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Autore: ely91    26/12/2006    1 recensioni
Il destino è beffardo quanto puntuale. Non si scappa dalle persone. Non si scappa dal male e dalle passioni. Nè dalle abitudini.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si strinse nelle spalle, reprimendo qualche brivido causato dal venticello di fine ottobre che penetrava indisturbato dalla fi

Finì così.

 

Si strinse nelle spalle, reprimendo qualche brivido causato dal venticello di fine ottobre che penetrava indisturbato dalla finestra spalancata.

Si mosse nell’ingresso a passi lenti, la stanchezza di un intera giornata passata in ufficio davanti allo schermo di un pc cercando un ispirazione che non trovava. Da quando la sua vita era così perfetta, le veniva difficile concentrarsi su un qualche articolo o buttare giù qualche pensiero libero come faceva prima. Adesso aveva il mutuo da pagare e un marito premuroso quanto esigente. Doveva preparare la cena e fare tutti i lavori domestici. Non aveva nulla di che lamentarsi, aveva raggiunto un equilibrio perfetto e non chiedeva altro dalla vita.

Gli anni che erano passati dal giorno in cui aveva costruito la sua nuova vita fuori paese oramai nemmeno li contava più. Forse erano meno di quello che credeva, ma non le importava. Non rimpiangeva nulla del suo passato. Nulla. Solo il ricordo di una cosa morta, statica, di un fiore appassito, faceva capolino nei giorni di malinconia ma non lasciava mai grossi danni dietro di sé.

Apatica e disgustata da quel suo stesso stato d’animo, andò a sedersi sul comodo divano al centro della grossa stanza che fungeva da salotto.

Avrebbe trascorso una serata normale, solitaria, di tutto relax aspettando che suo marito tornasse.

Aspettando che qualcuno la salvasse da quella staticità nociva al suo essere.

Di certo non si aspettava quei colpi di scena tipici e scontati delle fiction americane, ma sperava che qualcosa potesse smuovere le cose, in un modo o in un altro.

Intanto le macchine passavano e il volume della tv cresceva, per sovrastare quel fastidioso pe-pe di clacson. Le sue mani andarono a sfiorare la copertina di un libro –Guido Gozzano, Poesie- ma poi mollarono la debole presa e tornarono stanche di far nulla sul cuscino del divano.

Gettò indietro la testa e chiuse gli occhi, ricordando, con immenso dispiacere, di dover leggere una relazione per il giorno dopo.

L’avrebbe fatto dopo cena, si disse tranquilla, senza temere quell’assoluto ed insano desiderio di ozio.

Quando il campanello suonò in quell’istante anonimo, lei credette che fosse un rumore proveniente dalla tv.Poi aprì gli occhi e tornò al mondo reale tentando di alzarsi. Mentre sentiva la schiena dolere e mentre fece una smorfia silenziosa, il campanello trillava ancora e ancora.

C’erano un sacco di cose che producevano rumori in quella casa: la tv, la lavatrice accesa, la radio in camera da letto… ma mentre raggiungeva la porta a passi ampi e svelti un silenzio virtuale gravò nell’anima sua.

Si sarebbe potuto definire un presagio? Oppure era solamente la sua fervida fantasia avida di sorprese? Non avrebbe trovato una risposta in così poco tempo. Quasi non si accorse che il cuore aveva cominciato a balzarle in petto un po’ più velocemente del normale.

Afferrò la maniglia fredda e i suoi occhi non videro più nulla. D’improvviso venne catapultata in un altro mondo, in un’altra vita. E lei amava quella vita. E lei odiava quella vita.

Sotto la pressione della sua mano la porta scricchiolò e si aprì lentamente.

Apparve una figura familiare solo in parte. Una fitta le trafisse la testa. Istintivamente si portò le mani alla nuca. Poi lo squadrò mentre il cuore le arrivava in gola.

