30 – La veggente e
il soldato
Alice e il suo
misterioso compagno erano fermi sulla porta e pareva che attendessero il
permesso per entrare in casa. Il silenzio era sceso tra noi, ma quella strana
calma che avevo percepito fin dall’inizio perdurava.
La priorità del
momento era capire la ragione per cui erano venuti a Forks a cercarci, così mi
decisi a sbloccare l’incerto di quella situazione.
“Alice, sei davvero
tu…” non seppi nascondere la sorpresa. Lei mi sorrise.
“Ciao, Carlisle. Mi
fa piacere che ti ricordi di me. Immagino ti chiederai come ho fatto a
trovarti.”
“In effetti, sì. Me
lo stavo domandando, anche se ricordo bene che sei una ragazza piena di
risorse.”
Non volevo fare
dell’ironia, solo essere amichevole; avevo sempre avuto una spiccata simpatia
per Alice e la sua esuberanza. L’avrei amata anche come vampira nello stesso
identico modo.
“Sono arrivata fin
qui, seguendo le mie visioni; io e Jasper siamo destinati a unirci alla tua
famiglia.”
E con un cenno
della testa indicò il ragazzo biondo al suo fianco. Non si era ancora
intromesso neppure una volta; aveva lasciato che fosse lei a gestire tutta la
situazione, limitandosi a far la parte dello spettatore, quasi non avesse
diritto di replica. L’impressione era che si limitasse a seguirla e pensai che
lo avrebbe fatto anche in capo al mondo. Guardai il misterioso, silenzioso
vampiro prima di riportare la mia attenzione su di lei.
“Mi fa piacere
incontrarti. Però avrei preferito che finisse in modo diverso; speravo di non
ritrovarti trasformata in vampiro. Avevo scongiurato con tutte le mie forze che
non accadesse…”
“Sì, lo so.”
Mi sorprese nell’immediato,
ma proseguì chiarendo il senso delle sue parole.
“Carlisle, io ho
pochi e radi ricordi della mia vita precedente. So che ci siamo già incontrati…
in un posto lontano da qui. - Mise una mano nella tasca della veste leggera e
un po’ logora che indossava e ne estrasse un foglio tutto spiegazzato. – Quando
mi sono risvegliata in forma di vampira ero sola e l’unica traccia che avevo in
mano era questa lettera; ho iniziato a leggerla, e sono arrivate le visioni dal
passato e dal futuro. Ho visto Jasper. Ho visto te e questa famiglia. Così ho
capito che dovevo trovarvi per unirmi a voi.”
Era la lettera che
le avevo scritto io prima di fuggire da Madison, in cui avevo riposto tutte le
mie speranze per lei. Alice l’aveva conservata tutto questo tempo pensando che
fosse importante, un tassello del suo futuro. E lo era. Cercò con gli occhi lo
sguardo benevolo di Esme, poi quello di Edward, quindi tornò a puntare i suoi
occhi su Esme come se attendesse un cenno d’incoraggiamento dalla vampira.
Segno che non si
fece attendere.
“La nostra famiglia
è sempre pronta ad accogliere nuovi membri, siete i benvenuti.”
Furono le parole
amorevoli di Esme che io potevo solo condividere. Alice stirò le labbra prima
dolcemente, poi all’improvviso la vidi esplodere in un sorriso di gioia e
battere le mani con genuino entusiasmo.
“Oh, stanno per
arrivare i miei fratelli! Sono ansiosa di conoscerli.”
Infatti Rosalie ed
Emmett entrarono in casa in quel momento. Era alquanto bizzarra tutta la
situazione, perché Alice si comportava come se l’avessimo già accettata; lei
semplicemente sapeva già come sarebbe finita. Lo aveva visto.
Elettrizzata
dall’emozione, muovendosi come se stesse danzando, andò loro incontro con fare
amichevole; avvertii di nuovo quel senso di calma pervadere il mio animo e
lessi uguale sentimento sui volti dei miei figli.
“Piacere di
conoscervi, ragazzi! Io sono Alice e lui è Jasper, il mio fantastico compagno.”
Li salutò con la
sua voce musicale e armoniosa.
Emmett, per
carattere aperto e solare, li accolse con un sorriso franco, anche lui pervaso
dalla stessa calma che circondava tutti.
“Oh, bene, una
sorella e un nuovo fratello con cui fare la lotta. Benvenuto Jasper. Io sono
Emmett, il marito di questa splendida bionda.” E stampò un bacio sonoro sulla
guancia di Rosalie, che reagì un po’ ritrosa alla spavalderia del suo compagno.
