Grazie a tutti
coloro che sono arrivati fino a quest'ultimo capitolo. A chi ha
commentato e anche a chi ha letto il mio lavoro in silenzio.
Grazie di cuore, davvero. Spero che quest'ultimo capitolo sia di vostro
gradimento tanto quanto gli altri e che questa storia vi abbia lasciato
qualcosa nel cuore. Il mio compito e desiderio è sempre
stato questo.
Molto presto tornerò con una nuova fan-fiction, una
one-shot. Spero che ognuno di voi sarà lì a darmi
il proprio parere. Non vedo l'ora che succeda.
Detto questo, buona lettura. E arrivederci.
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Capitolo 5: Too Much Love Will Kill You,
in the end.
Edward si
alzò di scatto e gli corse incontro, tirandogli un ceffone.
“WAS HAST DU
GEMACHT?! * ” le lacrime gli rigarono il viso e fra di loro
cominciò
un’infuocata discussione in una lingua che Mustang
– il soldato –, non
conosceva. Le grida e gli spintoni si fermarono però
piuttosto presto ed Ed si
voltò verso l’altro Roy, quello rimasto in
disparte, confuso e spaventato tanto
quanto lui. Si voltò verso l’Alter Roy e
asciugandosi le lacrime: “Kannst du
english, ja?”
“Doch…”
rispose lui, scocciato, con entrambe le guance arrossate a causa degli
schiaffi ricevuti.
“Colonnello”
cominciò “la nostra lingua, nel suo mondo,
è conosciuta come
inglese. Prima ne parlavamo un’altra” si mise la
mano sul viso, pensando ad
altro.”Ma non ha importanza, perché
questo… questo idiota! Ha passato il
Portale! E non so come abbia fatto e… e ora è un
casino, perché non può tornare
indietro!”.
“Io non
tornerò indietro, infatti. Rimarrò qui con te. E
anche volendo, non
potrei farlo: sono ricercato, lì. Stanno arrestando tutti
gli insegnanti e
Hitler dopo Putsch sta organizzando un altro colpo di stato!”
strinse i pugni
“Ho perso tutto. La mia casa, il mio lavoro, i miei alunni, i
miei libri,
l’uomo che amavo… lì non ci
torno!” alzò di nuovo la voce, prendendo Ed per le
spalle. “Perché te ne sei andato?! Non eri felice
con me?! Potevi portarmi qui
con te!”
“E come
potevo, Roy?! Qui esiste già un Roy Mustang!”.
“Ah, giusto,
il mio sostituto!” gridò, ferito.
“Non dire
stupidaggini! Nessuno di voi due sostituisce qualcun altro. Siete
diversi!”. Il Maggiore Mustang decise ancora per il rimanere
in silenzio,
mentre l’Alter Roy feriva sempre più Ed con le sue
parole. “Allora puoi amarne
solo uno, Edward”.
Entrambi i Roy lo
circondarono e benché si trovassero in uno spazio naturale
sconfinato all’inverosimile, Ed si sentì con le
spalle al muro. Sentiva
un’immaginaria forza prenderlo a pugni sulla cassa toracica e
un’altra
sensazione ancora che lottava dall’interno. Si strinse con le
sue stesse
braccia e pianse lacrime amare, lacrime di coccodrillo.
“Solo uno,
Ed. Solo uno” riprese il tedesco. Il biondino fece qualche
passo
indietro, non sapendo che fare, come reagire o a chi chiedere aiuto.
Per tutta
la vita aveva affrontato situazioni impossibili, sconfitto nemici
imbattibili
ed era dovuto diventare uomo prima del tempo. Ora che invece quel tempo
era
arrivato, si ritrovava a essere un bambino impotente e incapace di
scegliere
fra due giocattoli. Scegliere, che brutta parola.
“Scegli, Ed.
Scegli ora!”.
“Ed”
lo chiamò il soldato. “Ed, ascolta… non
esiste scelta che non comporti una
perdita” gli disse, più calmo e pacato,
più uomo, più leader, più giusto del
suo sosia. “E non è possibile non scegliere.