Sempre quella presenza quasi insignificante e quell’espressione indecifrabile. Capelli che non potevano essere definiti secondo un taglio o un preciso ordine, mani dalle dita lunghe e labbra sottili. Qualcosa le diceva che…

Poi si scontrò inequivocabilmente con i suoi occhi.

E si sentì svenire.

Il silenzio scorreva lento esaurendo interi e preziosi secondi. Come quella stessa mattina, era a corto di pensieri o idee su quell’incontro assurdo. Non riusciva a pensare a nulla. Né a –oh mio Dio- ne a –ah, che scherzo del destino-

Non aveva più capacità critica, né voglia di reagire o curiosità verso ciò che il mondo le poneva dinanzi.

Eppure non riusciva a dirgli nulla.

Lui era lì, che bisogno c’era di dire che espressione aveva o com’era vestito? Lui era lì.

In mezzo al vuoto più totale della sua mente c’era la premente quanto insana voglia di saltargli al collo. Come fosse il suo salvatore.

- come hai fatto a trovarmi?-

lo disse quasi fosse presa dal panico. Agitatissima e desiderosa che le formalità si sbrigassero il più in fretta possibile per poterlo riabbracciare.

- Oh – disse lui disinvolto, entrando senza che lei glielo chiedesse –è stato troppo facile-

Quante domande avrebbe voluto fargli?

Non riusciva a formularne nemmeno una, il desiderio che si sostituiva al ribrezzo che si sostituiva al disagio che si sostituiva al piacere…

- perché sei qui?-

lui rise. E li si vedeva quant’era cambiato. Li si vedeva com’era cresciuto e perché, le esperienze che aveva fatto, le cose che aveva capito.

- Sarei troppo scontato-

e lei, di scatto, quasi a voler concludere il più in fretta possibile quell’inutile conversazione. (Non si erano mai trovati bene a giocare con le parole. Erano troppo presi da altro. Avevano sempre saputo di avere poco tempo.)

- e perché ora?-

Biascicava, la gola secca, le mani e le gambe troppo assenti per raggiungere un bicchiere d’acqua.

- Cosa volevi, che venissi a farti visita quando c’era tuo marito? Così cosa gli avresti detto? Ti presento il mio amico d’infanzia…?-

Ancora giù a ridere.

Era grezzo. Grezzo nell’esprimersi. Diverso. Aveva trasformato la sua fragilità in malignità e la sua sottile ironia in un sarcasmo fuori luogo.

Le piaceva che fosse così? Le piaceva che fosse cresciuto? Sentiva già la pelle bruciare e i brividi percorrerla. Avrebbe volentieri preso quelle mani fra le sue per condurle sul suo corpo… basta, stava esagerando.

- No. Il tuo sarcasmo è diventato più grezzo-

Lui si affrettò a rispondere.

- Sono cambiato in tante cose-

Ed era proprio lì, invece, che ritrovava il lui di un tempo. Quello che si faceva forza approfittando della debolezza altrui, quello che affrettava le riposte scomode, che non si rendeva conto di essersi scoperto da solo.

Un sottile sorriso innocente le solcò il viso.

- Si…ma in tante sei rimasto uguale-

E il sangue le salì alla testa. Mentre si avvicinava a lui seduto sul divano, le salì il sangue alla testa.

Lui la guardò avvicinarsi; sullo sguardo nessun segno di disagio o debolezza.

- Per esempio?-

lei ruotò gli occhi.

- Non sei mai stato bravo con le parole. E in questo momento io nemmeno-

Lui finse di stupirsi. Non aveva più nessun tic nervoso alla gamba sinistra. Era molto più sicuro di sé.

- Cavoli! Allora è inutile che continuiamo a parlare-

lei fu indecisa se cogliere o no un nascosto doppio senso in quella frase. Le si stavano alterando tutti i sensi. E, cosa peggiore, in quel momento non sapeva più di avere un marito.

Era tornata nel passato, anzi no. Era nel presente, ma era con lui. E lui non era un uomo qualsiasi, lui non faceva testo. Con lui poteva. Perché lui era a parte. Un altro mondo. Un altro cuore.