“Grazie. Sono
felice di essere qui, con tutti voi.”
Era la prima volta
che sentivo la sua voce, rivelava forse una lieve insicurezza; i suoi occhi
indicavano che non era abituato al sangue degli animali; poi notai i segni
vistosi sul suo corpo, innumerevoli segni di morsi che formavano una sorta di
reticolato bianco argenteo sulla sua pelle.
Erano le cicatrici
del suo passato e mi chiesi quanto fosse stato violento e sanguinario; avrei
dovuto preoccuparmi, ma quella strana calma che avvertivo non mi abbandonava.
In verità, era
tutto alquanto curioso: Rosalie nella stessa circostanza, con degli estranei
non sarebbe apparsa tanto rilassata; si sarebbe messa sulla difensiva.
Con Alice non
accadde e le ragazze si salutarono con cordialità.
“Sono felice di
conoscerti Rosalie; sarà bello andare insieme per negozi, e magari anche al
cinema. Mi devi illuminare sulle novità dell’ultima moda; come puoi vedere il
mio vestito non è il massimo.”
“Ne sarò felice. È
bello avere una sorella; Emmett non ha certe delicatezze ed Edward è sempre
troppo serio e tormentato. Non è uno che sa divertirsi…”
“Lo faremo
sciogliere noi, vedrai.”
Edward, suo
malgrado, sorrise.
La mente vivace e
originale di Alice gli era sempre piaciuta fin da quando era umana. In effetti
fra Edward e il simpatico folletto si sarebbe instaurato un bel rapporto fatto
di complicità fraterna, stimolato anche dai loro poteri complementari.
Avrebbero
collaborato spesso e volentieri; insieme sarebbero stati una forza.
Mio figlio intanto,
stava studiando Jasper.
Analizzava il suo
potere mentre sentiva che aveva effetto anche sul suo umore.
Era lui che
controllava le nostre emozioni, riusciva a manipolarle e sapeva creare quel
clima distensivo e sciogliere le eventuali tensioni. Esercitava il suo potere
su chiunque, vampiri e umani; in futuro si sarebbe rivelato assai utile in
svariate situazioni.
Alice e Jasper
furono gli ultimi arrivati.
Gli ultimi figli,
ma non i meno importanti.
Fra tutti, gli
unici che non avevo trasformato io, accolti come figli adottivi in seno alla
famiglia, amati come tutti gli altri. Avrei approfondito la storia di Alice e
Jasper nei giorni successivi. C’erano tante cose da capire, tante che forse non
avremmo capito e sarebbero rimaste avvolte nel mistero. Ma avevo tutto il tempo
che mi serviva per scoprirlo; l’eternità non mi spaventava più come un tempo,
perché c’era la mia famiglia ad accompagnarmi in quel viaggio.
Non era stato
Jasper a trasformare Alice come avevo pensato all’inizio.
Su questo Edward
era stato chiaro.
Si erano incontrati
solo due anni prima, ed era stata lei a cercarlo guidata dal suo potere; era
lui quel vampiro che aveva visto nella sua visione, quando era ancora solo una
fragile umana. Ma a parte questo, Edward non era riuscito a scoprire molto altro.
“Non ha molti
ricordi del suo passato, quasi non si rammenta di Lucien né del manicomio, e
non ricorda nulla della sorella. Le immagini nella sua testa sono molto
confuse. Può darsi che sia stato lui a trasformarla, visto che era la sua
intenzione, ma non possiamo esserne sicuri; ci sono dei buchi neri nella sua
memoria che non mi permettono di scoprire altro. Forse dovresti provare a
parlare con lei.”
“Proverò a farlo.
Non che sia così importante, adesso. Ma sarebbe bene sapere se Alice si è
lasciata dietro qualcosa di compromettente o irrisolto. Dobbiamo stare
all’erta. Di Jasper cosa puoi dirmi?” chiesi incrociando le dita, con i gomiti
appoggiati sul piano lucido della scrivania del mio studio. Edward era immobile
di fronte a me, le mani infilate nelle tasche dei calzoni.
“Ha un passato
burrascoso alle spalle, ma ha un profondo desiderio di cambiare vita. Non penso
sarà facile; si è nutrito per lungo tempo di sangue umano, sarà sempre una
terribile tentazione per lui, ed è vissuto in un clan dove i rapporti personali
erano fragili e dettati da pure necessità, senza valori affettivi autentici.
Non era una famiglia come la nostra.”