Certo, devi avere la forza di
scegliere ciò che preferisci e di rimanere coerente
attenendoti alla tua
decisione, ma non stiamo parlando di oggetti, qui”
guardò male il suo alterego,
e in un altro momento Edward sarebbe scoppiato a ridere per la
situazione
paradossale. “Stiamo parlando di uomini, di esseri umani, di
sentimenti. E
siccome tutti hanno il potere di scegliere, io scelgo di
ritirarmi”. A Ed
sembrò di deglutire sabbia, più che saliva.
“Cosa?”
boccheggiò, con il volto rigato e contrito.
“Io ti amo
tanto quanto può amarti lui, ma dato che non puoi scegliere
entrambi, faccio la cosa più giusta: lascio che almeno uno
di noi due ti possa
amare e rendere felice. Per ogni Roy Mustang ci sarà sempre
un Edward Elric da
amare. Per cui, va bene così.” si
avvicinò a lui e gli asciugò le lacrime.
“Vivi con lui. Qui a Resembool, magari, dove nessuno mi
conosce e potrà
disturbarvi. Vivi felice e innamorato, io posso…
accettarlo” gli fece un’ultima
carezza sulla guancia. “E perché no, anche
continuare ad aspettarti, ma senza
scappare dal mio sogno, che è anche il tuo”.
Il tedesco rimase muto
e sporco di vergogna. Quello era l’altro uomo di cui
Edward era innamorato. Un uomo più nobile di lui, un uomo
capace di ritirarsi
con maturità per far felice il proprio compagno. E lui
invece che cos’aveva
fatto oltre a piangere, a gridare e a pestare i piedi per riavere
indietro Ed?
“Roy,
no…”
“E’
giusto così, Fullmetal” e si staccò da
lui, girandosi e tornando indietro
sui propri passi, mentre il suo unico occhio cominciava a piangere le
prime di
mille altre lacrime. Intanto Edward era caduto in ginocchio e
l’Alter Roy lo
aveva raggiunto, cercando i suoi occhi, cercando conforto da qualcuno
che di
conforto non ne aveva più da offrire. Mai aveva compreso
appieno la vita come
in questo momento: per quanto un’ingiustizia sia
relativamente facile da
sopportare, quella che proprio brucia è la giustizia. Si
voltò a guardare le
spalle del suo sosia con quella divisa blu: alla vergogna per il caos
causato,
si aggiunse anche un pizzico d’orgoglio. Era evidente: da
qualche parte, in qualche
mondo, c’è sempre una versione buona di noi stessi.
Edward
accettò con stoica rassegnazione di poter amare solo uno dei
due e
acquistò una minuscola casa a Resembool, dove vivere con il
suo tedesco. Le
giornate scorrevano abbastanza tranquille, persino felici. Ma qualcosa
non
andava in quel, per quanto adorabile, fittizio quadretto di campagna, e
no, non
era un problema di Ed, ma di Roy. La sua coscienza lo divorava
lentamente e
dolorosamente da dentro e la nostalgia della Germania era
più forte di quanto
anche solo avesse potuto immaginare. Più che per la patria,
gli mancava quello
che amava fare più di tutto: insegnare la cultura antica. E
anche parlarne e
studiarne ogni più piccolo dettaglio. Lì invece
cos’aveva? Un compagno
guadagnato dalla sofferenza di un altro se stesso, un posto totalmente
diverso
da casa sua e una vita in un mondo dove tutto quello che lui conosceva
non era
nemmeno mai accaduto. Paradossale: cercando una soluzione ai suoi
problemi,
aveva trovato solo un modo per aumentarli e aggravarli. E la cosa
peggiore, era
che non poteva tornare indietro.
Fu al tramonto, che Ed
se ne accorse. Poco più di due ore prima Roy era andato
a farsi un bagno caldo e solo dopo aver terminato di preparare la cena
e di
ritirare il bucato che si domandò che fine avesse mai fatto.
