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Autore: Eowyn 1    07/06/2012    4 recensioni
« E allora? Cosa sono questi discorsi? » li rimproverò Niniel guardandoli severamente « Che arrivi anche, la guerra. Sappiamo che ormai è quasi inevitabile! Ci porterà via molto, ma non è questo lo spirito con cui dobbiamo affrontarla! Dobbiamo reagire! Combattere e stare il più sereni possibile fino a che ne abbiamo la possibilità! » Che cosa sarebbe successo se Boromir, prima di partire per Granburrone, avesse conosciuto Niniel, la cuoca di corte? Un caso fortuito ha voluto che si conoscessero...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Faramir, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 18

Capitolo 18

 

12 marzo 3019 Minas Tirith

 

Il mattino seguente giunse senza che gli abitanti di Minas Tirith se ne rendessero conto. L’oscurità invadeva ogni cosa, il cielo era buio e pareva di essere entrati in una notte eterna mentre l’aria si faceva sempre più pesante e irrespirabile.

Per tutta la giornata l’oscurità pesò sulla teste e sui cuori degli abitanti della Città Bianca. Anche i soldati più valorosi erano scoraggiati, e la totale indifferenza da parte del loro Sovrintendente, che si rinchiuse nuovamente in cima alla bianca Torre, non fece altro che peggiorare la situazione.

« Perché Re Théoden non si vede? Dove sono i Rohirrim? »

« Si sono forse dimenticati di noi? »

Queste erano le domande che si poneva la gente a Minas Tirith, e Mithrandir correva da un luogo all’altro della Città per rassicurare i suoi abitanti:

« Arriverà. » diceva « Dategli il tempo di organizzare il suo esercito. » poi, rivolgeva lo sguardo a Oriente verso l’Oscurità più fitta, subito dopo a Nord, da dove sarebbe giunto Re Theoden con il suo esercito, e infine a Ovest, da dove sarebbero dovuti arrivare gli altri loro compagni con la flotta di navi dei corsari.

Pipino aveva intravisto lo stregone di sfuggita, quel giorno, ma se in passato la vista di Mithrandir gli aveva sempre conferito pace e sicurezza, questa volta avrebbe forse preferito non incontrarlo. Lo sguardo di Gandalf (così lo chiamava lo Hobbit) era velato. Qualcosa, che il Mezzuomo non aveva mai visto negli occhi dello stregone, lo aveva lasciato senza respiro, come se la poca speranza che ancora dimorava nel cuore di Pipino fosse stata all’improvviso risucchiata via.

 

Venne anche la sera di quel giorno. Era ormai tardi, l’ora di cena era passata da un pezzo e Pipino, che non era stato convocato dal Sovrintendente e quindi aveva un po’ di tempo libero, si stava dirigendo verso la casa di Niniel in compagnia di Earine.

« Non vedo l’ora di mettermi a tavola! » esclamò Pipino « Dopo la giornata di oggi ho proprio voglia di mettere qualcosa sotto i denti. Qualunque cosa sia, fosse anche un solo pezzo di pane! »

Earine sorrise:

« Eppure mi sembra strano che Niniel abbia insistito così tanto perché venissi anch’io. Lo sa che quando esco da quel palazzo non vedo l’ora di andare a dormire, soprattutto ultimamente, da quando il vecchiaccio si fa ogni giorno più simpatico… »

« Il vecchiaccio? » a Pipino sfuggì un sorriso, che brillò come un faro in quell’oscurità che era ora la Bianca Città.

« Oh sì, io e Niniel lo abbiamo sempre chiamato così! » spiegò la ragazza.

« Non nutre molte simpatia per il padre di Boromir da come vedo… comunque vedrai, mangiare qualcosa insieme ti farà passare la stanchezza! »

« Perché, credi che ci sia qualcuno, in tutta la Città, a cui sta simpatico Denethor? » borbottò lei, poi aggiunse « Comunque, perché ho l’impressione che tu stia facendo di tutto per convincermi a venire a cena con voi? »

« Come perché? L’unica consolazione che ci è rimasta in questo momento è mangiare e tu non vorresti farci compagnia? » esclamò Pipino, ringraziando i Valar che la sua natura Hobbit gli aveva permesso di trovare una risposta plausibile a quella domanda.

« Unica consolazione dici? Mah, forse hai ragione, ma con quelle poche provviste che ci sono rimaste speriamo che non venga a mancarci anche quello! »

« Mancare il cibo? Speriamo di no! » Pipino bussò alla porta della casa di Niniel « Ma almeno per questa sera non pensiamo troppo ai problemi e cerchiamo di stare tranquilli. »

« Con quelle nuvolacce sopra le testa? » domandò ancora Earine alludendo all’Oscurità proveniente da Mordor.

« Da dentro casa non si vedono! »

« Siete arrivati finalmente. » esclamò Niniel affacciandosi alla porta d’ingresso «Venite! »

« Ah, beati voi Hobbit che riuscite ad essere così spensierati. » borbottò Earine mentre entrava.

« Ciao Pipino! » una voce la fece sussultare « Oh, Earine, ci sei anche tu? »

Narith sbucò fuori dalla cucina.

« C-ciao… sì io… ehm, ho finito il turno e Pipino mi ha avvisata della cena allora sono venuta… »

« Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare a mangiare e… » ma Niniel venne interrotta. Qualcuno aveva bussato alla porta.

« Vado io! » Niniel si precipitò nell’ingresso « Ilarin! Come mai qui a quest’ora? » la sentirono esclamare gli altri tre che erano rimasti in cucina.

Pochi secondi dopo, la cuoca tornò da Narith, Pipino ed Earine:

« Purtroppo Nasten chiede che io scenda alla mensa militare… » disse in un tono strano.

« Come mai? » si informò suo fratello.

« A quanto pare hanno bisogno di aiuto questa sera! »

« Ma hai già lavorato tutto il giorno! E poi non puoi lasciarci proprio oggi, avevamo una cena in programma! » reclamò Earine.

« Lo so, mi spiace, ma sai, quando il lavoro chiama… devo proprio andare! Ci vediamo più tardi e… buon appetito! » e uscì di corsa di casa, come se avesse una tremenda fretta, dopo aver fatto un occhiolino ad Earine e preso al volo il suo mantello.

« Avete avuto anche voi l’impressione che avesse un’espressione strana? » domandò Narith non appena la porta d’ingresso si chiuse.

« Chi, tua sorella? No, non credo proprio. » esclamò Pipino « Sarà stata dispiaciuta per non essersi potuta fermare con noi. E magari era anche stanca perché ha già lavorato tutto il giorno. »

« Ma per quale motivo l’avranno chiamata a quest’ora? » domandò Earine sbigottita.

