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Autore: ToraStrife    12/06/2012    1 recensioni
Quanto possono essere fragili e delicate delle ballerine di porcellana? E' quello che scoprirà il timido e gentile Quasimodo, nel suo fatidico incontro con due di esse: una comprata al mercato, ed una viva di nome Anna...
[Storia partecipante al "Fatemi leggere!" Contest, categoria One-shot indetto da _pollina_.
Vincitrice del premio speciale "Ballerina di porcellana" al medesimo contest]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ballerina di porcellana



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"Ci dev'essere sicuramente un equivoco..."

E doveva essere così, quando si era girata mentre camminavo, anzi, mi strascicavo per i fatti miei e aveva cominciato a chiamarmi.
Continuava a ripetere di riconoscere in me un suo amico d'infanzia, nonostante le ribadissi la mia sicurezza nel non averla mai incontrata.
E a malincuore, devo dire: aveva quel sorriso splendente, contornato da una chioma bionda e riccioluta che la facevano spiccare come un girasole in mezzo ai campi.
Percepivo in lei una voglia di vita e un'allegria che mi facevano desiderare di cedere alla tentazione e 
di recitare, stando al gioco,  la parte di un amico che non ero.
Forte della mia ostinazione, resistetti tuttavia nei miei dinieghi, fino ad arrivare al punto di convincerla, finalmente, del suo errore.
O almeno così pensavo.
Mi ero preparato a quel saluto che ci avrebbe riportato ognuno verso la propria strada, e verso la propria esistenza.
Mi ero già messo il cuore in pace e osservavo con la coda nell'occhio la sua figura snella e un pò claudicante allontanarsi per sempre dalla mia vita: non mi aspettavo certo che si sarebbe voltata con aria insoddisfatta e avrebbe esclamato un qualcosa come:
- Eppure sono convinta che sei tu: forse tu non ti ricordi di me, ma io so che è così, me lo dice l'istinto. -
Volevo dibattermi ancora in proteste di fronte a quell'atteggiamento che chiunque avrebbe giudicato come strambo, ma una piccola parte di me era felice dell'inaspettato sviluppo della situazione, e ho finito per accettarla.



"Ci dev'essere sicuramente un equivoco...."

Quel giorno, alla bancarella dell'usato, mi guardai intorno per scovare altri possibili destinatari, ma dato l'esito negativo risultava evidente che la venditrice si stesse rivolgendo proprio a me.
- Lo so che è interessato a questa statuina -.
Io scuotevo la testa, negavo, ma per la verità la commerciante mi aveva letto come un libro spalancato.

E sì che non potevo negare i lunghi minuti spesi 'distrattamente' a sbirciarla in mezzo alle altre carabattole e i lunghi "avanti e indietro" per una buona mezz'ora davanti all'esercizio.
- Non faccia il timido, non c'é nulla di male - rincalzò la signora con fare incoraggiante.
Sospirai: ormai ero stato 'beccato', le alternative erano una pietosa battuta in ritirata, o affrontare con dignità il successivo momento di imbarazzo.  
Con aria rassegnata, mi avvicinai lentamente al banco.