“Capisco. - Dissi
con aria grave. – Con tali premesse è impensabile inserirlo a scuola tra gli
umani, come un ragazzo normale. Sarà necessario aspettare.” Sospirai, rivelando
la mia apprensione che Edward avvertì riflessa nei miei pensieri.
“Temi possa
aggredire qualcuno?”
“Non sarebbe da
escludere. Dobbiamo scongiurarlo a tutti i costi. Aspetteremo finché non sarà
pronto e credo che Alice potrà aiutarci; è una fortuna che ci sia lei.”
Nei giorni seguenti
parlai con la piccola veggente.
Alice aveva già
legato con tutti; Esme l’adorava come era prevedibile, e insieme si divertirono
a scegliere l’arredamento della stanza che avrebbe diviso con Jasper; si
dimostrò bendisposta a collaborare, ma la memoria non le veniva in aiuto. La
maggior parte dei suoi ricordi umani erano stati cancellati, forse anche dalle
terapie cui era stata sottoposta per anni.
Le parlai del
manicomio di Madison, del periodo che lavorai lì, e naturalmente di Lucien.
“Tu all’epoca non
potevi saperlo, ma Lucien era un vampiro, Alice. Aveva uno strano ascendente su
di te, che mi preoccupava molto; sapevo che voleva trasformarti e tentai di
impedirlo. Temevo che andandomene, avrei dato via libera alle sue intenzioni,
ma fui costretto a farlo. Solo non capisco perché ti abbia lasciata andare dopo
la trasformazione.”
“Io non ricordo il
momento precedente la trasformazione. A volte affiora alla memoria un volto, un
ragazzo bellissimo dai capelli neri come la notte. Penso sia Lucien, il vampiro
di cui mi parli, ma non lo so con certezza. E non saprei dirti che fine abbia
fatto. Mi sono svegliata lontana da Madison, e non c’era nessuno. Ricordo una
fuga… non so da cosa o da chi… Poi ho visto Jasper in una visione... mi
sembrava di averlo già visto. Ho vagato per giorni da un luogo all’altro, da
una città all’altra per raggiungerlo. Finalmente ci siamo incontrati a
Philadelphia: in un giorno di pioggia battente è entrato nel locale dove mi ero
fermata ad aspettarlo. Non credeva ai suoi occhi quando mi sono avvicinata a
lui.”
Alice ricordava
quel momento del loro incontro con espressione serena; i suoi occhi brillavano
accesi da una forte emozione. Non ricordavo di averla mai vista così felice.
“Cosa sai di lui,
Alice? Del suo passato? Uccideva gli umani e si vede dai suoi occhi.”
“Sì, ma desidera
cambiare stile di vita, così gli ho parlato di te. Non mi ha creduto subito, ma
ho insistito perché sapevo di avere ragione. Quando l’ho incontrato era insieme
ad altri vampiri, avevano lasciato il loro clan. Jasper era depresso e
infelice, ma non sapeva come uscire dall’apatia della sua esistenza.”
Le ultime parole di
Alice mi inquietarono.
“E questi vampiri
dove sono, ora?”
“Non lo so; sono
andati per la loro strada, immagino. Lui li ha abbandonati per seguire me;
sapevo che lo avrebbe fatto. L’ho visto.”
La storia del
maggiore Jasper Whitlok era particolare come la sua capacità di leggere le
emozioni e controllarle.
Un pomeriggio dopo
una caccia con Emmett ed Edward, gli chiesi se avesse voglia di parlarci delle
sue origini; lui con pazienza, raccontò di fronte a tutti noi ogni dettaglio
della sua vita senza tralasciare nulla.
Jasper non era un
neonato; era un vampiro di quasi cento anni e la sua nascita risaliva alla
guerra di secessione americana. Ci raccontò di come era stato trasformato e
perché. Originario del Texas, più precisamente di Huston, si era arruolato
nell’esercito confederato dove aveva combattuto fino a quando sulla sua strada,
all’età di vent’anni, non erano comparse tre immortali: una di queste aveva
nome Maria e fu colei che lo trasformò.
Maria era coinvolta
in guerre cruente tra vampiri neonati per il controllo di territori in Messico
dove potersi nutrire senza concorrenza, e Jasper col suo potere e carisma che
esercitava sulla truppa, le era stato utile per controllare e guidare i giovani
vampiri nelle battaglie. In pratica si era servita di lui, in maniera scaltra,
usandolo come una marionetta. Così aveva imparato a combattere contro i
neonati, vampiri molto forti, selvaggi e brutali, praticamente fuori controllo,
dominati solo dai loro impulsi. Ottimo combattente, ne aveva sterminati un
numero spropositato.