« Magari è tornata qualche compagnia di soldati che era in missione e ora hanno bisogno di aiuto per preparargli qualcosa per cena. » ipotizzò Narith.

« Che sfortuna! » protestò Pipino, ma non aveva quasi fatto in tempo a terminare la frase, che qualcun altro bussò alla porta.

« E chi è adesso? » sbuffò Narith andando ad aprire « Alner? Cosa ci fai qui? » lo sentirono esclamare Earine e Pipino.

« Stavo cercando Peregrino Cavaliere della Cittadella. È per caso qui da voi? »

Pipino sbucò dalla cucina e raggiunse l’ingresso.

« Eccomi! Avete bisogno di me? »

« Mi hanno incaricato di venire a cercarti. Sire Denethor ti vuole il prima possibile nella Sala del Trono. »

« Bene, arrivo subito. » quindi Pipino si volse verso Narith ed Earine, che erano rimasti in silenzio e con gli occhi leggermente spalancati « Mi spiace, ma temo che non potrò fermarmi qui con voi. A quanto pare il dovere questa sera chiama anche me. »

« Ma… ma… insomma, non potete andarvene tutti! E poi cosa facciamo noi adesso? » esclamò Narith cercando di trattenere l’agitazione che lo stava assalendo.

« Oh, cenate voi due! » disse Pipino come se fosse la cosa più scontata del mondo e, in effetti ,lo era « E poi non siete contenti? Siete in due, e avete da mangiare le porzioni di quattro persone! » continuò Pipino come se niente fosse.

Earine si lasciò sfuggire un verso strozzato che avrebbe dovuto essere un cenno di assenso o qualcosa del genere.

« Bene, meglio sbrigarci, Messer Peregrino. Sire Denethor ha urgenza di vedervi. » tagliò corto Alner.

Lo Hobbit salutò i suoi amici e si incamminò insieme al ragazzo verso l’uscita del cortile. Alner non perse l’occasione, però, di lanciare una veloce strizzata d’occhio a Narith.

 

Non appena il ragazzo si richiuse la porta di casa alle spalle, un silenzio teso crollò all’interno della piccola abitazione, mentre sia lui che Earine fissavano il pavimento.

« Non ti sembra strano? » borbottò dopo qualche secondo Narith « Non capisco perché abbiano mandato proprio Alner a chiamare Pipino. Voglio dire, non è così vicino al Sovrintendente. »

Lei alzò le spalle nervosamente:

« Sarà stato qualche vostro Capitano che ha ricevuto l’ordine da Denethor e che a sua volta ha incaricato Alner. »

« Eppure ero convinto che nemmeno Alner avesse il turno questa sera. » borbottò ancora Narith. Ma aveva davvero intenzione di rimanere ancora a lungo a ipotizzare il come e il perché di quello strano comportamento?

« Cosa facciamo? » domandò poi Earine, più per rompere il silenzio che si era creato di nuovo, che per altri motivi.

« Mah… mangiamo? » propose Narith.

 

« Mi hanno fatto un sacco di domande, e io che non vedevo l’ora di venire via! » stava dicendo Niniel a Ilarin quando Pipino e Alner le raggiunsero « Non sono brava a mentire, avevo paura che mi venisse da ridere! »

« Secondo voi ci hanno creduto? » domandò Ilarin.

« All’inizio magari sì, ma credo che a questo punto stiano iniziando a sospettare qualcosa… » constatò Alner.

« Oh, non ho ancora fatto le presentazioni! » esclamò Niniel « Pipino, loro sono Alner, amico di Narith, e Ilarin, la cuoca che lavora con me. » quindi si rivolse agli amici « E lui è Pipino, da pochi giorni Cavaliere della Cittadella. »

« Caspita, sei piccoletto, eppure in gradi sei a un livello più alto del mio! » esclamò Alner ammirato, quindi si mise sull’attenti « Cosa comanda Capitano? » domandò.

Pipino sorrise:

« Di andare a cercare un posto dove mangiare! Sto morendo di fame! »

« Agli ordini Capitano! »

« Alner… » Ilarin lo riprese stancamente « Portagli rispetto… è comunque un tuo superiore. »

Il ragazzo si voltò verso di lei con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

« Ilarin! Noi non abbiamo bisogno di presentazioni, ci conosciamo già! »

La ragazza alzò gli occhi al cielo.

« Ho sempre la vaga impressione che tu non sia particolarmente felice quando mi vedi… »

« Non ti sei mai domandato il perché? » lo rimbeccò lei.

« Ok, allora vediamo un po’, c’è un piccolo giardino poco distante da qui. Pensavo che potremmo andare lì a cenare! » li interruppe Niniel sperando di bloccare il loro battibecco.

« Non importa dove si mangia, l’importante è che si mangi! » disse Pipino « Andiamo? »

« Io ho portato tutto il necessario! » esclamò Ilarin mostrando un cestino. Conteneva della carne secca, un po’ di pane e qualche frutto più un dolce cucinato da lei « Non è molto, ma è più di quanto sperassi di trovare di questi tempi! »

« Va benissimo così! » le disse Niniel « Anzi, grazie per averci pensato tu. Io non sarei riuscita a preparare anche per noi. Ho già fatto fatica a preparare per Earine e Narith! »

« Assaggerò un dolce preparato da te? » esclamò Alner mentre camminavano verso il luogo che gli aveva indicato Niniel.

« Devo ricordarti che tutti i giorni, giù alla mensa, mangi cibi che aiuto a preparare anch’io? » sbottò Ilarin.

« Ma ora è diverso! »

« Cosa ci vedi di diverso? »

« Ora tu non stai lavorando, e io non sto lavorando… Lo hai cucinato pensando a me! »

« Devo ricordarti che ci sono anche Niniel e Pipino? » gli rispose lei acida.

« Li vedo, non sono mica cieco! »

« Oh, ma perché hai dovuto chiedere proprio a lui di aiutarci! » reclamò la ragazza rivolgendosi a Niniel.

« Perché era l’unico soldato che conosco, oltre a mio fratello, a cui potessi chiedere di aiutarci a organizzare una serata romantica per quei due! Non potevo mica chiederlo al primo soldato che incontravo per strada, no? »

Ilarin sbuffò.

« Rassegnati, questa sera ceneremo insieme e se ti va poi possiamo anche andare a fare un giro! » le disse lui.

« Che proposta allettante. Non vedo l’ora… » rispose ironicamente lei.