Guardarla sul palco mi stregava.
Mi aveva invitato, con nonchalanche, a uno dei saggi di danza che ogni tanto la sua compagnia organizzava a scopo benefico.
Di solito trovo la danza una cosa davvero noiosa, e comunque, l'implicito concetto di delicatezza e grazia propri della disciplina, fanno a pugni con la mia stessa persona fisica, goffa, impacciata nel camminare, con un occhio torvo e anche problemi alla schiena.
A proposito, non mi sono ancora presentato: non riferirò il mio vero nome, ma potete chiamarmi, come tutti, Quasimodo, proprio come il famoso gobbo, già.
Avevo parlato della sua andatura claudicante, e c'era un motivo: lei, Anna il suo nome, aveva un ginocchio debole, a rischio di sforzi. Ciononostante non aveva mai rinunciato alla sua passione, la danza, appunto.
Dicevo che la sua interpretazione aveva un qualcosa di magnetico in me. Il saggio non mi interessava un granché, come potevo facilmente prevedere, e trattenevo a stento gli sbadigli. Lei però, nella sua interpretazione, mi comunicava quell'energia nell'affrontare una vita che non era stata generosa con lei: problemi di salute, fidanzati che non erano stati del tutto carini con lei, per usare un eufemismo, e che anche da ex si mettevano in mezzo per metterle i bastoni tra le ruote nei suoi amori successivi.
Con quanta leggerezza mi aveva raccontato la sua storia, io, che, ribadisco, non la conoscevo neppure, se non da quel famoso momento per strada.
Mi sentivo quasi in colpa, come un usurpatore che impersonava il suo amico d'infanzia, anche se periodicamente le ricordavo l'equivoco, e lei continuava a non credermi, o forse ci credeva, ma aveva scelto di continuare quello strano gioco.
E in fondo,la cosa andava bene anche a me.


- Non c'é nulla di imbarazzante. E' una statuina graziosissima. -
Come al solito quella volpona della venditrice sapeva come rifilare frasi intortanti una dietro l'altra: dev'essere una qualche capacità di mestiere comune a tutti i commercianti.

E il fatto era che più la guardavo, più concordavo - o forse cadevo nella rete? - con la signora: era davvero una figura graziosissima.
Una ragazza in tutù, seduta a gambe incrociate, mentre rannicchiata abbracciava un ginocchio, comunicava una delicatezza infinita. Quasi mi chiedevo come fosse finita lì, tra una pila di giornalini di Topolino rosicchiati dai ratti e un lampadario in ottone intaccato dalla ruggine.
Era pur sempre una bella figura in porcellana, e questo andava anche a mio vantaggio, combattuto tra il desiderio di prenderla e l'effettivo imbarazzo di farlo.
Sicuramente aveva un prezzo fuori dell'ordinario, che il solo sentirlo mi avrebbe definitivamente dissuaso l'acquisto: una strategia perfetta.
E quindi, aprii bocca per pronunciare la fatidica domanda....


"Spero che tu stia scherzando!"

Non riuscivo a credere a cosa avesse appena detto il mio amico.
Germano, il mio vecchio amico d'infanzia.
Stavolta uno vero.
Ero così rapito dall'esibizione di Anna sul palco che sobbalzai quando quell'inaspettata mano mi aveva sorpreso con una energica pacca sulla spalla.
- Quasy, quanto tempo! Che ci fai qui? -
Era quello che volevo domandargli io.  Gli avevo indicato sul palco il motivo della mia presenza e rimasi interdetto dalla smorfia che lessi sul suo volto.
- Ah, quella.... - disse con freddezza. - Da quanto la conosci? -
- Non da molto, per la verità. -
- Capisco. Meglio così. -
Parole che mi insospettirono.
- Che vuoi dire? -
 - Dimmi innanzitutto: ti piace? -
Che domanda sfrontata. Arrossii, ma volli rispondere con una risposta vaga. Anche per me stesso.
- Diciamo che non mi dispiace - e dopo un momento preferii aggiungere  -E poi siamo solo amici. -
- Meglio così - si rilassò Germano. - Mi ero preoccupato. Ti ricordavo di gusti migliori. -
- Cosa insinui? -
- Insomma, l'hai vista, no?  E' un cesso -.
Era a quel punto che avevo lasciato che la mia incredulità si manifestasse con la frase di prima, che non lo scompose minimamente.
- Perché dovrei scherzare? L'hai vista, no? -
Da un punto di vista "normale" forse non avrebbe avuto neppure torto. Non era questa gran bellezza, lo riconosco, aveva un sorriso che la faceva somigliare a un cavallo,  normalmente indossava un paio di fondi di bottiglia spacciati per occhiali, e anche quel suo fisico esile e l'andatura traballante per via dei problemi al ginocchio le avrebbero precluso qualsiasi partecipazione a un concorso per Miss Italia o Veline. Ma sinceramente, queste cose le notavo solo ora perché c'era Germano che me le stava elencando una a una.
Ma sinceramente, sapete quanto ne me sbatteva.
Io, Quasimodo, ricettacolo degli acciacchi del mondo, ero l'ultimo che poteva sollevare questioni su dei difetti fisici.
Tra l'altro, per dirla tutta, non li consideravo neppure difetti, al contrario: esercitavano su di me un non so che di attraente.
- Germano, neanch'io credo farò mai il top model -
- Sì, ma non è solo questo - aggiunse - E' anche una rompiscatole che si appoggia a te per tutto - continuando con una battuta di dubbio gusto.
- Anche perché come vedi, non si regge praticamente in piedi -.
Le mie mani erano già partite prima che il cervello disponesse alcun comando, e stavano già stropicciando la sua collottola. Mi ricordai che si trattava pur sempre di un mio vecchio amico, e con grande sforzo lasciai andare la presa.
- Come puoi parlare così di una che non conosci? -
- Ti sbagli, amico mio - mi rispose sistemandosi la giacca e il colletto.  
- La conosco eccome. Lei è la mia ex -