A testimonianza del
suo passato di violenza e scontri, il suo corpo era segnato da morsi e
cicatrici. Mi chiedevo se fossero solo segni superficiali o se ne fossero
rimasti anche sul suo cuore morto. Ormai sapevo che potevamo restare segnati
dalla nostre esperienze quanto gli umani e Jasper non mi pareva diverso in
questo.
Non avevo mai
sentito parlare di simili scontri tra vampiri, per la ragione che all’epoca dei
fatti, io vivevo tra le terre del Canada e l’Alaska, lontano dai territori del
Sud teatro della guerra civile. Era il periodo del primo incontro con Eleazar e
la sua famiglia, ed ero vissuto quasi in isolamento per molto tempo, prima di
ributtarmi nella civiltà.
Quanto tempo era
passato.
Quanta vita era
scivolata via da allora e quanti fatti erano accaduti a cambiare la mia
esistenza.
Era strano
riguardare indietro al passato, ma lo facevo senza dolore, con la
consapevolezza che oggi ero un vampiro molto diverso, appagato, pieno di
esperienze fortificanti; alcune mi avevano senza dubbio segnato, altre
arricchito.
L’incontro
inaspettato con Alice, per Jasper era stato vivificante come ritrovare una
speranza perduta.
“Ero stanco di
combattere, stanco di tutta quella violenza. Lasciai il clan di Maria insieme a
un paio di neonati che avevano deciso di fuggire. Uccidere iniziava ad
atterrirmi, ero disgustato dalla mia esistenza, ma la sete mi dominava; sentivo
tutto ciò che provavano le mie prede, le loro paure, quella soggezione di
fronte al soprannaturale che avevo provato anch’io quella notte fatale che
incontrai Maria e le altre. Non sapevo che ci fosse un altro modo. Pensavo di
non avere scelta. Se non avessi trovato lei sulla mia strada, sarei diventato
un bruto, un mostro senza sentimenti.”
Aveva parlato, guardando
il folletto con uno sguardo inequivocabile; si era profondamente legato a lei,
con una forza indissolubile.
“Mi hai fatto
aspettare parecchio.” Commentò Alice con un sorrisetto indulgente e malizioso.
“Scusami, cercherò
di recuperare il tempo perso.” Le rispose lui di rimando.
Guardavo la piccola
vampira ed ero certo che quel sentimento, Alice non lo avesse mai avuto per
Lucien. La veggente aveva fatto bene a fidarsi delle sue visioni, quanto mai
vere.
Ed ero contento di
trovare in Jasper un vampiro diverso da ciò che era stato Lucien.
Jasper sapeva cosa
volesse dire uccidere esseri umani, ma il suo potere di sentire le emozioni lo
aveva in qualche modo salvato, sviluppando in lui una sorta di empatia per le
sue vittime. La depressione era stata la diretta conseguenza.
Non gli piaceva
allenare ed educare vampiri che, dopo un anno, avrebbe dovuto uccidere, se non
erano già caduti sui campi di battaglia, ma era quello che Maria gli chiese di
fare per lungo tempo.
Non potevo
concepire una vita più difficile, un incubo peggiore di quello cui era stato
sottoposto lui.
Guerre tra clan di
vampiri.
Non riuscivo a
immaginare nulla di più terrificante e spaventoso.
Le guerre umane mi
erano sembrate sempre tremende; le avevo evitate con cura estrema, come certe
terribili pestilenze che fanno paura agli esseri umani; per fortuna, non mi ero
mai trovato coinvolto in faide tra immortali. Detestavo la violenza; la mia indole non era aggressiva e da lotte del genere non ne sarei
mai uscito vivo. Ma mentre Jasper raccontava quelle storie che si perdevano
indietro nei secoli, la mia mente veniva assalita da strani dubbi.
Come mai gli uomini
non si accorgevano di quei violenti scontri?
Come e quando
finivano quelle diatribe, se finivano?
“Vorrei saperlo
anch’io.” Edward diede voce ai miei pensieri.
Jasper si dimostrò
per un momento disorientato.
“Cosa volete
sapere?”
“Non eravate troppo
esposti agli umani? Con tutta quella violenza si saranno accorti di voi…”
Ragionai tra me.
“Il rischio c’è
stato, effettivamente. Ma quando la situazione diventava troppo critica,
interveniva la guardia dei Volturi; facevano piazza pulita di neonati e gli
scontri si interrompevano per un po’ di tempo. Dopo, le ostilità riprendevano,
ma con cautela e i Volturi tolleravano la cosa, almeno fino a quando non si
superavano certi limiti.”