Pipino, che camminava di fianco a Niniel pochi metri più avanti, le fece segno di abbassarsi:

« Non mi dirai » iniziò « che dovremo organizzare una serata romantica anche per loro! »

« Spero proprio di no… » commentò lei « Anche perché, dopo quello che le ho fatto stasera, Earine potrebbe non rivolgermi più la parola… Ma se dovessi organizzare una cena per Ilarin e Alner credo che Ilarin mi ammazzerebbe direttamente! »

Poco dopo raggiunsero il piccolo giardino di cui aveva parlato Niniel, e si sedettero per terra dove consumarono ciò che Ilarin aveva portato. Al contrario di come ci si potrebbe aspettare, considerata la presenza di Alner, consumarono il pasto in silenzio. Scambiando solo qualche parola quando Ilarin passò al ragazzo una fetta del dolce e lui fece ancora qualche battuta. Non era di certo incoraggiante cenare sotto l’Oscurità che da Mordor ormai invadeva ogni angolo di Minas Tirith e del Pelennor, considerando poi il fatto che era evidente che la guerra fosse ormai alle porte. Eppure non avevano alternative: a casa di Niniel c’erano Narith ed Earine, e non conoscevano altri posti dove avrebbero potuto mangiare.

 

Ben presto, Pipino dovette recarsi davvero dal Sovrintendente, e anche Alner dovette andarsene perché stava iniziando il suo turno di guardia.

« Domani, se verrete a sapere che c’è stato un omicidio tra i soldati di Gondor, non indagate. La vittima sarò io, e il mio carnefice Narith… » disse in modo melodrammatico Alner.

« Oh, non farla lunga! » lo riprese Ilarin.

« Senti, tra cinque minuti ci troveremo sul secondo livello per il turno di guardia di questa notte. Avrà una spada con sé… e se anche non avesse un’arma non ci impiegherebbe molto a spingermi giù dalle mura! Verrai al mio funerale? »

« Ti prego smettila… » disse Ilarin nascondendosi il viso tra le mani.

« Sei senza cuore! »

« Non è detto che mio fratello voglia ammazzarti! Magari stasera è andato tutto bene! » esclamò Niniel cercando di evitare che i due riprendessero a infastidirsi.

« Nel caso, vado a prendere la mia armatura… non si sa mai! » e con un gesto della mano salutò le ragazze e si diresse verso il secondo livello della Città.

« Credi che si arrabbierà davvero? » domandò Ilarin quando il ragazzo se ne fu andato.

« Non so. » rispose Niniel con un’alzata di spalle « Probabilmente dipende da come sono andate le cose. Se lui ed Earine sono riusciti a parlarsi e a chiarire ciò che provano non penso che vorranno ammazzarci. In caso contrario… si vedrà! Per ora aspetto ancora un po’ a rientrare, così sono sicura che quando arriverò a casa lui sarà già di guardia e fino a domani mattina sarò salva! »

« Beh, c’è sempre Earine… »

« Oh, non stare a precisare sempre tutto! » sbottò Niniel « Anzi, se vogliamo precisare, come va con Alner? »

« A parte il fatto che lo vorrei strozzare? Ma ti pare che potrebbe interessarmi? » rispose spazientita Ilarin.

« Mh, chiedevo solo! »

 

 

13 marzo 3019 Minas Tirith

 

La mattina seguente, Niniel si diresse in cucina con le orecchie tese, quasi sperando di non incontrare il fratello.

« Buon giorno. » la salutò il padre.

« Buon giorno? » mormorò piano Niniel volgendo lo sguardo alla finestra « Potrà mai essere un buon giorno questo? È tutto scuro là fuori. »

« Temo… che non rivedremo il sole per un po’. » si limitò a commentare piano Adhort.

« Fino a quando questa guerra non finirà. » concluse Niniel, dando voce al timore che suo padre aveva cercato di nasconderle « Se mai finirà. »

« Finirà. » mormorò lui.

« E come finirà? »

« Non lo so, ma non facciamoci prendere dal panico. Ci sono valorosi soldati che ci difendono! Dobbiamo avere fiducia in loro. »

« E Narith? »

« Non è rientrato. Credo… che ci sia molto lavoro da fare. » Adhort le strinse una spalla « Ora vado anch’io.Tua madre è già a palazzo. »

Niniel annuì, quindi il padre prese il mantello e uscì di casa, lasciandola con la fronte appoggiata alle imposte, a guardare fuori dalla finestra mentre pensava a Boromir e a quando sarebbe tornato.

Poco dopo decise di recarsi alla mensa militare. Non aveva fame e non avrebbe fatto colazione. Il solo pensiero le dava la nausea.

 

Le via della Città erano scure, come se il giorno non fosse mai nato e una notte eterna fosse scesa su quel luogo. Niniel si guardava attorno spaventata, come se da un momento all’altro qualche orribile mostro potesse sbucare fuori da dietro un angolo o dall’interno di un cortile. Un’aria scura e pesante aleggiava sulla Città, e sapeva di terrore e morte.

Incontrò pochissime persone: che fosse dovuto al fatto che era ancora presto o per via dell’oscurità, la cuoca non avrebbe saputo dirlo, ma quando finalmente giunse alla mensa militare, si sentì stranamente sollevata. Strano, perché quel luogo non le aveva mai dato altro che preoccupazioni mentre, quel giorno, entrando e trovando alcune candele accese provò una strana sensazione di tepore e conforto che non aveva mai sperimentato in quel posto.

Ilarin non era ancora arrivata, e nemmeno Milneth, Liden e Theris. Vi era solo qualche altro cuoco che girovagava incerto sul da farsi.

Valeva ancora la pena lavorare? Valeva ancora la pena spendere il proprio tempo così, quando la fine pareva vicina?

Niniel si avvicinò quasi timidamente al suo luogo di lavoro, e iniziò a preparare i vari utensili.

« Che cosa succede qui dentro? » una voce profonda fece improvvisamente sobbalzare le poche persone presenti in quel luogo, Niniel compresa. Era Nasten, il capo cuoco.

« Non è il momento di dormire! Forza, iniziate a cucinare qualcosa di veloce, tra poco arriveranno i soldati che hanno finito il turno di notte! »

Niniel sussultò: ci sarebbe stato anche Narith. Doveva vederlo. Doveva chiedergli come stava. In 25 anni, non le era mai capitato di non trovare suo fratello in casa la mattina.

« Niniel. » Nasten le si avvicinò « Come stai? »

« Va meglio, grazie! »

« Sono contento! » disse lui, da sotto la folta barba « Mettiamoci al lavoro allora! »

Niniel sorrise: Nasten le era sempre parso scorbutico, ma in realtà era una persona molto sensibile.