"Spero che lei stia scherzando!"

Sicuramente avevo capito male, o era una presa in giro in piena regola.
- Con una cifra così bassa non dovrei riuscire a comprarmi neppure una scarpetta di quella statua. -
La negoziante sospirò, e prendendo in mano l'oggetto, me lo fece vedere meglio.
- E' appunto in una scarpetta il problema, signore: un piede è mancante. -
Probabilmente l'inintegrità di un'opera era un particolare gravissimo che poteva far gridare allo scandalo qualsiasi occhio critico esperto d'arte, a un punto tale da farla svalutare così tanto.
Io però, da bravo caprone (perché anche cocciuto), perfetto ignorante in materia, non riuscivo a vedere questa grande differenza tra una ballerina con piedino integro e una con il piedino rotto.
Un costo così irrisorio era quasi un insulto, non verso la negoziante, non verso il compratore, ma verso l'opera stessa.
Non stavamo parlando di un pupazzino di plastica di quelli che trovi negli ovetti della Kinder, per favore!
Gettai quasi con indignazione la moneta nelle mani della commerciante, e pretesi che fosse almeno avvolta con cura  in protezioni morbide e soffici.
Dopo aver ringraziato la gentile venditrice, che in fondo comprendeva il mio stato d'animo, o almeno preferivo credere, me ne andai imprecando a bassa voce, nonostante il grande vantaggio che mi aveva procurato una così ghiotta occasione, sulle assurde leggi di mercato che mi avrebbero fatto, a casa, mettere una graziosa statuina assieme ad altre simili che avevo pagato venti, trenta o anche cinquanta volte di più.


"Non è possibile!"

Ancora non credevo a quello che vedevo: era successo tutto in un attimo. Persone allarmate che correvano su e giù per il palco, in cerca di un infermiere, una barella, o per contattare il più vicino ospedale.
Quell'attimo tra l'altro era stato così veloce che tutto quello che ero riuscito a scorgere era lei già per terra che si teneva il ginocchio dolorante.
Distratto dall'inaspettato imprevisto, non mi preoccupavo neppure più di Germano, mentre impotente guardavo Anna che veniva caricata sull'ambulanza .

Poche ore dopo, al pronto soccorso, le notizie confermavano quello che i dottori temevano: il tanto fragile ginocchio
alla fine aveva ceduto.
Avrebbe dovuto passare i canonici lunghi mesi di degenza, riabilitazione, ma si era innalzato un muro sui quali i medici erano irremovibili: non avrebbe più dovuto fare sforzi ingenti.
In altre parole, non avrebbe più potuto solcare il palco a passo di danza.
Addio al sogno di una vita.
Ero già scioccato di mio, non osavo immaginare la portata dell'impatto che la notizia potesse aver avuto su di lei. Indeciso sul come comportarmi, e contemporaneamente frustrato dalla mia stessa impotenza, decisi nel frattempo di lasciare il compito di gestione della questone alla famiglia dell'ormai ex-ballerina.
Mi appoggiai alla parete e diedi qualche botta con la nuca come a punirmi della colpa di non poter far nulla.