I Volturi.
Ecco che sentivo di
nuovo parlare di loro.
Un pezzo del mio
passato che improvvisamente tornava a galla sul fiume della mia coscienza.
Erano stati così
vicini e non lo avevo saputo.
Ripensai
a Haidi, alla sua malia e sperai che fosse ancora in vita. Cercai di
allontanare il suo ricordo, per non lasciarmi distrarre da pensieri troppo
conturbanti. Era strano che mi fosse tornata alla memoria così. Incrociai il
mio sguardo con Edward e lui mi restituì un’ occhiata perplessa.
Sembrava dicesse, adesso
c’è Esme. Perché pensi ancora a lei?
Distesi
la piega delle labbra in un sorriso indulgente per rassicurare mio figlio: era
solo un ricordo senza conseguenze, una piuma leggera che si era posata sulla
mia fronte a solleticare la traccia di un pensiero fuggito lontano.
Una
lieve impronta sul cuore che si faceva sentire, una debole scossa, quasi un
brivido portato dal vento sollecitato dalla parole di Jasper, dopo tanto tempo.
Jasper
Whitlok aveva finito il suo racconto. Gli altri si allontanarono mentre io e
lui rimanemmo soli.
Alice
aveva guardato il suo compagno con espressione tranquilla; c’era tra loro quasi
un colloquio muto. Era come se comunicassero col pensiero, esisteva una
sintonia perfetta, quasi a livello spirituale, se così si può dire per due
vampiri.
Per
Jasper doveva essere curioso il nostro modo di vivere; intuivo che era
perplesso forse più su se stesso, sulla sua reale capacità di adattarsi.
Restava fermo a fissarmi in quella posa composta da soldato sull’attenti;
l’impronta del militare era davvero netta in lui, una sorta d’imprintig di cui
non si è del tutto liberato, e continua a mantenere ancora oggi. In realtà, il
suo atteggiamento nei nostri confronti mi ha lasciato nel dubbio per
lunghissimo tempo.
“Rilassati
Jasper. C’è qualcosa che mi devi chiedere? - Lo vidi esitare, dubbioso. Sorrisi
mio malgrado, divertito dal suo atteggiamento sospettoso. - Sì, immagino che
tutto questo sia abbastanza strano per te.”
“Beh,
è inutile negarlo. Mi stavo chiedendo quanto sia difficile vivere così. Non hai
mai avuto dei… ripensamenti?”
“Capisco
le tue perplessità. Io personalmente no, ma altri qui potrebbero raccontarti
fatti differenti. Non ho mai detto che sia facile, a nessuno dei miei figli.
Non ho mai negato ciò che siamo, sarebbe da pazzi, ma io insisto a dire che è
possibile vivere quasi in maniera normale.”
“Normale…
mi sembra una parola così lontana da noi…” Lo sentii sussurrare, fra sé.
“Dipende
tutto dalla volontà, Jasper. Io non ho mai obbligato nessuno e non intendo
importi uno stile di vita che non senti. Ma devo chiederti di scegliere; se
deciderai di restare con noi dovrai adattarti e mi aspetto che tu sia almeno
convinto. Posso darti tutto il tempo che vuoi; capirò se fallirai. Si cade e ci
si rialza.”
Restò
per un momento in silenzio.
“Io
ho scelto di seguire Alice…”
“Allora
è per lei che intendi rimanere?”
“Anche,
sì…”
“Mi
basta. Benvenuto nella famiglia Cullen.”
Con
l’arrivo di due nuovi vampiri, i licantropi tornarono a controllarci.
Secondo
loro stavamo aumentando di numero in maniera pericolosa. Avevano visto Jasper i
suoi occhi rossi e non volevano fidarsi. Una notte un branco di cinque lupi,
piombò latrando furiosamente davanti alla nostra casa nel cuore della foresta.
Dovetti
faticare un bel po’ per convincerli che non saremmo stati un pericolo per la
comunità di Forks e gli indiani della vicina riserva.
“Garantisco
io per lui. Si è unito al nostro clan per cambiare vita. Vi do la mia parola
che non accadrà nulla. Al minimo sentore di pericolo per gli umani, andremo
via. Non saremo noi a violare il patto per primi.”
Jasper
e Alice non avevano mai incontrato veri licantropi; restarono sconcertati prima
dall’odore insopportabile, poi dalla sorpresa di scoprire nemici naturali e
letali.