Poco dopo, arrivò anche Ilarin e dopo alcuni minuti anche Liden e comari.

Passò circa mezz’ora, durante la quale tutti si diedero da fare per preparare un po’ di brodo caldo per i soldati che finivano il loro turno di guardia.

« Voi due andate fuori a servire! » gracchiò acida Milneth quando dalla mensa iniziarono a provenire rumori di sedie che venivano spostate e borbottii di soldati.

« Simpatica come sempre. » commentò Ilarin.

« Meglio così. Ho bisogno di vedere mio fratello. » le disse invece Niniel.

Quando entrarono nel salone adibito a mensa, alle due parve che l’atmosfera cupa che avevano visto quella mattina per le vie di Minas Tirith si fosse trasferita tutta all’interno di quel luogo. Solitamente, i soldati parlavano ad alta voce durante i pasti, facevano baccano, spesso si prendevano anche in giro e qualche volta era capitato anche che ci fosse qualche rissa. Ma quella mattina, nessuno pareva in vena di ridere o scherzare, men che meno di parlare.

I soldati entravano a gruppi di tre o quattro per volta. La maggior parte di loro erano ragazzi giovani, più o meno dell’età di Narith ed Alner, che quella notte erano stati svegli per la ronda.

I loro visi parevano aver assorbito l’oscurità dell’esterno: erano scavati, come se metà della loro vita fosse stata risucchiata via. Profonde occhiaie gli segnavano il volto e se si parlavano, era solo per domandare al vicino di passargli una fetta di pane nero da inzuppare nel brodo.

A mano a mano che i soldati entravano, Niniel iniziò a provare un senso di ansia che non riusciva a giustificare: dov’era Narith? Perché non si era ancora visto e il suo viso, sarebbe stato segnato come quello di tutti quegli altri giovani?

Lei e Ilarin stavano servendo l’ennesimo gruppetto di giovani che era entrato da poco. Niniel continuava a lanciare fugaci occhiate verso la porta d’ingresso, ma suo fratello continuava a non vedersi. Quando finalmente Narith entrò nella mensa, la ragazza trasse un profondo respiro di sollievo, ma il senso di pesantezza e timore che si era impadronito del suo cuore in quei minuti, non la abbandonò.

Narith aveva lo stesso viso dei suoi compagni: stanco, segnato, preoccupato. Cosa poteva essere successo?

Lui e Alner si avvicinarono al tavolo dove Niniel ed Ilarin stavano servendo la minestra, e il loro saluto fu un veloce cenno del capo. Subito dopo abbassarono gli occhi e attesero il loro turno.

« Narith… che cosa è successo? » l’apprensione della sorella era palpabile, e il ragazzo se ne rese conto subito.

« Non preoccuparti, non è niente. »

« Non prendermi in giro. Perché quelle facce, Narith? Cosa sta succedendo? » ringhiò a denti stretti Niniel cercando di non farsi sentire dagli altri soldati, ma il silenzio che quel giorno regnava nella sala non giocava a suo favore.

Il ragazzo sospirò, e si passò una mano sul viso.

« Ieri Faramir e i nostri soldati sono retrocessi fino alle Fortezze della Strada Maestra. » biascicò stanco.

« E dei Cavalieri di Rohan ancora non si sa nulla. » disse teso Alner.

« Non so per quanto resisteremo ancora. »

Narith si passò nuovamente una mano sugli occhi stanchi e per la prima volta, Niniel scoprì in lui l’uomo che era diventato. Non più il ragazzino che faceva le gare di corsa con lei, ma l’uomo che aveva preso la decisione di entrare nell’esercito di Minas Tirith e combattere insieme a tutti gli altri soldati per la libertà del loro Popolo. Glielo leggeva negli occhi, nei gesti e nel modo di parlare: era cresciuto, come lei, del resto, nell’arco di quegli ultimi mesi. E se in quegli occhi vi era tanta paura, la ragazza poteva scorgere anche la determinazione a non lasciarsi sopraffare dalla stanchezza e dal terrore dell’Oscurità.

« Mangiate ora. » disse Niniel riempiendo una scodella e porgendola al fratello « Tornerai a casa a riposare? »

Narith scosse la testa:

« Non avremo più il tempo per tornare a casa. » disse in tono amaro « Ci riposeremo un po’ qui e poi torneremo di guardia. »

Intanto Ilarin aveva dato una scodella di minestra ad Alner.

« Potrebbe essere l’ultima volta che mangio qualcosa preparato da te… » le disse.

« Smettila con queste sciocchezze, d’accordo? » sbuffò lei, cercando di darsi un contegno, nonostante la paura che le attanagliava il cuore da quando aveva udito le parole di Narith « Voglio rivederti qui, quando tutto questo sarà finito, a rompermi le scatole con le tue sciocchezze, intesi? »

Alner sorrise, stanco:

« Ma le mie non sono sciocchezze! » le disse. Poi, le fece un altro sorriso, che avrebbe voluto essere malizioso come lo erano solitamente i suoi sorrisi, ma non gli uscì molto bene. Quindi si diresse verso un tavolo dove c’erano ancora dei posti liberi e si mise a mangiare.

« Verrai a salutare la mamma e il papà prima della battaglia, vero? » chiese Niniel bloccando Narith per un braccio.

« Non lo so. Non so cosa riuscirò a fare. »

« Ma… la battaglia si avvicina, non puoi… »

« Cerca di capire Niniel. Non è… non è facile, gestire questa situazione. Non per me, almeno. » sospirò lui.

Lei non commentò, e si limitò ad annuire.

« Sta attento. » gli disse in un soffio.

Con un gesto del capo e un sorriso che avrebbe dovuto essere incoraggiante, Narith la salutò e si allontanò, andando a raggiungere Alner.

 

Quando quella sera Niniel tornò a casa i suoi genitori erano già rincasati da molto, ciò significa che era davvero tardi, perché Erith e Adhort erano soliti trattenersi nelle cucine fin verso le dieci di sera per preparare ogni cosa per il giorno successivo, soprattutto in quel periodo poi, in cui pareva che al Sovrintendente non andasse bene niente e, di conseguenza, bisognava essere preparati ad ogni eventualità ed a ogni sua possibile richiesta.

Oltre ai suoi genitori, in cucina, trovò anche Earine e Jamril.