Mentre pensava a pezzetti lui si alzò.

Ci fu qualche secondo di silenzio. Ognuno cercava di capire cosa volesse l’altro.

- Allora io vado…-

Disse lui, inarcando in modo sospetto un sopracciglio.

Lei allora ruotò gli occhi e sembrò sciogliersi un po’.

- Dove vai…!-

Disse, prima che lui aprisse l’uscio.

Si fermò, senza farselo dire.

Tornò indietro e si risedette sul divano. Voleva che fosse lei a deciderlo. Voleva che fosse lei ad avere i sensi di colpa, a sentire il peso del tradimento e l’amaro di un amplesso clandestino.

Era pronta a quello?

Si.

Gli si avvicinò piano, sedendosi a cavalcioni su di lui. Quasi svenne. Quando le sue gambe entrarono in contatto con quelle di lui, sentì la pelle bruciare e un folle desiderio s’impadronì di lei.

Lui inarcò la schiena a prese il volto di lei tra le mani.

Erano calde e un po’ sudate. Bruciavano di colpa, ma anche di passione.

Lei lo guardava quasi fosse assente, ma in realtà c’era più di quanto si potesse immaginare.

Lentamente avvicinarono i loro volti e le loro labbra entrarono in contatto.

Un bacio… qualcosa di più che banale. Nessuno lo considera più una cosa importante, nessuno lo brama come questione di vita o di morte.

Quell’amaro ritrovarsi era una dannazione eterna per quelle labbra. Eppure rimanevano incollate. Eppure, con diverso sapore, quando si separavano era solo per un attimo, per riprendere fiato, per guardarsi negli occhi e scoprire il piacere dei corpi che entravano in contatto. Era solo per un attimo. Poi, incuranti dell’errore, del peccato, della colpa, della distanza, della stupidità di quell’azione, ritornavano a baciarsi, come se il tempo intorno a loro fosse trascorso solo per ritrovarsi ancora. Sentiva che quel sapore non l’aveva mai dimenticato in fondo…e quell’odore…si, quell’odore era solo sbiadito.

Le dita scorrevano sulla schiena e ovunque potessero provocare scosse e brividi. Erano solo disperati, in fondo. Così come erano sempre stati. Disperati e in cerca di cose diverse. Chi aveva bisogno di un aiuto, perché pauroso della solitudine, chi aveva voglia di quel corpo e amava, amava, amava, senza sapere che dare e dare e dare senza ricevere lascia solo un brutto retrogusto.

Quella vita…quella vita si erano illusi di non poterla capire da giovani, perché adolescenti…e invece gli anni avevano dimostrato che non era l’adolescenza ad occultare il senso di quel rapporto…perché non c’era niente che occultava niente. Era così e basta. Avevano solo immaginato che ci fosse un problema. In realtà non c’era mia stato nulla.

E il nulla a volte provoca più danni del mistero.

- dimmi che mi ami – disse lei, mentre erano un solo corpo e una sola anima.

Lui la baciò, ma non le rispose. Lei sapeva che non l’avrebbe fatto. Eppure le mani scorrevano, toccavano, sudavano… e il corpo si muoveva, si sentiva che desiderava restare lì per sempre, godere di quella sensazione per sempre. Si sentiva la frustrazione per il fatto che non sarebbe stato possibile.

Una breve sensazione di disagio, come quando hai mal di schiena o ti fa male la testa o sai che devi finire una relazione ma non ne hai voglia, la attanagliò, prima che scoppiasse in entrambi la sensazione esattamente opposta. Lei strinse le spalle di lui, gemendo piano, cercando di non dire il suo nome, di non implorarlo. Ci riuscì. Ma dentro di lei l’urlo era stato forte. Lui le strinse i fianchi e la baciò in quel momento, soffocando un gemito tra le sue labbra.

Finì così.

 

  
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