Attraversò
goffamente il corridoio per via del cesto di vestiti che aveva in
braccio e
bussò alla porta.
“Schatz? Ci
sei morto lì?”. Nessuna risposta. “Roy?
Guarda che sto entrando,
eh, non farmi storie poi!” e girò la maniglia.
Tempo dopo sarebbe anche
arrivato a rimuginare per ore e ore a cosa sarebbe successo se solo
avesse
aperto prima quella porta. Ma si sa, l’istinto e la coscienza
sono come quei
congegni d’allarme che scattano per ogni cosa e col tempo,
nessuno gli dà più retta.
Dovette anche far
incidere un nome diverso sulla lapide: Marcus Tullius Cicero.
Il suo stupido oratore preferito, ma un nome di fantasia qualsiasi per
gli
abitanti di questo mondo. Alla fine era rimasto coerente con le proprie
antiquate idee. Si era persino ucciso come quel Seneca, tagliandosi le
vene e
immergendosi in una vasca d’acqua calda per favorire
l’emorragia. Quasi
teatrale, quasi da Annale.
Lasciò un
mazzo di rose rosse dinnanzi a quella grigia pietra e se ne
andò,
diretto in stazione. Non c’erano più questioni in
sospeso, ora, e la sua
coscienza, ponte gettato fra passato e futuro, gli diceva che poteva
anche
fermarsi un attimo a dar vita a un presente migliore.
Toc toc.
Bussò con
l’automail, così che si potesse sentire con
chiarezza che era
tornato. L’ingresso si aprì, ma di certo la bella
donna bionda in divisa e di
fronte a lui non era esattamente la persona che Ed
s’aspettava di trovare.
“Maggiore
Hawkeye?”. Dopo lo stupore, la gelosia lo infuocò
interamente, tanto
che non poté non notare che per la prima volta Riza aveva la
giacca
dell’uniforme sbottonata e che la maglia nera
d’ordinanza era davvero, davvero
attillata. Ma si sa, un geloso trova sempre più di quanto
cerchi in realtà.
“Ciao,
Edward!” e infatti… “Il Maggiore Mustang
è uscito a comprare il
giornale. Entra, tornerà a momenti”. Ed Edward la
seguì all’interno, un po’
nervoso: per entrare in una casa comprata da lui e regalata al suo
compagno,
non aveva bisogno di permesso.
In ogni caso, una
più che inconsapevole Riza lasciò Edward in
salotto per
andare a finire il bucato, sino a quando non si sentì il
rumore della porta
d’ingresso. Roy apparve nel salotto e rimase di sasso di
fronte a quel
biondissimo ragazzo seduto sul divano.
“Acciaio…”
Ed s’alzò e gli si avvicinò piano,
appoggiando con naturalezza il capo
alla sua spalla, stringendolo e facendosi stringere.
“E’
morto”. Roy sussultò visibilmente.
“Cosa?”
“Si
è suicidato” un’anonima lacrima scorse
sul volto di Ed. Roy lo stritolò
quasi fra le sue braccia.
“Ed, mi
dispiace… io…”
“Shhh, non
è colpa di nessuno. Doveva andare così, fa parte
del flusso”. L’altro
non chiese ulteriori spiegazioni.
“Se posso
permettermi, Edward… credo che alla fine morire sia stato
più
positivo che vivere qui, per lui”.
“In che
senso?”
“Ho sempre
creduto che scegliere la propria fine sia la più grande
manifestazione della libertà. L’ha scelto lui,
nessun altro”.
“Scegliere…”
sussurrò Ed, amareggiato. “Alla fine è
stato lui quello che ha
dovuto scegliere”.
“Tutti
dobbiamo scegliere, credo tu l’abbia capito”
l’altro gli circondò le
spalle ed Edward annuì, rimanendo poi in silenzio.
“Roy?”.
“Mh?”.
“Ho scelto
te”.
* CHE COS'HAI FATTO?