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Autore: Distorted Soul    10/06/2012    6 recensioni
Kami aveva solo diciassette anni, quando era rimasta incinta. Troppo giovane per avere un figlio. E poi lei e Spirit – suo partner e padre dell’esserino che portava in grembo – non erano davvero una coppia. Quello che era successo era stato un errore, si erano lasciati prendere dalla foga e dall’alcool.
Fanfiction incentrata sul personaggio di Kami Albarn.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Selfishness

 

 

 

 

 

 

 

Kami aveva solo diciassette anni, quando era rimasta incinta. Troppo giovane per avere un figlio. E poi lei e Spirit – suo partner e padre dell’esserino che portava in grembo – non erano davvero una coppia. Quello che era successo era stato un errore, si erano lasciati prendere dalla foga e dall’alcool.

E come avrebbe fatto a crescere un figlio mentre era ancora impegnata nella caccia alle uova di Kishin? Spirit, poi, non sembrava esattamente un possibile futuro buon padre.

Tuttavia, quando gli aveva detto cosa il loro errore aveva comportato, e dopo la confusione e la paura che aveva visto dipingergli il volto, se l’era ritrovato a chiederle di sposarlo, lei che credeva sarebbe scappato a gambe levate.

«Non sono perfetto, ma quello che aspetti è il nostro bambino, e io voglio prendermene cura. Insieme.» così le aveva detto. E chissà perché si era fidata – di un uomo che non sarebbe mai riuscita davvero ad amare; avevano una buona risonanza, certo, ma non basta per amare qualcuno.

Ma aveva accettato, ed era diventata Kami Albarn.

 

Era nata una bambina, l’avevano chiamata Maka. Era bionda e aveva degli occhietti verdi. Non amarla sarebbe stato impossibile, era sua figlia. Tuttavia Kami sapeva fin dall’inizio che non sarebbe mai stata una brava madre – perché non era quello che voleva essere – e che la finzione della famigliola felice non avrebbe funzionato a lungo.

«Ti amo. Amo entrambe.» le aveva detto Spirit. Credergli? Non lo sapeva. Nonostante questo si era ritrovata a rispondere: «Anche io.»

Quante bugie.

Mentre Maka cresceva, e la vita procedeva con tranquillità, la loro caccia alle uova di Kishin continuava. Era riuscita, alla fine, dopo tanti sforzi, a trasformare Spirit in una Death Sythe, e di questo Kami era felice perché aveva raggiunto il suo obiettivo.

Tuttavia dopo la nomina ricevuta da Shinigami-sama, le cose avevano cominciato a prendere una brutta piega.

Spirit era un donnaiolo, lo era sempre stato, e lei lo aveva sempre saputo, ma da quando era diventato una figura così importante in città, il tempo che passava con le altre donne era aumentato. Era una cosa che non riusciva a sopportare, non perché lo amasse – nonostante il tempo non aveva mai imparato a farlo – ma perché la lasciava sempre sola ad inventare scuse su scuse per spiegare alla loro bambina perché il padre mancasse da casa o cosa ci facesse con la mamma di una sua compagna d’asilo.

Ma aveva sopportato; aveva sopportato a lungo le dimenticanze, i ritardi e anche le notti in cui tornava ubriaco, nascondendo quanto meglio poteva il suo vero volto a Maka, che cresceva sana e forte e che continuava ad amare il suo adorato papà.

Ma Kami era stanca. Stanca di stare con un uomo che non amava, di crescere una bambina che, in verità, non aveva voluto – perché nonostante l’amasse per crescerla aveva perso troppe cose – stanca dei litigi e degli sguardi fin troppo consapevoli che le altre donne le rivolgevano.

Così, una sera, era stata lei a non tornare a casa. L’aveva passata insieme ad un vecchio compagno della Shibusen, per scappare almeno per una notte da una vita che non aveva chiesto. Si era sfilata la fede, e aveva lasciato che lui facesse il resto.

Quando poi si era risvegliata, il giorno dopo, in quel letto sfatto con accanto il corpo caldo a cui si era concessa, aveva preso la sua decisione.