« Niniel! Eravamo preoccupati. » le disse la madre abbracciandola « Non tornavi più! »

« C’è molto lavoro laggiù in questi giorni » le rispose lei stanca « I soldati continuano ad andare e venire, non c’è più un orario preciso per i pasti, mangiano quando i Capitani gli danno il permesso di allontanarsi per un po’ dal luogo in cui stanno svolgendo i loro doveri. »

« E hai visto Narith? » le domandò apprensivo suo padre « È da ieri sera che non lo vediamo, siamo preoccupati per lui… »

A quella domanda, Earine si fece più attenta e Niniel le lanciò un’occhiata veloce; non aveva ancora saputo com’era andata la cena che gli avevano organizzato la sera precedente.

« Sì l’ho… l’ho visto. » disse in tono incerto, ricordandosi di ciò che le aveva detto il fratello quella mattina « Lui sta bene, ha detto di salutarvi. »

« Cosa significa che ha detto di salutarci? » domandò Erith spalancando gli occhi.

« Sono molto impegnati in questi giorni, cercate di capire! Vorrebbe tornare a casa, ma non può. È un soldato ora, ed è chiamato a compiere i suoi doveri di soldato in questo momento buio. Ma ha detto che gli mancate, e che spera di riuscire a rivedervi presto. » aveva inventato. Ma come avrebbe potuto spiegare a sua madre che Narith non se la sentiva di venire a salutarli prima della battaglia? Probabilmente suo fratello pensava che quel gesto sarebbe stato troppo simile a un addio, e forse non trovava la forza per venire a salutare i suoi famigliari prima di una battaglia come quella che si stava avvicinando. Continuava a non capire come Narith potesse evitare di tornare, anche solo per un attimo, dai suoi genitori, ma non lo biasimava né giudicava: che cosa avrebbe fatto lei al suo posto? Avrebbe avuto il cuore per presentarsi dai suoi genitori prima di una battaglia della portata di quella che si stava avvicinando? E per dirgli cosa, poi? Mamma, papà, vi saluto, non so se ci rivedremo?!

Erith si sedette pesantemente su una sedia:

« I suoi doveri di soldato… » bisbigliò « Già, lui è un soldato… »

Affondò il viso nelle mani e scoppiò a piangere.

Adhort si avvicinò alla finestra e prese a guardare fuori nell’Oscurità, e Niniel seppe che non lo faceva perché voleva ignorare il dolore della moglie, ma perché molto probabilmente anche lui stava piangendo, o era vicino a farlo.

Jamril si avvicinò alla donna e le appoggiò una mano sulla spalla:

« Non temere, Narith è forte! »

Ma era come se lei fosse sorda a qualunque stimolo proveniente dall’esterno, era come se l’unica cosa che riuscisse a sentire in quel momento fosse il dolore che le esplodeva nel petto.

« Scusate, ma io dovrei andare. » Earine si alzò di scatto dalla sedia « I miei genitori mi staranno aspettando. »

Niniel si alzò e la accompagnò all’ingresso.

« Earine cosa… » cominciò, ma la ragazza la bloccò.

« È tutto a posto Niniel, non ti devi preoccupare. » ma aveva gli occhi lucidi anche lei, a la cuoca la conosceva da troppo tempo per non accorgersi che c’era qualcosa che la turbava profondamente.

« Sei arrabbiata con me? » le chiese poi Niniel con un brutto presentimento. Earine la guardò confusa, così la ragazza si spiegò:

« Sei arrabbiata con me per la cena di ieri sera? Credevo di farti un piacere, insomma te lo avevo promesso e poi dopo tutto quello che tu hai fatto per me io… »

Ma Earine la bloccò:

« Arrabbiata? No, no affatto! » tirò su col naso.

« Ma allora cosa c’è? È successo qualcosa? Narith ti ha trattata male? »

Ad Earine sfuggì un sorrisino:

« Assolutamente no, solo credo di non essere il suo tipo. Abbiamo cenato, e poi lui è corso via per il suo turno di guardia, e io sono tornata a casa. Abbiamo a malapena parlato. »

« Lo sai com’è mio fratello… io credo che tu gli interessi, solo è impacciato quando si tratta di queste cose e… »

« Ma non è questo! » Earine scoppiò a piangere, un pianto di rabbia « Ho paura Niniel! Paura! La guerra si sta avvicinando, anzi, ormai è qui! Non te ne sei accorta? Ho paura di morire, di veder morire le persone che amo! Ho paura di perdere mia madre, mio padre, di perdere te e… » esitò « Narith! Ho paura che non ci sarà più un futuro, che non ci sarà più niente da pianificare, niente per cui essere felici! » parlava con disperazione, tra i singhiozzi, e Niniel non poté fare a meno di abbracciarla.

« Earine io… scusa, mi dispiace! Non avei dovuto parlarti di ieri sera, non avrei nemmeno dovuto organizzare niente! Non era proprio il momento adatto! »

Earine scosse le testa, come a dirle di non preoccuparsi.

« Per quanto riguarda il resto… i nostri soldati sono forti… »

« Credi ancora a questa storiella? » la chiese Earine « Saranno anche forti, ma il Nemico è più forte di noi! Ci sono un’infinità di Orchi e chissà di quali altri mostri che combattono per lui! Credi davvero che noi qui, abbarbicati su questo monte, potremo vincere in uno scontro con di loro? »

Niniel sospirò.

« Non lo so. » disse lentamente « Non so cosa succederà, ma non possiamo perdere la testa! Non dobbiamo. In questo modo facciamo solo il gioco del Nemico, lui vuole vederci impazzire, vuole scoraggiarci per far sì che, nel momento dello scontro, non combattiamo nel pieno delle nostre forze! »

« Non lo so, Niniel, davvero. Non so più a cosa credere. Non so cosa succederà. So solo che ho paura. »

La ragazza diede le spalle alla cuoca e si allontanò.

« Ora scusa, vado a casa dai miei. »

E si allontanò dirigendosi verso la sua casa.

Niniel alzò lo sguardo al cielo. Non vi erano stelle. Non più. Solo un’oscurità che creava una cappa cupa e pesante sulla Città.

« Boromir… » bisbigliò « dove sei? »

Una lacrima le rigò il volto, ma lei la asciugò con un gesto di stizza, e rientrò in casa.

 

Non era passato molto, che si sentì provenire un gran frastuono dalla prima cerchia di mura e, dopo alcuni interminabili minuti, un rumore di zoccoli invase le vie di Minas Tirith, come se alcuni cavalli stessero percorrendo la strada che portava alla Cittadella.

Niniel, che era seduta accanto a Erith e le teneva una mano nel tentativo di consolarla, alzò di scatto la testa, ma non trovò il coraggio di abbandonare sua madre per andare a vedere cosa stesse succedendo. Suo padre e Jamril, invece, corsero fuori in cortile.