“Avevo
sentito parlare di queste creature, ma non ho mai creduto che esistessero.”
Commentò Jasper, mentre Alice riconosceva di non poter avere visioni su di
loro.
Non
li aveva visti arrivare.
Jasper
si adattò volentieri alla dieta a base di sangue animale; gli sembrò una valida
alternativa. Ma inserirlo fra gli esseri umani fu decisamente più difficile. Ci
volle molto tempo e avvenne per gradi. Piccoli passi alla volta, faticosi e non
sempre costanti.
Sul
palato, nelle narici e nella memoria Jasper manteneva troppo vivo il sapore del
sangue umano. Per lui era una fatica
immane resistere all’aroma del sangue, una vera tortura fisica.
Non
era mai stato tanto difficile neppure per Edward.
Jasper
era come un drogato che aveva bisogno di disintossicarsi e non furono rare le
crisi d’astinenza.
“Mi
brucia la gola. Per placare questa sete, gli animali non bastano; come fate a
resistere? Non vi viene voglia di andare a caccia di un po’ di sangue dolce?”
Era
esasperato e irritato. Emmett rispondeva ridacchiando.
“Beh,
a volte la tentazione assale anche me… di sicuro Carlisle non approverebbe, ma
mi spaventa molto di più la reazione che avrebbe Rosalie, quindi preferisco
controllarmi.”
Allora,
Edward interveniva.
“Emmett
smettila. Jasper proseguiamo la caccia; hai bisogno di nutriti ancora. Vedrai
che la sete ti passerà, cerca di essere paziente.”
Ma
la pazienza non sempre sarebbe bastata. Non in tutte le circostanze.
Quella
di Jasper era una vera dipendenza difficile da estirpare.
Fra
tutti, ancora oggi, dopo tanti anni è quello che ha più problemi a sopportare
l’odore o stare semplicemente vicino agli umani.
Per
aiutarlo, abbiamo trascorso dei lunghi intervalli di tempo in Alaska, facendo
la spola tra Forks, Anchorage, Vancouver e il territorio canadese nell’arco di
oltre un ventennio; meno erano le tentazioni, più facile era per lui resistere.
Era
una fortuna che ci fosse Alice, l’unica in grado di prevedere tutte le sue possibili
reazioni; se c’era il rischio di qualche aggressione, lei ci avvertiva sempre
in tempo, e allora si evitava di andare a scuola, in città, per negozi o al
cinema, e in altri luoghi dove era concentrata la presenza di esseri umani.
Come
quella volta alla scuola di Forks. C’erano un gruppo di operai che stavano
facendo manutenzione all’edificio scolastico. Alice ebbe una visione in cui
vide uno degli uomini cadere dall’impalcatura e ferirsi in maniera seria.
Quel
giorno impedimmo a Jasper di frequentare i corsi, invece lo obbligammo ad
andare a caccia con i suoi fratelli.
“Fratellino,
per oggi è meglio se marini la scuola. Immagino con un certo sollazzo le urla
di terrore degli studenti.” Aveva sghignazzato Emmett in finto tono lugubre.
Mia
moglie lo aveva rimproverato subito.
“Emmett
non c’è nulla di divertente in quello che hai appena detto, smettila di
istigare tuo fratello.”
“Un
po’ di immaginazione non fa male; sai che noia ripassare lezioni di storia che
si conoscono a memoria?”
L’operaio
si salvò dalla caduta e dal vampiro; lo ricoverai in ospedale per oltre un mese
e mezzo con due costole rotte e fratture multiple alle gambe.
Sono
stato a lungo incerto sulle motivazioni di Jasper; credevo che Alice fosse
l’unica ragione che lo facesse restare con noi. Non era facile intuire cosa
pensasse davvero, solo Edward aveva libero accesso alla sua mente.
Si
manteneva freddo, apparentemente distante, indifferente.
Solo
col tempo compresi che in realtà si legò sinceramente ai suoi fratelli e
sorelle, a Esme e anche a me, pur non manifestandolo apertamente.
Era
fatto così.
In
realtà, non era mai stato libero di legarsi davvero a una famiglia in modo
autentico e sincero. Era un soldato che non aveva mai imparato a mostrare le
emozioni, anzi le aveva represse, considerandole fonte di debolezza in un mondo
di suprema violenza.
Solo
recentemente ha iniziato ad ammorbidirsi un po’ nei suoi approcci.