"Non è possibile!"

Va bene essere imbranati, va bene avere difficoltà motorie di mio, ma queste maledette mani di pastafrolla avevano commesso un errore imperdonabile.
Una distrazione ed ecco che la statua mi era sfuggita tra le mani per infrangersi in mille pezzi proprio ai miei piedi.
A cosa era servita allora tanta cura nel portarla a casa?
E proprio un attimo prima di appoggiarla insieme alle altre.
Sarebbe stata perfetta, sullo scaffale, mi dicevo, avrebbe goduto della compagnia delle altre sculturine e non avrebbe più avuto quella triste aria solitaria che la caratterizzava al mercato.
Era il destino ad aver deciso che quella statuina non potesse godere anche lei di un pò di felicità?
Ma che sto dicendo, in fondo? Si trattava di una fragile ballerina di porcellana. Ormai vi erano solo dei cocci....
Mi inginocchiai, non senza fatica, e raccolsi quel poco che non si era frammentato in pezzi troppo piccoli.
- Una volta eri una splendida ballerina- mi dissi, - ora sei buona solo per la spazzatura... -


"E così la bambolina si è rotta, eh?"


D'istinto mi voltai e in un attacco d'ira sferrai un pugno, che Germano schivò. Stavo per partire con un secondo attacco, quando il mio vecchio amico agitò le mani prodigandosi in mille scuse.
- Scusa! Scusa! Era solo una battuta, non te la prendere, scherzavo! -.
Lo odiavo quando faceva così.
- Stai cercando a tutti i costi di farti picchiare? Come puoi essere così... così...? -
- I medici mi hanno già detto tutto. Per questo ho accennato a una bambolina rotta. Mi spiace, davvero. -
La cosa mi suonava come una presa in giro.
- Di solito lo mostri così, un dispiacere? -
Germano sospirò, tirò fuori una sigaretta, vide il segnale di divieto e rassegnato ripose la cicca nel taschino.
- Sapevo che sarebbe andata così. Quando eravamo assieme l'ho messa in guardia non so più quante volte. Ha voluto fare la testarda e questo è il risultato. -
Rimasi in silenzio. Aveva ragione, dannazione, il discorso era logico. Ma tuttavia non riuscivo lo stesso ad accettarlo. Ma allo stesso tempo non riuscivo a trovare qualche giustificazione per controbatterlo.
Germano riprese.
- Ha sempre voluto fare di testa sua. Se qualcuno cercava di dissuaderla dal danzare, lei faceva il mulo e non sentiva ragioni. Non ci ho provato solo io:  sono anni che la sua famiglia insisteva che lei smettesse. 'Questo è il mio sogno' ripeteva sempre 'ed è quello che voglio fare'. Bene, sarà soddisfatta ora, spero non abbia rimpianti. -
- E che male c'é nel perseguire un sogno? - tentai di protestare.
- C'é di male quando lo fai per non accettare una realtà che non ti piace. -
Il suo discorso non faceva una grinza, e mi irritava non trovare argomenti adatti a controbattere.
- Sai, io e Anna ci eravamo lasciati proprio per questa grande differenza di vedute. -
- Lo credo bene. A giudicare da quanto veleno hai sputato e stai sputando contro di lei. -
Germano ridacchiò un pò.
- Ti riferisci alle critiche che avevo fatto sul suo aspetto fisico? -
- Decisamente. -
- Via, volevo stuzzicarti come ai vecchi tempi. Non dimenticare che noi due eravamo assieme, quindi è chiaro che trovo in lei tutte quelle qualità che le stai trovando tu. -
L'insinuazione mi fece divampare in volto.
- Ti ho detto che siamo solo... -
- Già il fatto che te la prenda così vuol dire che non ti è indifferente. -
Riusciva a inchiodarmi in ogni angolo, come ai vecchi tempi. E la cosa lo divertiva da matti.
- Caro, vecchio Quasy, ti ricordi perché ti chiamavamo così? - nell'ovvio riferimento al gobbo di Notredame.
Allargai le braccia per palesare l'evidenza.
- E' ovvio, ma non mi metterò a elencare tutti i miei difetti fisici. -
- Quasy, Quasy... quello anche, ma anche perché con lui condividi il cuore generoso e quella passione per le sculture. Riusciva a trovare del buono anche in bruttissimi Gargoyle. -
- Ma io non colleziono Gargoyle. -
Germano rise, perché capiva che cercavo di evadere la questione.
- Dai, sai benissimo a cosa mi riferisco: riesci a trovare del buono in tutto,  sculture e persone vive. -
- Stai dicendo un mucchio di sciocchezze. - rimbrottai scrollando le spalle.
- E credo proprio che tu abbia trovato la tua Esmeralda - continuò divertito Germano.
- E di tutte le sciocchezze, questa le batte tutte - ribattei, scoppiando però a ridere subito dopo.
Non potevo vincere con lui: Germano mi conosceva troppo bene.