« Andiamo anche noi. » disse piano Erith alla figlia, e anche le due donne uscirono in strada.

Fecero appena in tempo a vedere un piccolo manipolo di soldati, sfiniti, che risalivano il quinto livello quando si accorsero che in fondo al gruppo veniva un cavallo che portava due cavalieri. Uno era alto e di bell’aspetto. Non sapevano chi fosse, ma anche in quell’Oscurità compresero che dovesse trattarsi di qualche nobile. Ma ciò che li scosse, fu il riconoscere il ferito che l’uomo trasportava sul suo cavallo.

« Faramir… » il nome del loro Capitano uscì a Niniel in un sussurro.

Come poteva essere successo? Cosa gli avevano fatto?

La sua testa ciondolava di lato e il bel viso, stanco e sudato, portava i segni di una lunga battaglia e delle molte ferite, fisiche e interiori, che il giovane uomo doveva aver subito.

I cavalieri li superarono e si diressero verso la Cittadella.

Solo in quel momento, i quattro si accorsero del rumore che sembrava provenire dall’esterno di Minas Tirith, dai Campi del Pelennor. Si guardarono a vicenda con crescente timore negli occhi, come se nessuno riuscisse a trovare il coraggio di avvicinarsi alla cinta di mura e guardare cosa stesse succedendo là sotto.

Poi, uno alla volta si diressero verso il parapetto; Niniel camminava ancora al fianco di sua madre, come se temesse che da un momento all’altro potesse cadere.

Infine li videro: tantissimi punti luminosi che invadevano i Campi del Pelennor. Alcuni erano già molto vicini alle mura, altri erano più lontani e altri ancora pareva stessero arrivando in quel momento e andassero ad aggiungersi ai primi. Erano fiaccole, un’infinità di fiaccole rette da quelli che, in quell’oscurità, sembravano essere Orchi.

« Che cosa succede… » chiese terrorizzata Niniel, ma non ricevette risposta. Gli altri erano paralizzati quanto lei « Papà? » chiamò ancora.

« Sono arrivati. » bisbigliò lui, lo sguardo fisso sui campi sottostanti « Siamo sotto assedio. »

 

 

TUM TUM TUM…

Un orco prese a picchiare su un tamburo, e un suono profondo e lugubre invase l’aria nell’arco di miglia.

Niniel era senza parole, non riusciva a trovare niente da dire, era come se le avessero tirato fuori dai polmoni tutta l’aria e come se la sua mente fosse stata di colpo svuotata da ogni emozione. Ogni rumore le appariva attutito, come se provenisse da una lunga distanza, e solo quando Jamril la scosse per le spalle, si accorse che sua madre aveva ricominciato a piangere e che suo padre la stava riaccompagnando dentro casa.

« Vieni dentro Niniel, non fa bene stare qua fuori sotto questa Oscurità. » Jamril le passò un braccio attorno alle spalle, ma riuscì ad allontanarla solo di qualche passo, quando Niniel si fermò e lo guardò con occhi colmi di terrore. Stava cercando di dirgli qualcosa, ma le parole le morivano in gola e riusciva solo ad aprire e chiudere la bocca senza produrre alcun suono.

« Vieni con me, sediamoci in cortile. » le disse.

Niniel si lasciò accompagnare nel cortile di casa sua, dove si sedette su una panca di pietra insieme al cuoco.

Rimase in silenzio, a fissare il buio di fronte a lei.

Quante volte si era seduta su quella panca! Quante volte nella sua infanzia quella fredda pietra si era trasformata in un drago sputa-fuoco che lei, Narith ed Earine avevano combattuto con spade di legno. Quante volte quella panca era stata silenziosa testimone delle confidenze sue e di Earine. Quante volte si era seduta lì nelle sere d’estate, con sua madre, ad osservare le stelle, mentre la donna le raccontava qualche storia dei tempi lontani. Quelle belle storie che si tramandano di madre in figlia da generazioni, e che parlano di cavalieri e fanciulle da salvare. Di draghi malvagi nascosti in montagne dimenticate dai più. Di oscure battaglie che poi finivano sempre bene: i draghi venivano sconfitti, le montagne ripopolate da buona gente e i cavalieri riuscivano sempre a salvare le fanciulle in difficoltà e alla fine si sposavano e… Perché in quel momento non riusciva a ricordare le parole con cui sua madre terminava sempre quelle magnifiche storie?

« Niniel… » la voce di Jamril la riscosse dai suoi pensieri, riportandola alla realtà.

« Jamril io… che cosa possiamo fare? Faramir… Faramir è… e noi? Che fine faremo? Perché Boromir non torna? »

« Io… io non lo so Niniel. Non lo so. »

« Che cosa sta succedendo? »

« Il temporale alla fine ha deciso di abbattersi su questa Città, com’era prevedibile ormai da mesi. Si sapeva che sarebbe successo, prima o poi. »

« Ho paura. »

« Lo so, Niniel. È normale. » nemmeno Jamril sapeva più cosa dire. Era come se non ci fossero parole per descrivere ciò che stava accadendo. Perché certe situazioni, anche se una persona se le aspetta e le ha prevista con certezza da tempo, quando arrivano ti colgono sempre impreparato.

« Vuoi che ti dico un segreto, però? » la ragazza alzò gli occhi sul cuoco « Ho paura anch’io, e credo che tutti purtroppo stiano provando ciò che senti tu ora. Ma dobbiamo tener duro! »

« A che scopo tener duro, se tanto siamo spacciati? »

« Ehi, questa non è la Niniel che conosco io! Tu non ti saresti mai arresa! »

« Sì ma… »

« Niente ma. » la bloccò Jamril prima che lei potesse continuare « Non si può mai dire, con certezza, come andranno le cose. Fino alla fine c’è sempre speranza, perché un aiuto insperato può sempre arrivare. Ricorda cosa si dice: solo alla morte non c’è rimedio. E finché siamo in vita, dobbiamo credere che una soluzione inaspettata può sempre venirci in soccorso! »

« Ma Faramir… »

« Faramir è forte, dimentichi forse che è fratello di Boromir? » il cuoco le sorrise « Coraggio ora, entriamo. Tua madre avrà bisogno di te. »

Quando rientrarono in casa, Erith aveva smesso di piangere, ma stava seduta in cucina con lo sguardo fisso nel vuoto.

« È arrivata. Alla fine. » si limitò a dire suo padre, il viso stanco e la barba incolta lo facevano apparire più vecchio di quanto non fosse « Andiamo Jamril. Dobbiamo andare a Palazzo per sentire se ci sono ordini e se dobbiamo fare qualcosa. »

« Non andate via anche voi… » Erith parve riscuotersi.