Per
lui resistere diventò una sorta di sfida, una prova di forza con se stesso; era
un combattente e la sua nemica era la sete, la nemica più forte, dura e ostile
che gli fosse mai capitato di affrontare. Vederla in quest’ottica lo aiutava,
ma la sua presunta debolezza rispetto ai suoi fratelli, molto più allenati e
meno provati, lo faceva soffrire.
Il
desiderio di uccidere era ancora troppo vivo e spesso affiorava prepotente;
Alice, aiutata da Edward, controllava le sue reazioni, i suoi pensieri e
desideri, e scongiurava i suoi possibili fallimenti. Jasper era per lei la sua
preoccupazione costante: quasi tutti i pensieri di Alice erano concentrati sul
suo compagno e sul suo autocontrollo.
È così ancora oggi anche se sono passati decenni; sono soltanto un poco
meno ossessivi.
Jasper
a volte è infastidito da tutte queste attenzioni; detesta causare
preoccupazioni ad Alice.
Eleazar
mi aveva messo in guardia; lui ci era già passato, come Tanya e le sue sorelle.
Per questo i vampiri di Denali insistevano a vivere lontani dagli umani, in un
territorio inospitale come l’Alaska.
“Carlisle,
quando un vampiro ha vissuto in quel modo, immerso in tutta quella violenza,
cambiare è ancora più difficile: possiamo fare un paragone con un bambino che
ha ricevuto solo sevizie. Jasper soffrirà per decenni probabilmente. Bisogna
vedere quanto è forte; Alice indubbiamente si controlla molto meglio e questo
lo stimola, lo incoraggia.” Mi disse semplicemente. Sapeva di cosa parlava,
molto più di me.
“Sì,
ho chiaro il concetto, Eleazar. Non farò con Jasper l’errore che feci con
Edward. Non gli imporrò di restare, né gli dirò che questo è il modo migliore
di vivere; voglio che si senta libero, e se un giorno mi dirà che vuole andar
via, non lo fermerò… e allora, perderò anche Alice. Spero che lei possa essere
tanto forte da trattenerlo…”
Per
Jasper l’odore del sangue è un tormento quasi costante; dopo oltre mezzo secolo
deve ancora combattere contro le sue reazioni fisiche: la bocca secca e arida,
la gola che brucia, crampi allo stomaco, muscoli che si contraggono tesi nello
sforzo di dominarsi. Solo i suoi occhi hanno mutato colore diventando dorati
come i nostri.
Alice,
con una dolcezza disarmante, non si stanca d’incoraggiarlo.
D’infondergli
fiducia.
“Tranquillo
Jasper; puoi farcela. Non assalirai nessuno. Io l’ho visto.”
Il
soldato si fida del suo folletto come ci fidiamo noi. Tramite le visioni di
Alice abbiamo sempre scongiurato possibili tragedie e gestito crolli finanziari
in borsa. Anche grazie a lei, il patrimonio dei Cullen è aumentato
considerevolmente attraverso gli anni.
Sembra
trascorso solo un battito di ciglia, dall’arrivo di Alice e Jasper in famiglia,
ma siamo già alle soglie di un nuovo secolo.
Nel
frattempo il mondo è passato attraverso fasi diverse; negli anni del dopoguerra
l’America ha vissuto il suo sviluppo economico imponendo il suo modello di
società consumistica, si è gettata in altre guerre disastrose come quella del
Vietnam, e da superpotenza in competizione con l’ URSS ha imposto al mondo la
cosiddetta guerra fredda, fatta di conflitti indiretti e corsa agli armamenti
nucleari, nel tentativo di impedire l’espansione del pensiero comunista. Quando
nel 1962 ci fu la crisi di Cuba, in quei 13 giorni anche noi come buona parte
dell’umanità, pensammo di essere arrivati alla fine: una guerra termonucleare
distruggerebbe anche i vampiri. Ricordo ancora i telegiornali dell’epoca e la
nostra apprensione.
Noi
come il mondo, abbiamo costruito nuovi equilibri, adattandoci ogni volta a
necessità diverse e l’unico elemento che mutava era l’ambiente attorno che
abbiamo cercato, per quanto possibile, di adattare alla nostra esistenza.
Nonostante
tutto, oggi siamo una famiglia unita. Lo posso dire con profonda convinzione.
Siamo
passati indenni in mezzo a tutto. E non è che siano mancate le prove o le
difficoltà.
I
nostri legami sono solidi, autentici, si sono saldati e fortificati negli anni.
Il bene profondo che mi è stato dato è superiore a tutte le aspettative che potevo
sognare di avere; una moglie che adoro, sensibile e dolce, presente e attenta.