"E così la bambolina si è rotta, eh?"

Germano mi stava canzonando, come suo solito. Mi ero presentato da lui con un sacchetto nel quale c'era quel mucchio di cocci che non avevo avuto il coraggio di buttare. Ed ero lì, sulla porta, a chiedere il suo aiuto nell'impresa quasi impossibile di reincollare i cocci, cosa che io non sarei mai e poi mai riuscito a fare.
- Non ti preoccupare. Ci penso io. - e così dicendo mi prese il sacchetto dalle mani e svuotò il contenuto su un tavolo da lavoro. Dopo aver studiato la situazione, si voltò e mi presentò il suo responso.
- Sarà impegnativo, ma non è un'impresa impossibile. -
Non dissi nulla, ma abbassai la testa in un tacito segno di ringraziamento.
Germano faceva sempre il buffone, ma era una persona su cui potevo sempre contare.


"Ti ricordi di quella volta che ti ho riparato quella ballerina in porcellana?"

- E come potrei dimenticarlo? - risposi - Un lavoro impeccabile. E' ancora lì, adesso, a distanza di anni, sorridente nella mia collezione, su quello scaffale. -
Germano fece spallucce. - Una bazzeccola. Riparare quella statuina era stato facile. Tu non ci saresti mai riuscito -
- Lo so bene: sono un impedito in materia. -
Germano si avvicinò e mi posò una pacca sulla spalla.
- Adesso però i ruoli si sono invertiti. Tocca a te.-
Lo guardai di sbieco come si guarderebbe un matto.
- Che diavolo dici? -
Germano mi sorrise, fece una pausa e mi spiegò.
- Questa volta sono io a non essere in grado a riparare 'questa' ballerina, quella che adesso giace in un letto di ospedale con il mondo che probabilmente le sarà crollato addosso. Ma forse tu puoi. -
- Seriamente, non capisco quello che stai dicendo -
Germano mi guardò divertito, con quel fare malizioso che mi suggeriva di aver capito benissimo che stavo semplicemente fingendo per eludere il riferimento.
- Forza, non farla aspettare! - disse infine mentre mi appoggiò le mani sulla schiena e cominciò a spingermi  verso la saletta dov'era ricoverata Anna.