« Lo sai che dobbiamo andare… » le disse Adhort prendendole le mani « Ma non temere. » poi parve non riuscire ad aggiungere nient’altro. Prese il mantello e uscì di casa con Jamril.

« Mamma… » Niniel si era un po’ ripresa, ma ancora faticava a capire cosa dovessero fare in quel momento.

Sua madre non la lasciò finire e l’abbracciò.

« Qualunque cosa accada ricorda: noi saremo con te! » le disse.

« Non succederà niente, mamma! Combatteremo, arriverà Boromir, andrà tutto bene! » esclamò la ragazza, anche lei stessa se non era certa di credere davvero in ciò che aveva appena detto.

La donna la guardò con una grande pena negli occhi, ma non disse nulla.

 

 

14 marzo 3019 Minas Tirith

 

Le ore passavano. Il tumulto nei Campi del Pelennor aumentava e così anche per le vie di Minas Tirith si udivano sempre più passi e voci concitate.

Niniel era rimasta in cucina con la madre, anche se la donna aveva cercato di convincerla ad andare a stendersi in camera sua. Niniel sapeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio, e voleva rimanere pronta per qualunque eventualità. Erano ancora sedute dove si trovavano la sera precedente, leggermente assopite sulle scomode sedie di legno.

Il mattino si avvicinava anche se, da quell’Oscurità che non mutava di intensità, non si sarebbe riusciti a dire che ora fosse.

Era ancora molto presto quando udirono un rumore provenire dall’ingresso dell’abitazione e sussultarono, svegliandosi del tutto.

Adhort entrò in cucina, il viso stanco e tirato:

« A quanto pare Sire Denethor ci vuole in cucina come al solito. » disse « Io e Jamril siamo già là, se tu preferisci non venire stai pure a casa… »

Ma Erith lo interruppe:

« Che senso avrebbe rimanere qui e aspettare la morte senza fare nulla? » si alzò e prese il suo mantello « Se devo morire morirò facendo qualcosa per la nostra Città. »

Anche Niniel si alzò e si avvicinò all’ingresso.

« Dove vai? » le domandò suo padre con apprensione.

« Alla mensa militare. »

« Ma, Niniel, è sul secondo livello! Qui saresti più al sicuro. Se il Nemico sfondasse le mura… »

La ragazza bloccò il padre:

« So che vi preoccupate per me, ma vale lo stesso ragionamento che ha appena fatto la mamma. Non rimarrò qui, senza fare nulla, ad aspettare che il nostro destino venga deciso. »

Si mise il mantello e abbracciò i suoi genitori, aprì la porta e prima di uscire si voltò indietro: « Vi voglio bene! »

Poi corse fuori di casa senza aspettare una risposta. Sapeva che non sarebbe stata in grado di rimanere con loro un secondo di più senza scoppiare a piangere per il terrore che le attanagliava il cuore. Il terrore di non rivederli mai più. Improvvisamente, comprese perfettamente come doveva sentirsi Narith.

 

Niniel camminava a passi svelti verso il secondo livello. A mano a mano che scendeva, il rumore provocato dagli Orchi di Mordor che si erano accampati nei Campi del Pelennor aumentava. Avrebbe voluto dare uno sguardo oltre le mura per controllare come fosse la situazione là sotto, ma non trovava il coraggio per farlo, così procedeva a testa bassa, cercando di ignorare il rumore assordante prodotto da quelle orrende creature che uccidevano e distruggevano qualunque cosa incontrassero sul loro cammino.

Era ormai arrivata sulla terza cinta di mura, quando la ragazza sentì qualcuno pronunciare il suo nome, urlando al di sopra del frastuono, e con un grande sforzo sollevò la testa, per vedere chi la stesse chiamando. Con gran sorpresa e sollievo, si accorse che si trattava di Narith.

« Che cosa fai qui! » le domandò senza troppi preamboli « Perché non sei rimasta a casa? »

« Non potrei mai rimanere là a fare niente sapendo che in questo momento in Città c’è bisogno della cooperazione di tutti. » la sua voce era velata e lo sguardo leggermente assente.

« Niniel tu… hai paura? »

« No, sono terrorizzata. » ammise lei « Tu non temi forse ciò che potrebbe accaderci oggi? »

« Dipende da ciò che accadrà. » sospirò lui « Non perdiamo le speranze, Niniel. Mithrandir dice che non è tutto perduto. L’esercito di Rohan potrebbe ancora arrivare e non dimenticare che anche Boromir sta tornando. »

La ragazza non rispose, colta di nuovo dallo sconforto.

Narith sospirò:

« Immagino sia inutile chiederti di ritornare a casa… »

« Immagini bene. » gli rispose lei.

« Buona fortuna allora. Magari ci rivediamo alla mensa. » Narith fece per correre via, ma Niniel lo fermò.

« Dove stai andando? » gli urlò, notando che correva verso il livello superiore.

« A salutare mamma e papà. » le rispose lui senza fermarsi.

Niniel immaginò che dovesse avere una gran fretta di tornare ai suoi doveri, sulle mura del secondo livello, quindi lo lasciò andare, mentre si lasciava sfuggire un sorriso di sollievo.

Il via vai di gente e soldati che aveva incontrato lungo la strada percorsa verso il secondo livello non aveva nulla da invidiare alla confusione che regnava nella mensa militare.

Quando Niniel finalmente vi giunse, molti cuochi erano già al lavoro, e chi non era ancora lì arrivò poco dopo. Trovò Ilarin già presa dal suo lavoro e subito la affiancò per aiutarla, mentre Nasten urlava ordini a destra e a manca, facendo invidia ai Capitani del loro esercito. Notò che quel giorno portava un pugnale infilato nella cintura.

 

Intanto, Narith era quasi arrivato alla Cittadella. Era certo che avrebbe trovato i suoi genitori nelle cucine del palazzo. Ora, il problema era trovare una scusa per passare oltre le guardie che controllavano l’ingresso dell’ultimo livello. Non poteva certo inventarsi che doveva portare qualche ordine da parte del suo capitano, ma non gli venivano in mente altre possibilità.

Quando giunse al cancello della Cittadella, però, con sua grande sorpresa lo trovò aperto. Lo varcò e notò in lontananza alcune guardie. Pareva che stessero discutendo tra loro, ed era come se fossero indecisi sul da farsi e stessero cercando di trovare una soluzione. Narith ebbe il sospetto che, in quel momento di grande bisogno, il Sovrintendente stesse lasciando che ogni cosa corresse, senza dare ordini, né cercare di prendere in mano la grave situazione.