«Finiamola qui.» aveva detto a Spirit quella mattina stessa, ignorando le sue domande su dove fosse stata – quelle che di solito era lei a fargli.

«Ma Kami…»

«Non funziona. E io sono stanca.».

«Non dire così! Giuro che cambierò, io ti prometto che- »

«Non ho mai creduto ad una sola delle promesse che mi hai fatto – gli disse con tono freddo – e non lo farò stavolta. Mi concederai il divorzio, dopodiché me ne andrò.»

«Ma Kami! Che ne sarà di noi? E Maka?»

«Maka è grande abbastanza, sta per entrare alla Shibusen. Se la caverà anche senza di me.»

«Ma io ti amo.»

Dopo quelle parole l’aveva guardato fredda, senza alcuna espressione, rispondendogli poi con tono indifferente: «Smettila di mentire. Smettiamola entrambi.»

 

Quando aveva salutato Maka, furiosa col padre per quello che stava accadendo alla sua famiglia – perché ben presto la consapevolezza aveva abbagliato anche lei – l’aveva abbracciata, ma la ragazzina non aveva pianto. Non aveva mostrato debolezze di fronte a lei, una caratteristica che aveva preso da Kami stessa.

«Fai buon viaggio.»

«Ti manderò una cartolina ogni tanto.»

«Le aspetterò con ansia.»

Tutto ciò che aveva detto a Spirit era stato un “addio” senza alcuna emozione, prima di salire su quel treno per non tornare.

 

La promessa fatta a Maka l’aveva mantenuta, e almeno una volta al mese le inviava una cartolina da uno dei posti che visitava. Ogni tanto le telefonava anche.

Era consapevole che non fosse abbastanza, che Maka, ormai quasi adolescente, avrebbe avuto bisogno di lei in un periodo così delicato della sua crescita, avrebbe avuto bisogno dei suoi consigli per essere una brava shokunin, avrebbe avuto bisogno di una madre che le stesse accanto.

Tutto ciò che aveva fatto era stato lasciarla con quel donnaiolo di suo padre, mentre lei era scappata. Perché era un’egoista.

«Sai mamma, spero di diventare forte come te un giorno, perché sei la persona che ammiro più al mondo.» le aveva detto Maka una volta.

Ripensando a quelle parole, ora, avrebbe voluto mettersi a piangere.

Era stata un fallimento come madre, eppure lei la riteneva il suo esempio da seguire, quando invece avrebbe dovuto odiarla con la stessa forza con cui odiava il padre perché non si era comportata diversamente da lui ed aveva pensato solo a sé stessa, perché l’aveva abbandonata, perché probabilmente non sarebbe più tornata indietro da lei.

Sperò con tutto il cuore che sua figlia trovasse la propria strada, che mai sarebbe stata come lei. Che sarebbe stata felice, sicura e fiera delle proprie decisioni, senza rimpianti.

Perché Kami, invece, non lo era mai stata, e i rimpianti le attanagliavano l’anima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

≈≈≈

Odio Kami – se non si era capito.

Sarà anche stata una grande shokunin, ma a mio parere pure una cattiva madre. Non migliore di Spirit, insomma. Per me poi, quei due, non si sono nemmeno mai amati ed il concepimento di Maka è stato un errore – ma Maka naturalmente questo non lo sa.

Sì, tutto naturalmente secondo la mia modesta ipotesi. Poi chissà, Ohkubo non ci dice mai nulla – per questo la nota ooc, ma io Kami me la immagino esattamente così.

E, sempre secondo me, Maka è anche più consapevole di quel che sembra del fatto che la madre l’ha praticamente lasciata a sé stessa, solo preferisce fingere e continuare ad idealizzarla.

Sì, giusto per rendere la situazione più disastrata e melodrammatica di quello che è – d’altronde tutti (o quasi tutti) i ragazzini di Soul Eater hanno avuto un’infanzia difficile/triste/catastrofica.

Ma Ohkubo quel che ha non lo sfrutta, quindi tocca a noi. E io tiro fuori cose del genere.

Magari in un giorno non troppo lontano (?) potrei scrivere ancora sul tema famiglia. Chissà.

Per ora ringrazio chi è arrivato fin qui.

Alla prossima!J

 

 

   
 
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