Ero ancora esitante sulla soglia quando Germano mi diede un'ultima spintarella  prima di scomparire definitivamente 'dietro le quinte'.
La famiglia se n'era ormai andata da un pezzo, e io mi sentivo come un imbecille, lì impalato a non saper che pesci pigliare, mentre lei aveva mosso la testa nella mia direzione, sopresa dalla mia presenza.
E quasi potevo giurare che lì vicino quel beota del mio amico si stesse contorcendo per soffocare chissà quante risate.
- Ciao - ruppe il ghiaccio Anna.
Bofonchiai un qualche saluto e non avendo altra scelta, mi avvicinai. Ovviamente non l'aveva presa bene: guardava, con aria assente, alternativamente nel vuoto e nella mia direzione.
La mia visita non sembrava averla rallegrata poi molto.
Soffocai l'ardente desiderio di trovare una scusa per battere in ritirata. Provai a prendere tempo con qualche frase di circostanza.
- Mi dispiace. -
- Non ti preoccupare, non è colpa tua, in fondo -
Sì, ma non sono stato in grado di fare nulla lo stesso: questo avrei voluto dirle, ma rendermi patetico sarebbe servito solo a rattristare me e a far sentire in colpa lei.
- Se c'é qualcosa che posso fare... -
- Grazie, ma non ho bisogno di nulla. -
- Capisco - convenni rassegnato. Fu quello che disse subito dopo che mi spiazzò.
- Sai, ho ripensato al fatto dell'amico d'infanzia. Credo tu abbia ragione: mi ero sbagliata. -
- Oh, beh, non credo abbia molta importanza, ormai -
- Sì, invece. Se non sei il mio amico, non c'é bisogno che tu stia qui. -
Passarono lunghi attimi di silenzio. Il discorso stava prendendo un discorso che non mi piaceva per nulla. Anche per quello, finsi di non capire.
- Temo di non afferrare... -
- E' semplicissimo. Non abbiamo alcun legame. Non hai obblighi verso di me.  -
- Ma come! - protestai - così, di punto in bianco... -
Ma lei tagliò corto.
- E' tutto. Mi dispiace dell'equivoco.  Non c'é più bisogno che sprechi il tuo tempo con me. Addio. -
E voltò la testa dall'altra parte, senza degnarmi di uno sguardo.
Ero ormai rassegnato, a dir la verità. Avrei fatto anche come voleva, me ne sarei andato per sempre.
Per mia fortuna però, non era riuscito a dire quell'"Addio" con quella freddezza che avrebbe voluto.
- Decisamente non sei brava a mentire, Anna -  
Puoi nascondermi il tuo volto, ma i singhiozzi si sentono lo stesso, sciocchina.
Potei solamente avvicinarmi, cingerle un braccio dietro le spalle e avvicinare la sua maschera di lacrime al mio petto, cercando di calmarla da quella crisi di pianto.
Tra un singhiozzo e l'altro, mi confessò che in quello stato, in un letto di ospedale, sarebbe stata solo un peso, per tutti, per me.
Voleva quindi allontanarmi con una scusa per evitarmi fastidi.
- Solo tu potevi tentare una cosa così sciocca. - le dissi.
Uh? Un deja vu. Mi sentivo come se quella frase l'avessi già detta, tempo fa. Il flash di una bambina in lacrime. Un ricordo? E un dubbio mi sfiorò: e se dopotutto avesse ragione lei, che io semplicemente avessi seppellito il ricordo nell'oblio della mia infanzia?
Non lo so, ci penserò dopo. Un'altra volta. Il tempo non manca. Non voglio che il tempo manchi. Forse gliene parlerò, più avanti. Rifletteremo assieme. Ma innanzitutto voglio stare con lei.
Come amico d'infanzia, come amico, o come qualcosa di più, non lo so.
Tutto quello che so, è che stavolta sono intenzionato a fare tutto ciò che posso per riparare questa bambola.


La tengo ancora lì, sapete? Sullo scaffale un pò impolverato, ma che mi osserva tutte le sere coricarmi nel letto e a salutarmi silenziosa la mattina quando mi  alzo.
Probabilmente oggi pomeriggio la prenderò, la impacchetterò e la porterò in regalo ad Anna.
Ho imparato persino la differenza tra costo e valore.
Il costo è quello che paghi per avere qualcosa.
Il valore è quello che saresti saresti disposto a dare per quel qualcosa.
Una ballerina può costare una misera moneta, o scaturire da un semplice equivoco, ma valere come l'oro che non cederesti per nessun'altra  cosa al mondo.
Le tengo ancora care e vicino a me, le mie due care ballerine di porcellana.

  
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