Cercando di non farsi vedere, si intrufolò nell’ultimo livello della Città e camminò a passo spedito verso le cucine del palazzo.

La porta di legno che dava nel locale era socchiusa, e da dentro giungevano in continuazione rumori di pentole e mestoli che venivano sbattuti, ma non udiva il solito parlottare che aveva sempre accompagnato il lavoro dei suoi genitori.

Varcò la soglia, ma Adhort, Erith e Jamril erano così assorbiti dal loro lavoro che non si accorsero del suo arrivo.

« Mamma, papà… »

Quando il ragazzo parlò, i mestoli cessarono di sbattere contro le pentole di ferro battuto. Sua madre si voltò di scatto e gli corse incontro mentre calde lacrime le rigavano il viso.

Lo abbracciò senza riuscire a parlare.

« Sono venuto a salutarvi. » disse lui, mentre sentiva un nodo che gli chiudeva la gola.

« Non sai come sono felice che tu sia qui. Avevo paura di non riuscire a vederti prima della battaglia. » gli disse la madre tra le lacrime.

« Ma sono venuto. » rispose lui, ricambiando l’abbraccio « Devo tornare subito, però. Sono riuscito a venire solo perché mi hanno dato un momento di riposo dopo il turno di guardia di questa notte. Mi aspettano. »

Adhort gli si avvicinò e lo abbracciò, per la prima volta come si abbraccia un uomo ormai adulto, e non più un bambino che ha bisogno del conforto del padre.

« Coraggio, so che sei forte. » gli disse.

Jamril lo strinse così tanto che quasi gli mozzò il respiro, ma non disse nulla. Il cuoco sapeva che se avesse aperto bocca per parlare sarebbe solo riuscito a scoppiare in lacrime.

Sua madre gli infilò in mano una pagnotta di pane nero:

« Hai il viso stanco, e pare che tu non mangi in modo decente da giorni interi. » gli disse « Non è rimasto molto, ma prendi questo. »

Narith annuì, poi la madre lo abbracciò di nuovo.

« Mi raccomando, abbi cura di te! »

Lui annuì, e si diresse verso la porta.

« A presto! » disse, e poi uscì di corsa, senza riuscire a voltarsi, né ad aggiungere altro.

Stava già dirigendosi a grandi passi verso il cancello, quando nel cortile dell’Albero Bianco incontrò Pipino che andava di corsa verso il Palazzo.

« Pipino! » lo chiamò il ragazzo « Come stai? »

L’ hobbit si fermò. Aveva un’espressione strana, come confusa, e pareva che avesse una gran fretta.

« Credo di essermi cacciato in un gran pasticcio, nell’aver offerto i miei servigi a Gondor… » disse solo.

« Sai, ho anch’io lo stesso timore per quanto riguarda me; ma volenti o nolenti, questo doveva essere il nostro destino. Come sta Faramir? »

« Male. » disse cupo Pipino « Non si riprende e Denethor pare ormai completamente fuori di sé. Non si occupa più di nulla e io non so cosa fare. »

« I miei timori erano giusti dunque. » Narith si incupì ulteriormente « Devo andare, buona fortuna amico mio! Speriamo di vederci, prima della fine! » e riprese a correre verso l’uscita della Cittadella.

Quando arrivò al cancello, le guardie avevano ripreso i loro posti.

« Cosa ci fai qui? » gli domandò una.

« Porto ordini, signore. » disse, e passò oltre il cancello, senza che questa gli domandasse altro.

Stava correndo nuovamente verso il secondo livello della Città, strappando pezzi di pane e mangiandoli lungo il cammino, quando la sua attenzione fu attirata da una persona che correva nel senso opposto.

« Earine! » gridò, ma la ragazza si era già fermata. Anche lei si era accorta di Narith e tornò sui suoi passi per avvicinarsi a lui.

« Cosa ci fai qui? » gli domandò. Per una volta, riuscì a non balbettare mentre gli parlava.

« Sono venuto a salutare i miei genitori. Pensavo di trovarti lì, ma non c’eri. »

Lei scosse la testa:

« Sono stata mandata dal Sovrintendente a portare un messaggio. Come stai? »

« Bene, per quel che si può stare bene in un momento come questo. » la osservò: aveva anche lei il viso stanco e tirato e gli occhi cerchiati, come quasi tutte le persone che aveva incrociato sulla sua strada. Gli piangeva il cuore nel vederla così.

« Ora devo… tornare giù. Tra poco sarò di nuovo di guardia. »

Lei annuì.

« Allora, buona fortuna! »

Si era già voltata per riprendere il suo cammino verso la Cittadella, quando sentì una stretta attorno al polso, e Narith la fermò. Lei lo guardò con un’espressione interrogativa, ma prima che potesse anche solo pensare a qualcosa da dire, lui la avvicinò a sé e la baciò. Fu qualcosa di improvviso, imprevisto e inaspettato. Per entrambi.

Quando Narith si allontanò, la guardò con gli occhi spalancati come se lui stesso non riuscisse a comprendere cosa fosse appena successo. Il cuore di Earine pareva vicino a scoppiare, ma ora non avrebbe saputo dire se fosse per via del terrore che le provocava la guerra o per quell’emozione sconosciuta.

« Perdonami. » le disse lui confuso.

« Per averlo fatto? »

« No, per non averlo fatto prima! »

Si voltò e corse via, senza riuscire a dirle nient’altro. Earine si fermò un attimo per osservarlo mentre si allontanava. Il cuore ancora vicino a scoppiare.

 

 

 

 

 

 

Sì, sono ancora viva… un po’ provata dagli esami, ma viva!

Chiedo perdono in ginocchio per l’enorme ritardo, so perfettamente che è da ottobre che non aggiorno, ma tra l’università, la mancanza di ispirazione e altri problemi proprio non sono riuscita!

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto… e che le novità siano state di vostro gradimento… ;-)

Vi anticipo che il prossimo sarà un po’ più corto, ma la prima parte mi sono divertita moltissimo a scriverla, e spero con tutto il cuore che possa piacere anche a voi, ma non vi anticipo niente…

Non so quando riuscirò ad aggiornare, non vi prometto nulla perché fino a metà luglio sono presa dagli esami… ma io per prima spero di riuscire ad aggiornare presto!
Alle recensioni ho già risposto, ringrazio di cuore chi ne ha lasciata una, e chi legge e ha aggiunto la storia tra preferite, seguire e ricordate!!!

A presto! Spero… J Un abbracciooooooooooooooooooo!!!

 

   
 
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