossima volta farò meglio”. Laila, non siamo più delle bambine e tu devi imparare a crescere. Credi che tua madre sarà contenta di sapere che hai fallito per l'ennesima volta?-

-SENTI, NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE PENSERA' QUELLA BIGOTTA DI MIA MADRE!! ADESSO FINIAMOLA, D'ACCORDO?-

Mi accorsi di aver urlato quando ormai era troppo tardi. Abigail mi fissava con i suoi grandi occhi azzurri come fossi stata un'aliena. Ma cosa mi era preso? In fondo lei aveva ragione.

Senza aggiungere una parola, afferrai un golf pesante e uscii dalla stanza, sbattendo la porta e sparendo nella notte.

 

Continuavo a camminare senza una meta, avevo solo bisogno di pensare. Una folata di vento mi fece rabbrividire, costringendomi a stringere ancora di più addosso il golf, più grande quasi due taglie più del normale.

Le vie dell'istituto erano pressocchè deserte, ad eccezione di tre o quattro persone che mi superarono senza neanche guardarmi.

Dovevo ammettere che quel posto metteva i brividi una volta tramontato il sole, ma non avevo voglia di ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con un'Abigail colma di rabbia. Avevo sbagliato a gridare in quel modo, me ne rendevo conto, ma non sapevo cosa mi fosse scattato dentro.

Poi ripensai a ciò che era accaduto in quell'aula, a quegli occhi che mi fissavano, a quel magone che mi era nato nel petto e rabbrividii ancora.

Ad un tratto avvertii delle voci in lontananza. Non ci sarebbe stato niente di male, se non che sembravano grida di terrore. Siccome ero una persona che non riusciva a farsi gli affari propri, purtroppo, mi diressi verso quella direzioni.

Le voci erano sempre più vicine: erano sicuramente un uomo e una donna.

Mi trovai davanti una siepe. Mi guardai per un attimo intorno, cercando una via alternativa, ma senza risultato, così mi tuffai tra le frasche. Quello che vidi andava al di là di qualunque umana comprensione.

  
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