Cinque figli che hanno dato senso alla mia vita, riempito il vuoto e reso meno
pesante e spaventosa questa eternità che mi sovrasta.
Come
nomadi, siamo passati da nord a sud, da est a ovest, attraverso Stai Uniti,
Canada, Alaska.
Anche
le più grandi distanze per noi sembrano accorciarsi, troppo brevi per creature
che trascorrono l’esistenza a ripetere all’infinito gli stessi passi,
ripercorrendo lo stesso tragitto mille e mille volte.
Abbiamo
toccato innumerevoli città passando dall’Indiana, all’Illinois, al Michigan,
fino ad oltrepassare i grandi laghi per puntare verso il Quebec, tutto
nell’arco della vita di un uomo che nasce, cresce e muore sotto questo cielo
troppo vasto, infinito quanto il mistero della vita, lontano e irraggiungibile
come la morte che ci è negata.
Esperienze,
sentimenti, strade accumulate, non sono altro che impronte impalpabili, nuvole
in viaggio inafferrabili a testimoniare che non possiamo esistere se non nelle
fantasie degli uomini.
Non
c’è traccia di noi nella storia, salvo quelle leggende surreali che si perdono
nella notte dei tempi.
Le
nostre origini restano misteriose a noi stessi e neppure i vampiri più antichi
le conoscono.
Mi
sono rassegnato a essere come un maestoso albero senza radici, come quelle
piante che si abbarbicano sulle rocce; mi sono aggrappato ogni volta a un luogo
diverso e ho fatto mio ogni ricordo depositato sulla terra che di volta in
volta ci ha accolto.
Ogni
storia o dramma umano che ha toccato la nostra vita è acqua che scorre sulla
nostra pelle e non possiamo assorbire, se non in minima parte.
Ho
imparato ad accettarlo.
So
che non avrei il diritto di chiedere più di quello che la sorte indegnamente mi
ha donato: è stata una madre fin troppo generosa con una creatura partorita da
un abisso oscuro.
Se
guardo da qui l’immagine dell’arazzo costruito attraverso i secoli, i fili che
lo compongono sembrano tutti al loro posto. Apparentemente.
Il
disegno sembra preciso, completo. Chiaro. I colori limpidi.
Eppure
non è del tutto vero.
So
che l’immagine non è finita.
Resta
un filo, in un angolo della composizione che ancora non ha trovato la sua
giusta collocazione.
Fa
parte del ricamo, quindi è intrecciato insieme agli altri per buona parte, ma
un’ estremità non trova la sua sede. Non ha trovato il modo di annodarsi al
tutto e resta estraneo, alieno all’equilibrio dell’insieme.
Stiamo
tutti aspettando che venga quel momento; che il filo trovi il suo giusto
intreccio.
Dovrà
venire. Voglio continuare a crederlo.
Allora
rivolgo la mia ultima, accorata preghiera all’universo insondabile da cui sono
caduto.
Concedimi
l’ultimo tassello che possa completare l’immagine del quadro.
Il
mio amore egoista si rivestirà di una parvenza di grazia.
Una
grazia che non chiedo per me.
Il
primo dei miei figli è ancora solo.
La
sua solitudine, più amara della mia condanna, è l’unica ferita che ancora
sanguina.
Io
aspetto e spero ancora di vederla guarire.
Continua…
Eccomi qui.
Jasper; avevo
qualche timore ad affrontare questo personaggio, non ero sicura di averlo
capito. Ho lavorato poco di fantasia e mi sono attenuta alle fonti originali.
In effetti mi è sempre sembrato un po’ fumoso, non lo vedevo interagire con gli
altri. Poi non capivo esattamente perché, anche dopo tanto tempo, facesse più
fatica degli altri a stare in mezzo agli umani. Mi sono concentrata sul suo
passato perché credo che la chiave per comprenderlo sia lì, nell’educazione che
ha ricevuto prima come soldato e poi da Maria.
Jasper non ha
conosciuto altro che violenza prima dell’incontro con Alice, quindi ho dedotto
che i suoi primi approcci con la famiglia di Carlisle devono essere stati un
po’ perplessi. Concordate con la mia interpretazione?
Siamo alla
fine ormai. Il prossimo sarà davvero l’ultimo capitolo e poi questa storia sarà
davvero conclusa. Come sempre ringrazio tutti quelli che seguono e hanno
seguito fin qui, in silenzio o meno. Se vi va, fatevi sentire, anche solo per
dirmi se vi è piaciuto o no.
Un saluto.